2
con il telecomando di cambiare programma, saltando a volte da una
trasmissione all’altra.
Il fenomeno meglio conosciuto come zapping, un processo senza
soluzione di continuità.
Lo zapping, senza dubbio, rimane comunque un semplice espediente alla
mancanza di interazione che abbiamo con la radio e la tv; dicevo infatti
che la nostra trasformazione in protagonisti attivi è solamente apparente.
Eppure è davvero così, solo apparenza, o possiamo in qualche modo
intervenire sul processo di fruizione del medium?
Esiste in realtà un sistema “globale” della comunicazione ed un sistema
“immaginario” della comunicazione, dove per sistema immaginario
intendo quel modello fornitoci dal libro di Lewis Carroll Le avventure di
Alice nel paese delle meraviglie
1
: se la nostra parola non riesce a
descrivere l’oggetto, se i nostri occhi non vedono il nostro interlocutore o
se non lo conosciamo affatto e non siamo in contatto con lui, useremo il
senso della nostra immaginazione per proiettarci una sua idea; inizieremo
a sapere chi è e cosa fa semplicemente dal tono della sua voce, ne
percepiremo le incertezze o le ansie dalle sue pause, arriveremo a sapere
persino come è vestito, e a quel punto non farà più differenza se ci era
familiare o meno, lo sarà l’idea che di lui ci siamo fatti, e a volte sarà
sufficiente solo quella.
In Alice l’ “altro mondo” è sicuramente strano, eppure la sua esistenza è
verosimile, e quindi credibile per la sua fantasia; altrettanto è per le
nostre immagini proiettate, possono essere reali o non esserlo affatto, ma
sono verosimili, ed è per questo che noi le accettiamo, esercitando di
fatto un potere, quello di astrazione dalla realtà, che ci rende, questo sì,
veramente attivi nella dinamica comunicativa e nella sua fruizione.
1
Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson, Le avventure di Alice nel
Paese delle meraviglie, Londra, 1865. Alcuni lo considerano il primo libro sulla
comunicazione, per la possibilità che esso ha di essere letto sotto due punti di vista.
Io ritengo che sia utile per capire quali e quanti possano essere i diversi piani della
comunicazione di massa. In questo periodo, tra le altre cose, le avventure fantastiche di
questa bambina, che vive in una rigida Inghilterra vittoriana, richiamano, a mio parere,
l’offerta per l’internet veloce (il mondo fantastico) della Telecom, chiamata non a caso
Alice.
3
Accade quando ascoltiamo la radio, quando leggiamo un libro o il
giornale, quando parliamo al telefono, quando siamo in internet e
chattiamo; l’assenza fisica del nostro interlocutore è sopperita dalla sua
proiezione, mentre per il motivo opposto non accade in televisione, dove
l’immagine è sempre presente.
In qualche modo ci è forzatamente “suggerita”.
Quello che accade nei media tradizionali è analogo a quello che avviene
per i cosiddetti new-media, come internet o la telefonia mobile; inoltre,
sempre più spesso, non comunichiamo con qualcuno attraverso il mezzo,
ma eleviamo a nostro referente il mezzo stesso, quasi il nostro vero
interlocutore, senza il quale potremmo non comunicare.
Con chi comunico diventa quasi un dettaglio, ed a volte utilizzo il media
per comunicare con un altro media dal momento che posso non
conoscere il mio interlocutore.
Anche il contesto in cui noi oggi possiamo disporre dei media è molto
cambiato; se alcuni anni fa in casa esistevano solo la televisione, la radio
e il telefono, oggi ci sono nuovi protagonisti quali internet e la telefonia
mobile, che ci permettono di comunicare abbattendo il vincolo delle
pareti domestiche; internet è accessibile da casa, ma anche dagli internet
point o tramite collegamento con i portatili e i cellulari, così come la
telefonia mobile, che ci permette di essere raggiungibili non più in un
posto preciso, ma dovunque ci si trovi in quel momento, copertura
permettendo.
La comunicazione dunque è diventata istantanea, ma siamo sicuri che
non ci renda, paradossalmente, anche più isolati per il modo di fruizione
individuale del media?
Navigare in internet o parlare al mobile presuppongono attività
individuali.
La navigazione in rete, o la chiacchierata in una chat-room, sono fatti
individuali, siamo io e il media-computer; così come quando si parla al
cellulare si ha la necessità di isolarsi, di allontanarsi dagli altri, quasi a
voler ricondurre ad un alveo di privata intimità il dialogo, e se non c’è la
possibilità di allontanarsi, si abbassa la voce in un bisbiglio appena
4
udibile dal nostro interlocutore, magari cercando di racchiudersi nel
corpo, quasi a voler scomparire.
In verità questo accade poco frequentemente, la tendenza è quella di
parlare a voce alta, coinvolgendo tutti i presenti nella conversazione.
E’ comunque interessante notare che al di là della maleducazione, in certi
casi sia la natura stessa del medium a creare una situazione di finta
intimità con il nostro interlocutore “nascosto” agli occhi degli altri, quella
che gli americani definiscono “cellspace” (una bolla comunicativa), tale
da indurci ad uno scambio comunicativo tipo “viva- voce” senza
accorgercene
2
.
In quel momento si è comunque io e l’altra persona e nessun’ altro.
È sempre una conversazione a due, e a questo proposito è indicativo
quanto venga poco usata nella telefonia la possibilità di chiamate a più
interlocutori contemporaneamente, la chiamata in “conferenza”, proprio
perché verrebbe meno l’intimità tra i due soggetti.
Quello fin qui affermato per internet e la telefonia mobile, può non essere
valido per la televisione o la radio.
I film, le trasmissioni d’intrattenimento, o, dato il periodo, gli eventi
sportivi come i mondiali di calcio, sono quasi sempre fruiti in compagnia,
anzi quasi la si cerca, rappresentando un momento d’incontro, uno “stare
insieme”.
La pubblicità di una nota birra ad esempio, è interamente incentrata su
due amici che guardano la partita insieme, così come molti altri spot, che
ci mostrano divani pieni di persone intente a guardare con trasporto, più o
meno enfatizzato, la televisione.
Ho affermato però quasi sempre, perché non è detto che lo stare insieme
fisicamente a guardare lo stesso film, o ad ascoltare lo stesso programma,
equivalga ad un momento di socializzazione.
Vedere un film al cinema, ad esempio, è sì condividere la pellicola sullo
schermo con molte persone, alcune conosciute, la maggioranza no, ma
2
Proprio in virtù di questa “bolla comunicativa”, noi ci sentiamo, mentre parliamo al
cellulare, come isolati dagli altri che ci sono intorno, senza renderci conto che invece
gli altri partecipano indirettamente alla nostra conversazione.
5
non prevede assolutamente che durante la proiezione si socializzi o si
parli con il vicino, anzi, la sala buia e il silenzio sono gli elementi
essenziali per godere appieno della pellicola.
Questa situazione è chiaramente trasportabile anche alla televisione e alla
radio: se si sta vedendo o si sta ascoltando un programma che ci
interessa, è raro interromperne la fruizione parlando con il vicino, e
perfino la stessa interruzione pubblicitaria, anche se prevista ed attesa, è
vissuta come un fastidioso disturbo.
Si è quindi in una condizione di solitudine condivisa, che decisamente
non costituisce una dinamica comunicativa.
I commenti semmai sono successivi, all’uscita dal cinema, o alla fine del
film, ma la visione dell’evento in sé rimane un fatto singolo.
In quei commenti posteriori, emerge l’altro aspetto della comunicazione,
che è il condividere qualcosa di sé con un altro, che sia un proprio
pensiero piuttosto che uno stato d’animo.
In fin dei conti siamo degli “animali” sociali, ovviamente con le dovute
eccezioni.
In questa Tesi dunque, che sarà suddivisa in tre parti, affronterò nel
primo capitolo una panoramica generale dedicata alla comunicazione di
massa ed alle sue teorie più significative, prestando particolare attenzione
ai linguaggi della radio e della televisione.
Il secondo capitolo verterà su di un argomento più specifico legato
all’evoluzione della telefonia, in particolar modo di quella mobile,
nell’ambito della comunicazione e le influenze che essa ha prodotto sulla
nostra società e sui nostri comportamenti; il terzo capitolo, per
concludere, sarà invece interamente dedicato ad un progetto di lavoro, da
me realizzato e proposto, nell’ambito di una grande società di telefonia
mobile per la quale lavoro, che è inerente allo sviluppo delle nuove
applicazioni nella comunicazione dei cellulari cosiddetti di nuova
generazione.
Esso prevedrà delle diapositive utilizzate per la mia presentazione del
progetto, comprendendo anche la genesi del lavoro e il contesto
6
commerciale dal quale parte e nel quale si sviluppa, con una
considerazione, che in realtà è una speranzosa previsione, di quale
potrebbe essere l’impatto negli usi e nei nuovi processi comunicativi.
È in pratica un contributo basato sulla mia diretta esperienza lavorativa
nel campo della telefonia, utile anche per una visione “commerciale”
della comunicazione.
Al di là dell’esperienza diretta, ho scelto il cellulare perché oggi è senza
alcun dubbio l’oggetto che tutti, indistintamente, possiedono.
Chiunque può comprarsi un cellulare, non esistono barriere di età, classe
sociale o professionale, esiste solo un numero enorme di consumatori.
Solo in Italia ci sono oramai circa quarantasei milioni di apparecchi, che
sono usati quotidianamente, più della radio o della televisione.
Se oggi si pensa alla comunicazione telefonica, non si considera più il
telefono fisso, ma si pensa immediatamente al cellulare, l’unico media in
grado di rispondere, con la sua portabilità e discrezionalità, al nostro
bisogno di essere liberi di comunicare, senza nessun vincolo.
Inoltre, costando meno di un televisore, è praticamente alla portata di
tutte le tasche, in più, dal momento che ha un’evoluzione tecnologica
continua, c’è un ricambio estremamente rapido dell’oggetto; dalle
statistiche è emerso che la vita media di un telefonino è di circa due anni,
assolutamente non paragonabile a quello del televisore e perfino della
radio.
Insomma, in un mercato di massa il cellulare è il prodotto che vende di
più ed è quindi anche il più usato.
Viene naturale allora sostenere che oggi sia il media della comunicazione
per eccellenza, e che, come vi spiegherò, ha ampie possibilità di
affermarsi come l’unico in grado di far convergere la comunicazione,
l’intrattenimento, l’informazione e l’ e-commerce in un unico supporto.
Inoltre è diventato una specie di indicatore sociale, una volta era uno
status symbol, oggi caratterizza subito chi lo “porta”, non lo si usa e
basta, ma lo si “indossa”, come si fa con un orologio o una cravatta.
Si va dal modello più friendly, più amichevole, adatto veramente a tutti,
anche ai meno pratici, e vi garantisco per esperienza che ce ne sono, fino
7
ad arrivare a quelli più innovativi, tendenzialmente rivolti ad una precisa
categoria professionale.
Infine ci sono i modelli più eleganti, rivolte alle persone più sofisticate, e
quelli più giovanili, che sono in assoluto i modelli maggiormente
personalizzabili con loghi e suonerie.
Il target di riferimento è decisamente trasversale, si passa dai giovani ai
seri professionisti, senza distinzioni.
Ognuno ha il suo modello che gli corrisponde, e tutti lo usano
principalmente per telefonare.
È diventato un accessorio indispensabile e, come dice molto bene
Colombo
3
, quando lo perdiamo siamo senza non qualcosa di nostro, ma
qualcosa di noi stessi, la nostra antenna nel mondo.
E l’idea che qualcun’ altro lo usi ci infastidisce principalmente perché
sentiamo violata la nostra intimità, sentiamo spezzato il rapporto
personale che avevamo con quello che nasce come un semplice medium.
Inoltre il peso sempre più leggero, fa in modo che ci si scordi di averlo, ci
fa sentire senza alcun filo ma sempre on line e prontamente raggiungibili.
Perennemente in comunicazione.
3
Fausto Colombo, Il piccolo libro del telefono, Milano asSaggi Bompiani 2001
p. 21.
8
Capitolo I: Teorie della comunicazione di massa
In realtà non esistono masse, ma soltanto modi
differenti di considerare la gente come massa.
Raymond Williams 1961
4
1.1 I media e la società
Oggi parlare ancora di massa, dandole un’accezione generica e
generalista, e spesso velatamente negativa, è forse improprio.
Nel mondo della comunicazione, ed in genere nella società, il concetto di
massa sta lentamente lasciando il posto al concetto di ricevente attivo,
che opera più o meno scientemente delle scelte, e che fa esso stesso
comunicazione.
Questa comunicazione “dinamica” si sta sviluppando nei vari mezzi in
modo non omogeneo, la televisione ad esempio, almeno in Italia, è molto
indietro rispetto ad internet o alla telefonia mobile.
Ad oggi infatti, essa non presuppone nessun livello di interazione con il
suo spettatore, se si esclude il televideo, che rimane comunque una
comunicazione verticale, dal momento che le pagine sono rigidamente
strutturate, e l’unica possibilità che ci viene lasciata è quello di scorrerle
una dietro l’altra.
Inoltre il processo di scelta dei contenuti non viene fatto da noi, ma
direttamente dalla fonte, cioè il media stesso.
Ecco dunque che le parole di Mauro Wolf
5
“il concetto di massa sembra
aver esaurito la sua funzione euristica entro la communication
research”, danno bene il senso di dove si stia indirizzando lo studio sulla
comunicazione, un tempo di massa, verso cioè una communication
4
Raymond Williams, Culture and Society, Harmondsworth, Penguin, citato da
Denis McQuail, Sociologia dei media, Milano, Il Mulino, 1994 p.54.
5
Mauro Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Milano Strumenti Bompiani 1985.
9
research tout court, in cui i destinatari ultimi sono elementi decisamente
attivi e propositivi.
Certo che se pensiamo alle origini degli studi sulla comunicazione,
troviamo imprescindibile il concetto di comunicazione di massa e di
cultura di massa, con toni senz’altro critici nei confronti dell’uno e
dell’altra.
Il termine “comunicazione di massa” viene coniato intorno al 1930, e
probabilmente la definizione migliore di cosa sia, è stata data dal
sociologo Denis McQuail
6
.
La società di massa viene vista già nell’800, nel periodo legato alla
rivoluzione industriale, come un processo sociale il cui sforzo è teso ad
un processo democratico che faccia perdere quei benefici esclusivi, da
sempre appannaggio delle elites, e si riferisce al tipo di relazione che
intercorre tra gli individui e l’ordine sociale in cui vivono.
Le teorie sociologiche presuppongono che in una società di massa gli
individui vivano in una condizione di isolamento psicologico rispetto agli
altri, che l’interazione tra di loro sia basata su dinamiche impersonali, ed
infine, che siano relativamente liberi da obblighi sociali vincolanti.
E’ evidente il concetto negativo della massa, visto principalmente come
un impoverimento più che un arricchimento, dal momento che va
significativamente ad erodere un sistema basato su uno status quo,
apportando la forza disgregante del nuovo elemento sociale.
Questa tensione sociale, sotto il profilo politico, sfociò, inevitabilmente,
nei regimi totalitari, che innescheranno poi i due conflitti bellici.
Se la società di massa è una minaccia destabilizzante, gli individui che ne
fanno parte sono quindi anonimi e senza giudizio: “la massa è il giudizio
degli incompetenti, è tutto ciò che non valuta se stesso mediante ragioni
speciali, ma che si sente come tutto il mondo e non se ne angustia, anzi si
sente a suo agio nel riconoscersi identico agli altri” secondo Ortega y
Gasset
7
.
6
“Che cos’è la comunicazione di massa? Quel che la gente pensa che sia”, op. cit. p.28.
7
Josè Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, 1930, tr.it. 1962, Il Mulino.
Tratto da Teorie delle comunicazioni di massa di Wolf, pag. 18.
10
Per Simmel invece: “la massa è una formazione nuova, che non si fonda
sulla personalità dei suoi membri. Le azioni di massa puntano diritto allo
scopo e cercano di raggiungerlo per la via più breve: questo fa si che a
dominarla sia sempre una sola idea, la più semplice possibile”
8
.
La massa e il processo di “massificazione” dunque, rappresentano la vera
spersonalizzazione dell’individuo, ed i giudizi, non certo entusiasti,
riportati da questi primi teorici della comunicazione durante gli anni tra
la prima e la seconda guerra mondiale, tendono ancora oggi a rimanere
vincolanti quando ci si appresta a parlare di comunicazione di massa.
Si intravede, in queste affermazioni, anche un riferimento alla lotta di
classe ed ai cambiamenti sociali, che avranno il loro acme nelle due
guerre mondiali, vero spartiacque tra due generazioni e tra due società
diverse.
Da queste premesse nasce la Teoria Ipodermica, che ribadisce ed
enfatizza l’idea che gli individui siano isolati, anonimi, distaccati,
atomizzati, in un corpus unico chiamato massa, e che tutto ciò produca
l’isolamento del singolo individuo a favore dell’elemento collettivo.
Paradossalmente proprio questo processo di massificazione rende sterile,
con la spersonalizzazione individuale che ne era alla base, l’apporto del
collettivo nell’evoluzione sociale, scoraggiandone, dunque, la
partecipazione attiva della massa, ed andando così a favorire, invece,
proprio le azioni e gli interessi di quelle elites che volevano contrastare,
le quali non solo erano avvezze al comando, ma erano anche,
storicamente, maggiormente organizzate.
L’isolamento dell’individuo e la “perdita” della sua personalità, quindi,
lo rende contemporaneamente indistinto e manipolabile; infatti, secondo
la teoria ipodermica, esiste una connessione diretta tra l’esposizione ai
messaggi e il comportamento: se una persona è raggiunta dalla
propaganda può essere controllata, manipolata, ed indotta a reagire.
In questo suo saggio, il filosofo spagnolo analizzò la crisi della società europea, e la
massificazione.
8
Georg Simmel, Forme e giochi di società, 1917, tr. it.1983 Feltrinelli. Tratto da Teorie
delle comunicazioni di massa di Wolf, p.19.
11
La conseguenza allora sarà che le sue reazioni e i suoi comportamenti
saranno prevedibili e quindi sfruttabili proprio da chi “muove” quegli
strumenti di comunicazione, e che quindi detiene il potere.
Emerge con chiarezza il grosso potere che i media possono avere presso
il pubblico cui si rivolgono.
Non a caso si parla di propaganda, è proprio il periodo storico a
determinare questo tipo di comunicazione, basata sul “plagio” mentale,
sulla necessità di dividere la massa in due fazioni necessariamente in
antitesi l’una con l’altra, ricordandoci che sullo sfondo abbiamo un
tessuto sociale non neutro, ma ideologicamente schierato.
Basta pensare alla nostra storia durante il fascismo, in cui la propaganda
permeava la quotidianità, coinvolgendo tutti i media, dai giornali alla
radio, dalla cartellonistica al cinema autarchico.
Dopo sessant’anni è sicuramente una teoria che segna il passo, oggi è
assolutamente impossibile pensare alla comunicazione come un semplice
meccanismo di stimolo (dai media) e risposta (dalla massa), né si ritiene
che l’individuo sia così facilmente manipolabile e controllabile.
La società stessa è completamente diversa da quella che era figlia diretta
dell’industrializzazione ottocentesca.
Inoltre se con la teoria ipodermica e, a maggior ragione, con quella del
“proiettile magico”
9
, si voleva far emergere la forza condizionante dei
media e della comunicazione, oggi, nel parlare del processo della
comunicazione di massa, si mette in luce come esso non equivalga a
parlare dei mass media, che sono invece le tecnologie organizzate ed i
mezzi che la rendono possibile e veramente di massa.
Si è iniziato a studiare più a fondo il rapporto che si instaura tra la
comunicazione, con i suoi media, e gli effetti che essa esercita sul
pubblico, pur rimanendo sempre ben chiaro ed a mente, che i processi
9
Questa teoria sul potere persuasivo dei media è meglio conosciuta come Teoria del
proiettile magico (magic bullet theory).
Essa si basa “sull’idea che i messaggi dei media vengano ricevuti in modo uniforme da
ogni membro dell’audience e che questi stimoli inneschino risposte dirette e
immediate”. Melvin L. DeFleur – Sandra J. Ball-Rokeach, Teorie delle comunicazioni
di massa, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 179.
12
della comunicazione si articolano sempre, secondo uno schema
riconosciuto e costante, con caratteristiche precise:
Fonte emittente
Strumenti
Messaggio
Ricevente
Effetto
e continuando a ritenere, il processo comunicativo, come unidirezionale e
impersonale.
Sia perché manca di reciprocità, essendo assente il feed-back ricettore-
emittente, sia perché gli emittenti, essendo degli specialisti della
comunicazione, in un certo senso non ritengono necessario, in questo
caso, attivare un processo dialettico.
È l’opinione espressa sempre dalla teoria di Lasswell
10
, che afferma
come l’iniziativa sia esclusivamente del comunicatore e che gli effetti
siano esclusivamente sul pubblico.
Personalmente ritengo che oggi non si possa genericamente parlare di un
ricettore passivo, anzi, ritengo utile integrare le domande che il sociologo
americano pone alla base di un atto comunicativo:
chi - dice cosa - attraverso quale canale - a chi - con quale effetto
10
Il modello lasswelliano preso in considerazione risale al 1948. Nel segmento della
teoria ipodermica, egli è considerato uno dei padri dell’analisi dei contenuti della
propaganda per svelarne l’efficace ed incrementare le difese contro di essa, e autore
della Teoria del Magic Bullet.
13
con un’ulteriore considerazione:
quanto è persuasiva?
Vorrei, in questo modo, spostare l’attenzione dalla fonte al ricevente, per
far emergere così, l’elemento che ci può caratterizzare come partecipanti
attivi in questa dinamica: l’empatia.
Cosa intendo per empatia è più chiaro alla luce delle differenze che
intercorrono tra la società dell’era bellica ed immediatamente successiva,
e quella moderna.
A differenza dello società sulla quale si formulò nel 1947 lo studio di
Hyman e Sheatsley e che affermava: “C’è qualcosa nei non informati
che li rende difficili da raggiungere, qualunque sia il livello e la natura
dell’informazione”
11
, nella nostra società il pubblico è cresciuto, è più
attento ad individuare nella molteplicità dei messaggi quelli che più gli
interessano, ed a quelli solo risponde, inoltre, dato l’enorme numero di
informazioni di cui può disporre liberamente, è diventato
necessariamente più selettivo e più critico.
Da alcuni studi è emerso che la mente umana superata una certa soglia,
scarta automaticamente le informazioni ed i messaggi in sur plus,
operando una selezione basata unicamente sui propri interessi, ed
eliminando quindi tutte le altre.
Se si vuole, è un modo per difendersi dal continuo essere bombardati dai
messaggi.
La parte però più interessante, è che nonostante questa “selezione”, le
informazioni apparentemente non prese in considerazione, rimangono
comunque allo stato latente nel subconscio umano, per ritornare “in
mente” solo quando espressamente richieste.
Siamo ancora esposti alla fonte emittente ed ai suoi messaggi, ma
sappiamo orientare i nostri bisogni.
11
Autori del saggio Alcune ragioni per le quali le campagne di informazioni falliscono,
tratto da Teorie delle comunicazioni di massa di Wolf, p.31.
14
Quindi, ritornando ad Hyman e Sheatsley, non esiste più il non informato
perché non raggiunto dalla comunicazione, ma perché coscientemente ha
deciso di non esserlo.
E’ chiaramente un atto volontario, una decisa presa di posizione.
Ecco quindi che all’empatia si va ad aggiungere la resistenza agli stimoli
esterni, un altro elemento in grado di caratterizzare il nuovo rapporto
dinamico che possiamo attivare con l’enunciatore.
Sono proprio questi due elementi alla base della nostra volontà
individuale, che devono essere maggiormente valorizzati nelle dinamiche
comunicative, a rendere la teoria ipodermica, anacronistica nella società
odierna.
Alla luce di questo, anche la parola “pubblico” si trasforma nel concetto
di audience, un concetto ambivalente e ambiguo: infatti l’audience è
senz’altro il pubblico a cui fare comunicazione (il ricevente propriamente
inteso) “è il prodotto del contesto sociale […] e la risposta ad un
particolare modello mediale”
12
, ma è anche l’elemento che decreta il
successo o l’insuccesso di una comunicazione in base al proprio
gradimento.
Parlando allora di resistenza agli stimoli, di empatia, di audience, non
intendiamo più l’atto comunicativo come una semplice dinamica di
stimoli e risposte, ma come un processo continuo, articolato, costituito
dallo scambio reciproco di input e feedback, teso alla soddisfazione delle
esigenze dei fruitori finali.
È chiaro che la persuasione non è più intesa come una sorta di “invito”
esplicito, piuttosto, potrebbe essere percepita come il costanziano
consigli per gli acquisti.
Questo perché oggi la persuasività della comunicazione è strettamente
legata all’empatia che essa ha con il destinatario, cioè quanto essa sia
adeguata ai fattori personali che egli attiva nell’interpretazione del
messaggio stesso.
Ed è un meccanismo che i pubblicitari conoscono molto bene.
12
Denis McQuail, L’analisi dell’audience, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 12.
15
Più alta sarà l’empatia, maggiore sarà la capacità persuasiva del
messaggio, e di conseguenza più probabile un feedback inverso, dal
destinatario al media, premiato dal momento che è scelto; ma è anche
vero il contrario, se il messaggio non suscita interesse nel destinatario,
quella capacità persuasiva risulterà non adeguata.
Con ciò non voglio però negare la dinamica: emittente-decodifica del
messaggio-ricevente, messa in luce negli studi di semiologia; quanto
mettere in luce che “nonostante qualsiasi comunicazione umana non sia
mai una neutrale trasmissione di contenuti, e possegga,
indipendentemente dall’intenzionalità di chi emette il messaggio, una più
o meno rilevante carica persuasoria”
13
, esiste comunque una forte
caratterizzazione emozionale nella decodificazione del messaggio, da
parte del ricevente, che lo rende o non lo rende persuasivo.
Quindi una dinamica di questo tipo:
Fonte emittente
Strumenti
Messaggio
Ricevente
13
Adriano Zanacchi, La sfida dei mass media, Milano, Edizioni Paoline, III ed., 1990.