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circola e la non sempre facile comprensione del loro umorismo. Soprattutto in Italia, cosa
che ho potuto constatare nel rivolgermi ad alcune persone completamente ignare
dell’esistenza di questo gruppo. Le difficoltà a cui sono andata incontro nel realizzare
questo lavoro mostrano la scarsità degli scritti sui Monty Python; inoltre la maggior parte
di essi si soffermano soprattutto sull’innovativa trasmissione tv Flying Circus, affrontando
superficialmente la carriera cinematografica, forse vista come un qualcosa di poco
rappresentativo della loro comicità e, nell’ambito degli studi di cinema, come
un’emanazione dell’esperienza televisiva. Mio obiettivo è stato quindi quello di
soffermarmi sull’esperienza sul grande schermo dei Python, non solo per l’amore che
nutro per il cinema, ma per mettermi alla prova analizzando aspetti poco affrontati e
dimostrare come il loro humour si esprima in maniera altrettanto rivoluzionaria anche nel
cinema. Naturalmente a ciò si giunge dopo aver analizzato il percorso formativo del
gruppo e ciò che ha influenzato la loro comicità, passando per la trasmissione televisiva
che li ha resi un fenomeno cult. Il tutto introdotto da un analisi di ciò che si trova alla base
del loro umorismo inglese, il nonsense, usato quale filo conduttore dell’intero lavoro che si
propone di rintracciare e capire come si sviluppi questa logica dell’assurdo all’interno dell’
attività prima in tv e poi al cinema. Un modo per mostrare come i Python abbiano sempre
rivelato il vero non senso della società nella loro ricerca del (non) senso della vita.
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IL NONSENSE INGLESE
«È l’incongruità trionfante, è l’assurdo trasportato in un’atmosfera poetica, è una felice vacanza dal
mondo dei sensi, un rapido scorcio di un altro mondo anche più pazzo del nostro…»
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sembra una
frase che potrebbe descrivere il lavoro dei Monty Python, ma che invece è stata detta da
Priestley a proposito del nonsense .
Il nonsense, tipico della letteratura inglese, si afferma in età vittoriana (XIX sec.) come
reazione al rigore morale e sociale del regno, quale valvola di libertà individuale.
Nonostante il rispetto per le norme e le convenzioni, il popolo inglese custodisce
gelosamente nella vita privata il diritto a dare sfogo a qualsiasi aspetto della propria
personalità per quanto possa apparire assurda agli occhi altrui. Questo per chiarire come
nell’ espressione umoristica di tipo britannico, ma anche nella vita reale, si tenda a
razionalizzare l’apparente bizzarria altrui accompagnando il tutto ad una vena di serena
follia e tranquilla irrazionalità. Quindi il nonsense non risiede nella stranezza della cosa
detta, ma nel tono ovvio, privo di stupore in cui lo si fa; cioè parole, comportamenti ed atti
stravaganti vengono mostrati come cose ovvie e nel modo più distaccato nel nome del
rispetto britannico per la privacy altrui.
È un umorismo non sempre compreso ed apprezzato dagli stranieri, così lontani dal
temperamento trasgressivo e bizzarro degli inglesi, poiché si fa beffa dei nostri percorsi
cognitivi tramite il rovesciamento e l’infrazione degli schemi di comportamento, cosa da
cui non sempre riusciamo a liberarci per poter contemplare noi stessi ed il mondo con una
dolce ironia. In fondo non c’è nulla di più catartico della risata.
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John B.Priestley, cit.in Carlo Izzo, Umoristi inglesi, Torino, E.R.I., 1963, p.75
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Alla base del riso difatti c’è la sorpresa dell’interlocutore, ovvero si verifica un fatto
inatteso, incongruo, paradossale, che va a interrompere lo schema di pensiero logico,
quello a cui si conforma il nostro pensiero quotidiano e la nostra vita. Ma più che di
sorpresa, nei “motti d’assurdo” che caratterizzano il gioco nonsensical, la sorpresa consiste
nell’assenza di sorpresa, nella dispersione dell’attesa poiché non si mantiene ciò che era
stato suggerito dall’atmosfera umoristica.
Freud spiega così il meccanismo dei motti di spirito:
«l’ascoltatore[…] va a cercare dietro all’assurdo il senso nascosto. Ma non lo trova:
sono vere assurdità. Profittando di quella vana illusione è stato possibile per un attimo liberare il
piacere cagionato dall’assurdo»
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.
Sono gli automatismi mentali a rendere assente una logica dell’illogicità, una logica
dell’incongruo, dell’assurdo, del rovesciamento della verità ufficiale. L’incongruità degli
elementi mescolati assieme ci libera dalla schiavitù mentale della razionalità per aprirci a
nuove dimensioni che rovesciano il mondo del common sense.
Il tema del rovesciamento mostra come il nonsense sia collegato alla tradizione
carnevalesca popolare che fra Medioevo e Rinascimento si sviluppa nelle feste in piazza,
generando rappresentazioni dissacratorie e parodistiche dell’autorità secondo la
prospettiva del “mondo alla rovescia”. Si viveva la seconda vita del popolo organizzata
sul principio del riso, in cui ogni regola, tabù, privilegio, gerarchia veniva eliminato
creando un effetto liberatorio. La dimensione carnevalesca permetteva al popolo di
penetrare nel regno utopico della libertà, dell’uguaglianza e dell’abbondanza in
un’atmosfera di rinascita e rinnovamento. Inoltre si andava a creare un tipo particolare di
comunicazione inammissibile in tempi normali, un linguaggio schietto, libero dalle regole
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Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, Torino, Bollati e Boringhieri, 1975, p.162
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della decenza che riecheggerà in Rabelais, massimo portavoce del riso popolare e
carnevalesco. Esempio di comicità verbale popolare utilizzato nell’opera di Rabelais è il
coq-à-l’ane, un genere di nonsense, un linguaggio libero da regole e logiche. L’unico legame
tra le parole è dato dall’assonanza o dalla rima, in assenza di un legame tematico o
semantico. Sono giochi di parole lasciate libere dal controllo del significato, della gerarchia
verbale e della logica che producono tra loro rapporti insoliti proprio come nei giochi
verbali del nonsense inglese.
È con Shakespeare che il nonsense entra nella letteratura “alta” cessando di essere solo il
prodotto dello spirito profanatorio popolare. Rappresentante del mondo alla rovescia è la
figura del fool, portavoce del linguaggio della follia istituzionalizzata. È un carattere di
scarto dalla norma, di sregolatezza fantastica che ci indica una dimensione diversa del
reale in cui l’assurdo è accettabile. Rifiutando la ragione e rimanendo emarginato dal
sistema, può permettersi di mettere in dubbio le verità ufficiali e di fare vedere come la
realtà non abbia bisogno di essere capovolta per mostrare i suoi lati grotteschi.
Anche Swift dà un contributo al nonsense attraverso la sua satira. Trasforma l’umorismo
gratuito, tutto metafisico, in un umorismo che si vena di nero. In lui André Breton vede
l’iniziatore dello humour nero, un umorismo che sottolinea con amarezza, crudeltà e
disperazione nera l’assurdità del mondo e che nasce dallo scontro tra due tensioni morali
opposte che si manifestano nel tipico “animo inglese”composto da un misto di allegria e
pessimismo che porta a risolvere il dolore nel riso. Il disprezzo del mondo di Swift
culmina nell’uso di un linguaggio crudamente escatologico, quasi a esorcizzare con la
magia della parola le realtà che gli facevano orrore. Il suo tono macabro e feroce raggiunge
l’effetto nonsensical nel paradosso di A Modest Proposal (1729) spingendo alle conseguenze
estreme il metodo della riduzione all’assurdo che è al centro dell’opera swiftiana: se tanti
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bambini irlandesi nascono da genitori in condizioni di estrema povertà e non hanno
alcuna speranza di avere il cibo necessario a una vita dignitosa, non vi è altra soluzione
ragionevole che quella di farne il cibo per i ricchi, responsabili della loro miseria. Nella
apparente pacatezza dello stile, che dal buon senso del tono trae una insuperata ferocia
satirica, nello snodarsi di un ragionamento così crudelmente logico nella sua sconvolgente
assurdità, La Modesta Proposta si rivela una delle più sferzanti condanne ad una istituzione
sociale che genera miseria.
Il vero predecessore dei due maggiori rappresentanti del nonsense, Lear e Carroll, è Sterne;
egli mostra un mondo lontano da un sistema rigido che cerca di ingabbiarlo. Nella sua
realtà ci sono accostamenti incongrui, l’automatizzazione dell’elemento corporeo ridotto
al grottesco, un tempo con durata infinita che capovolge la consequenzialità cronologica e
annulla il rapporto di causa-effetto. Ma soprattutto si affranca dalla logica verbale in una
casualità di parole in libertà, anticipando così l’ “ècriture automatique” dei surrealisti.
La scrittura automatica nasce dal lasciarsi guidare come sotto dettatura dal flusso del
materiale onirico, un universo inesplorato ed imprevedibile che permette di esprimersi in
piena libertà, lontano dal controllo della ragione. Si giunge così alla surrealtà, ad una
realtà superiore in cui conciliare i due momenti fondamentali del pensiero umano: quello
della veglia e quello del sogno. Breton lo definisce così:
«Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente sia per iscritto,
sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di
qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale».
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L’automatismo psichico significa quindi liberare la mente dai freni inibitori, razionali e
morali, così che il pensiero sia libero di vagare secondo libere associazioni di immagini e
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André Breton, Manifesti del surrealismo, Torino, Einaudi, 1966, p.30
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di idee. In tal modo si riesce a portare in superficie quell’inconscio che altrimenti appare
solo nel sogno. La poesia diviene un luogo in cui le sequenze di immagini e di parole
producono effetti di umorismo imprevedibile, esplosioni di nonsense, inedite analogie e
cortocircuiti semantici. Si crea un paesaggio bizzarro dominato da incontri sorprendenti,
costruzioni anomale, superamento di ogni barriera logica, immagini che sfidano le leggi
della fisica e della razionalità dando vita ad effetti sconcertanti ed ironici.
Gli accostamenti inconsueti sono alla base dello spostamento del senso. La frase del poeta
Comte de Lautrèmont «bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello
su un tavolo operatorio»
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spiegava che tale bellezza proveniva dall’ accoppiamento di due
realtà in apparenza inconciliabili su un piano che a prima vista non è conveniente per
esse.
In sostanza, procedendo per libera associazione di idee, si uniscono cose e spazi tra loro
apparentemente estranei per ricavarne una sensazione inedita. La bellezza surrealista
nasce, allora, dal trovare due oggetti reali, veri, esistenti, che non hanno nulla in comune,
assieme in un luogo ugualmente estraneo ad entrambi. Tale situazione genera una inattesa
visione che sorprende per la sua assurdità e perché contraddice le nostre certezze. Ciò
nasce dalla volontà di liberare l’immaginazione, di esplorare territori e linguaggi
sconosciuti e scoprire significati nascosti dietro le pieghe del reale.
Stessa cosa per il nonsense che non fa che esprimersi tramite un gioco di parole che si basa
su omonimie, paronomasie
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, omofonie e polisemie, ovvero è un puro gioco senza pretese
morali o polemiche che combina le unità linguistiche sfruttando le somiglianze e le
analogie sonore portando ad accostamenti impensati e sorprendenti congiunzioni.
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Isidore Ducasse, Comte de Lautrémont cit. in, Andrè Breton, Storia del surrealismo, Milano, Schwarz, 1960,
p. 46
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Figura retorica che consiste nell’accostare parole di suono affine (p.e. traduttori, traditori)
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La ragione si autodistrugge attraverso la sua stessa arma, la parola, che prima viene divisa
e poi ri-semantizzata tramite il caso. È una parola liberata dal proprio significato ed
utilizzata solo in quanto significante. Acquisisce un potere, lo stesso che gli diedero i
surrealisti, in quanto permette di evocare quella armonia perduta eliminando il principio
di realtà. C’è il tentativo di recuperare il linguaggio edenico, di ciò che gli antichi
chiamarono “età dell’oro”, che è ormai solo prerogativa della fase infantile della pre-
scrittura in cui si è ancora privi di sovrastrutture ideologiche. Una fase in cui vi è un
armonia fra io e mondo dovuta ad un uso creativo ed immaginativo del linguaggio, in cui
il bambino fa utilizzo non della parola convenzionale, codificata, ma di quella gioiosa e
rigenerante. La stessa del linguaggio liberatorio del sogno e della follia della tradizione
carnevalesca a cui appunto il nonsense si rifà.
Il nonsense viene così confinato nella letteratura minore, quella per l’infanzia, come spesso
si fa con opere che minano le certezze su cui si fonda la cultura ufficiale. Il collocarsi in
questa zona neutra gli permette però libertà e sperimentazioni impensabili nella cultura
alta.
Rappresentanti di tutto ciò sono i Limericks (1846), brevi componimenti in versi
accompagnati da altrettante vignette, nati dalla fantasia di Edward Lear. Suo merito fu
quello di portare ad una più rigida codificazione e maggiore diffusione una forma
letteraria che affondava le sue radici nella tradizione orale delle nursery rhyme (filastrocche,
ninna-nanne) generate sin dal diciassettesimo secolo, mostrando così il punto di contatto
tra queste e il nonsense: l’oralità del gioco verbale e della poesia d’improvvisazione. Infatti
Lear li aveva creati per divertire i piccoli del conte Derby, suo patrono. È il far
sopravvivere una letteratura semi-orale che nasce in momenti creativi improvvisati per il
diletto, creando così una nuova visione del reale.
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Ogni composizione introduce un personaggio bizzarro, caricaturale che agisce o patisce
situazioni che esorbitano dalla sfera della logica e del buon senso comune lasciando il
lettore di stucco. L’eccentricità di comportamenti o situazioni è il perno intorno al quale
ruota il meccanismo del divertimento, ma a innescarlo sono il tono del racconto pacato e la
presenza dei disegni che danno corpo visibile al cortocircuito logico suggerito dalle parole.
Introduce il lettore in un mondo altro, una dimensione parallela ma distanziata nello
spazio e nel tempo, in cui non vigono le categorie, immaginative e razionali, alle quali
abitualmente ci si attiene.
Nel nonsense leariano vi è inoltre la degradazione caricaturale del corpo. L’uomo viene
presentato come corpo automatizzato, grottesco, che agisce in base alle sue pulsioni e che
viene messo in risalto da particolari caricaturali iperbolici che ne fanno una maschera
carnevalesca. Una sorta di celebrazione delle ragioni del corpo, proprio in un’epoca
dominata da spinte inibitorie come quella vittoriana.
L’esagerazione, la smisuratezza, l’iperbolicità, la sovrabbondanza sono in effetti uno dei
tratti caratteristici dello stile grottesco. Uno stile che nega la verosimiglianza, che viola le
proporzioni e le forme naturali riunendo in sé elementi eterogenei e che obbedisce solo
alla legge della libertà assoluta dello spirito. Un ritorno alla concezione extrafenomenica e
spiritualistica del mondo, libera dalla tirannide della logica. Concetto che coincide con
quello di assurdo, un nonsense alimentato dalla più volgare concezione del mondo.
Anche il motivo dello smembramento, della mutilazione e della morte violenta a cui viene
sottoposto un personaggio rinvia alla concezione liberatoria e carnevalesca del mondo.
Nel rituale carnevalesco si era soliti bastonare un burattino o dar fuoco ad un fantoccio in
un’atmosfera di finta violenza in quanto la morte ha una valenza rigenerante quale
premessa di rinascita. Infatti, come mostrato nell’opera di Rabelais, vengono fatti a pezzi,
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ingiuriati o picchiati tutti i rappresentanti del vecchio mondo, del mondo bicorporeo che
morendo dà la vita. La vita di un corpo nasce quindi dalla morte di un altro più vecchio.
Tutto avviene in un unico atto, ogni colpo al vecchio mondo aiuta il nuovo a nascere, di
conseguenza le botte divengono un’azione comica e festosa in quanto rigenerante. Allo
stesso modo nei limericks la violenza è un’astrazione. I personaggi si infliggono o
subiscono violenze con un atteggiamento passivo, indifferente, rimandando così
all’impassibilità del ruolo del burattino nella dimensione capovolta del carnevalesco; ma
in fondo potrebbe alludere anche alla compostezza e alla imperturbabilità che regolano la
vita britannica in ogni suo aspetto.
Altro elemento collegato alla corporalità e che ha un ruolo fondamentale nei valori
carnevaleschi è il cibo. A Carnevale, morendo il mondo della ragione, prendono il
sopravvento le ragioni del corpo che comprendono anche le pulsioni connesse all’atto
nutritivo, quali bere e mangiare. Un mangiare che secondo Lear, influenzato dallo stesso
Rabelais, ha valore terapeutico nel disperdere ogni malinconia. Il cibo trova poi il suo
contrappunto nonsensical nel motivo folclorico escatologico, con l’accentuazione di
particolari disgustosi come sudiciume, rifiuti, spazzatura. È il dominio dell’abbassamento
grottesco di tutto ciò che è alto, è la supremazia del “basso” (escrementi, urina), del basso
corporeo, che è quello che genera e feconda.
Inoltre connessi alla dimensione del nutrirsi, sono i vari utensili da cucina il cui uso
quotidiano, convenzionale, viene ribaltato, per trasformarli ad esempio in strumenti
musicali o armi. Come gli oggetti utilizzati durante il carnevale che vengono usati alla
rovescia, all’opposto del loro uso abituale. Nel grottesco leariano inoltre l’oggetto può
anche fagocitare il corpo sostituendolo. L’uomo ridotto all’inorganico viene così assorbito
nel nulla perdendo ogni spirito vitale.
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Il corpo grottesco è un corpo in divenire. Non è mai definito, ma esce dai propri limiti
tramite orifizi e protuberanze scavalcando i confini con il mondo. Tutti gli atti del corpo
(bisogni naturali, smembramento, assorbimento da parte di un altro corpo…) avvengono
proprio ai confini tra il corpo e il mondo, o tra il vecchio corpo e il nuovo, in cui l’inizio e
la fine della vita sono legati. Il corpo si fa quindi fonte di morte e concepimento, luogo in
cui la vita si rinnova di continuo.
Altro rappresentante del nonsense inglese è Lewis Carroll. I libri Alice in Wonderland (1865)
e Trough the Looking-Glass (1871) contengono meravigliosi esempi linguistici e logici di
nonsense, che si può intendere in due modi complementari: un uso apparentemente
sensato di parole insensate, e un uso apparentemente insensato di parole sensate. Benchè il
nonsense venga spesso inteso come mancanza di senso, in realtà è solo negazione di senso,
e presuppone dunque la sua presenza. Il fraintendimento nasce in parte dalle difficoltà di
traduzione, in cui molti giochi di parole si perdono. Ma anche per chi sappia la lingua
originale il nonsense è spesso difficile da capire, perché dipende da molti altri fattori: dai
riferimenti culturali inglesi alle espressioni della Oxford vittoriana, dai giochi dei bambini
ai versi alla moda che vengono costantemente parodiati, in maniera che oggi appare
incomprensibile. Ad esempio, le espressioni “ghigno di un gatto del Cheshire” o “matto
come un cappellaio” erano comuni all’epoca e da esse derivano appunto due personaggi
di Alice, portavoci di un mondo paradossale che mette a nudo il lato irrazionale della
natura umana. Una dimensione altra e straniante che ci lascia sospesi tra reale e irreale, un
limbo stigmatizzato dalla sospensione e dall’azzeramento di senso che caratterizza gli
enunciati di cui è intessuta l’opera.
Con la creazione di Alice in Wonderland Carroll ci conduce tramite il viaggio iniziatico
della protagonista in un mondo assurdo e beffardo in cui ogni acquisizione del concetto di
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“reale” entra in crisi. Per seguire il Coniglio Bianco cade in un onirico mondo sotterraneo
fatto di paradossi, assurdità e di nonsensi. La discesa lungo la tana è un regredire ad una
nuova dimensione spazio-temporale segnalata dall’orologio dell’animale in corsa. Un
ritorno ad un mondo in cui la mente non deve più classificare la realtà, ma può agire in
direzione di una libera creatività. Uscita dal tempo reale per entrare in quello mitico, Alice
evade dalla realtà per recuperarne una tutta individuale in cui le regole sociali e
linguistiche sono completamente ribaltate.
Gli animali parlanti che popolano questo mondo alla rovescia conducono giochi di parole
con una carica aggressiva tipica del motto di spirito. In realtà è Alice ad introdurre in
questo paese la legge del motto di spirito, la capacità di manipolare le parole facendo
emergere un contenuto represso, ma i suoi giochi di parole non sono intenzionali, a
differenza di quelli usati dai vari personaggi che incontra che divengono una forma di
aggressione. Ne è un esempio il Caterpillar, il saggio e permaloso bruco in grado di leggere
nella mente, che dà consigli ad Alice per imparare a controllare la propria statura, ma lo fa
in modo brusco, arrogante e per monosillabi; inoltre trovando fastidiosa la curiosità della
bambina preferisce schivare ogni sua domanda rispondendo con altri quesiti irritanti.
L’aggressività degli animali parlanti rivela quindi un ribaltamento del loro ruolo di
assoggettati alla ragione umana per far trionfare la ferinità.
Ma la quintessenza del nonsense è rappresentata dal Cheshire Cat in quanto rappresentante
del controllo emotivo e del distacco intellettuale dalle emozioni. È impersonale, astratto,
distaccato e cerebrale. È una delle creature più inquietanti del Wonderland: questo felino
misterioso, matto e saggio al contempo, capace di svanire lasciando dietro di sé, per un
breve istante, solo il sogghigno. Come dice Alice: «ho visto spesso un gatto senza sogghigno,