4
Introduzione
“Io non giro in widescreen e una delle ragioni per cui lo faccio
è perché so che non funzionerà mai bene in video, in televisione.
E poi io so che il mio film, giusto o sbagliato che sia,
sarà visto da più persone in televisione di quante lo abbiano visto al cinema.
E penso che la cosa sia vera per ormai quasi tutti i film.
E’ sciocco negarlo, bisogna accettarlo: è la realtà attuale.
Tanto vale che il tuo film si possa vedere anche in video.
Non puoi dire ‘Il mio film lo faccio solo per il cinema’:
ragionare così significa commettere un grande errore.”
(David Cronenberg)
Ancora Cronenberg, questa volta più “integrato” e meno “apocalittico”. Non è il solo ad
attuare questo ragionamento: molti grandi registi, fra cui Stanley Kubrick, spesso prevedono
lo schermo televisivo e girano nel formato 1,33:1, facendo poi magari proiettare nei cinema in
1,85:1 (panoramico) ed evitando di includere dettagli importanti nella fascia inferiore e
superiore dell’immagine.
Ma ciò che conta è che da quando esiste la televisione, il rapporto con il cinema è mutato a tal
punto che un regista si trova costretto a pensare, in partenza, alla mutazione che il suo film
subirà quando sarà visto su uno schermo televisivo.
Per questo, oggi, non ci si può permettere le finezze di cui si è parlato nella premessa, ma
bisogna prendere atto del fatto che la destinazione di un film non è piu soltanto la sala
cinematografica ma, in misura sempre maggiore, anche il piccolo schermo.
Il cinema ha segnato alcuni momenti fondamentali della storia della televisione italiana ed è
un buon modo per ripercorrere le varie cesure: usato con parsimonia dalla Rai monopolista,
diventa il modo migliore per riempire i palinsesti delle centinaia di piccole tv private negli
anni ’70. Negli anni ’80, grazie ad una sapiente e ponderata collocazione, contribuisce alla
nascita di un polo commerciale in concorrenza con la Rai, svecchiata anche attraverso
originali modalità di programmazione cinematografica. E poi negli anni ’90 Telepiù e i primi
sintomi della crisi, fino ad arrivare ai giorni nostri.
E proprio dalla programmazione del cinema, che a prima vista potrebbe sembrare come quella
più anonima e impersonale, hanno iniziato, o sono tuttora impegnati, alcuni dei maggiori
protagonisti della “palinsestistica” italiana e della produzione cinematografica: personalità
5
come Carlo Fuscagni, Enrico Ghezzi, Giuseppe Cereda, Carlo Freccero, Vieri Razzini,
Giancarlo Giovalli, solo per citare le più importanti.
Nonostante questo ruolo fondamentale, in Italia quasi non esistono contributi o saggi dedicati
specificamente a questo aspetto, mentre abbondano gli studi più “teorici” o che rendono conto
del ruolo della televisione come produttrice di cinema: questo lavoro vuole invece essere un
tentativo di sistematizzazione del materiale sparso negli annali televisivi, negli studi sui
palinsesti, nei resoconti giornalistici, nelle relazioni dei convegni e nei vari saggi che hanno
trattato, anche soltanto di striscio, l’argomento, adottando una prospettiva trasversale che
invada anche qualche campo confinante come il diritto e la politica. Data la vastità
dell’argomento, questa tesi non ha pretese di completezza: qualche aspetto è stato toccato solo
in superficie perché richiederebbe ben altro approfondimento e, forse, una tesi a parte (ci si
riferisce in particolare a tutto ciò che concerne il momento dell’acquisto dei diritti e allo
sfruttamento dei film da parte delle nuove tecnologie, qui trattati solo brevemente).
Questo lavoro si divide in tre parti. Nella prima si traccia un excursus storico dell’utilizzo del
cinema nella storia della televisione italiana, partendo dalla modiche dosi distillate dalla Rai
monopolista, raccontando la rivoluzione portata dalle tv private ed in particolare da Canale 5 e
successivamente affrontando gli anni ’80 e ’90, con un ampio spazio dedicato a quelle
modalità di programmazione che hanno lasciato un segno per la particolare originalità che le
contraddistingue.
Nella seconda parte ci si concentra sugli aspetti legislativi che regolano la trasmissione dei
film in tv, tre in particolare: l’inserimento delle interruzioni pubblicitarie, che negli anni ha
scaturito un dibattito qui ampiamente ricostruito; le censure e i divieti, raccontando quanto è
cambiato dalla timida e “paterna” censura della Rai al complesso ambito delle derubricazioni
oggi, senza tralasciare il racconto di qualche film più o meno volontariamente dimenticato
dalla televisione; ed infine le quote europee di trasmissione.
La terza parte è dedicata alla situazione attuale, con un’esaustiva panoramica delle principali
reti generaliste e satellitari, tentando di spiegare i motivi della crisi e le modalità con cui i
network stipulano accordi con le case di produzione cinematografica. Ampi cenni sono
dedicati anche alle novità tecnologiche, dal digitale terrestre alla televisione via internet.
Solitamente, quando ci si mette a ragionare così analiticamente attorno a qualcosa, è perché si
percepisce che quell’esperienza è sulla via dell’esaurimento e si tenta perciò un bilancio:
potrebbe essere questo il caso del rapporto fra il cinema e la televisione (generalista,
beninteso), iniziato fin dal primo giorno di programmazione Rai (3 gennaio 1954, alle 17:30,
Le miserie del signor Travet di Mario Soldati).
6
In questa tesi si cerca di dimostrare come e perché il cinema in tv abbia oggi perso molto
dello splendore che lo contraddistingueva fino a qualche anno fa, quando era un prodotto di
punta e irrinunciabile in qualsiasi palinsesto. Oggi, come si dirà in conclusione, solo i servizi
che offrono i film ad una distanza ravvicinata dall’uscita nelle sale (la pay-tv, innanzitutto)
sembrano potergli attribuire ancora una certa rilevanza, a differenza della tv free che sta
sempre più relegando il cinema negli spazi di minore importanza.
Desidero ringraziare i dirigenti di Mediaset Antonio Mariani, Luca Rizzi e Aldo Romersa per
avermi gentilmente fornito materiale, aneddoti e spunti importanti.
7
Capitolo 1
Cenni storici sull’utilizzo dei film in tv
1.1. Il cinema negli anni del monopolio Rai
Nel 1961, in quella che è forse la prima raccolta organica italiana di contributi sulla
televisione
1
, un giovane Tullio Kezich si occupa di rendere conto dei rapporti fra la tv e le
altre forme di spettacolo, dedicando all’emissione di film poche lapidarie righe: “La
trasmissione di film preesistenti, realizzati per le sale cinematografiche e non per la tv in Italia
non sembra molto gradita e, salvo casi eccezionali di film di particolare valore artistico, ha
carattere di riempitivo”
2
.
La situazione non si modifica negli anni successivi: nel periodo del monopolio Rai, dal 1954
al 1976, la Rai diffonde in media soltanto 117 film l’anno
3
, una media di circa due film a
settimana (fondamentalmente, il lunedì sul Primo Canale e il martedì sul Secondo). Questa
“parsimonia” della Rai nei confronti della messa in onda del cinema si può ricondurre a due
principali motivazioni:
- in base ad accordi sottoscritti con l’Anica per non penalizzare le sale
cinematografiche ci sono giorni in cui non si possono programmare film (per
esempio la domenica) e non si possono programmare più di due film la settimana
4
;
- la missione pedagogica della Rai di quel periodo ha nei romanzi sceneggiati e nel
teatro le sue massime espressioni
5
, anche perché il cinema, soprattutto quello
americano, è visto dai servizi pubblici europei come puro e semplice
entertainment
6
.
I film trasmessi in quegli anni, inoltre, sono pellicole ormai fuori dal normale circuito
distributivo e risalenti quasi interamente al periodo prebellico, con rare presenze straniere ed
1
Televisione e cultura, supplemento alla Rivista Pirelli, n°3, giugno 1961.
2
T. KEZICH, L’occhio della telecamera, in Televisione e cultura, cit., p. 92.
3
Intervento di E. MILANO, in Atti del convegno Cinema e televisione: chi è Davide, chi è Golia, ERI, Torino,
1989, p. 56.
4
Rai, la tv che ha fatto il cinema - Intervista a Massimo Fichera, in “Link Idee per la televisione”, n°3/2004,
RTI, p. 24.
5
F. DI CHIO - G. PARENTI, Manuale del telespettatore, Bompiani, Milano, 2003, p. 219.
6
P. ORTOLEVA, Cinema e televisione, in G.P. BRUNETTA (a c. di), Storia del cinema mondiale, vol. I, Einaudi,
Torino, 1999, p. 1005.
8
il recupero di tutti i possibili artigiani o mestieranti del cinema nostrano come Soldati,
Mattòli, Zampa, Mastrocinque ecc. Non mancano comunque eccezioni importanti, come il
capolavoro di Roberto Rossellini, Roma città aperta, trasmesso il 7 febbraio 1954
7
ed altre
opere rosselliniane isolate nel 1960 come “film del mese”, o cui è conferita un’investitura
d’autore: l’etichetta “Documenti del cinema italiano”
8
.
Questo è solo l’inizio di una pratica che sarà poi ampiamente diffusa dagli anni ’60 e che,
nonostante qualche degenerazione, durerà fino ai giorni nostri. Così come nei cineforum
particolarmente in voga in quegli anni, la televisione organizza la messa in onda di film in
cicli, strutturati per tematiche, registi, scuole, sceneggiatori, attori, ecc.: solitamente ogni ciclo
è “a cura di” un critico che, prima o dopo la messa in onda, presenta o spiega l’opera. Accade
così che alcuni critici come Gian Luigi Rondi, Fernaldo Di Giammatteo, Claudio G. Fava e
molti altri diventano presenze abituali nelle case degli italiani, chiamati a contestualizzare
quello che gli spettatori avrebbero visto.
Ecco i criteri in base ai quali si scelgono i cicli o i film da programmare secondo Claudio G.
Fava, in Rai fin dagli anni ‘60, il primo a proporre cicli a tema firmati e dal 1976 responsabile
della programmazione cinema della prima rete:
- “in base alla disponibilità dei film sul mercato, alla possibilità di reperire quelli
‘difficili ma non impossibili’;
- in base ad un certo livello medio di decorosità di programmazione;
- in base a scelte di gusto nei confronti di temi, registi, attori, sceneggiatori e periodi
che possono costituire una ragionevole base per un ciclo;
- in modo da alternare film drammatici, avventurosi, western, polizieschi,
commedie, eccetera, in modo da offrire al pubblico un certo sapore di alternativa;
- in base a precisi limiti di budget: […] è molto difficile avere i film che si vogliono,
soprattutto se si è tenuti ad osservare alcuni parametri di costi. Non esistono, dal
punto di vista tv e soprattutto per quel che riguarda le grandi case americane, i film
“fuori circuito” e perciò automaticamente cedibili alla Rai. […] Vi sono delle
grandi case italiane, per esempio, che per principio, non vendono (o non vendono
più) alla Rai”
9
.
7
L. PELIZZARI, Il misterioso caminetto della regina Rai, in A. BARBERA (a c. di), Cavalcarono insieme,
Mondadori Skira, Milano, 2004, pp. 49-51.
8
V. ZAGARRIO, L’anello mancante, Lindau, Torino, 2004, pp. 151-152.
9
Straziami ma di baci saziami - I film in tv: parlano Claudio G. Fava, Pietro Pintus e Patrick Brion dell’ORTF,
“Almanacco Cinema”, n°1/1978, Edizioni Il Formichiere, Milano, pp. 58-59.
9
Già allora esistono alcune elementari regole di programmazione: i cicli più “popolari” (Sordi,
Hepburn, Bogart, Newman sono esempi di cicli di grande successo
10
) sono trasmessi
soprattutto il lunedì in prima serata sul Programma Nazionale, mentre quelli che presentano
cinema d’autore e dunque più rischiosi sono relegati in fasce orarie più “nascoste”, come la
seconda serata del Secondo Canale
11
.
Non essendo l’argomento centrale di questo lavoro, si spende solo qualche cenno per quello
che però resta uno dei più importanti e indiscutibili contributi dati dalla Rai al cinema a
partire dagli anni ’60: la produzione di veri e propri film per la tv o di film destinati ai
tradizionali circuiti delle sale di cui veniva però preacquistato il “diritto d’antenna”.
E’ il 1966 l’anno della prima produzione cinematografica della Rai: Francesco d’Assisi di
Liliana Cavani, mentre nel 1968 Dino De Laurentiis produce per conto della Rai l’Odissea.
Negli anni ’70 la Rai produce così alcuni fra i capolavori dei più grandi registi italiani: basti
citare Fellini, Bertolucci, Olmi (che nel 1978 vincerà il Festival di Cannes con L’albero degli
zoccoli), oltre a contribuire alla scoperta di nuovi talenti cinematografici attraverso i cosiddetti
“Sperimentali per la tv” che hanno avuto il merito, tra l’altro, di produrre le prime opere di
Gianni Amelio
12
.
In questo modo la Rai ha potuto trasmettere opere cinematografiche importanti a distanza di
pochi anni dal loro passaggio nelle sale e diventare, “se non il maggior produttore italiano di
cinema, certamente uno fra i più autorevoli e, per molti versi, imprescindibile”
13
.
10
W. VELTRONI, I programmi che hanno cambiato l’Italia, Feltrinelli, Milano, 1992, pp. 287-290, che riporta i
dati d’ascolto dei film più visti secondo il “Barometro” della Rai.
11
Straziami ma di baci saziami - I film in tv: parlano Claudio G. Fava, Pietro Pintus e Patrick Brion dell’ORTF,
cit., pp. 62-64.
12
I. MOSCATI, Dagli sperimentali tv…, in V.ZAGARRIO (a c. di), Cine ma tv, Lindau, Torino, 2004, pp. 93-108.
13
A. BARBERA, Lo schermo e il suo doppio, in ID. (a c. di), Cavalcarono insieme, cit., p. 14.
10
1.2. L’arrivo delle tv private
Gli anni ’70 in Italia sono un periodo di grandi sconvolgimenti per la televisione: nel 1971
nasce la prima rete privata a livello locale, Telebiella, e sul suo esempio nascono in fretta
molte altre televisioni via cavo e via etere. Nel 1974 la sentenza n. 226 della Corte
Costituzionale avvia la liberalizzazione del mercato, almeno in “ambito locale”.
Il monopolio di stato subisce un altro attacco dalle televisioni straniere: Telecapodistria, la
radiotelevisione svizzera RTSI e Telemontecarlo allargano sempre di più il raggio di
diffusione del loro segnale nel nostro paese, legittimate dalla sentenza n. 225/1974.
E’ il 1976, però, il vero anno di svolta per l’emittenza privata italiana: è ancora una sentenza
della Corte Costituzionale (n. 202) a delegittimare una volta per tutte il monopolio Rai, oltre
ad aprire il periodo che si indica comunemente come fase di deregulation; nel corso di
quell’anno nascono numerose emittenti televisive, tra cui Quinta Rete dell’editore Rusconi
(che diventerà Italia 1) e Antenna Nord di Mondadori (la futura Retequattro). Quella che
invece diventerà Canale 5, TeleMilano, era già nata via cavo nel 1974 (v. cap. 1.3.)
14
.
Le centinaia di tv private sorte in quegli anni trasmettono film in assoluta libertà, non
dovendo rispettare nessun tetto né legge: anche la limitazione prevista dall’art. 13 della L.
161/1962 che proibisce di trasmettere film vietati ai minori di 18 anni viene contestata,
ritenendola limitata al servizio pubblico
15
. I network trasmettono massicciamente film a ogni
ora del giorno e della notte, accaparrandosi i magazzini vecchi e nuovi (cominciando con i
produttori in difficoltà, che certo non mancano) e tralasciando ovviamente tutte le forme di
protezione della distribuzione cinematografica italiana che erano state attuate dalla Rai. I film,
anche molto recenti, sono continuamente interrotti dalla pubblicità. Non esiste alcuna
statistica dei film trasmessi ma i numeri sono comunque imponenti: c’è chi calcola 10.000
film trasmessi dalle private fra il 1976 e il 1981
16
.
Impossibile, pertanto, descrivere con certezza questo fenomeno, anche perché spesso sui
palinsesti presentati dalle tv private non vengono specificati i film trasmessi, forse perché non
sempre dispongono dei diritti regolarmente acquistati (v. esempio in fig. 1).
Qualche esempio clamoroso e di cui si ha ancora notizia: La stangata trasmesso da
TeleCarrara in una copia pirata, ad un anno soltanto dal passaggio nelle sale, o Il seme del
14
A. GRASSO - M. SCAGLIONI, Che cos’è la televisione, Garzanti, Milano, 2003, pp. 371-380.
15
E. MENDUNI, Televisione e società italiana, Bompiani, Milano, 2002, pp. 66-67.
16
Ibi, p .81.
11
tamarindo di Blake Edwards, trasmesso la sera dell’inaugurazione della napoletana Canale
21, il 15 agosto 1976, ed uscito nelle sale due anni prima
17
.
Figura 1 - Palinsesto di Telestudio, Domenica 24 agosto 1980
Fonte: “Scelta TV” – www.sceltatv.org
Possono essere utili due resoconti scritti all’epoca: il primo, più critico, sostiene che “i film
trasmessi dalle tv libere sono di scarso livello, […] il prodotto è sempre lo stesso: non solo
viene riproposto a varie ore del giorno, non solo viene riciclato e ritrasmesso la mattina
successiva, ma ricompare nelle stazioni televisive, uniformando, in qualche modo, la
qualità”
18
.
Più divertito e corposo è un resoconto collettivo del 1979 che ha monitorato un’intera
settimana di trasmissioni delle tv private nel giugno di quell’anno: ne esce un quadro
incredibile dove film d’autore si mescolano a horror di serie b e film erotici, a tutte le ore del
giorno, senza un apparente criterio
19
. Il motivo di tale proposta di cinema “caotica, frenetica,
bulimica”
20
è ben spiegato dal programmatore di una tv privata romana: “è una questione
puramente economica: le pellicole sono la cosa che costa di meno. A parte quelle emittenti
più deboli economicamente che non comunicano sui giornali i film da trasmettere – il che
significa che provano a non pagare i diritti – tutte le teleprivate, chi più chi meno, dipendono
da alcuni grandi distributori di ‘riversamenti’. […] La qualità delle pellicole è quella che è:
inoltre in fase di riversamento della copia spesso si tende a correggere il colore per farlo
‘sparare’ di più”
21
.
17
G. DOTTO - S. PICCININI, Il mucchio selvaggio, Mondadori, Milano, 2006, pp. 27-35.
18
V. ZAGARRIO, Introduzione. Da “Matrix” a “Metix”, in ID. (a c. di), Cine ma tv, cit., pp. 18-20, che riprende
un articolo dello stesso autore pubblicato nel 1977 nelle pagine locali di “Paese Sera”.
19
L’etere inquieto, in “Il Patalogo”, n°2, 1980, Ubulibri, Milano, pp. 203-213.
20
G. SIMONELLI, I peggiori anni della sua vita, Effatà Editrice, Torino, 2004, p .42.
21
Ibi, p. 205.