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Una nuova pubblicità
L’esistenza di una nuova considerazione del consumatore ha reso necessario come
conseguenza un nuovo modo di analizzare il principale mezzo di persuasione di esso0
da parte delle aziende: la pubblicità.
Il filone classico misurava l’efficacia di una campagna pubblicitaria tramite
l’”impatto dell’advertisement”, l’insieme di “ricordo e “gradimento”
dell’advertisement. A queste variabili di genere “quantitativo”, misurate oggi
abitualmente tramite interviste telefoniche CATI (assistite dal computer), si è
aggiunta una rilevazione di genere “qualitativo” che mira ad analizzare la percezione
dell’immagine del marchio o prodotto interessato, la valutazione dell’originalità del
messaggio e la raccolta dati sul target percepito di destinazione. Queste integrazioni
sono sintomatiche dell’evoluzione del concetto di “efficacia pubblicitaria” dalla
semplice idea di “entrare nella testa” alla necessità di creare un’immagine che non si
confonda con quella dei concorrenti e si dedichi ad un particolare obiettivo di
destinazione. In sintesi, si può dire che oggi un messaggio pubblicitario può essere
considerato efficace se non solo riesce a “bucare” il rumore di fondo della
comunicazione pubblicitaria nel suo insieme, ma anche a costruire un significato
coerente con le immagini del brand e del consumatore, dimostrando originalità nel
linguaggio e nei codici impiegati per comunicare.
Un filone di analisi importante è quello improntato all’analisi della “brand
personality”, la capacità di un’azienda di costruirsi un’immagine in grado di
interagire con la personalità del consumatore, stabilendo con essa una vera e propria
“relazione”. La personificazione del brand consente poi una percezione sintetica e
attiva di esso da parte del consumatore, che lo terrà presente nella sua memoria
semantica, attiva nel quotidiano lavoro di costruzione e ricostruzione del significato.
Avvenimenti di questo tipo si verificano quando, ad esempio, qualcuno è portato a
dire di una situazione che gli sembra “un po’ da Barilla” o “un po’ da Nike”, in
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quanto i significati legati a particolari brand sono divenuti categorie di interpretazione
della realtà.
Riguardo all’efficacia della comunicazione pubblicitaria, la ricerca sul consumatore
ha messo in luce due ordini di fattori collegati a due diversi livelli di comunicazione,
il livello basico ed il livello sistemico.
Il livello basico
Al livello basico si trovano i fattori legati all’impatto percettivo e mnemonico. Gli
aspetti principali di questo livello sono secondo Siri (2004) :
• Condensazione del messaggio in un significato chiaro ed evidente.
• La presenza di elementi di originalità in grado di catturare l’attenzione
degli spettatori.
• Il rendere complementari il codice iconico, il codice visivo e il codice non
verbale.
• Assicurare l’equilibrio tra continuità e cambiamento, tra ripetizione e
diversificazione.
• Il transfert di notorietà, soprattutto tramite l’impiego di testimonial
famosi.
• La credibilità/autorevolezza della fonte.
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Il livello sistemico
Il livello sistemico corrisponde a quei processi definiti sinteticamente come legati alla
“costruzione di immagine” e all’”appartenenza ad un segmento/stile di vita”. Gli
aspetti principali sono (Siri ,2004):
• La “personificazione” di un prodotto o marchio, consistente nel trattare
l’oggetto della promozione come fosse un organismo vivente.
• La costruzione di una “brand personality”, operazione di livello analogo
alla precedente, ma più sofisticata, consistente nel fornire una
personalità al marchio o brand. Tra i fattori di successo più ricorrenti,
possono essere ricordati la comunicazione della consapevolezza della
propria unicità, la distintività del linguaggio e dello stile, la coerenza
anche in un processo di cambiamento.
• La sintonizzazione con tendenze e segmenti sociali selettivi, così da
creare a partire dal marchio dei veri e propri “stili di vita”.
Bisogna anche ricordare che anche con campagne pubblicitarie o altre iniziative
promozionali molto efficaci, una marca non può per niente essere certa di essersi
garantita una fedeltà “monogamica” da parte dei consumatori. Una buona strategia
di promozione deve prevedere l’applicazione in tempi brevi di “extensions”,
iniziative adatte a ricatturare l’attenzione degli spettatori grazie all’effetto-novità da
esse apportato. E’ comunque importante mantenere nel corso dello sviluppo delle
nuove promozioni una coerenza con gli aspetti principali delle campagne
precedenti, soprattutto se unmarchio si è costruito con il tempo una solda
riconoscibilità.
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IL SETTORE NON PROFIT
E’ di nascita recente in Italia l’espressione “settore non profit”per identificare,
seppure con varie difficoltà, una realtà molto variegata e complessa nell’obiettivo di
trovare corrispondenze con la categoria ben delimitata delle “no profit organizations”
presenti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. In termini generali, con riferimento alla
legge sulle ONLUS (Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale), ovvero il d.lgs
n. 460 del 4-12-97, le organizzazioni non profit non si riferiscono direttamente al
mercato e nello stesso tempo non hanno una natura pubblica, poiché gli utili non
vengono distribuiti in nessuna forma fra i soci, ma vengono reinvestiti nelle attività
dell’organizzazione (tra i settori d’impegno l’assistenza sociale, la beneficenza,
l’istruzione) e devono perseguire unicamente finalità di solidarietà sociale.
Lo sviluppo di questo tipo di organizzazioni in Italia nel corso della seconda metà del
‘900, può essere suddiviso in tre principali periodi (Pittèri, Picucci, Villani, 2002):
1. Nel primo dopoguerra è presente una massiccia zione da parte degli enti
pubblici a sostenere un’area che raccoglie quelle imprese che non possono
essere considerate né pubbliche, né private, come alcune associazioni di
categoria.
2. Negli anni Settanta si registra un forte sviluppo del ruolo assunto dallo
Stato, con politiche di assorbimento parziale delle organizzazioni private
nell’ambito del sistema pubblico.
3. Negli anni Ottanta e Novanta, durante i quali lo Stato attua un
progressivo disimpegno nella fornitura dei servizi, inizia il riconoscimento
della pubblica utilità delle organizzazioni non profit.
Il ruolo delle organizzazioni non profit nell’ambito italiano risente dell’influenza
della diffusione sul territorio di piccole e medie imprese, che inducono a tessere una
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serie di rapporti basati sul contatto personale, quindi forti ma in genere poco
istituzionalizzati. Tra i motivi che hanno portato negli ultimi anni allo sviluppo di
un’azione sempre più interattiva fra Stato, Mercato e Organizzazioni non profit, i
principali sono (Pittèri, Picucci, Villani, 2002):
1. Le organizzazioni non profit producono servizi che, scaturendo da
necessità che partono dal basso, sono realizzati sulle esigenze del
consumatore.
2. Producono servizi specializzati molto concorrenziali grazie all’utilizzo del
lavoro volontario e ad una struttura burocratica più agile a causa della
minore presenza di vincoli nella gestione della manodopera.
3. Nonostante gli scarsi aiuti economici da parte di enti ed istituzioni
pubbliche, riescono ad attuare iniziative capaci di suscitare un forte
coinvolgimento.
Da uno studio compiuto nel 1995 dall’IRS e dall’Università Cattolica di Milano
nell’ambito di un progetto internazionale che ha coinvolto paesi di ogni continente è
emerso come nel corso della prima metà degli anni Novanta il settore “non profit”
avesse registrato una forte crescita del suo peso economico e occupazionale nei vari
paesi. Jeremy Rifkin (1995) arrivò a vedere nel “terzo settore” una risposta valida
all’impatto della terza rivoluzione industriale.
Molto importante è anche l’impatto del settore “non profit” nell’ambito culturale,
poiché questo settore trova il suo ambiente migliore in un territorio ricco di fermenti
culturali e sociali che possono influenzare positivamente la crescita economica del
territorio stesso.
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LA COMUNICAZIONE SOCIALE E LA
RESPONSABILITA’ AZIENDALE
La comunicazione sociale
“Comunicazione sociale”: un’espressione che a prima vista può apparire come un
ossimoro. In essa infatti convivono concetti che in apparenza sono antitetici, il
profitto egoistico e la sensibilità solidaristica. In reltà in questi ultimi anni si è
delineato nell’ambito della promozione commerciale un nuovo ambito d’azione, in
cui “l’etica e l’utile convivono nelle strategie aziendali senza pericolose
contaminazioni”. La comunicazione della responsabilità sociale delle imprese è un
fatto recente nell’ambito della comunicazione aziendale poiché in passato la maggior
parte delle aziende esitavano a comunicare chiaramente il loro impegno nel sociale
per paura che similiazioni potessero essere considerate di pura facciata, e avere un
effetto “boomerang” per la loro credibilità.
Ma oggi sembrano prevalere i motivi che premiano le imprese che tendono a rendere
note l’entità e le caratteristiche della loro “responsabilità sociale”. Il principale di
questi è il fatto che il pubblico sembra avere un grande apprezzamento per l’impegno
delle imprese nei problemi sociali. La ricerca “Gli Italiani e il Cause Related
Marketing: valori, atteggiamenti e aspettative”, presentata al convegno “Il marketing
sociale è diventato grande” organizzato a Milano da Sodalitas il 18 aprile 2002, ha
proposto dati molto interessanti. Innanzitutto la grande maggioranza degli intervistati
(l’82%) si è dichiarata “molto” o “abbastanza d’accordo” con questo tipo di attività e
questa opinione favorevole, che confermava il risultato ottenuto in un’analoga ricerca
nel 1998, dimostrava che per gli italiani questa adesione era ormai diventata un fatto
“culturale”, e non più dovuta solamente ad un’adesione alla “novità”, come poteva
essere quattro anni prima; il secondo dato era che l’86% degli intervistati considerava
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la comunicazione dell’impegno sociale “abbastanza” o “molto positiva”, dimostrando
così una preferenza per la visbilità rispetto alla discrezione. Per monitorare con più
accuratezza questa tendenza dal 2000 Sodalitas ha istituito gli Osservatori Marketing
sociale e risorse umane: questi istituti, nonostante la denominazione possa far pensare
al solo monitoraggio delle attività di gruppi non profit, censisce e fa conoscere anche
le campagne sociali realizzate dalle aziende in Italia e all’estero.
La responsabilità d’impresa
L’interesse delle aziende, degli operatori e degli studiosi per i tema della
“responsabilità sociale” dell’impresa sembra in continua crescita. In molte companies
ormai la responsabilità sociale viene definita “non slo una posizione etica
dell’imprenditore o del manager, ma una componente istituzionale di una condotta
imprenditoriale innovativa orientata al successo e alla sopravvivenza dell’impresa sul
lungo periodo e che valorizza insieme il proprio capitale economico e il proprio
capitale sociale. Tra gli episodi che ormai danno l’immagine di un trend stabilizzato,
ci sono l’accordo fra i top manager di 36 multinazionali( tra cui Coca Cola, Mc
Donald’s, Siemens) che ha prodotto un documento che vincola le aziende a porre al
centro del proprio interesse l’attenzione sociale e non soltanto il profitto, e la
pubblicazione nel 2001 da parte della Commissione Europea del Libro verde sulla
responsabilità sociale delle imprese, con l’obiettivo di definire il concetto di
responsabilità sociale ed individuare norme e condotte pratiche in materia.
Per analizzare la responsabilità d’impresa è bene partire dal quadro analitico tracciato
dallo statunitense Carroll (1991), che definisce quattro livelli per comporre la
“piramide delle responsabilità sociali”. La base della piramide è costituita dalla
“responsabilità economica” (Be profitable), che implica la produzione di beni per il
mercato e la creazione di valore da spartire fra i partecipanti diretti. Al secondo
livello della piramide si trova la responsabilità legale (Obey the law), che implica la