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1 Evoluzione dell’architettura cimiteriale
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1 Evoluzione dell’architettura cimiteriale
1.1 Le prime tombe monumentali
Mentre i menhir non erano dei monumenti funerari, ma dei grandi monoliti sagomati in modo da assumere una forma aguzza e slanciata, i
dolmen e le gallerie coperte, al contrario, erano, delle tombe. Il termine dolmen, deriva dall’antico brètone tòl (tavola) e mèn (pietra);
letteralmente significa quindi tavola di pietra. I dolmen, infatti, sono strutture megalitiche costituite da due o più elementi monolitici verticali
aventi funzione di veri e propri pilastri sui quali viene appoggiato un enorme lastrone di pietra (la tavola, appunto). Ogni dolmen raccoglieva
in un solo edificio le sepolture di tutta una famiglia, oppure di un villaggio. Ancora verso il 1800 a.C., numerosi dolmen a corridoio e delle
gallerie coperte erano utilizzati come sepolcreti.
Sin dai tempi della grande civiltà mesopotamica ed egiziana, la grande architettura è stata proprio quella funeraria. Secondo gli autori greci,
gli Egiziani chiamavano le tombe abitazioni esterne, o dimore di eternità. Il termine casa di eternità fu ripreso dagli Israeliti, che battezzarono
le loro tombe anche case di vita.
In Egitto, nulla è sopravvissuto delle città antiche e dei palazzi dei faraoni, salvo ché le tombe: Memphis è scomparsa, ma tutto intorno a
quella che fu la città restano centinaia di tombe.
Dal profondo credere nella presenza di un aldilà, nacquero architetture come le màstabe prima e le piramidi poi, espressione, di grado più
elevato, del senso del vivere, nonché, rinnovata formulazione di uno spazio immenso, assai più complesso, replica fedele della più
importante stanza della reggia, sede del sarcofago del faraone. Inizialmente, le piramidi erano grandiose sovrapposizioni di più mastabe una
sull’altra.
La mastaba, si compone essenzialmente di due parti. La prima, sotterranea, è costituita da un sepolcreto (dal latino sepelìre: seppellire)
scavato in fondo a un pozzo che a volte può essere anche assai profondo (oltre venti metri) e articolato in più livelli. In esso viene calato il
sarcofago del defunto e in alcune altre sale sotterranee contigue vengono deposti gli oggetti di cui egli potrà servirsi nella vita ultraterrena. La
seconda parte della mastaba, quella in superficie, ha la funzione di chiudere per l’eternità il pozzo di accesso al sepolcreto e di indicarne la
presenza in modo monumentale, accogliendo spesso al suo interno anche cappelle per le offerte e celle per le preghiere dei parenti. Questa
parte esterna della mastaba, venne costruita in un primo tempo in mattoni crudi e, successivamente, in pietra calcarea. Essa presenta una
pianta solitamente rettangolare, con l’asse maggiore orientato in direzione nord-sud. Le spesse mura perimetrali, alte circa cinque -sei metri,
sono scarpate, cioè inclinate, e da ciò deriva il nome di mastaba che in arabo significa panca. Coperta con un tetto piano, la mastaba egizia
assume quindi la forma di un massiccio tronco di piramide. Esse hanno una singolare funzione simbolico – religiosa: consentono al kà del
defunto (cioè alla sua anima immortale) di passare dalla sua dimora ultraterrena al mondo dei vivi e viceversa.
Il primo architetto conosciuto, Imhotep, l’autore della piramide a gradoni del faraone Zoser, il solo architetto che sia stato divinizzato,
fu prima di tutto il progettista di una tomba. A Imhotep, si attribuisce anche l’edificazione dell’intera necropoli (dal greco nekròs, cadavere e
pòlis, città) di Saqqara, che altro non era che il vasto cimitero monumentale della vicina Menfi, la prima capitale dell’Egitto. La piramide di
Zoser, formata da sei enormi piattaforme, o gradoni, è realizzata con blocchi di pietra calcarea squadrati e allineati in filari sovrapposti
leggermente inclinati verso l’interno. Come tutte le piramidi a gradoni è una struttura massiccia, cioè priva di qualsiasi spazio interno: la
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camera sepolcrale e gli appartamenti per la vita ultraterrena del defunto si trovano, infatti, sotto terra. Vi si accedeva mediante un pozzo
verticale profondo quasi trenta metri, scavato nel granito e ostruito per sempre, almeno secondo le intenzioni dell’architetto, dalla gigantesca
mole della piramide stessa.
La tipologia delle piramidi a gradoni ha, come evoluzione, quella delle piramidi a facce lisce. La loro struttura interna resta sostanzialmente
inalterata, ciò che muta è soprattutto l’esterno, in quanto i gradoni vengono nascosti da un rivestimento in lastroni squadrati di pietra calcarea.
Questo conferì alla costruzione una forma pura ed essenziale, probabilmente legata a considerazioni di tipo geometrico e astronomico. La più
celebre piramide egizia a facce lisce è quella che il faraone Chèope, si fece costruire a El-Giza, presso il Cairo, sulla riva occidentale del Nilo,
intorno al XXVI secolo a.C.. Caratteristica unica di questa piramide, è che la cella funeraria del faraone Cheope, è posta non alla base, ma
quasi al centro della costruzione.
Ogni piramide comportava inoltre la costruzione di una banchina di attracco provvista di portici, destinata dapprima a servire da scalo di
approvvigionamento per il cantiere, poi da luogo di raccolta per il corteo funebre.
Le piramidi reali e il complesso monumentale ad esse collegato costituivano dunque una fortezza intorno a cui si estendeva la città dei morti,
costruita a scacchiera, poiché le tombe erano delimitate da una serie di strade che si tagliavano ad angolo retto.
Si nota in questo periodo uno sforzo per moltiplicare le difficoltà di accesso alla camera sepolcrale: si costruivano corridoi ciechi, a volte
addirittura si eliminava qualunque accesso alla camera funeraria, che formava in questo caso una grande vasca monolitica, coperta da enormi
lastroni.
E’ stato rilevato che esiste un rapporto fra l’estensione delle gallerie e la durata del regno del faraone; si è perciò ipotizzato che il faraone,
appena salito al trono, desse inizio ai lavori per la sua tomba.
Intorno alle piramidi, le buche di cui è disseminato il terreno indicano i pozzi funerari dove erano sepolti i servi del faraone: i sudditi
continuavano a circondare il monarca da morto, come da vivo. Le mummie dei servi a volte erano deposte per terra, all'interno della camera
funeraria, attorno alla mummia del loro padrone; nei corridoi le mummie erano accatastate le une sulle altre, a volte fino al soffitto. La pianta
della necropoli, con la fortezza reale al centro, una vera e propria cittadella chiusa in se stessa, con le strade disposte a scacchiera tutto intorno,
ben corrisponde a quella della città dei vivi.
E’ dunque la casa il modello di riferimento di qualsiasi forma di sepoltura dell’antichità; gli stessi sarcofagi rappresentano una riproduzione,
sia pure in scala ridotta, dell’abitazione egiziana.
Seppure meno famose di quelle egizie, le tombe a tholos della civiltà micenea hanno un importante significato per l’analisi dell’evoluzione
del tipo, a seconda delle diverse concezioni dell’oltretomba e delle diverse collocazioni geografiche. La cultura micenea, infatti, svuota l’aldilà
del senso fisico di conservazione della salma che pervade tutta la cultura egiziana, dando all’ultima dimora una spazialità e una monumentalità
più essenziale.
La tomba a tholos, è una grande camera circolare (dal diametro di circa 14,20 metri, alta circa 13,60 metri) costituita da una pseudocupola
formata da un certo numero di anelli lapidei disposti l’uno sull’altro. Ognuno di questi, si compone di grossi massi squadrati; all’aumentare
dell’altezza, gli anelli si restringono sempre più fino a che la struttura non si chiude. Ciò si ottiene facendo aggettare i massi di ogni singolo
anello rispetto a quelli sottostanti. La faccia di ogni elemento squadrato rivolta verso l’interno del vano era sagomata in modo da formare, una
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superficie perfettamente liscia. La continuità della superficie interna, dà alla tholos l’aspetto di una cupola, ma non avendo il relativo
funzionamento statico, si parla di pseudocupola (falsa cupola). La tholos è preceduta dalla dromos o corsia di accesso, tutta realizzata con
grandi blocchi di pietra e caratterizzata da una maestosa porta alla quale era affidato tutto l’imponente apparato decorativo dell’intera struttura;
la camera sepolcrale vera e propria, è un ambiente quadrangolare, che affianca la grande camera, destinata invece, a contenere il corredo
funebre. La più nota di queste architetture funerarie, è il cosiddetto Tesoro di Atreo, noto anche come Tomba di Agamennone, a Micene.
Dalla sepoltura all’interno della stessa abitazione, dalla tomba isolata egizia o micenea, si è giunti alla organizzazione della sepoltura
tipicamente rispondente all’elevato grado di razionalità e coordinamento proprie della concezione etrusca dell’essere dell’uomo sulla terra. Gli
etruschi, privilegiarono l’architettura funeraria, in quanto era proprio nel mistero della morte che gli dei manifestavano maggiormente la loro
supremazia. Generalmente le tombe etrusche erano riunite in apposite necropoli, poste fuori dalla cinta muraria delle città dei vivi, ma come
queste orientate ed ordinate, ove possibile, secondo assi viari tra loro perpendicolari. Le tipologie costruttive erano diverse, in base sia al
periodo di costruzione sia, soprattutto, alla collocazione geografica. Esse, possono essere raggruppate in almeno tre grandi categorie:
costruzioni ipogee; costruzioni a tumulo; costruzioni a edicola.
La tomba ipogea, completamente scavata sotto terra o nel fianco di una parete rocciosa, è costituita da una camera sepolcrale larga sette -otto
metri e alta due, inizialmente coperta da un soffitto a due spioventi, poi da un soffitto piano sorretto da sostegni in pietra isolati dalla roccia
già nel momento dello scavo, con affreschi e dipinti alle pareti, alla quale si aggiungono, in periodi successivi, una serie di loculi secondari.
Un ulteriore evoluzione porterà ad una diversa forma di copertura che caratterizzerà l’ultima fase della civiltà etrusca con l’introduzione
dell’elemento voltato a botte.
Le tombe a tumulo, erano così chiamate in quanto, una volta costruite, venivano ricoperte da un tumulo di terra,in modo da formare una sorta
di collinetta artificiale; avente la duplice funzione di identificare il luogo di sepoltura e nel contempo di proteggere l’edificio funerario
sottostante. I tumuli, a pianta generalmente circolare erano sostenuti da strutture di vario tipo (pseudocupole, pseudovolte, lastroni piani)
appoggiate ad una struttura cilindrica detta tamburo, il quale, poteva essere parzialmente fuori terra e realizzato mediante blocchi squadrati di
tufo o, ricavato scavando il terreno roccioso. Anche le tombe a tumulo si articolavano, come quelle ipogee, in una o più camere
sepolcrali, in relazione alle necessità e, soprattutto, alle possibilità economiche delle famiglie. L’accesso ad una tomba a tumulo, avveniva
attraverso un’interruzione del tamburo esterno di contenimento; da qui si imboccava un corto dromos discendente, in genere coperto a
pseudovolta. Questa consisteva in una serie di lastroni di pietra che, collocati in filari sovrapposti, sporgevano sempre più verso l’interno fino
a toccarsi, creando una sorta di galleria di sezione approssimativamente semicircolare. Il dromos immetteva a sua volta nella camera
sepolcrale che è quasi sempre a pianta quadrata o rettangolare. La copertura di tale camera (e di quelle secondarie eventualmente esistenti)
poteva essere, a tholos, piana o anche a spioventi.
Le tombe a edicola (dal latino aedìcula: tempietto), dette heroion, avevano la forma di un tempio in miniatura (o edicola), venivano costruite
isolate esclusivamente fuori terra; realizzate interamente in pietra, erano quasi sempre di piccole dimensioni e si componevano di un’unica
camera nella quale il defunto veniva celebrato come un eroe.
Questi due caratteri -introversione all’interno della terra e estroversione attraverso la creazione di piccoli templi- permarranno, con le
evidenti mutazioni, fino ai giorni nostri.