stati superati durante lo sviluppo del cluster. In primo luogo, farò un’excursus sulla politica culturale
tedesca, indispensabile per capire il ruolo delle istituzioni pubbliche per lo sviluppo del cluster.
Anticipo che Berlino ha una politica culturale e un sistema di finanziamento alla cultura del tutto
atipico all’interno della Germania. Questa peculiarità è dovuta alla particolare storia della città e
alla sua funzione di capitale. La prime carenze del cluster, la mancanza di finanziamenti alla
cultura e la difficile situazione dei musei di arte contemporanea, sono direttamente riconducibile
alla sofferta situazione gestionale ed economica della città. Il secondo aspetto, la mancanza di
collezionismo rilevante internazionalmente, è solamente in parte riconducibile a questo e, più in
generale, relativo alla tipologia di network costruito dal cluster stesso, che difetta di legami deboli
con altre realtà estere e tedesche. In aggiunta, in questo capitolo si parlerà delle iniziative berlinesi
che stanno tentando di arginare questi problemi. Citerò il Project Zukunft, un’azione governativa, le
fiere d’arte e la Biennale, azioni create grazie alla collaborazione tra pubblico e privato e, infine,
parlerò della risposta dell’imprenditorialità, formata dagli artisti, che hanno creato una serie di spazi
autogestiti ben funzionanti, e dalle gallerie, che si stanno associando in azioni comunitarie per
attirare il collezionismo internazionale. Si vedrà come i comportanti di questi attori sono riusciti a
migliorare il sistema dell’arte di Berlino, rendendolo uno dei centri più attivi dell’ Europa.
Per concludere, si tenterà di comprendere quali sono le questioni ancora aperte e in che
modo Berlino possa evitare di implodere in se stesso, fallendo come cluster culturale di produzione
di arte visiva.
- 2 -
CAPITOLO I
IL CLUSTER CULTURALE DI BERLINO
CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
1.1 I cluster: definizione, caratteristiche, importanza
1.1.1 Il distretto industriale
Già dai primi anni del ‘900 esistono un gran numero di studiosi che si occupano dei distretti
industriali. Uno dei primi a definire il distretto industriale fu Marshall nel 1919
1
individuandolo come
“una entità socio-economica, costituita da imprese facenti parte, generalmente, di uno stesso
settore produttivo, localizzate in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche
concorrenza”. Marshall si focalizzava sulla localizzazione spaziale e sui vantaggi dati alle imprese
dalle economie di agglomerazione per analizzare il fenomeno delle clusterizzazioni. Beccattini
[1987, p.9]
2
concorda con Marshall, e precisa un elemento fondamentale per la comprensione del
fenomeno dei distretti: l’entità locale, dove è inserito il fenomeno distrettuale, è caratterizzata da
una “comunità socialmente coesa”.
Sembra una considerazione banale, ma il fatto che le aziende, parte del distretto, siano
inserite in una comunità locale si riflette nel metodo di lavoro in cui si opera nei distretti.
Sull’importanza della comunità e del concetto di relazione come elemento forte del vantaggio
competitivo dei cluster è d’accordo anche Dei Ottati [1995], che evidenzia come i processi
contrattuali all’interno delle realtà distrettuali siano connotati da una forte componente relazionale a
cui consegue un minore opportunismo. Ma perché i cluster sono un fenomeno così importante? Il
cluster presenta dei vantaggi che ne favoriscono l’attività economica, alcune esternalità positive,
che derivano appunto dalla localizzazione particolare che possiede.
Caroli [2004] raggruppa le facilitazioni presenti in questi contesti in una sintesi di tre:
1 Riduzione dei costi di acquisizione di input produttivi e di sviluppo della presenza sul
mercato;
2 Migliore accesso alla conoscenza;
3 Migliori condizioni di partecipazione a opportunità di business.
Altri vantaggi dell’esistenza dei distretti sono ancora più visibili a livello macroeconomico e
possono essere riassunti in un miglioramento delle condizioni di lavoro e dell’occupazione, un
aumento demografico e un aumento di redditività complessivo delle imprese all’interno del
distretto.
L’attenzione era ed è rivolta a queste entità, da un lato, per un interesse puramente
scientifico, ma dall’altro, perché, si sperava e si spera di poter ricreare questi fenomeni in altri
contesti, favorendo altri ambiti e altre imprese con le medesime esternalità positive.
1
in Sacco e Pedrini, 2003
2
in Sacco e Pedrini, 2003
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CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
Da queste considerazioni, largamente condivise, sui vantaggi competitivi maggiori che
presenta il fenomeno distrettuale, si è sviluppata un’altra serie di letteratura che li collegava ai
social network e al capitale sociale, usandoli come evidenza empirica dell’importanza di questi.
1.1.2 Capitale sociale, capitale umano e capitale creativo nei distretti
Il presupposto alla base delle teorie sul capitale sociale è l’embeddedness che è “l’idea
concettuale che il comportamento economico è necessariamente imbrigliato, incastonato,
all’interno di un più ampio contesto sociale, enfatizzando legame stretto e indissolubile tra
economia e sociologia” [Presutti, 2005, p.33]. Il capitale sociale sembra essere, a sua volta,
costituito sia da legami forti che deboli, diversi per durata, stabilità e lunghezza della catena
relazionale [Granovetter, 1973]. I legami forti sono caratterizzati da informalità (anche in presenza
di formalizzazione), fiducia reciproca, prevedibilità, aspettative condivise nel medio/lungo periodo e
cooperazione tra i membri. I legami deboli sono caratterizzati da superficialità, casualità, basso
investimento emozionale, opportunismo, ma consentono l’accesso a nuove informazioni.
Chiaramente alla base del valore del capitale sociale sta l‘abilità di gestirlo e sfruttarlo per creare
innovazione e, questà abilità si fonda, soprattutto nel caso del distretto, sul mantenimento di
legami forti con gli altri attori operanti all’interno del distretto e sulla creazione di legami deboli con
attori esterni al distretto, legami che permettono di:
ξ Creare nuovi modelli di riferimento;
ξ Infrangere le routine;
ξ Accedere a nuove risorse e competenze;
ξ Innovare suggerendo nuove combinazioni di risorse e competenze.
Nell’esame del capitale sociale all’interno del fenomeno distrettuale, l’attenzione focalizza
sulla similarità culturale tra gli attori, sulla forza della comunità in termini sociali e culturali,
sull’interdipendenza e l’interazione quasi semi-automatica tra le imprese, sulla familiarità che
favorisce lo sviluppo della fiducia tra gli attori e diminuisce l’opportunismo [Presutti, 2005]. Ma
come accennato, la basilarità delle relazioni all’interno di cluster può avere anche degli effetti
negativi. In particolar modo, si è notato che una particolare tipologia di network, costituito
principalmente da legami forti, può limitare l’accesso a nuova conoscenza sviluppata all’esterno
del cluster, scoraggiare l’entrata di nuovi attori nel cluster e ostacolare la rapidità di risposta
davanti a cambiamenti economici repentini [Lazerson e Lorenzoni, 1999]. Putnam [2000]
3
vede nel
capitale sociale l’avversario di quell’aspetto di anonimità che circonda la società contemporanea.
3
in Florida, 2005
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CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
Le persone, necessitano di recuperare i valori comunitari e tendono, perciò, a preferire comunità
coese e legate al territorio (come sono quelle dei cluster) all’indifferenza della società.
Al concetto di capitale sociale come elemento principale della forza dei cluster si sono
contrapposte altre due ipotesi, che vedono, rispettivamente, il capitale umano e il capitale creativo
come elementi centrali.
Un altro filone di studi pensa, appunto, che sia il capitale umano il fattore centrale per lo
sviluppo economico di un luogo. Lucas [1988, p.32]
4
afferma che “if we postulate only the usual list
of economic forces, cities should fly apart. The theory of production contains nothing to hold a city
together [….] land is always far cheaper outside cities than outside[…]. It seems to me that the
force that we need to postulate to account for the central role of cities in economic life is of exactly
the same character as the external human capital[…]. What can people be paying Manhattan or
downtown Chicago rents for, if not for being near other people? (se consideriamo solo la solita lista
di forze economiche, le città dovrebbero essere escluse. La teoria della produzione non ha niente
a che fare con le città […] i terreni sono sempre meno cari in periferia. Mi sembra che per capire il
ruolo centrale delle città nella vita economica sia necessario parlare del capitale umano esterno
[…].Perchè le persone pagherebbero gli affitti per Manhattan o downtown Chicago se non per
stare insieme ad altre persone?)”. Gleaser [1998]
5
sembra d’accordo con questa tesi e vede
nell’aggregazione di capitale umano il fattore centrale dell’aggregazione delle imprese. Le imprese
si aggregherebbero, perciò, per sfruttare meglio i vantaggi del capitale umano
6
, piuttosto che per
sfruttare la vicinanza di clienti e fornitori.
Florida [2005] si inserisce in questo dibattito, ponendo al centro dell’attenzione il concetto di
capitale creativo, che differisce dalla teoria sul capitale umano in due aspetti:
ξ Identifica un tipo di capitale umano, quale formato dalle creative people, come
elemento chiave dello sviluppo economico;
ξ Determina i fattori alla base della scelta di un luogo, invece che dire semplicemente che
una certa regione ne è dotata.
Il capitale creativo di Florida, la creative class, si sposta con facilità verso i creative centers
perchè “these people wants to live there”. Questa migrazione di persone speciali (viene incluso sia
il super creative core, formato da scienziati, ingegneri, professori universitari, opinion-maker, e tutti
i tipi di artisti, che il segmento che si occupa del problem solver creativo in tutti i settori economici,
come i legali, i manager, i medici) porta a un’alta concentrazione di “economia della creatività” e, di
conseguenza, crescita economica.
4
in Florida, 2005
5
in Florida, 2005
6
Inteso come presenza in un determinato territorio di lavoratori altamente qualificati, aggregati in laboratori creativi, non
come manodopera non qualificata con un minore costo del lavoro
- 6 -
CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
I luoghi che attirano queste persone dovrebbero essere forniti di tre elementi: Tecnologia,
Talento e Tolleranza. La tecnologia è una funzione di “innovazione e alta concentrazione di
tecnologia in una regione”. La tolleranza è “apertura verso tutte le etnie, le razze e i modi di
vivere”. Il Talento è definito come “un gran numero di persone che possiedono una laurea o un
grado d’istruzione maggiore” [Florida, 2005, p.37].
Nonostante io sia personalmente affascinata dalla teorie di Florida, credo che uno degli
assiomi su cui la teoria si basa sia difficilmente condivisibile. Infatti, il fatto che le creative people si
spostano con facilità può essere vero nelle fasi iniziali di una carriera lavorativa, ma dubito che
possa esserlo anche in altri periodi. Ad un certo punto, infatti, possono entrano in gioco altri fattori
ricollegabili appunto al network sociale personale di ognuno, che frenano la mobilità. Vero anche
che, in altri contesti, la teoria di Florida è supportata da evidenza empirica
7
.
Direi che è opportuno, come in ogni caso, valutare diversi fattori. Sicuramente il capitale
sociale presenta un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei cluster. A questo aggiungerei,
basandomi su quello che dice Florida, l’importanza di saper attrarre il talento, le persone creative,
senza le quali, i network perdono di valore. Inoltre possedere capitale sociale e riuscire ad attrarre
capitale creativo può contribuire a mitigare gli effetti negativi dovuti ad un social network troppo
stabile, dato che la creative class apporta innovazione, crescita ed idee. Inoltre, ogni nuovo
ingresso nei cluster favorisce l’allargamento del network sociale del cluster stesso, favorendo così,
ipoteticamente, anche lo sviluppo del capitale sociale.
1.1.3 Il cluster culturale
Fino alla fine degli anni ‘90 in pochi si erano accorti che, non solo, le conseguenze positive
della nascita di un distretto industriale (tra cui la diminuzione della disoccupazione, l’aumento
demografico e i vantaggi legati alla localizzazione e alla densità organizzativa) si verificavano
anche in presenza di un cluster culturale e che la presenza di un cluster culturale aveva anche
altre esternalità positive. Molto recenti sono, infatti, gli studi, che focalizzano su questa particolare
tipologia di distretto.
Non solo, infatti, ci si è resi conto che “la cultura è un bene collettivo da preservare come
parte di un più ampio patrimonio di obiettivi da raggiungere a livello regionale-nazionale” [Caroli,
2005] ma essa rappresenta anche un mezzo per favorire lo sviluppo economico, in termini di
occupazione, demografia e redditività delle imprese (non solo di quelle coinvolte nel cluster).
“Culture counts. Culture counts not only because it is the anthropological image of the material,
spiritual and social life of people, but also because it is a basic resource for sustainable economic
growth (La cultura conta. La cultura conta, non solo, perchè è l’immagine antropologica della vita
7
Florida dimostra la sua teoria empiricamente in base a Gay Index, Bohemien Index, Coolness Index, Amenities Index
per alcune città statunitensi [2005]
- 7 -
CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
materiale, spirituale e sociale delle persone, ma anche perché è una risorsa per la crescita
economica sostenibile)” [Santagata, 2002, p.9].
I settori culturali potenzialemente atti a creare crescita economica sono tutti quelli che
producono culture-based goods. E’ fondamentale capire cosa si considera essere culture-based
goods, prima di iniziare a dare qualsiasi definizione di cluster culturale. Sono beni distinguibili dagli
altri perché il loro valore simbolico per il consumatore è molto più alto del loro valore pratico (come
ornamenti personali, status symbol, servizi di intrattenimento oppure fonti di informazione e
acculturamento) [Santagata, 2002].
Il primo a parlare di cluster è Porter [1998] che li ha identificati come una “geografic
concentrations of interconneted companies and institutions in a particolar field (concentrazione
geografica di imprese e istituzioni connesse, in un particolare settore)”. Mentre il distretto è un
raggruppamento di imprese che lavorano nello stesso settore, per il cluster non è,
necessariamente, così. Infatti, in genere un cluster culturale presenta una concentrazione di
diverse tipologie di settori culturali. Il cluster, si rivela come la forma più adatta di studio del
fenomeno dell’aggregazione di cultura.
Il cluster culturale è la concentrazione di attori in aree limitrofe “primarly concerned with the
production and distribution of symbolic good-services, whose primar value derives from their
function as carriers of meanings (che si occupano della distribuzione e produzione di beni e servizi
con un valore simbolico, il cui valore deriva dalla loro funzione di portatori di significati)” [Gleason
et al. 2000]. Anche la definizione di Gleason tende ad essere abbastanza estensiva. Oltre alle
attività relative alle cultural industries tipiche come musica, cinema, arti visive vengono comprese
anche attività come quella turistica e pubblicitaria [Presutti, 2005]. Trovo molto utile allargare il
campo d’indagine, nel caso dei cluster culturali, piuttosto che restringerlo, in quanto, è frequente il
fenomeno di più creative industries che creano dei sub-cluster culturali all’interno di una stessa
location e, secondo me, questa manifestazione empirica tipica non è casuale.
Sebbene le considerazioni sui distretti industriali fatte in precedenza valgano anche per i
cluster culturali
8
, ci sono delle differenze tra le due realtà che hanno portato nella letteratura a
scindere le analisi dei distretti industriali da quelle sui cluster culturali.
In primo luogo i culture-based goods sono caratterizzati dalla natura idiosincratica dei loro
fattori costitutivi. Infatti non sono indifferenti agli idiosincratici elementi spaziali, dato che l’uso di
standard e le strategie di minimizzazione dei costi non portano ad un equilibrio spaziale e dato che
la creatività, su cui si basano questi beni, non ha le proprietà standard di equilibrio. Inoltre, il
legame inscindibile dato dal milieu in cui la produzione stessa dei culture-based goods è inserita, è
di simbiosi, come precisato dalla definizione stessa di cultura (che rappresenta un insieme di
capitale accumulato da una comunità, a cui i membri della stessa si riferiscono per connotare la
loro identità), e questo fatto accentua questo elemento di idiosincrasia. Per finire, questi beni sono
8
Soprattutto il discorso sul capitale sociale, umano e creativo
- 8 -
CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
idisioncratici perché la conoscenza tacita (libera e circoscritta in un determinato luogo geografico)
è necessaria alla loro creazione, produzione tecnica e distribuzione e perché questo tipo di
conoscenza fa riferimento a esperienze idisioncratiche passate [Santagata, 2002].
In secondo luogo, come già emerso, è comune la presenza nello stesso luogo di cluster
culturali che si riferiscono a diversi settori. E’ possibile che un cluster turistico conviva con uno
editoriale e che, non solo la presenza di un cluster non disturbi l’altro, ma altresì che la presenza di
un cluster rafforzi l’altro.
In terzo luogo, nei casi empirici, è più comune che i cluster culturali nascano in contesti
urbani. Con questo non intendo che non ci siano anche casi di cluster culturali in luoghi rurali, ma,
semplicemente, che la casistica favorisce le città nella nascita di un cluster urbano. Una particolare
tipologia di cluster, quello urbano, è inteso come “una concentrazione nel territorio di una città, o in
alcune sue zone, di un elevato numero di imprese e di altri organismi pubblici o privati, operanti
nell’ambito di una stessa filiera produttiva o di settori funzionali ad essa […] e caratterizzati da
condizioni tangibili e intangibili del luogo di appartenenza” [Caroli, 2004, p. 4]. L’area di sviluppo di
un cluster non è semplicemente “un contenitore fisico delle organizzazioni che ne sono parte e
delle relazioni tra le stesse; costituisce, piuttosto, una determinante essenziale per spiegare
l’evoluzione storica del cluster, la sua natura attuale, e le sue prospettive competitive” [Caroli,
2004, p.8].
Infine, come anticipato, ci sono delle esternalità positive aggiuntive rispetto ai distretti
industriali [Mommaas, 2004]:
1. Rafforzano l’identità , il potere attrattivo e la posizione di mercato dei luoghi;
2. Stimolano un approccio più imprenditoriale all’arte e alla cultura;
3. Stimolano l’innovazione e la creatività;
4. Recuperano spazi inutilizzati o in decadenza;
5. Stimolano la diversità e la democrazia culturale.
I distretti culturali possono essere distinti in quattro categorie [Santagata, 2002]. La prima è
formata dagli industrial cultural districts. Questi si basano sulla presenza di piccole medie imprese
e sono caratterizzati da una grande presenza di esternalità positive, conoscenza tacita, alto tasso
di innovazione, facile creazione di network, un costo basso o inesistente per la diffusione di
informazione e un milieu in grado di creare personale qualificato da inserire nel contesto
distrettuale oltre che nuovi prodotti caratterizzati da un alto tasso di innovazione. La seconda
categoria è formata dagli institutional cultural districts e si basa sulla presenza di istituzione formali
che allocano i diritti di proprietà e i marchi, proteggendo legalmente i beni prodotti grazie a
componenti culturali che derivano dalla localizzazione di una comunità localizzata in una certa
area. La terza categoria è formata dai museum cultural districts. Questa tipologia è caratterizzata
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CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
dall’impegno del governo cittadini, nel valorizzare, grazie a politiche culturali, un’area che è
attrazione turistica per l’alto contenuto culturale che possiede. La quarta categoria è caratterizzata
dai metropolitan districts. Questa ultima categoria è caratterizzata dalla generazione di cultura
contemporanea. Usa l’arte e i servizi culturali per attrarre persone e conseguentemente dare una
nuova immagine ad una città.
Un’altra classificazione può venire fatta in base a sette elementi [Mommas, 2004]:
1 La diversificazione orizzontale nelle diverse attività presenti nel cluster e le relazioni tra
queste attività. In questo elemento è presente anche l’analisi della eventuali
connessioni del cluster culturale con attività di entertainement;
2 Il grado di integrazione verticale delle funzioni culturali coinvolte. Nella versione
essenziale si possono trovare cluster di produzione o di consumo;
3 Il coinvolgimento degli attori del cluster all’interno della gestione del cluster stesso;
4 Il tipo di finanziamento privilegiato dal cluster, con attenzione al ruolo delle istituzioni
pubbliche all’interno dello stesso;
5 Il grado di integrazione del cluster con altre situazioni esterne al cluster, in altri termini il
tipo e la forza dei legami che esistono tra il cluster e attori esterni;
6 Il tipo di processo che ha portato alla formazione del cluster;
7 La posizione geografica del cluster nei confronti della situazione urbana del luogo in cui
si trova.
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CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
1.2 Berlin-Creative City
1.2.1 Berlino: una storia complessa
Prima di analizzare il cluster culturale di Berlino, ritengo opportuno, fare una piccola
introduzione storica della città, in quanto le caratteristiche peculiare della storia di Berlino, la
rendono indispensabili per una qualsiasi analisi della città.
“Ich bin ein Berliner” [John F. Kennedy, 1963] furono le sconvolgenti parole che uno dei più
celeberrimi presidenti degli Stati Uniti, John F. Kennedy, pronunciò in una visita a Berlino nel 1963.
Essere un Berlinese nel 1963 aveva un significato molto profondo, significato che in parte esiste
ancora oggi. Per capire bene ciò che la città rappresentava e rappresenta credo sia utile fare un
excursus storico partendo dal dopoguerra fino al 1990, anno in cui Berlino diventa ufficialmente
capitale della riunificata Germania.
Dopo la sconfitta della Germania nella seconda guerra mondiale, Berlino venne divisa in
quattro zone di occupazione ognuna destinata ad essere governata da una delle potenze vincitrici
(U.S.A., Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica). Era il 1946 quando questa divisione iniziò ad
essere effettiva e iniziavano già le prime tensioni tra quelle che erano allora considerate le due
superpotenze mondiali, U.S.A. e U.R.S.S. Un primo punto di rottura del precario equilibrio fu
l’introduzione, datata 1948, del marco tedesco come valuta per la città nella zona occidentale, che
includeva le zone di influenza americana, britannica e francese. La Russia, che pretendeva la
moneta sovietica come valuta di scambio per Berlino, rispose a questa mossa con il cosiddetto
Blocco di Berlino, bloccando i rifornimenti elettrici e i collegamenti stradali a Berlino Ovest – la
zona occidentale si trovava, infatti, accerchiata tra la Berlino controllata dalla Russia e la Germania
Est anch’essa a influenza russa - per costringere le forze alleate occidentali ad abbandonare la
città. Così non fu. Gli alleati risposero con un ponte aereo attivo 24 ore su 24 che permise alla
parte occidentale di resistere, sebbene con livelli di vita sicuramente inferiori a quelli precedenti. Il
blocco fu tolto ma Berlino era ormai divisa. Formalmente esistevano già due Germanie, la
Repubblica Federale Tedesca (con capitale Bonn) e la Repubblica Democratica Tedesca (con
capitale Berlino), ma la divisione era soprattutto sostanziale, con una Berlino Ovest in piena fase di
miracolo economico (il Piano Marshall era stato pienamente implementato) e una Berlino Est che
doveva affrontare una continua fuga di cervelli e manodopera verso il più ricco ed efficiente Ovest.
Nel 1961 il confine tra le due parti della città venne chiuso, costruendo, dopo una prima versione
provvisoria, due muri separati divisi da una Sperrgebeit, zone proibita, sorvegliata giorno e notte, il
tristemente noto Muro di Berlino. Passare da una parte all’altra della città era praticamente
impossibile. Ormai Berlino era divisa in due parti, diverse nella forma, ma soprattutto nell’ideologia.
Capitalismo e Comunismo erano separati da una costruzione di un centinaio di metri.
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CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
Berlino Ovest era così privata della forza lavoro che proveniva dall’Est e furono adottate
misure per attrarre manodopera dal resto della Repubblica Federale Tedesca e dal resto del
mondo. Fu in questo periodo che arrivarono a Berlino gli immigrati che oggi caratterizzano la città,
soprattutto dall’Europa Sud-Orientale (Turchia, Grecia, Italia), e una quantità enorme di giovani,
soprattutto anarchici, che erano attirati dalla possibilità di evitare il servizio di leva per i residenti a
Berlino Ovest. La parte occidentale dovette, inoltre, affrontare negli anni ’60 le proteste
studentesche, che, in particolare qui, data la vicinanza con il mondo comunista, erano fortemente
critiche nei confronti del capitalismo. Berlino Ovest conobbe, inoltre, la crisi petrolifera degli anni
70. Ma, nonostante questi problemi, Berlino Ovest era stata protagonista insieme al resto delle
Germania Federale del miracolo economico degli anni ’50 e rimaneva relativamente protetta da
ulteriori crisi grazie al costante finanziamento con sussidi e agevolazioni finanziarie. La Germania
dell’Ovest faceva parte, inoltre, della CEE e della NATO e del G8, a pieno titolo inserita tra i grandi
paesi europei.
La parte orientale, dopo la seconda guerra mondiale, fece molti più sforzi per riprendersi. La
mancanza di aiuti paragonabili a quelli che riceveva la parte occidentale costituiva un evidente
limite. Inoltre la rigida struttura di pianificazione nazionale dell'economia di stampo comunista non
favorì lo stesso sviluppo della parte occidentale del paese. Nonostante queste difficoltà la
Germania Est veniva considerata uno dei migliori tra gli stati a regime comunista. La Germani Est,
però, restava relativamente escluso anche dal processo di democratizzazione che stava
attraversando non solo l’Europa Occidentale, ma anche Russia, Polonia e Ungheria, dopo
l’elezione di Mikhail Gorbaciov a segretario del partito comunista sovietico nel 1985.
A creare una prima speranza di vedere riunificate le due Germanie fu l’apertura nel 1989 del
primo varco nella cortina di ferro tra Ungheria e Austria. Molte furono le persone che attraversando
quel varco riuscirono ad abbandonare la Repubblica Democratica Tedesca e a raggiungere la
parte Occidentale. Questa fuga di massa provocò un abbassamento del morale nella Germania
Est e innumerevoli manifestazioni a cui Eric Honecker, leader del SED, aveva tentato di rispondere
violentemente, senza successo, anzi auto- provocando la sua sostituzione con Egon Krenz. La
situazione era ormai incontenibile e il 9 novembre finalmente la frontiera venne aperta, con
l’abbattimento pressoché immediato della quasi totalità del muro. La Wende, svolta, era così
arrivato. Dopo l’unione monetaria del 1 luglio 1990, il 3 ottobre dello stesso anno, la RDT firmava il
Trattato di Unificazione con la Repubblica Federale, dando finalmente origine alla Germania Unita
e Berlino tornò per la prima volta, dopo la seconda guerra mondiale, a essere un’unica città,
nonché la capitale della Germania Unita.
L’unificazione non fu, comunque, facile, in particolare Berlino ne soffrì parecchio. Nonostante
il cambio tra le monete delle due parte fu inizialmente pari per scelta politica, la moneta dell’ Est
valeva meno e ci furono squilibri finanziari. La parte occidentale perdette tutti i sussidi precedenti,
disoccupazione e prezzi degli affitti aumentarono. Inoltre, furono introdotte nuove tasse per tentare
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CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
di riequilibrare la situazione finanziaria di Est e Ovest. Fu la bravura di Kohl a non far precipitare la
situazione. Con la privatizzazione delle industrie della Germania dell’Est, la disoccupazione
diminuì e la situazione miglioro’. Berlino tornò ad ospitare il Parlamento nel ‘99.
Cionostante, la convivenza di due culture così diverse come capitalismo e comunismo ha
portato a delle conseguenze, soprattutto per Berlino, evidenti ancora oggi e che sono la
componente principale della cultura della città. Il muro è caduto sedici anni fa, ma esiste ancora un
Mauer in den Köpfen, muro mentale, che non è facile abbattere e la differenza tra Ossis, abitanti
dell’Est, e Wessis, abitanti dell’Ovest è tuttora presente.
1.2.2 Berlino città creativa
Berlino è una città che presenta diverse anomalie rispetto al resto dell’Unione Europea. E’
una delle capitali più povere dal punto di vista economico, nonostante sia la capitale di uno degli
stati più importanti all’interno dell’ Europa. Il governo di Berlino ha dichiarato di essere in “extreme
budgetary emergency” dal 2002. Il debito complessivo della città ammonta a 60 miliardi di euro,
che vanno ad aumentare solo per gli interessi di circa 2.5 miliardi ogni anno. L’operational annual
budget ammonta a 20 miliardi di euro, ma ogni anno la città sfora di almeno 2 miliardi. Il GDP è
piatto dalla riunificazione [Statistisches Landesamt Berlin, 2005].
Come visto in precedenza, questa povertà non è così strana se si pensa alla sua storia, alle
distruzioni della seconda guerra mondiale, alla difficoltà di investire in modo organico in una città
divisa durante il periodo del muro e alla necessità di ricostruire una città unita, nonché una
rinnovata capitale dopo la Wende. Sono ormai passati sedici anni dalla riunificazione delle due
Germanie e dalla assunzione di Berlino come capitale ma la sua situazione economica non
sembra cambiata.
Con un prodotto interno lordo in costante diminuzione (almeno l’1 % ogni anno dal ‘95 ad
oggi) e un totale di disoccupati pari al 17 % della popolazione la situazione è in grave e,
apparentemente, continua crisi. I contributi di disoccupazione nel 2004 sono stati dati a 258.544
persone, il 25 % in più rispetto al ’96 [Statistisches Landesamt Berlin, 2005]. Sebbene in quest
ultimo anno sembra che i trend stiano cambiando in positivo (soprattutto grazie all’influenza
positiva della World Cup 2006 svoltasi in Germania) l’andamento è, complessivamente, molto
negativo.
Ci sono, però, dei settori che, a differenza degli altri, sembrano, invece, andare
particolarmente bene, ossia quello turistico e quello culturale. Per quanto riguarda il settore
turistico, ad esempio, nel 2004 ci sono stati 5.92 milioni di ospiti in città con in media un
pernottamento di 2 notti, il che significa un aumento del 18 % nel numero degli ospiti rispetto a
qualsiasi anno precedente dalle prime statistiche turistiche (si parla del 1992) [Statistisches
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CAPITOLO I IL CLUSTER CULTURALE A
BERLINO
Landesamt Berlin, 2005]. Considerando che il 2006, non ancora registrato dalle statistiche, ha
visto Berlino ospitare i mondiali di calcio, sicuramente il dato è destinato ad aumentare in positivo.
Per quanto riguarda l’influenza del settore culturale, del Prodotto Interno Lordo di Berlino del
2002, più dell’ 11 % proviene da piccole e medie imprese appartenenti dal settore culturale.
Questa percentuale è pari a 8 miliardi di euro [Statistisches Landesamt Berlin, 2005], una cifra che
appare anche senza confronti abbastanza rilevante. Inoltre l’8 % del totale occupati di Berlino,
secondo il sozialversicherungpflichtig è registrato all’interno del settore culturale ed è un dato
importante, dati i grossi problemi in termine di occupazione che presenta la città. Il concetto di città
del talento sembre essere la nuova formula di marketing per ricreare un’immagine non ancora ben
definita all’esterno.
In un certo senso, Berlino, sta assumendo il ruolo di service metropolis, sta abbandonando,
cioè, ogni tentativo di recuperare occupazione e di crescere economicamente con il settore
manifatturiero, concentrandosi sui servizi. Come evidenziato da uno studio di Krätke [2004] il
processo è on going. Berlino non è ancora uno strategic economic centre, ma la crescita
economica della città è guidata da knowledge-intensive e innovation-driven activities [Krätke,
2004] come l’industria dei software, le biotecnologie, l’ingegneria medica, l’industria farmaceutica, i
servizi di ricerca e sviluppo, ma soprattutto le industrie culturali e mediatiche. Tutte queste attività
che dagli anni ’90 hanno cominciato a clusterizzarsi, soprattutto nella ex Berlino Est, ne fanno,
come direbbe Florida [2002] una città creativa, tanto che lo stesso governo berlinese,
perfettamente consapevole di questa situazione ha firmato nel 2006 un manifesto di città creativa
insieme ad altre capitali europee [Città di Berlino, 2006], in cui riconosce:
ξ Creativity as a driving force for structural change, economic growth and employment
and a key strategic asset for improving competitiveness in the knowledge based
economy (La creatività come un fattore trainante per cambiamenti strutturali, crescita
economica e occupazione e come un fattore chiave per migliorare la competitività nella
conoscneza basata sull’economia);
ξ Culture and creative industries as indispensable for the attractiveness of cities today
and in the future (La cultura e le industrie della creatività come indispensabili per
l’attrattività delle città, odierna e futura);
ξ Cultural diversity as an important factor for creativity and for intercultural exchange and
cooperation (La diversità culturale come un importante fattore per la creatività, lo
scambio interculturale e la cooperazione);
ξ The generation of cultural content as an important source for the creative industries,
which should be analyzed, supported and utilized (La generazione di contenuti culturali
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