2
Il riferimento ad autori come Lévi-Strauss e B.Malinowski è,
alla luce di quanto abbiamo detto, ampiamente giustificato dal
fatto che i due antropologi hanno effettuato approfonditi studi
sull’argomento che qui trattiamo.
«Categorie empiriche –afferma Levi Strauss ne Il crudo e il
cotto- quali crudo e cotto, fresco e putrido, bagnato e bruciato
ecc.., definibili con precisione attraverso la semplice
osservazione etnografica e assumendo ogni volta il punto di
vista di una cultura particolare, possono fungere da strumenti
concettuali per far emergere certe nozioni astratte e concatenarle
in proposizioni»
1
.
Il lavoro dell’antropologo francese pone l’attenzione su
una polarizzazione ,il crudo e il cotto appunto, dietro la quale si
nasconde l’opposizione tra stato di natura e stato di cultura.
1
Lévi Strauss – Il crudo e il cotto - Est Il Saggiatore- Milano 1999 p.13
3
«L’asse che unisce il crudo e il cotto è caratteristico della
cultura, quello che unisce il crudo e il putrido lo è della natura,
giacchè la cottura compie la trasformazione culturale del crudo,
come la putrefazione ne è la trasformazione naturale»
2
Opposizione che si ritrova anche nel rapporto miele-
tabacco, con valenze diverse dal momento che il secondo dei
due elementi di fatto, non appartiene alla cucina.
Il miele infatti è prodotto dalle api che lo offrono già
pronto per l’uso; il tabacco, invece, è l’elemento artificiale
prodotto dall’uomo non per essere consumato bensì bruciato
Ne “Il crudo e il cotto”, l’analisi di un mito Bororo, che narra
la storia di uno snidatore d’uccelli, e dei miti ad esso collegati,
provenienti sia dalla stessa società sia da altre vicine e lontane,
permette a Lévi Strauss di rilevare, dietro i simboli, come le
categorie della natura e della cultura creino la polarizzazione di
2
.Lévi Strauss op. cit. p.191
4
altre sub-categorie che sono attratte nell’una o nell’altra area
macro-categoriale per rapporti di omogeneità, similarità,
contiguità ecc.
Il cibo, dunque, assume nella cultura dei diversi popoli
un’importanza centrale tale che attorno ad esso si coagulano altri
valori che nel cibo trovano un mezzo rappresentativo-
metaforico.
Forse è per questo motivo che, come vedremo,
l’assunzione del cibo, per l’uomo, si è sempre caricato di valenze
e di significati che vanno al di là del mero bisogno fisiologico-
nutrizionale.
«Gli esseri umani quando mangiano e bevono non
ricorrono direttamente alla natura né assolvono un mero atto
anatomico e fisiologico. Sia che osserviamo i gruppi più
primitivi, una tribù aborigena australiana, un piccolo gruppo di
abitanti della Terra del Fuoco, o una comunità americana o
5
europea raffinatissima, incontreremo ovunque manifestazioni di
“commensalismo”. Le persone mangiano spesso assieme su una
tavola comune o su un pezzo di impiantito riservato a questo
scopo, attorno a un fuoco a una tavola o a un bar. Troveremo
anche che il cibo è già stato preparato, cioè scelto , cotto,
arrostito e condito. Viene usato qualche apparato fisico per
mangiare, si osservano determinate buone maniere e si
definiscono accuratamente le condizioni sociali dell’atto.»
3
L’aspetto “culturale” del cibo viene evidenziato
dall’antropologo Malinowski non solo in relazione all’atto del
mangiare ma anche a tutto quanto ruota attorno al cibo:
produzione, distribuzione, conservazione.
É quindi evidente che l’espletamento di tali funzioni mette
in moto una serie di attività accessorie quali, per esempio, la
produzione di utensili per l’agricoltura.
3
B.Malinowski- Teoria scientifica della cultura - Feltrinelli , Milano 1971 p.101
6
Infatti, poiché il «vivere implica prima di tutto il mangiare
e il bere ,come afferma Marx in Ideologia Tedesca, la prima azione
dell’uomo, singolo o associato, fu nei tempi più remoti ed è
ancora oggi la creazione di mezzi e strumenti atti a soddisfare le
funzioni e i bisogni nutrizionali.
4
»
La funzione del cibo, dunque, presuppone la presenza di
gruppi organizzati nelle varie fasi che la precedono (produzione,
distribuzione, conservazione, manipolazione) e nella fase di
consumo vero e proprio.
Poiché le attività sociali hanno bisogno di essere
organizzate, emerge allora un altro elemento attinente al cibo ed
alla sua valenza culturale: l’esistenza di «regole di
comportamento che si riferiscono alla tecnologia in ogni attività
parziale, norme definienti la proprietà in termini di contributo, e
regole riguardanti il ritmo dell'’appettito, la ripartizione del
4
Abbagnano/Fornero Protagonisti e testi della filosofia, vol.III Paravia- To- 1996 p.368
7
prodotto preparato e le maniere di consumare il cibo, sono
anch’esse indispensabili al sistema quanto le sue funzioni
materiali.»
5
5
Malinowski, Teoria scientifica della cultura, op.cit. p.104
8
Capitolo secondo
Cibo: bisogno fondamentale e risposta culturale
Come si evince dal manuale di antropologia culturale di
R Ember e M. Ember «Nelle società umane le attività che vengono
messe in opera per procurarsi il cibo hanno la precedenza su
tutte le altre attività relative alla sopravvivenza. La riproduzione,
il controllo sociale, la difesa contro minacce esterne, la
trasmissione di conoscenze e di abilità alle generazioni
successive: niente di tutto questo potrebbe essere messo in atto
senza l’energia ricavata dal cibo»
1
Le attività svolte per procurarsi il cibo e le modalità che
vengono messe in atto segnano profondamente aspetti della
cultura che vanno dalla dimensione della comunità al tipo di
1
Ember-Ember , Antropologia culturale, Il Mulino, Bologna 1998 p.115
9
sistema politico, fino ad incidere sugli stili artistici, sulle
credenze ed sulle pratiche religiose.
Quando si prende in considerazione l’alimentazione si
nota subito una grande diversità tra i gruppi umani, diversità che
non è data soltanto dall’ambiente naturale e dalle sue risorse ma
anche dalle scelte di produzione, dalla commestibilità delle
sostanze, dal modo di preparare gli alimenti, dal comodo di
presentarli e condividerli.
Al di là di tale diversità è tuttavia possibile rintracciare
tratti comuni che caratterizzano le cucine locali quali per
esempio:«la socializzazione, l’unione, la comunione, la
dimensione conviviale che si stabilisce tra le persone».
2
Infatti è «attorno alla tavola che si formano e si
cementano gruppi, a volte si tessono trame, si stabiliscono affari,
si fanno promesse e giuramenti. Attorno alla tavola si creano o
2
Teti Vito , Il colore del cibo, Meltemi, Roma ,1999 p.88
10
si consolidano amicizie e rapporti,»
3
la condivisione del cibo è
fondamentale nella creazione delle reti di parentela e di amicizia.
L’uomo odierno possiede in sé ,come risultato di
un’evoluzione di milioni di anni, tutto ciò che è necessario per
adattarsi a ogni ecosistema vitale.
«Questa eccezionale variabilità di Homo sapiens implica
anche che non gli è sufficiente riconoscere ciò che è buono per
lui all’interno di un territorio di possibilità alimentari. L’homo
sapiens ha altresì bisogno di conoscere e di organizzare le sue
conoscenze in saperi e know how da trasmettere. L’immensa
varietà di sistemi alimentari e delle tradizioni culinarie umane
deriva direttamente dall’individualità degli ecosistemi umani»
4
Quindi l’uomo per potere sopravvivere deve classificare la
natura e in questo ambito la scelta culturale diventa elemento
discriminante dividendo il mondo in due categorie:
3
ibidem p.76
4
Guerci Antonio , Il cibo culturale , Erga , Genova ,1999, p.10
11
“commestibile” e “non commestibile”. La categoria del
commestibile è, a sua volta, suddivisa in “mangiabile” e “non
mangiabile”; questa seconda categorizzazione è all’origine delle
tradizioni alimentari e delle tradizioni culinarie.
«É la suddivisione fra “mangiabile e “non mangiabile” che
introduce la variabilità alimentare all’interno di una medesima
specie ».
5
Inoltre le preferenze alimentari dipendono dal tipo di
identificazione che le popolazioni compiono con un
determinato cibo, distinguendo il cibo quotidiano o festivo,
ordinario o di lusso, essenziale o superfluo; ma dipendono
anche da fattori psicologici individuali.
Dal lavoro sul campo svolto dall’antropologa inglese
M.Douglas sui Lele, abitanti della regione del Kasai nella foresta
tropicale, riguardo l’atteggiamento verso il cibo ,si nota da un
5
Guerci Antonio op. cit p .10
12
lato la consapevolezza della superiorità dell’uomo rispetto
l’animale, dall’altro il bisogno di evitare lo sporco.
In tal senso è possibile affermare con la Douglas che
«l’uomo è (essenzialmente)un animale culinario»
6
, l’unico in
grado di esercitare una attenta e oculata discriminazione nel
mangiare.
Infatti , presso i Lele , il cibo in genere viene spezzettato e
cotto e non mangiato allo stato naturale: l’ananas per esempio
non è servito nature ma condito con sale e pepe, la farina di mais
o di manioca deve essere cotta , non viscida , le banane si
mangiano verdi, se mature si gettano via; e questo perché « i cibi
viscidi suggeriscono loro gli escrementi, tebe .
7
»
Viceversa in situazione di rabbia o di lutto i Lele rifiutano
il cibo cucinato per un certo periodo di tempo, abbandonando
così « le arti della civiltà
8
»
6
M.Douglas , Antropologia e simbolismo , Il Mulino, Bologna , 1985, p.36
7
ivi , p.36
8
ivi, p.36
13
Si nota in tal modo come il gruppo sociale dei Lele sia
fortemente discriminante e selettivo nelle scelte alimentari, scelte
destinate a sottolineare differenze di status non solo tra uomini e
donne, adulti e bambini appartenenti alla medesima tribù, ma
anche finalizzate a creare una rigorosa demarcazione tra gruppi
sociali diversi.
Tale discriminazione alimentare è poi evidente se
prendiamo in considerazione il rapporto esistente tra i Lele e i
cibi derivati dagli animali.
Se alcuni animali quali topi, gatti, cani, sciacalli, sono
assolutamente aborriti e rifiutati, quali elementi commestibili,
dall’intero gruppo, altri animali, come per esempio serpenti e
pipistrelli, evitati dagli adulti vengono consumati dai bambini,
finchè non sia stata raggiunta l’età della ragione.
14
Allo stesso modo le uova consumate dalle bambine in età
adolescenziale, costituiranno una sorta di tabù alimentare dopo il
matrimonio.
Analizzando la grande varietà dei costumi alimentari ed i
comportamenti ad essi connessi, appare con evidenza
l’importanza del ruolo svolto dal cibo nella vita sociale.
Come afferma Mary Douglas «i beni (il cibo)
9
sono la
parte visibile della cultura. Sono disposti in prospettiva e
gerarchia che consentono di esplicare liberamente tutta la
gamma di discriminazione di cui è capace la mente umana»
10
Il consumo del cibo è pertanto l’espressione di scelte, di
comportamenti, d’atteggiamenti che sono stati definiti dagli
individui nel corso della loro storia, è l’atto che opera nel sociale
9
M. Douglas –Isherwood B. , Il mondo delle cose , Il Mulino ,Bologna ,1984 ,p.80: « I beni
di consumo non sono affatto semplici messaggi: essi costituiscono il sistema. Sottraeteli al
campo dei rapporti tra gli uomini e avrete smantellato tutto l’insieme. Ogni volta che sono
offerti, accettati o rifiutati, essi rafforzano oppure indeboliscono le linee di demarcazione
esistenti. I beni sono hardware e software, insieme, per così dire, di un sistema di
informazione che si preoccupa soprattutto di controllare la propria prestazione. Si dissolve
così la dicotomia cartesiana tra esperienza fisica e psichica. I beni che soddisfano i bisogni
fisici, cibo e bevande, sono portatori di significato non meno del balletto o della poesia.»
10
ibidem, p.74
15
ed è espressione del sociale, parlare di consumo di cibo significa
allora argomentare sui modelli organizzativi, economici, politici,
parentali, ideologici, sui quali le società si sono organizzate e
modellate; nonché sottolinea l’insieme delle regole che
trasformano un mero bisogno fisiologico in vero e proprio atto
di cultura, espressione esplicita dell’attività mentale dell’uomo, il
cui fine è quello di garantirsi sopravvivenza e vita associata.
Si nota, in tal senso come non si può separare la storia
dell’alimentazione dalla situazione sociale ed economica e dal
rapporto che intercorre fra la produzione di cibo, determinata
anche dagli strumenti utilizzati, e i suoi usi sociali.
Sono infatti i meccanismi di produzione distribuzione e
organizzazione, operanti all’interno di una data società a
determina «quanto in concreto l’uomo mangi rispetto a quello
che potrebbe mangiare»
11
11
Sorcinelli Paolo, Gli italiani e il cibo , Clueb, Bologna, 1995,p.48