3
La sua autonomia assoluta lo mette inevitabilmente al centro delle posizioni critiche
emerse nel periodo. Lo studio delle recensioni, provenienti dai due lati dello schieramento
politico, è infatti utile al fine di tracciare un esauriente quadro della cultura nel quindicennio
analizzato. Lo è ancora di più esaminando le critiche mosse al regista romagnolo che, non
essendo definibile per nessuno, diventa attaccabile a seconda dei problemi che i suoi films
sollevano o della visuale da cui ha osservato il fenomeno al centro della sua indagine. Così
Fellini viene definito, nel giro di pochi anni, nostalgico, cattolico, comunista, realista, barocco,
letterario ecc. Da una parte gli viene rimproverato di invitare al male gli spettatori, dall'altra
non gli si perdona di non aver aderito al neorealismo. Insomma tutto e il contrario di tutto.
Eppure proprio nel neorealismo Fellini ha mosso i primi seri passi nel mondo del cinema
quando, dopo aver scritto alcuni sketch per alcuni comici durante gli anni di guerra, inizia una
collaborazione, e una grande amicizia, con Rossellini (Roma città aperta) proprio nel periodo
in cui fortissimo è l'impegno di De Sica e Zavattini che vincono ben due Oscar con Sciuscià e
Ladri di Biciclette, tutte opere considerate fondamentali, con i film di Visconti, per la nascita del
movimento neorealista. Ma come suggerisce il suo più stretto collaboratore fino al 1960 Tullio
Pinelli, nessuno si rendeva conto, in quel momento, che si stava costruendo il "neorealismo"
1
,
cioè una scuola che avrebbe influenzato tutto il cinema mondiale.
Una scuola può essere definita tale se ha almeno queste componenti: zona d'operazione,
epoca, principi, maestri, discepoli.
2
E' indiscutibile che tutti questi elementi sono presenti in
Italia alla fine del conflitto, ma è anche fuor di dubbio che nelle intenzioni dei registi non c'era
piena consapevolezza di essere gli elementi fondanti di tutto il cinema italiano del
dopoguerra.
3
Comuni erano certo le esperienze del tempo di guerra e le speranze in un futuro
finalmente migliore e comune era la convinzione di essere parte del processo di rinascita, o
meglio ancora, di fondazione di una nuova Italia. Il desiderio dei cineasti era, quindi, non di
contemplare "stracci e sofferenze", ma di creare "una forma artistica della verità."
4
Il cinema neorealista, tuttavia, per Fellini è, a posteriori, rappresentato solo da Rossellini,
anzi considera gli altri registi "dei veristi della scuola francese, sempre con qualche cosa di
sentimentale".
5
Il suo atteggiamento è di distanza, di diffidenza, forse, verso quello che da
movimento spontaneo si è trasformato in dogma.
Questo atteggiamento gli sarà proprio nel corso di tutta la sua vita. Fellini non aderisce ad
alcun movimento politico e culturale, rimane al di sopra di ogni forma di litigio, di discussione.
Non si occupa della critica, di chi è rimasto turbato o disturbato dai suoi film. Attraverso di lui,
quindi, passano tutte le tensioni culturali del periodo, superando il concetto del film come
semplice specchio della realtà in quanto esso, prima di rivelarci gli interessi e gli orientamenti di
una società, ci palesa l'orizzonte di pensiero in cui si muove
6.
Anzi, si impossessa di queste
tensioni e non appena ne ha l'occasione le infila nelle sue opere che finiscono così per fungere
1
Intervista del 12.9.95 con Tullio Pinelli (Torino 1907).
Avvocato fino al 1942. Abbandonata la toga è diventato uno
dei più importanti sceneggiatori del dopoguerra ed ha
collaborato alla realizzazione di tutti i films di Fellini
qua esaminati.
2
M.Verdone, Storia del cinema italiano, Collana Il Sapere,
Ed. Newton Compton, 1995, pag. 39
3
Intervista con T. Pinelli del 12.9.95
4
M. Verdone, ibidem, pag. 43
5
R. Cirio, Il mestiere di regista, Garzanti, 1994, pag. 131
6
F. Casetti, Teorie del cinema. 1945-1990, Bompiani, 1993,
pag. 321
4
da cartina di tornasole per comprendere l'identità degli italiani che si sta modificando in modo
sensibile per i mutamenti economici, politici e internazionali che continuano a succedersi.
Se la pellicola impressionata testimonia di un atto del vedere in cui il mondo è implicato
in qualità di referente esterno
7
, Fellini è più di chiunque altro il regista che mostra tutto il visto
o che perlomeno lo ripropone nella sua complessità, con meno pregiudizi e preconcetti di altri.
Il suo mondo - filmico, proprio perché paradossalmente reinventato, è il massimo elemento
svelatore del livello prefilmico (l'organizzazione della storia) e del livello profilmico (la
costruzione del set)
8
nel cinema, tracciando il sentiero attraverso cui lo spettatore può
distinguere con meno difficoltà la menzogna della fiction e la reale memoria storica.
Importante è, a questo punto, riuscire a vedere come lo spettatore ha colto il messaggio
del cinema neorealista e delle opere di Fellini. Per fare ciò è necessario verificare l'evoluzione
del rapporto tra il pubblico e la cinematografia italiana (analizzare anche il cinema di
importazione avrebbe comportato un lavoro immenso e poco produttivo) nel corso degli anni
cinquanta.
Si tratta, in sostanza, di abbozzare una storia della mentalità che metta in luce, attraverso
un'analisi dei testi filmici circolanti in una società, gli orientamenti ideologici, le concezioni di
vita, le percezioni del mondo che quest'ultima possiede. A tal scopo si sono studiate le reazioni
del pubblico approfondendo i suoi gusti attraverso le classifiche degli incassi dei film di
produzione italiana che meglio di qualunque altra cosa sono in grado di definire mode e
tendenze.
Una prima osservazione, che non ha bisogno di conferme statistiche, riguarda la
rivoluzione che il neorealismo ha provocato nel processo di riconoscimento dello spettatore
italiano. Esso, infatti, porta alla ribalta attori non professionisti, persone prese dalla strada che si
ritrovano al centro dell'attenzione pubblica e diventano il simbolo della rinascita dell'Italia e dei
suoi problemi. I miti del cinema - impersonati fino ad allora dal sistema divistico: Greta Garbo,
Marlene Dietrich e altri in America, ma anche Nazzari, De Sica, Cervi in Italia - erano, per loro
stessa natura, irraggiungibili; appartenevano al mondo della magia, della fiaba.
Improvvisamente, grazie al cinema dell'immediato dopoguerra, l'uomo comune irrompe sulla
scena, stravolgendola proprio perché con la sua sola presenza rammenta a tutti proprio "gli
stracci e le sofferenze" degli italiani in modo non superficiale o stereotipato. Il rapporto con il
cinema diventa allora di riconoscimento: con i propri problemi, paure, sogni ed illusioni. Subito
dopo i progressi della tecnica nel mondo dei trasporti riducono ancora le distanze, avvicinando
anche gli intoccabili divi dello star-system americano che giungono, poi, a Roma per
partecipare allo straordinario fenomeno della "Hollywood sul Tevere", quando Cinecittà è stata,
sia pure per un breve periodo, il centro del mondo del cinema.
Con questi cambiamenti era inevitabile che mutasse radicalmente anche il pubblico e il
suo modo di fruire del cinema. L'età degli spettatori diminuisce sensibilmente insieme alle
presenze delle sale. In una indagine Doxa del 1965
9
, la prima di cui si è trovata traccia, risulta
che ogni italiano adulto vedeva una media di 6,2 film al mese. Lo spettatore era comunque
prevalentemente maschio (il consumo degli uomini è doppio rispetto alle donne), di tutte le età e
di tutte le classi sociali. La scelta del film da vedere era condizionata prima dal genere e poi
7
M. W. Bruno, Ricordi innestati, in Segnocinema, n. 76
nov/dic 95, pag. 27.
8
M. W. Bruno, ibidem, pag. 27
9
M. Livolsi, Chi va al cinema?, in Schermi e ombre, La
nuova Italia, 1988, pag. 100. Lo stesso autore avverte che i
dati sono basati su di un campione non sufficientemente
ampio, ma tale inchiesta resta utile per la sua capacità di
indicare le tendenze in atto nel pubblico.
5
dagli attori. Nella successiva inchiesta, datata 1973, la differenza di fondo è nell'età in cui,
generalmente, si smette di recarsi nelle sale preferendo la televisione vista dalla più comoda
poltrona di casa. Dopo i 44/45 anni, infatti, il consumo di cinema precipita considerevolmente.
Le inchieste successive mostrano l'abbassamento graduale, ma inesorabile, di quella soglia fino
agli attuali 25/30 anni.
Diversa è anche ovviamente la fruizione del prodotto che ora viene massicciamente
consumato in televisione, mentre le sale sono frequentate da giovani e giovanissimi.
Evidentemente la valenza storica della fiction non può ora essere commisurata solo al
grande schermo, ma deve necessariamente tenere conto anche dei passaggi televisivi dei film e,
persino, della vasta produzione di cinema per la TV.
Lo scambio tra i due media deve perciò essere duplice: la storia del cinema deve
muoversi nell'orizzonte della storia in generale, ma anche quest'ultima deve vedere nella prima
un territorio con cui dialogare. Il cinema non ha un luogo esclusivo, né mai lo ha avuto. Le
opere sopravvivono nella memoria collettiva sotto forma di citazioni pubblicitarie, modelli di
riferimento nei libri e nella produzione televisiva. Il linguaggio che ha messo a punto e che, in
qualche modo, ha causato viene utilizzato dai giornali, dai giochi di società, dalla cronaca. Il
cinema dunque si estende in ogni ambito, o perlomeno in ogni punto dove si ha a che fare con la
comunicazione.
Si potrebbe opinare, in una prospettiva di questo genere, che gli strumenti di indagine
utilizzati siano inadeguati poiché si basano solo sulla memoria dell'autore e sulle testimonianze
dei protagonisti. Si potrebbe anche obiettare che il film non riassume in sé l'intero mondo
circostante in quanto i fatti storici non si dipanano nell'ordine descritto dalle pellicole e non
dipendono certo dalla maturazione del regista o della scuola a cui ci si riferisce.
Tuttavia il cinema è fonte di una grande ricchezza. Non solo è in grado di registrare gli
accadimenti, ma anche di rivelare i modi in cui una società li percepisce, o come esso è in grado
di dar corpo a desideri e fantasie
10
o, addirittura, di anticipare il futuro. Importante è dunque
sviluppare una storia in cui il cinema sia studiato non solo nelle sue componenti filmiche, ma
anche sociologiche, industriali ed economiche.
Dove, invece, il cinema ricopre un ruolo essenziale è proprio nella capacità di
rappresentare la percezione che una società ha di sé, della sua cultura e di come essa si rapporta
alle altre culture con cui si trova a convivere. Per altre non si intende solo la cultura
anglosassone, che già da tempo ha invaso il mondo occidentale (e con esso l'Italia), ma anche il
contatto, nuovo per la nostra nazione, con le civiltà del terzo mondo che a tutt'oggi risultano
ancora parzialmente sconosciute all'occidente.
Una storia della mentalità, una storia della "percezione" ha bisogno del cinema proprio
per verificare questi incontri nell'immaginario collettivo.
10
F. Casetti, ibidem, pag. 313