4
Meridione continentale e quello insulare, concedeva in nuce una sor-
ta di autonomia all’Isola, garantendo i “privilegj de’ siciliani”.
Ma Ferdinando era ben consapevole che l’unione “sulla carta” delle
corone napoletana e siciliana non era sufficiente per garantire la so-
lidità politica del nuovo Regno.
Mentre Napoli aveva vissuto l’esperienza napoleonica e, non senza
vantaggio, aveva sperimentato uno dei prodotti principali di quel pe-
riodo, cioè il Codice, la Sicilia, terra d’esilio del Re, aveva visto suc-
cedersi esperienze come quella della redazione della carta
costituzionale del 1812, che il nuovo regime mirava a superare.
È stato giustamente osservato che “il processo di codificazione
nell’Isola era stato strettamente connesso con quello di costituziona-
lizzazione […], concepito come naturale completamento di quella”.
1
A parte la breve e senza seguito esperienza (rectius: tentativo) costi-
tuzionale, la Sicilia, dal punto di vista giuridico viveva in un caos
normativo inestricabile, costituito dalle “leggi romane [cioè il diritto
comune], le costituzioni, i capitoli del regno, le prammatiche, le si-
cule sanzioni, i reali dispacci, le lettere circolari, le consuetudini
generali e locali, e tutte le altre disposizioni legislative”,
2
cui solo un
nuovo codice avrebbe tolto vigore.
1
D. NOVARESE, Istituzioni e processo di codificazione nel Regno delle Due Sicilie, Giuffrè,
Milano, 2000, p. 47.
2
Art. 3, legge 21 maggio 1819 di promulgazione del nuovo codice.
5
L’influenza del Marchese Donato Tommasi fu — sembra
3
—decisiva,
in quel momento particolarmente delicato, per indurre Re Ferdinan-
do a non disperdere l’eredità codicistica napoleonica, facendola pro-
pria in chiave accentratrice, quale strumento giuridico unificante in
una realtà che aveva vissuto negli anni precedenti una storia politica
eterogenea.
Fu così che Tommasi convinse inizialmente il Re a mantenere in vi-
gore il Codice penale del 1812, senza tuttavia “esportarlo” in Sicilia,
quindi ad istituire una Commissione
4
per la redazione di un grande
corpo normativo: un Codice diviso in cinque libri, di cui il secondo
avrebbe riguardato la materia criminale sostanziale (“le leggi pena-
li”).
Il lungo Preambolo al R. D. 2 agosto 1815, n. 48, istitutivo della
Commissione risulta particolarmente significativo; in esso si legge:
“Restituiti Noi dalla divina Provvidenza al nostro trono […] abbiamo
risoluto di far compilare un completo corpo di dritto […] adattato
all’indole de’ nostri popoli, all’odierno stato di civilizzazione, e che
racchiuda il grande oggetto della sicurezza delle persone e della pro-
prietà, prima base del sistema sociale”.
5
Si tratta di un manifesto
d’intenti molto chiaro, rivelatore della volontà di non disperdere
3
Sul ruolo del Ministro e Consigliere Donato Tommasi la storiografia non è totalmente
concorde. Sembra determinante nel lavoro di R. FEOLA, Dall’illuminismo alla Restaurazio-
ne. Donato Tommasi e la legislazione delle Sicilie, Jovene, Napoli, 1977, pp. 291ss.; più
dubbioso è A. MAZZACANE, Una scienza per due regni, in Codice per lo Regno delle Due Si-
cilie (1819), Parte Seconda, Leggi penali, (rist. anast. preceduta dai saggi di M. DA PASSA-
NO, A. MAZZACANE, V. PATALANO e S. VINCIGUERRA), Cedam, Padova, 1996, p. XXXVI, nt.
23. Questo dibattito è rilevato da D. NOVARESE, op. cit., p. 21, nt. 40, senza peraltro prende-
re posizione.
4
D. NOVARESE, op. cit., pp. 28ss.
5
Preambolo al R.D. 2 agosto 1815, n. 48, come riportato in D. NOVARESE, op. cit., pp. 28-
29. Esso è a ragione definito “inusitatamente prolisso” in F. MASTROBERTI, Codificazione e
giustizia penale nelle Sicilie dal 1808 al 1820, Jovene, Napoli, 2001, p. 224.
6
l’idea di codice, di adattarne i contenuti ai risultati della scienza e
del foro napoletano, che si prefiggeva, infine, di difendere in chiave
moderatamente garantista alcune conquiste dei tempi nuovi, a parti-
re dalla difesa della proprietà privata.
6
Alzando il nostro sguardo, ciò che accadeva a Napoli non era un epi-
sodio isolato nella penisola, laddove la Restaurazione non poteva
tradursi in un ritorno tout cour all’ancien régime; le orme di Napo-
leone potevano e dovevano essere sì cancellate, ma facendo atten-
zione a non proporre rischiosi colpi di mano reazionari.
Così “gli Stati italiani che dopo la Restaurazione ritennero opportu-
no non disperdere l’esperienza napoleonica promulgarono dei codici
nei quali le norme di derivazione francese furono in molti casi modi-
ficate dai princìpi del diritto comune e dalle teoriche romagnosia-
ne”.
7
Con la nomina della Commissione, Re Ferdinando mirava ad un du-
plice scopo: mantenere quanto gli potesse risultare oggettivamente
utile del decennio francese (l’idea di certezza, di giustizia, di sicu-
rezza ontologica all’idea di codice) e porsi in un atteggiamento non
conflittuale con la borghesia, concedendole quanto possibile
(nell’ambito comunque di uno Stato accentratore) in tema di libertà
civili, chiudendo il passo ad ogni anelito di partecipazione politica:
l’idea di Costituzione infatti era estranea ed insidiosa al regime re-
6
V. PATALANO, Sulle leggi penali contenute nella parte seconda del Codice per lo Regno
delle Due Sicilie, in Codice per lo Regno delle Due Sicilie (1819) cit., pp. LXVI-LXVII, pre-
cisa: “La funzione politica della codificazione […] presenta i segni dell’avanzata della mo-
derna società borghese, il che è chiaramente visibile non appena si rivolga l’attenzione ai
reati contro la proprietà, la cui collocazione in chiusura del secondo libro sembra non cor-
rispondere pienamente al rilievo accordato alla relativa tutela”.
7
M. T. NAPOLI, La cultura giuridica europea in Italia, Vol. I – Tendenze e centri
dell’attività scientifica, Jovene, Napoli, 1987, p. 182.
7
staurato. Invero, la storia successiva avrebbe rivelato, dalla rivolu-
zione costituzionale del ’20 agli avvenimenti del ’48, le debolezze di
un tale assunto, e che proprio l’assenza di un quadro costituzionale
solido, di una base di garanzie e di libertà anche politiche, avrebbe
messo a dura prova l’assetto istituzionale e lo stesso “pregevole edi-
ficio” che era il nuovo Codice.
8
Ma, ritornando a noi, occorre ora fissare l’attenzione sugli autori del
progetto di questo possente corpus normativo.
8
A. M. STILE, Il Codice penale delle Due Sicilie, in AA. VV., Diritto penale dell’Ottocento. I
codici preunitari e il Codice Zanardelli, Studi coordinati da S. Vinciguerra, Cedam, Pado-
va, 1993, p. 190.
8
2. L’insediamento della commissione: insigni giuristi
verso il nuovo progetto.
La scelta di mantenere in vigore la legislazione del Decennio non era
certo definitiva.
Ferdinando, già durante l’estate del 1815,
9
come abbiamo visto, fir-
mava un Decreto col quale istituiva una Commissione alla quale de-
mandava il compito di predisporre un “completo corpo di dritto”,
10
vale a dire un grande corpus normativo diviso in cinque parti,
11
di
cui la seconda avrebbe racchiuso le “Leggi penali”.
12
Il Preambolo del Decreto
13
ripercorreva storicamente i mutamenti i-
stituzionali che avevano interessato il Regno, sottolineando il ruolo
del glorioso predecessore Carlo III che “concepì il progetto di compi-
lare un corpo di dritto patrio”
14
per mettere ordine ad una situazione
di grave disordine normativo. Ferdinando ricordava poi i tempi
dell’occupazione francese, durante la quale i sudditi erano stati sot-
toposti a “leggi straniere”.
15
9
Prima ancora, quindi, della promulgazione delle Leggi del dicembre del ’16 istitutive del
Regno delle Due Sicilie: v. supra §1.
10
Preambolo al R.D. 2 agosto 1815, n. 48. V. supra nt. 5.
11
Parte prima – Leggi civili. Parte seconda – Leggi penali. Parte Terza – Leggi della pro-
cedura ne’ giudizi civili. Parte quarta – Leggi della procedura ne’ giudizi penali. Parte
quinta – Leggi di eccezione per gli affari di commercio.
12
Mi si permetta una precisazione terminologica. Nel corso di questo lavoro, per ragione di
scorrevolezza del testo, chiamerò – impropriamente – “codice penale napoletano” quello
che in verità è la Parte Seconda del Codice per lo Regno del 1819. Questa inesatta espres-
sione è tra l’altro utilizzata da molti degli aa. contemporanei.
13
V. supra, nt. 5.
14
Ibid.
15
Ibid. Per quanto riguarda la materia criminale il riferimento è alle “leggi penali” di Giu-
seppe Bonaparte del 1808 e al codice penale del 1812; quest’ultimo era una traduzione ri-
veduta e corretta del code pénal del 1810.
9
Restituito dalla “divina Provvidenza”
16
sul trono, Ferdinando dava
incarico ad una Commissione di giuristi qualificati di lavorare al
progetto di Codice, onde giungere in breve tempo
17
al compimento
dei suoi nobili desideri.
Se da una parte il Re vedeva nell’occupazione francese un periodo di
cesura, durante il quale i sudditi avevano subito “leggi straniere”,
egli, nondimeno, indicava nei “codici francesi e [nei] loro capisaldi
filosofico-giuridici [i] punti fermi dai quali partire”.
18
E la scelta dei commissari fu guidata certamente anche da ciò.
19
Considerando l’intensa e politicamente strategica opera di riorga-
nizzazione legislativa e burocratica del Regno che si compì nel quin-
quennio 1815-1820,
20
il Codice avrebbe costituito un “ben saldo
anello tra «decennio» e restaurazione”,
21
sancendo il definitivo tra-
monto di quelle strutture istituzionali basate su privilegi personali
— esasperate in Sicilia dalle baronìe — che impedivano l’emergere
della nuova società meridionale.
Al di là delle enunciazioni di principio dunque, le scelte politiche di
Ferdinando — su cui influì in maniera non certo trascurabile Donato
Tommasi
22
— furono caratterizzate da una linea di continuità col re-
gime murattiano, pur perseguendo finalità non certo coincidenti.
23
16
V. supra, nt. 5.
17
L’intenzione espressa nel Preambolo è di far pubblicare il Codice per la fine del 1815, “se
pure la maturità che debbe impiegarsi in un’opera così importante non fosse per obbligarci
a differire anche per altro breve spazio di tempo il compimento dei nostri desideri”.
I napoletani avrebbero dovuto aspettare in verità — come prevedibile vista l’immensa mole
di lavoro di cui veniva investita la Commissione — circa quattro anni.
18
F. MASTROBERTI, op. cit., p. 224.
19
V. amplius infra.
20
F. MASTROBERTI, op. cit., passim.
21
R. FEOLA, op. cit., p. 291.
22
Sul ruolo di Tommasi v. supra, nt. 3.
23
V. amplius supra §1.
10
Questo “filo rosso” che unì il “Decennio” al “Quinquennio” riguardò
anche — come già accennato — la scelta dei componenti della Com-
missione che si andava ad insediare, apprestandosi a redigere il pro-
getto di Codice per lo Regno. Costoro appartenevano alla categoria
dei c.d. giuristi-funzionari, abili registi di quel foro napoletano che
vantava una secolare tradizione,
24
per lo più formati al di fuori dai
rigidi schemi accademici.
25
Si trattava di personaggi che avevano attraversato le alterne e turbo-
lente vicende del Regno, senza mai assumere posizioni di conflittua-
lità con i “regnanti di turno”, anzi rappresentando un vero ponte
ideale tra vecchie e nuove istituzioni.
26
L’intensa attività di collaborazione con Murat nell’ambito della sua
politica di riassetto del Regno non costituì — agli occhi della Monar-
chia restaurata — motivo di frizione o di sospetto; anzi, il loro mo-
derato riformismo,
27
nonché la loro pregevole preparazione tecnica,
riuscivano funzionali ai progetti del Re e di Tommasi.
Questi “uomini periti nella scienza della legislazione”
28
erano poi
probabilmente gli unici “sul mercato” in grado di elaborare un pro-
getto che avesse “quella perfezione di cui è suscettibile”.
29
24
La letteratura in argomento è vasta. Basta qui ricordare l’opera di G. MANNA, Della giuri-
sprudenza e del Foro Napoletano. Dalla sua origine fino alla pubblicazione delle nuove
leggi, Napoli, 1839 [rist. anast.: Sala Bolognese, 1999], in particolare il Libro V intitolato
“Terza età del foro napoletano dalla venuta di Carlo III fino alla pubblicazione delle nuove
leggi”, pp. 167ss.
25
“Le scuole private [di diritto] più qualificate sviluppavano una cultura di ampio respiro,
aperta ai dibattiti dottrinari del pensiero europeo e tendente, per il maggiore collegamento
tra professori e studenti, al modello seminariale ormai da tempo sperimentato in Germa-
nia”: L. MOSCATI, Italienische Reise. Savigny e la scienza giuridica della Restaurazione,
Viella, Roma, 2000, p. 146.
26
D. NOVARESE, op. cit., pp. 31ss.
27
Ibid., p. 40.
28
V. supra nt. 5.
29
Ibid.
11
I lavori della Commissione
30
furono organizzati in tre sezioni; la se-
conda di queste fu incaricata di por mano alla seconda e quarta parte
del Codice, cioè le leggi penali e quelle di procedura penale.
31
La nostra attenzione sarà dunque verso i membri di questa seconda
sezione, scelti sembra direttamente dal Guardasigilli Tommasi.
Ne facevano parte Niccola Nicolini, Francesco Canofari, Nicola Li-
betta, D. Giovan Vittorio Englen, Giuseppe Raffaelli e Raffaele di
Giorgio. La presidenza era affidata a quest’ultimo.
La redazione del progetto di codice penale veniva affidata a Nicolini
e ad Englen, anche se un ruolo particolare — secondo le fonti
32
—
sembra aver giocato anche Raffaelli.
Ruolo non trascurabile per tentare una lettura storica e comparati-
stica dei codici preunitari: egli infatti aveva, un decennio prima,
partecipato ai lavori della compilazione del progetto di Codice pena-
le per il Regno italico, tra il 1805 e il 1806.
33
30
Per una rassegna completa dei componenti di ogni sezione e delle loro cariche e funzioni
v. R. FEOLA, op. cit., p. 296, nt. 725.
31
La storiografia generalmente non ha indagato a fondo sulla non effimera relazione fra le
vicende che legarono, da Giuseppe Bonaparte alla Restaurazione, l’evoluzione della legisla-
zione/codificazione penale con quella processuale corrispondente; in arg. lo studio più re-
cente e completo mi sembra quello di F. MASTROBERTI, op. cit., passim.
32
D. NOVARESE, op. cit., p. 37, nt. 83 e riferimenti ivi cit.
33
Sembra da escludere, secondo gli studi più recenti, l’ipotesi secondo cui Raffaelli avrebbe
preso parte alla redazione delle leggi penali del 1808: v. amplius A. CADOPPI, Una «Pom-
pei» nel diritto penale. Tradizione romanistica e «origini lombarde» del codice napoleta-
no del 20 maggio 1808, p. CLXXXVII, in Leggi penali di Giuseppe Bonaparte per il Regno
di Napoli (1808), [rist. anast. preceduta da vari saggi introduttivi], Cedam, Padova, 1998.
Nonostante questo rilievo il progetto per il Regno italico ebbe certamente un forte influsso
sulle leggi del 1808: Ibid., pp. CCV-CCVI.
Sostiene l’ipotesi di una partecipazione diretta di Raffaelli al codice giuseppino S. VINCI-
GUERRA, Una penalistica italiana a servizio della penalistica francese: le leggi di Giuseppe
Bonaparte per il Regno di Napoli (1808), p. XI, in Le leggi penali di Giuseppe Bonaparte
cit.
12
Si tratta di una preziosa testimonianza dei contatti fra ambienti vi-
cini alla cultura Lombardo-Veneta e il Meridione, che va inserito in
quel più ampio contesto europeo nel quale il dibattito filosofico,
dogmatico e “pratico” sulla penalità era tutt’altro che ai margini.
Come spiegare altrimenti le numerose traduzioni delle opere di Pel-
legrino Rossi, Chauveau-Hélie, Bentham e Bexon?
“La recezione delle dottrine straniere sul diritto penale presenta […]
alcuni aspetti peculiari nei centri che furono più attivi in questo
campo, e cioè Napoli ed il Granducato di Toscana”.
34
Non estranei a questo respiro europeo della riflessione penalistica
furono anche Nicolini ed Englen. In particolare il primo emerge, nel
nostro lavoro, come un personaggio-chiave non solo per comprende-
re la genesi del Codice penale napoletano; fu un giurista dalla for-
mazione culturale solidissima e di un’autorevolezza esemplare. Per
queste sue qualità ci ricorda prima facie un suo contemporaneo che
qualche anno prima, molto più a nord, poneva le salde basi del dirit-
to criminale della sua terra, dall’altro capo dell’Europa: «Baron»
David Hume
35
in Scozia.
Ma conviene ora soffermarci sul alcuni aspetti — biografici, ma non
solo — dei componenti della seconda sezione della Commissione che,
in poco meno di due anni, dall’insediamento al giugno del 1817, a-
34
M. T. NAPOLI, op. cit., p. 187. Sulla rilevanza che ebbe nell’ambiente partenopeo fino
all’Unità il dibattito giuscomparatistico in materia criminale, v. amplius infra.
35
Sulla figura del più illustre penalista scozzese di tutti i tempi come “institutional writer”
v. A. CADOPPI – A. MCCALL SMITH, Introduzione allo studio del diritto penale scozzese, Ce-
dam, Padova, 1995, pp. 22ss; nella letteratura scozzese v. amplius D. M. WALKER, The Scot-
tish Jurists, 1985, pp. 317-336.
13
vrebbe licenziato un testo su cui il Supremo Consiglio di Cancelleria,
come vedremo,
36
avrebbe avuto ancora molto da dire.
2.1. Niccola Nicolini. — Nato a Tollo (ora provincia di Chieti), in
Abruzzo, nel 1772, Nicolini può definirsi il principale artefice della
codificazione penale napoletana, in quanto estensore dei primi due
libri delle Leggi penali del 1819.
“Personalità completa e complessa al contempo, che meriterebbe
rinnovata attenzione dalla storiografia giuridica”
37
, “sino alla fine
degli anni trenta egli fu unanimemente considerato, in Italia e
all’estero, come il primo penalista napoletano”.
38
Esponente del pensiero vichiano, si trasferì ancora giovane a Napoli
per studiare diritto; a ventun anni lo ritroviamo avvocato criminale
dei Sette Banchi di Napoli. Dopo la parentesi della Repubblica Par-
tenopea il suo nome appare nelle nomine più prestigiose per un giu-
reconsulto del tempo. Nel 1808 è avvocato fiscale, poi Procuratore
generale presso la Corte criminale di Terra di Lavoro; dall’anno suc-
cessivo lo vediamo al lavoro all’interno delle diverse commissioni le-
gislative incaricate di riformare la materia penale e di procedura nei
giudizi criminali. Dopo aver partecipato alla redazione di un proget-
to di Codice di procedura penale nel ’09, alla fine del ’10 — su inca-
rico di Murat — partecipò attivamente alla traduzione e adattamento
dei codici francesi; due anni più tardi svolgeva la prestigiosa funzio-
ne di avvocato generale presso la Suprema Corte di Giustizia.
36
Infra § 4.
37
L. MOSCATI, op. cit., pp. 135-136.
38
A. MAZZACANE, op. cit., p. XLII.
14
Insieme ad Englen nel 1814 prese parte alla commissione insediata
al tramonto del Decennio, con Decreto del 21 maggio, per predispor-
re nuovi codici penale e di procedura, commissione che venne di-
sciolta prima che completasse i suoi lavori “compiuti quasi tutti dal
N(icolini)”.
39
Come abbiamo visto questo stesso compito gli venne riaffidato
nell’anno successivo da Re Ferdinando, il quale gli riconosceva così
il suo valore e la propria stima, nonostante le forti simpatie murat-
tiane del grande giurista.
Sempre nel ’15, con la Restaurazione, svolgeva i suoi uffici presso la
Corte di Cassazione come Procuratore generale.
All’indomani dell’entrata in vigore del Codice per lo Regno, alla fine
del ’20 era chiamato agli adattamenti necessari al regime costituzio-
nale. Privato nel ’21 di cariche pubbliche perché murattiano, a parti-
re dal ‘31 si prodigò in appassionate e seguitissime lezioni di diritto
e procedura penale all’Università napoletana, diventando quasi un
monumento della “migliore tradizione storico-giuridica vichiana del-
la cultura meridionale”.
40
Definito da Savigny “liebenswürdiger, lebendiger, klarer Mann”,
41
il
prestigio e la notorietà di Nicolini è legata soprattutto alle sue Qui-
stioni di dritto (sic): si tratta di un’opera apparsa in sei volumi, tra
il 1835 e il 1841, che comprende la raccolta di importanti decisioni
della Corte Suprema di Giustizia; da esse Nicolini trae occasione per
procedere ad una rassegna degli istituti e dei princìpi penalistici,
39
F. NICOLINI, Niccola Nicolini e gli studi giuridici a Napoli nel secolo XIX, Napoli, 1907,
p. L, come cit. in D. NOVARESE, op. cit., pp. 35-36, nt. 80; v. anche D. NOVARESE, op. cit., p.
41, nt. 96.
40
L. MOSCATI, op. cit., p. 137.
41
Come cit. in Ibid., p. 135.
15
riallacciandosi spesso al diritto comune e agli autori classici, dimo-
strando, oltre ad uno spessore culturale encomiabile,
un’autorevolezza
42
che non temeva confronti coi giuristi coevi.
Se il nome di Nicolini resta legato saldamente al diritto e alla proce-
dura penale del Regno delle Due Sicilie, è stato tuttavia sottolineato
come “in pochi altri studiosi è […] possibile cogliere l’idea-forza
dell’unità dell’ordinamento giuridico”
43
offrendo anche, e soprattut-
to, ai civilisti, ancor oggi utilissimi contributi in ordine
all’insegnamento metodologico e al merito di non pochi problemi di
diritto privato.
44
42
E “autorità”? “Con la Restaurazione, [Nicolini] assunse quasi la veste ufficiale del legisla-
tore”: A. MAZZACANE, op. cit., p. XXXIX.
43
L. V. MOSCARINI, Niccola Nicolini, p. 7, in «P.Q.M. – Rivista quadrimestrale abruzzese di
giurisprudenza e di vita forense», III, 1990.
44
Amplius Ibid., pp. 7-9.
Per altri cenni biografici e per una descrizione del giurista così come descritto da E. Pessi-
na, A. De Marsico, G. Marciano e G. Porzio: v. sito
http://www.sindacatoforensenapoli.it/storia/scheda.asp?id=5