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grande business e con lo sviluppo della televisione digitale si avviano ad esserlo sempre
di più.
A questo enorme dilatarsi dell’offerta televisiva non è affatto corrisposto nel tempo un
miglioramento qualitativo dei suoi contenuti: le recenti tendenze della programmazione
mostrano, infatti, almeno per quanto concerne i Paesi Europei, un generale
peggioramento dell’offerta causato in particolare dall’aumento dei prodotti importati e
della concorrenza tra emittenti, nonché dalla debolezza della maggior parte dei sistemi
regolamentativi attualmente stipulati.
Questa propensione a proporre modelli il cui valore appare quanto mai criticabile,
provoca un’ulteriore penalizzazione della cultura e della coscienza civile ed etica dei
cittadini, ma soprattutto un indebolimento dello spirito critico e della creatività dei
minori. Il diritto dei bambini di sfruttare l’opportunità concessagli dalle nuove
tecnologie di comunicazione per crescere ed ampliare la propria conoscenza della realtà,
come i diritti acquisiti nel corso del tempo ed esemplarmente raccolti nella Convenzione
del 1989 per i diritti del fanciullo, sembrano essere tenuti in scarsa considerazione, dal
momento che si tende il più delle volte ad ignorare la responsabilità sociale che un
mezzo fondamentale come la Tv riveste nei confronti di un pubblico particolare ed
indifeso come quello dei minori.
I bambini risultano essere, infatti, le vittime maggiormente predisposte nei confronti
dell’appiattimento culturale e dell’omologazione imposta dal modello televisivo
prevalente, visto che non dispongono ancora degli strumenti necessari per interpretare
criticamente e non passivamente i messaggi che giungono dal televisore. Inoltre quello
che manca è anche lo sviluppo di un’adeguata politica che si proponga di incentivare
nella realtà dei fatti un uso consapevole e corretto della Tv, soprattutto attraverso una
fruizione familiare congiunta degli stessi programmi televisivi.
Negli ultimi anni l’opinione di diverse associazioni in rappresentanza dell’utenza,
nonché di molti illustri studiosi come Anna Oliverio Ferraris, di cui si avrà modo di
parlare in seguito, si è mossa in questa direzione, promovendo il dibattito sul tema “Tv e
minori” e la creazione di apposite guide da indirizzare alle famiglie ed alle scuole per
incoraggiare l’educazione multimediale dei bambini ed impedire il perpetrarsi degli usi
impropri del medium. Un particolare diniego è stato rivolto, ad esempio, da più parti nei
confronti del comportamento di alcuni genitori che considerano la Tv come una sorta di
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“bambinaia elettronica”, a cui affidare per molte ore al giorno l’intrattenimento e
l’educazione dei propri figli.
Quello che maggiormente preoccupa i genitori e gli insegnanti sono gli effetti
psicologici e culturali che i media possono provocare sui minori. Nonostante gli studi in
Italia solo ultimamente si siano dedicati all’analisi delle possibili reazioni che la Tv può
originare nel lungo periodo sul percorso di crescita evolutiva e sul comportamento dei
bambini, la ricerca scientifica internazionale, ed in particolare quella americana, in
questo settore è particolarmente vasta, dal momento che i primi studi risalgono a circa
50 anni fa.
È stato dimostrato come i processi d’influenza non seguano una forma di imputazione
causale lineare, come da tempo sosteneva la Teoria del modellamento, secondo la quale
ad un determinato stimolo doveva corrispondere necessariamente una specifica risposta.
Tali processi seguirebbero piuttosto una struttura a cascata: la continua frequenza con
cui i minori possono venire “bombardati” da contenuti il cui livello qualitativo può non
essere sempre soddisfacente, arriva a determinare una complessa sequenza di effetti.
Questi possono essere di interesse medico, come quelli derivanti dall’assunzione di
posture errate e di un’alimentazione sbagliata. Ma anche di tipo psicologico e culturale:
numerosi studi sono stati fatti ad esempio sull’assuefazione e sull’imitazione della
violenza, piuttosto che sull’ossessiva induzione al consumo, sulla trasmissione di
stereotipi sociali e culturali, e sull’imposizione di una concezione della vita basata
sull’edonismo, la competitività e l’ipocrisia.
Ad ogni modo questi effetti, come si è detto, non costituiscono una tappa obbligata per
tutti i minori che fruiscono anche in dosi eccessive del medium televisivo, ma sono
essenzialmente correlati a fattori individuali e sociali che in qualche modo
predispongono e favoriscono l’assunzione di questi comportamenti.
Nonostante la larga fortuna che ha conosciuto recentemente la Teoria del bambino
competente
5
, il problema dell’infanzia e delle nuove generazioni in relazione ai media ha
assunto attualmente un’importanza strategica fondamentale all’interno del panorama
5
Secondo il parere di molti studiosi, supportato anche dalla recente indagine del Censis, Media e minori,
2002, la Teoria del bambino competente è stata fraintesa per molto tempo, per essere assunta come alibi
deresponsabilizzante da parte delle emittenti e dei produttori televisivi: la competenza del bambino
sarebbe unicamente di tipo strumentale, dal momento che le generazioni più recenti dimostrano nei
confronti di quelle passate una predisposizione tecnologica molto più elevata. Non sarebbe affatto invece
di tipo intellettivo, dal momento che il bambino non può ancora essere dotato dell’esperienza e dello
spirito critico necessario per affrontare da solo la realtà e i messaggi mediatici.
- 7 -
normativo. Nell’ultimo ventennio si è assistito, infatti, alla proliferazione di numerosi
codici di deontologia professionale, anche se è soprattutto nell’ultimo periodo che il
dibattito pubblico e sociale in materia ha conosciuto una centralità finora sconosciuta.
All’interno del primo capitolo di questo elaborato verrà preso come soggetto di analisi
proprio l’attuale panorama legislativo, riponendo un’attenzione particolare al Codice Tv
e minori stipulato nel 1993. Sarà, infatti, proprio alla luce della struttura di questo
Codice, fondamentale per l’esperienza italiana, che si inizierà la ricerca. Verranno
innanzitutto analizzate nei primi tre paragrafi le sue Premesse, per proseguire in seguito
con la disamina dei principali casi nazionali ed internazionali che lo hanno preceduto e
seguito. Ci si soffermerà da ultimo sullo studio del Codice stesso nella sua interezza,
nonché del Regolamento che stabilisce le norme del Comitato d’attuazione preposto alla
sua osservanza.
Una volta analizzate le leggi che vincolano l’attività televisiva delle emittenti che hanno
sottoscritto gli interventi normativi, si procederà nel secondo capitolo prendendo in
esame alcune tipologie d’intervento nei confronti di quelle trasmissioni che sono state
mandate in onda nella fascia pomeridiana riservata ai minori, ma che per qualche motivo
sono poi state ritenute non idonee a tale utenza. Nel caso specifico verranno analizzati
due telefilm americani acquistati da Mediaset (Xena ed Ally McBeal), che hanno fatto
clamore per la messa in onda di alcune particolari scene ed episodi risultanti inadeguati
per i contenuti ed i valori trasmessi.
Nell’ultimo capitolo, invece, verrà considerata la normativa, precedentemente analizzata,
da un punto di vista critico. Si mostreranno pertanto le principali problematiche sottese
alla stipulazione delle norme contenute nel Codice, nonché all’applicazione delle stesse.
Un’attenzione particolare sarà quindi rivolta alle questioni più urgenti che si vengono a
porre nell’attuazione della fascia protetta, mettendo in luce nelle conclusioni le proposte
migliori che sono state fatte da più parti nella disamina di questi problemi e cercando di
proporre qualche possibile spunto risolutivo.
- 8 -
1° CAPITOLO
“Il Codice Tv e minori:
la regolamentazione in Italia.”
- 9 -
1. Una televisione per tutti?
La Premessa posta a capo del Codice Tv e minori (1993), di cui si parlerà ampiamente
nel corso di questo capitolo e che rappresenta in materia l’unico esempio di codice di
autoregolamentazione attualmente in vigore, sottolinea da subito l’importanza e la
crescente complessità del rapporto esistente tra i media ed i soggetti in età evolutiva, con
particolare riferimento alla sempre maggior influenza esercitata dalla televisione nel
processo di formazione e di educazione dei minori.
Per comprendere le ragioni di questa progressiva incidenza del medium televisivo sui
percorsi di crescita dei ragazzi, sembra fondamentale non prescindere dalla storia del
medium stesso letta nell’ottica di questo fondamentale rapporto, descrivendo
sinteticamente l’evoluzione dalla “paleotelevisione” alla “neotelevisione”
6
.
La “paleoTv”, che si riferisce al ventennio di monopolio Rai dal 1954 al 1976, era
caratterizzata da schemi di programmazione animati a promuovere un “ascolto corretto”
del mezzo televisivo, che non interferisse eccessivamente quindi nei ritmi del tempo
lavorativo e del tempo libero degli italiani. Il Primo canale della Rai trasmetteva
all’inizio per circa quattro ore al giorno, con un progressivo allungamento dei tempi di
trasmissione nell’arco degli anni. L’intento fondamentale era quello di garantire
un’offerta in linea con l’impostazione pedagogico-educativa tipica del modello di
riferimento europeo del servizio pubblico: educare, informare, intrattenere.
L’articolazione dei programmi avveniva per fasce d’età, secondo la logica delle fasi
evolutive dell’apprendimento, per ottenere una corrispondenza tra le trasmissioni e i
bisogni psicopedagogici del pubblico infantile. Con la nascita del Primo canale era nata
anche quella che viene usualmente definita la Tv dei ragazzi: questa si basava su un
appuntamento settimanale e con una sigla di apertura ed una di chiusura sanciva in
maniera evidente lo spazio televisivo dedicato ai minori, determinandone così la durata:
all’inizio dalle 17.30 alle 19.00, mentre a partire dal 1957 (anno di Carosello, vero e
proprio terreno di confine tra la programmazione per bambini e quella mirata per gli
adulti) dalle 16.30 alle 18.30.
6
I due termini furono introdotti da Umberto Eco nel 1983 per distinguere il passaggio epocale avvenuto
nella storia della televisione italiana. Per i concetti di “paleoTv” e “NeoTv” e le notizie storiche ad esso
correlate si veda invece Paci Gabriella, La Televisione, Ellissi, Arzano 2000, pagg. 60 – 98 e Grasso Aldo,
Storia della televisione. La Televisione italiana dalle origini, Garzanti, Milano, 1998, pagg. 500 – 502
- 10 -
Dagli anni ’50 a tutti gli anni ’60 il palinsesto Rai dedicato ai ragazzi venne suddiviso
appositamente in due blocchi distinti: dalle 16.30 alle 17.30 per bambini dai 4 agli 8
anni, mentre dalle 17.30 alle 18.30 per ragazzi fino ai 14 anni. I programmi dei più
piccoli erano ispirati ad un universo fantastico-fiabesco, a differenza di quelli dedicati ai
più grandi, in cui venivano offerte nozioni con spirito educativo. Fino agli anni ’70,
quindi, le televisioni di tutto il mondo si ispirarono a quel filone pedagogico educativo,
che portò all’ideazione di trasmissioni interamente dedicate alla fascia pre-scolare e
promotrici dell’importanza che il medium televisivo poteva rivestire nel suo rapporto
con i bambini: clamoroso l’esempio di Sesame Street
7
negli Stati Uniti.
Ma già con la riforma Rai del 1975 e con la sentenza n. 202 del 28 luglio 1976, che
legalizzò ufficialmente la concorrenza nel settore radiotelevisivo, l’esperimento positivo
della Tv dei ragazzi conobbe il suo termine. I programmi dedicati ai minori vennero
gradualmente sostituiti con i cosiddetti family programs, mentre si assisteva alla
continua proliferazione nell’etere di una miriade di stazioni televisive in una sostanziale
assenza di leggi e regolamentazioni del settore. La Rai entrò in agguerrita concorrenza
con le televisioni private, essendo pervasa al suo interno da interessi contraddittori, tra
qualità e mercato, che portarono ad uno snaturamento del suo ruolo e delle sue funzioni
originarie. I programmi, alla costante ricerca di audience, dovevano ricoprire l’intero
arco della giornata e non riuscivano più, per motivi tecnico-commerciali, a mantenere un
buon livello di qualità. Le trasmissioni a carattere culturale vennero, infatti,
progressivamente espunte dai palinsesti, o marginalizzate ad orari di basso o bassissimo
ascolto, a favore di trasmissioni con contenuti più leggeri che potessero però garantire un
audience più elevato e un più ampio gettito pubblicitario. Come immediata conseguenza
si arrivò alla cosiddetta «legge dell’aggiunta delle spezie»
8
, come amò definirla Popper,
utile «a far mangiare cibi senza sapore» che altrimenti nessuno avrebbe voluto, e quindi
fondamentale per incrementare l’audience nei confronti di quei programmi, che, in nome
7
Si veda Mazza Vilma, Usare la Tv senza farsi usare, Sonda, Casale Monferrato, 2002, pag. 147.
Sesame Street era una trasmissione educativa, avente la finalità di insegnare a leggere e scrivere l’inglese,
nonché a contare ai bambini in fase pre-scolare, grazie all’ausilio di muppets e conduttori. Il programma
era rivolto in particolare ai bambini appartenenti a famiglie immigrate e alle classi più disagiate in
generale, la cui conoscenza dell’inglese standard poteva essere in qualche modo svantaggiata.
L’esperienza derivava da una trasmissione, nata nel 1968, Children’s Tv Workshop, in cui per la prima
volta la Tv veniva indicata come potenziale strumento e fonte di apprendimento educativo. Da Sesame
Street nacquero a loro volta altri programmi educational come 3-2-1 Contact di carattere scientifico, The
electronic company per la lettura e Square One per la matematica.
8
Popper Karl R., Cattiva Maestra Televisione, Marsilio Editori, Venezia 2002, pag. 12
- 11 -
di interessi puramente quantitativi, vedevano affievolirsi sempre più il loro livello
qualitativo. Evidente, in questo senso, l’intento di attribuire una bella forma a
programmi in cui i contenuti in realtà languiscono, tramite ad esempio l’utilizzo di
ballerine procaci, che sappiano catturare l’attenzione di una larga fetta di pubblico.
Nella “neoTv” la programmazione assume la forma di un flusso continuo che si innesta
nei tempi e nei ritmi della quotidianità dei telespettatori. Se la programmazione della Tv
delle origini era basata su una scansione di programmi ben separati gli uni dagli altri,
nella “neoTv” la dimensione temporale di ogni singolo programma svanisce nel flusso
ininterrotto di pubblicità, programmi e promo. Oggi non esiste più, quindi, una
separazione netta tra la programmazione per gli adulti e quella per bambini e questi
ultimi si rivolgono sempre più alle trasmissioni a loro non espressamente dedicate,
interessando queste ultime ormai tutte le fasce orarie.
Inserendosi nel dibattito tra “apocalittici” e “integrati”, non manca chi, come Mario
Morcellini
9
, tenti di “sdrammatizzare”, o per lo meno di non demonizzare il mezzo
televisivo: riprendendo Meyrowitz, secondo cui «la televisione non prevede un accesso
complesso al codice che escluda i piccoli telespettatori o che suddivida il pubblico in
diversi gruppi di età»
10
, afferma che la segmentazione dei telespettatori in realtà avviene
secondo le diverse preferenze o i differenti usi e gratificazioni che il soggetto stesso può
trarre dal mezzo. Secondo Morcellini, inoltre, il successo riportato dal genere fiction
negli ultimi anni e in generale la centralità riservata alla famiglia nella rappresentazione
televisiva, ha portato al superamento del concetto di “oasi di programmazione” dedicate
ai ragazzi, lasciando il passo ad una «Tv pensata per tutti e accessibile a tutti»
11
, non più
in funzione solo dei minori quindi, ma in grado di riunire l’intera famiglia davanti al
televisore.
Tuttavia sia l’opinione pubblica, che i numerosi studi sugli effetti mediatici e i dati
riportati dall’ultimo rapporto del Censis su “Tv e minori”
12
, non sembrano condividere
pienamente questa tesi ed essere in generale così confortanti. I centri di produzione
televisiva sono stati riconosciuti da più parti, e dallo stesso Morcellini, come agenzie
9
Morcellini Mario, La Tv fa bene ai bambini, Meltemi, Roma 2001, pag. 66
10
Meyrowitz Joshua, Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale,
Baskerville, Bologna 1995, pag. 397
11
Morcellini Mario, op. cit., pagg. 76 – 77
12
A cura del Censis , Media e minori nel mondo. Scenari internazionali, sfide per il futuro, 2002
- 12 -
pedagogiche e fonti di socializzazione non intenzionali
13
, mettendo in crisi il
posizionamento delle tradizionali istituzioni formative e per certi versi inserendosi tra di
esse.
Come disse in un suo discorso programmatico Nicholas Johnson, ex capo della Federal
Communications Commission, ente federale degli Usa per le comunicazioni, «la Tv è
tutta istruttiva; ma la domanda è: che cosa insegna?»
14
.
2. Forme di socializzazione composita
«Per la prima volta nella storia dell’umanità, la maggior parte dei racconti sugli uomini, la vita, i
valori non sono raccontati dai genitori, scuole, chiese, o altri membri della comunità, ma da un
gruppo di soci distanti che hanno qualcosa da vendere».
Così commentano Bettetini e Fumagalli - nella loro opera Quel che resta dei media
15
- il
radicale cambiamento avvenuto all’interno del processo di socializzazione che
caratterizza l’individuo, ormai già dalla prima infanzia. Fin dai primi anni dell’età
evolutiva, infatti, la Tv, considerata come una sorta di scuola parallela, si inserisce
come una presenza irrinunciabile nel periodo in cui i bambini stanno completando quella
parte della socializzazione primaria, che si fonda sul rapporto con i genitori, prima che
intervenga la scuola. Non bisogna sottovalutare inoltre il ruolo e la funzione che questo
specifico medium viene a svolgere nella giornata media di un bambino; i minori
fruiscono di programmi televisivi in modo massiccio (dalle 2 ore e mezza alle 4 ore
giornaliere)
16
e prevalentemente di prodotti che non sono stati ideati per un audience
infantile. Inoltre, secondo un’elaborazione dei dati ISTAT del 1995 –confermata da
rielaborazione anche più recenti- solo il 24% dei bambini segue la Tv in presenza di
adulti. Appare quindi evidente come la socializzazione delle generazioni più giovani sia
avvenuta in condizioni di precaria tutela
17
.
13
Morcellini Mario., op. cit., pag. 19
14
Si veda la citazione in Condry Jhon, “Ladra di tempo, serva infedele”, in Popper Karl R., op. cit., pag.
89
15
Bettetini Gianfranco, Fumagalli Antonio, Quel che resta dei media, Franco Angeli, Milano 1998, pagg.
307 e ss.
16
Fonte: elaborazione Censis su dati III World Forum, Media and Children, Salonicco 2001
17
In quest’ottica si legga l’accezione di “figli del video”, piuttosto che di generazione post-televisiva,
conferita alle ultime e contemporanee generazioni
- 13 -
Tab. 1 - Consumo televisivo dei bambini
40%
4%
56%
2-3 ore al giorno
3-4 ore al giorno
non la guarda mai
(Fonte: elaborazione personale dei dati di Media e minori nel mondo. Scenari internazionali,
sfide per il futuro, condotta dal Censis nel febbraio del 2002. I dati della tabella si basano sul
consumo televisivo dei bambini tra i 3 e i 7 anni)
Favorita in particolare dalla maggiore immediatezza, dalle elevate possibilità di
identificazione e dal forte contenuto simbolico, la televisione si pone all’interno dei
tradizionali agenti di socializzazione, come referente altamente concorrenziale e
significativo, accentuato ulteriormente dal fatto che si pone come mezzo di istruzione e
formazione inconsapevole, non istituzionale.
Si viene così a creare un «doppio canale della socializzazione», come evidenzia Mario
Morcellini
18
: da un lato quella mediata dalla famiglia e dalle istituzioni sociali attraverso
i tradizionali canali formativi, mentre dall’altro quella immediata e per questo più
appetibile dei mass media.
Le cause principali possono essenzialmente essere deputate ai profondi cambiamenti che
si sono verificati nel tessuto sociale del nostro Paese: l’impegno lavorativo
extradomestico dei genitori, la carenza di occasioni di socializzazione non solo primaria,
dovuta in molti casi alla mancanza di fratelli, ma anche secondaria, quale un tempo era
garantita dal vicinato o dalla parrocchia, sono solo alcune tra le motivazioni
rintracciabili.
18
Morcellini Mario, op. cit., pag. 33