4
Pur tenendo conto, infatti, delle specificità dei vari sistemi giuridici e delle peculiarità dei
singoli ordinamenti societari, i redattori del Codice si sono ispirati a itinerari già percorsi in
alcuni ordinamenti stranieri, tenendo anche in considerazione soluzioni richiamate dalla dottrina
nazionale e anticipate, almeno per alcuni profili, dalla Consob.
1
Dopo aver analizzato da vicino le regole contenute nel Codice, il presente lavoro proseguirà
a confrontare il differente grado di successo che regole simili hanno avuto in diversi
ordinamenti giuridici, cercando di comprendere le ragioni del diverso impatto, al fine di trarne
riflessioni utili in un’ottica di interventi normativi futuri.
LA NOZIONE DI CORPORATE GOVERNANCE
Prima di proseguire nella trattazione, occorre esaminare la nozione di corporate governance
e i significati che la locuzione assume in campo economico e in campo giuridico, per
puntualizzare l'accezione in cui questa terminologia è usata nel Codice.
Il termine governance deriva dal latino gubernator ed è usato dagli economisti per indicare il
sistema con cui le imprese vengono guidate. Si pone in particolare l'attenzione su come vengono
regolati i rapporti tra i vari soggetti coinvolti nell'impresa e il modo in cui viene perseguito il
fine ultimo dell'azienda. Non si può prescindere, pertanto, dai principi fondamentali che stanno
alla base dell'azienda e dalle relazioni contrattuali che essa attua.
Non si vuole qui entrare nello specifico, ma è opportuno tuttavia ricordare che, al riguardo,
sono ravvisabili due posizioni estreme. Secondo la prima tutto deve essere finalizzato alla
massimizzazione dell'interesse degli azionisti, in quanto l'azienda appartiene ad essi: da va
dunque perseguita la massimizzazione del profitto, o del cd. shareholder value.
La seconda mette in luce come nell'azienda confluiscono interessi di molteplici soggetti (cd.
stakeholder) e come questi interessi debbano in qualche modo essere tenuti in considerazione; la
massimizzazione del profitto, dunque, non esaurisce la funzione-obiettivo dell'impresa.
1
Comunicazione 20 febbraio 1997, n. DAC/RM/97001574 ; cfr. PG Marchetti, Le raccomandazioni Consob in
materia di controlli societari: un contributo alla Riforma, in Riv Soc, 1997, p. 193 sa; P Montalenti, Persona
giuridica, gruppi di società, “corporate governance”, Padova, 1999, p. 197 ss.
5
Questa contrapposizione può essere ricondotta a due diverse concezioni di azienda, di cui
sono esemplificazioni concrete il modello tedesco e quello statunitense. Negli U.S.A. la
struttura giuridica è costituita in modo tale da porre gli azionisti in posizione superiore rispetto
agli altri portatori di interessi. I manager, infatti, sono legati da un rapporto fiduciario agli
azionisti che li hanno eletti e subiscono quindi un forte obbligo ad agire nel loro interesse.
In Germania il quadro si presenta molto più articolato, perché tutti gli interessi che gravitano
attorno all'impresa sono tenuti in ugual considerazione. Il modello applicato è quello della
codeterminazione (Mithestimmung), sancita da una legge del 1967 e applicata alle imprese con
più di duemila dipendenti.
Entrambe le impostazioni vedono come punto centrale dell'impresa quello in cui vengono
prese le decisioni fondamentali. Grande importanza riveste, quindi, la struttura degli organi
sociali: diverse concezioni dell'impresa portano ad organi diversi, con peculiari articolazioni e
poteri e a diversi meccanismi per la loro elezione. In particolare, l'ordinamento statunitense
prevede un unico organo di amministrazione (il consiglio di amministrazione o board of
directors), mentre l'ordinamento tedesco è caratterizzato dalla presenza di un sistema duale,
basato su un organo di gestione (Vorstand) e uno di controllo (Aufsichsrat). A testimonianza del
fatto che gli interessi diversi da quelli dei soli azionisti vengono tenuti in grande considerazione,
si può ricordare che l'organo di controllo è composto per metà da rappresentanti dei lavoratori.
Da un punto di vista strettamente finanziario la corporate governance, è vista come “il
complesso degli strumenti attraverso cui i finanziatori si assicurano di ottenere un rendimento
dal loro investimento”
2
.
Una definizione classificabile come “istituzionale” intende la corporate governance come il
sistema mediante il quale le imprese vengono gestite, e focalizza quindi l'attenzione sui modi in
2
M. Onado, Mercati e intermediari finanziari, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 385.
6
cui vengono rappresentati e composti gli interessi dei molteplici soggetti che hanno o possono
avere rapporti economici con l'impresa.
3
Vi è poi una definizione ristretta, classificabile come “manageriale”, che vede la corporate
governance come il sistema tramite cui le imprese vengono dirette e controllate. In questo caso
l'attenzione viene posta sugli organi sociali, in particolare sul consiglio di amministrazione, in
quanto organo che decide di interessi strategici. Specifico risalto assumono inoltre il
meccanismo con cui vengono nominati i dirigenti, i sistemi che permettono una supervisione
sull'operato dell'azienda e sui rischi interni, i meccanismi che regolano il flusso di informazioni
da dare agli azionisti.
4
L'espressione corporate governance, mutuata come abbiamo visto dagli economisti e dai
teorici della politica, trova ulteriore applicazione nel lessico giuridico, dove è usata per indicare
non solo le regole alla base dell'organizzazione della società intesa come persona giuridica, ma
anche l'insieme delle regole che, data l'importanza che assumono all'interno dell'ordinamento
giuridico, sono capaci di condizionare istituzionalmente l'assetto societario.
5
Il riferimento è, ad
esempio, alla disciplina bancaria e tributaria, alla disciplina dei mercati e del fallimento.
Nello specifico, il Codice, con il termine corporate governance, intende “il sistema delle
regole secondo le quali le imprese sono gestite e controllate"
6
: privilegia dunque l'accezione più
ristretta dell'espressione; in questo modo viene ripresa quasi alla lettera la nozione formulata nel
Cadbury Report.
7
Viene dunque tralasciato il significato più ampio, che normalmente la
3
Si veda, ad esempio, S. Sheikh, W. Rees, Corporate governance and corporate control, Cavendish, London, 1995,
p VI e ss. I due autori insistono sul fatto che la nozione di corporate governance non deve comprendere unicamente i
rapporti ed i doveri che legano amministratori e azionisti, ma deve considerare anche lavoratori, creditori, clienti e la
comunità intera.
In questo senso indirizzano anche i principi dell’OCSE, che danno un significato molto ampio all'espressione
corporate governance.
4
Sulle diverse concezioni dell’impresa: P Montalenti, Persona giuridica, gruppi di società, corporate governance,
CEDAM, Padova, 1999.
Per un approfondimento dell’impresa da un punto di vista economico: F. H. Easterbrook, D.R. Fischel, L’economia
delle società per azioni, Giuffrè, Milano, 1999.
5
Si veda, per tutti, G. Visentini, Argomenti di diritto commerciale, Giuffrè, Milano, 1997, p. 449.
6
Rapporto Preda, p. 18
7
Nel documento citato si specifica che l’espressione è da intendere come “the system by which companies are
directed and controlled”.
7
locuzione assume, di reticolato di rapporti tra tutti i soggetti portatori, a diverso titolo, di un
interesse nei confronti della società, e che ne sono condizionati dai risultati di gestione.
8
8
Si veda, sul significato ampio attribuibile all’espressione, Associazione Desiano Preite, Rapporto sulla società
aperta, Bologna, 1997, p. 23 ss.
8
CAPITOLO 1: LA REDAZIONE DEL CODICE
La redazione del Codice è stata promossa da Borsa Italiana S.p.A., società che gestisce il
principale mercato regolamentato italiano. A fine 1998 l’allora presidente, Stefano Preda, ha
coordinato un Comitato appositamente formato per la stesura del testo normativo, completato
nell'aprile 1999.
1
Il Comitato per la Corporate Governance delle società quotate era (ed è, in
quanto rimane in vita per svolgere i compiti che verranno esaminati in seguito) costituito dai
massimi esponenti della stessa Borsa Italiana S.p.A. e delle società in grado di rappresentare
tutti i soggetti interessati, ovvero emittenti, investitori istituzionali e revisori, e dalle
associazioni di categoria di tali soggetti.
Il Codice è destinato ai consigli d'amministrazione di tutte le società quotate italiane; auspica
tuttavia che la generalità delle società italiane trovi utile conformarsi ai principi in esso
contenuti.
Secondo alcuni
2
, nonostante ciò non sia espressamente previsto nel Codice, la cerchia dei
soggetti destinatari va allargata a tutti quei soggetti che fanno appello al risparmio diffuso, in
particolare alle società emittenti strumenti finanziari che, sebbene non quotati, siano diffusi tra il
pubblico in maniera rilevante. Ci si riferisce agli emittenti italiani che sono dotati di un
patrimonio netto non inferiore a dieci miliardi di lire o di un numero di azionisti o di
obbligazionisti non inferiore a duecento, così come previsto dal combinato disposto dell'articolo
116, n. 1 del T.U.F. e dell'articolo 2, lettera e del regolamento Consob n. 11971 del 1999 in
materia di emittenti.
Questi soggetti infatti condividono con le società quotate l'esigenza di finanziarsi sul mercato
e di diversificare il proprio portafoglio e, in ultima analisi, di avere una gestione efficiente.
Pertanto, risultano calzanti i suggerimenti del codice riguardo ai meccanismi di corporate
1
La scelta, per la redazione del Codice, di predisporre un Comitato ad hoc, costituito dai massimi esponenti delle
società rappresentati i diversi soggetti interessati (emittenti, investitori istituzionali, revisori), ricalca la strada seguita
dai Paesi anglosassoni.
2
cfr. M. de Mari, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance; in Rivista di
Diritto Privato, n. 1, 2000, p. 142.
9
governance da adottare al fine di accrescere l'apprezzamento dei propri strumenti finanziari
presso il pubblico degli investitori.
3
L'ambito soggettivo di applicazione del Codice è da ritenere ristretto alle società emittenti di
strumenti finanziari italiani. A questa conclusione si può giungere seguendo l’'opinione
interpretativa secondo cui solo le norme di mercato possono trovare applicazione anche nei
confronti delle imprese estere; invece, le norme di diritto societario che disciplinano i soggetti
emittenti possono essere applicate solamente alle imprese italiane.
4
Le disposizione del Codice,
sebbene non giuridicamente vincolanti, sono dirette ad integrare la disciplina
dell'organizzazione societaria e pertanto non possono interessare soggetti stranieri che ottengano
la quotazione in Italia o che abbiano strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura
rilevante secondo i criteri descritti in precedenza.
È stabilito che il Comitato che ha redatto il Codice rimanga in vita per i primi due anni
dall'inizio della sua operatività, con il compito di formulare e ricevere proposte in ordine a
un'eventuale rivisitazione delle raccomandazioni, affinché rimangano allineate alla normativa
italiana e internazionale e tengano conto delle nuove esigenze.
LE RAGIONI ALLA BASE DEL CODICE
Numerosi Paesi stranieri hanno adottato rapporti e principi in materia di governo societario;
ricordiamo ad esempio Francia, Spagna, Belgio e Olanda. Menzione particolare meritano le
esperienze di autodisciplina che si sono avute negli ordinamenti anglosassoni, in quanto hanno
assunto il ruolo di modello circolato in molti altri ordinamenti. Nel Regno Unito troviamo il
Cadbury Report (Report of the Committee on the Financial Aspects of Corporate Governance,
London, 1992) sulle regole di corporate governance, il Greenbury Report (directors
Remuneration. Report of a Study Group, London, 1995) sulla determinazione dei compensi
3
M. de Mari, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance, in Riv. Dir. Priv.,
n. 1, 2000, p. 142, nt. 7.
4
Si veda R. Costi, Il governo delle società quotate tra ordinamento dei mercati e diritto di società, in Dir. Comm.
Int., 1998, p. 66 ss.
10
degli amministratori, e da ultimo il Final Report (Committee on corporate governance, Final
Report, London, January, 1998), il quale ha continuato il lavoro intrapreso dai Cadbury e
Greenbury Reports. Negli Stati Uniti troviamo invece i Principles of Corporate Governance del
1994 (American Law Institute, Principles of Corporate Governance: Analysis and
Reccomendations, 2 voll., St. Paul, 1994).
Le ragioni che hanno spinto alla redazione di un codice di autoregolamentazione anche in
Italia non sono diverse da quelle che hanno ispirato analoghe iniziative all'estero.
La ragione principale dell'intervento sta nel fatto che si ritiene che l'esistenza di un Codice di
autodisciplina produca un effetto positivo sulla crescita della domanda di capitale di rischio e,
più in generale, sull'interesse dei risparmiatori ad investire in Borsa. La vita delle società per
azioni, infatti, dipende dal mercato, che le sottopone al suo giudizio economico. Il giudizio,
indubbiamente, si fonda anche sulla valutazione dell'assetto organizzativo e delle norme di
funzionamento che la società spontaneamente si è data.
5
In un'ottica internazionale, la globalizzazione delle imprese e dei mercati induce a adottare
regole di best practice alla luce delle quali la comunità finanziaria internazionale può valutare i
comportamenti delle imprese. Le regole di governo societario alle quali le imprese si
conformano, quindi, devono essere in sintonia con quelle in uso in altri Paesi. Ciò permette sia
di effettuare comparazioni tra gli ordinamenti, sia di evitare di essere penalizzati nel confronto
internazionale sul piano della concorrenza tra sistemi.
Questi obiettivi erano già stati individuati dal presidente della Commissione che ha
predisposto il T.U.F. Il prof. Draghi, analizzando la realtà italiana, aveva sottolineato inoltre che
la via da percorrere per completare quegli aspetti della riforma che ragioni di opportunità
sconsigliavano di affidare alla normativa primaria o secondaria, era rappresentata
dall'autodisciplina.
5
Assonime, Principi di comportamento in materia di governo societario e di informazione al mercato, Roma, 1997, p.
2.
11
A fine 1998 si sono determinate alcune condizioni favorevoli all'elaborazione di un codice
destinato alle società che si affacciano sul mercato. Il mercato dei capitali, infatti, ha
riacquistato uno ruolo centrale e la Borsa si è internazionalizzata e ha aumentato la sua
capitalizzazione. Infine le norme introdotte dal T.U.F. hanno creato un terreno ideale per
garantire l'allineamento dell'Italia ai mercati finanziari esteri più evoluti.
6
GLI OBBIETTIVI DEL CODICE
Per meglio comprendere la filosofia ispiratrice del Codice, si procede ad un’analisi degli
obbiettivi che esso si propone di raggiungere.
In primo luogo bisogna precisare che il Codice si pone nei confronti delle società come uno
strumento in grado di rendere ancor più conveniente l'accesso al mercato dei capitali, in quanto
capace di garantire un alto livello di tutela dei risparmiatori e degli investitori istituzionali e si
presenta come garanzia della serietà delle imprese che lo adottano.
Sembra qui opportuno puntualizzare l'importante ruolo assunto dagli investitori istituzionali.
Essi, fino a pochi anni fa, manifestavano la loro insoddisfazione nei confronti di performance
negative di strumenti finanziari in cui avevano investito vendendo quanto in loro possesso (cd.
Wall Street Rule). Oggi questo non è più possibile senza che venga influenzato negativamente il
corso dei titoli, data la gran quantità di strumenti finanziari posseduta da tali soggetti. Essi
tendono quindi a difendere il valore dei propri investimenti monitorando e controllando l'attività
dei manager.
7
In secondo luogo il Codice propone un modello di organizzazione societaria adeguato a
gestire il corretto controllo dei rischi d'impresa e i potenziali conflitti d'interesse, che sempre
possono interferire nei rapporti tra amministratori e azionisti e tra maggioranza e minoranze.
6
Si veda l’introduzione al Codice di autodisciplina scritta da S. Preda anche relativamente a quanto si dirà in seguito.
7
Cfr. F. Denozza, Analisi economica e diritto delle società per azioni, in AA.VV., Analisi economica del diritto
privato, Milano, 1998, p. 317 ss; R. Costi, Risparmio gestito e governo societario, in Giur. Comm., 1998, I, p. 322
ss.
In tale senso si esprime anche il Final Report, cit.
Il potere di monitoraggio e controllo si estrinseca ad esempio attraverso l'esercizio del diritto di voto da parte delle
società di gestione del risparmio relativamente agli strumenti finanziari di pertinenza dei fondi gestiti.
12
Questo modello organizzativo, si badi bene, non è da intendere come un insieme rigido di regole
e procedure da applicare senza impegno, ma come un'occasione di sviluppo per mercati e
imprese.
Ulteriore finalità individuata dal Codice è poi la massimizzazione del valore per gli azionisti,
il cui perseguimento è affidato in generale ad un buon sistema di corporate governance. Questo
dovrebbe innescare, nel lungo periodo, “un circolo virtuoso, in termini di efficienza e integrità
aziendale”, in grado di ripercuotersi positivamente anche sugli interessi dei cd. stakeholder.
Nonostante il formale riferimento agli interessi ulteriori rispetto a quello degli azionisti, in
concreto il Codice fa propria una nozione di efficienza intesa a massimizzare gli interessi degli
shareholder.
8
I principi su cui si basa il Codice sono riconducibili alla flessibilità, alla libertà di
organizzazione delle imprese, alla trasparenza, e si pongono in maniera strumentale al
raggiungimento degli scopi sopra descritti. Flessibilità e libertà di organizzazione sono
necessarie per consentire al Codice di adeguarsi alle scelte strutturali delle diverse società che lo
adotteranno; la trasparenza è indispensabile per il buon andamento del mercato e per la tutela
dei risparmiatori e degli investitori istituzionali.
8
Sulle nozioni di efficienza, C. Angelici, Le “minoranze” nel decreto 58/98 “tutela”e” poteri”, in Riv Dir. Comm.,
1998, I, p. 210, nt. 10.
13
CAPITOLO 2: IL CONTENUTO DEL CODICE
Proseguiamo ora a esaminare in modo dettagliato il testo normativo, così da evidenziarne gli
aspetti più significativi e puntualizzare le tematiche che hanno maggiormente suscitato
l'attenzione dei compilatori durante il lavoro di redazione.
I principali problemi che hanno dovuto essere affrontati sono stati due. Da un lato, le norme
di diritto positivo, spesso a carattere inderogabile, hanno pesantemente condizionato e limitato i
possibili spazi di autoregolamentazione. Dall'altro, la struttura proprietaria delle imprese
quotate, che in Italia vede presenti molte società a proprietà concentrata accanto ad un numero
relativamente piccolo di società ad azionariato diffuso, ha contribuito a rendere eterogenea la
realtà da regolamentare. È stato necessario dunque, per non pregiudicare la significatività delle
previsioni del Codice, inserire al suo interno adeguati elementi di flessibilità.
Bisogna inoltre tener conto della funzione di supporto e di integrazione della normativa in
vigore che è stata assegnata al Codice: i redattori hanno dovuto determinare regole di best
practice, prima lasciate alla sensibilità delle singole imprese, e influenzare la prassi esistente
per renderla più coerente rispetto alle funzioni e alle esigenze delle società quotate.
Il testo normativo si compone di tredici articoli, dei quali i primi dieci trattano il consiglio
d'amministrazione e i comitati; l'undicesimo disciplina i rapporti tra società, investitori
istituzionali e soci; gli ultimi due riguardano il funzionamento dell'assemblea e del collegio
sindacale.