Il Castello Porto Colleoni Thiene: quattro secoli di ritratti Il Castello Porto Colleoni Thiene
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CAPITOLO 1
Il Castello Porto Colleoni Thiene
1.1 Storia del Castello
La villa Porto Colleoni Thiene, costruita con due ali laterali più elevate e
leggermente aggettanti, ha una pianta
a T simile a quella del fondaco dei
Turchi a Venezia. Il Castello (così è
chiamata la Villa anche se non ha mai
avuto le funzioni difensive tipiche di un
castello) è stato inizialmente (seconda
metà del Quattrocento) adibito a casa
fondaco per l’immagazzinamento dei
prodotti della campagna circostante.
L’edificio inoltre associa le caratteristiche rinascimentali dell’architettura vene-
ziana (camini, colonne, balaustre, capitelli, finestre trilobate, decorazioni ad
affresco sulla facciata…) a quelle gotiche del castello medievale (murature pe-
rimetrali, merlature, torrioni…). La paternità della fabbrica non è documentata
da fonti scritte, ma evidenti richiami formali che ricordano l’architettura di Ve-
nezia fanno pensare a Domenico Veneziano, ingegnere per la città di Vicenza,
costruttore del Duomo e del Palazzo della Ragione intorno al 1450
1
. La Morre-
si afferma
2
inoltre che “è possibile stabilire una data abbastanza precisa per la
costruzione della villa di Thiene (…) dall’esame dei documenti emerge in mo-
do palese che l’inizio dei lavori va collocato negli anni immediatamente suc-
cessivi al 1440 non il 1476, data di costruzione della cappella di fronte alla vil-
la, come afferma la critica precedente ( Marzari, Cevese, Kubelik)”.
1
DI THIENE, 1995, pag. 7
2
MORRESI, 1988, pag. 18
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Il primo piano è caratterizzato da una pentafora gotica considerata per gran-
dezza e per bellezza l’unica al di fuori di Venezia.
Primo signore del palazzo è Francesco Porto seniore che nel 1440 eredita la
metà dei beni di uno zio e inizia una costruzione in Thiene partendo dai ruderi
di un precedente edificio. Ciò è stato provato dalle analisi eseguite con la
termoluminescenza da Martin Kubelik
3
. Si può ipotizzare inoltre che la costru-
zione di Francesco seniore si limiti ai soli primi due piani come sostiene la
Morresi
4
.
Il programma dei lavori continua con il figlio Giovanni che commissiona la co-
struzione della chiesa palatina dedicata alla natività di Maria. Francesco junio-
re, uno dei sette figli di Giovanni, eredita per sorteggio il feudo di Thiene nel
1507 e protegge la sua proprietà attraverso il vincolo fedecommissario al pri-
mogenito della famiglia Porto rimasto in voga fino alla rivoluzione napoleonica
che annullerà diritti e privilegi feudali. Nominato dal doge Andrea Gritti nel
1532 Generale Collaterale della Repubblica di Venezia Francesco jr commis-
siona i lavori d’ingrandimento e arricchimento dell’edificio quattrocentesco, la
costruzione delle mura di cinta, degli scaloni in pietra e la creazione dei sot-
topassaggi stradali di accesso alle proprietà limitrofe.
Il progetto complessivo è portato a termine sia dal nipote ed erede Giovanni,
con gli affreschi del camerone e la vera da pozzo del Palladio, sia da suo figlio
Battista che realizzerà, ultimo intervento del periodo rinascimentale, la pe-
schiera con grotta nel giardino opera di Cristoforo Sorte, artista veronese col-
laboratore del Palladio.
Il granaio all’ultimo piano, dove si vedono ancora le tamponature tra i merli, è
probabilmente frutto di un ampliamento cinquecentesco contemporaneo alla
sopraelevazione delle ali laterali. Sul piano stilistico si può notare che le fine-
stre dell’ultimo piano con l’arco a tutto sesto sono chiaramente d’epoca rina-
scimentale a differenza di quelle al primo piano con l’arco trilobato, databili al
periodo gotico diverse anche da quelle al piano terra che sono ottocentesche.
3
KUBELIK, 1986, pag. 10, (in MORRESI, 1988, pag. 42)
4
MORRESI, 1988, pag. 45
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Giovanni Battista Orazio Porto, l’ultimo Porto della casata, lascia in eredità
parte della sua cospicua fortuna al pronipote Orazio Guardino Colleoni con il
vincolo di risiedere a Vicenza e associare il cognome Porto al proprio.
La grande corte nobile è racchiusa da edifici che fino all’Ottocento avevano
conservato la loro originaria struttura a barchessa. E’ probabile che nel Sette-
cento tale parco sia stato attrezzato per l’addestramento dei cavalli e ciò è
confermato dalla presenza della colonna al centro del parco e dalla vicinanza
della scuderia.
L’ingresso principale avveniva dal portone sulla piazza, mentre secondario era
quello di fronte alla chiesa di S. Maria, in asse con il torrione a colombara. La
piantumazione di grandi magnolie e l’ampliamento della chiesa parrocchiale,
con la creazione della cupola e dell’abside ha alterato la chiarezza di questo
impianto. Per circa trent’ anni il Castello rimane disabitato perciò verso la me-
tà dell’Ottocento inizia un ampio lavoro di rinnovamento che riguarda il giar-
dino, l’arredamento interno e la pavimentazione alla veneziana dell’ingresso
che per questo appare impegnato del quarto scalino. L’atrio inoltre rivela una
decorazione neo-medievale quasi certamente richiesta da Guardino Colleoni
Porto secondo lo stile allora alla moda. Egli, infatti, ha fatto coprire l’antica
decorazione gotica delle pareti dell’androne con una a quadroni ocra e rossi.
A lui si possono far risalire i lampadari di ferro battuto con gli stemmi delle
famiglie Porto e Colleoni, le cassepanche e l’inquietante porta in fondo
all’atrio d’accesso al giardino retrostante.
La dinastia Porto-Colleoni è stata proprietaria del Castello dal 1816 al 1918:
Guardino, ultimo della linea, morirà senza figli e lascerà in eredità al cugino
Antonio Thiene la Villa allora Colleoni-Porto.
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1.2 Il Camerone Del Camino
Si tratta di una delle sale al piano terra affrescata nella seconda metà del
Cinquecento da Giovanni Battista Zelotti (Verona 1526-Mantova 1578) e Gio-
vanni Antonio Fasolo (Mondello, Como 1530-Vicenza 1572), contemporanei di
Paolo Veronese (Verona 1528 - Venezia 1588). In questa stanza avviene nel
1507 la divisione dell’eredità di Giovanni Porto, estraendo da un cappello i fo-
gli contrassegnati con i nomi delle varie proprietà; l’ultima estratta, il feudo di
Thiene, è toccata a Francesco.
Entrando nel cameron si può notare il camino la cui altissima cappa poliloba-
ta, costruita secondo il modello gotico del Quattrocento, contrasta con il fre-
gio decorato con foglie d’acanto ad andamento sinusoidale in tipico stile rina-
scimentale. Al centro della cappa si può notare un ritratto probabilmente di
Francesco Porto jr. nelle vesti glorificanti di Giulio Cesare. Ai lati del camino
sono raffigurati Vulcano e Venere con Amore; di fronte sopra la porta princi-
pale, Mercurio e Marte.
Busti, frutta, bucrani, medaglioni, putti con festoni e stemmi ornano l’insieme;
sotto le finestre realizzati con la tecnica del graffito su scagliola (gesso) due
cani e una scimmia.
Racchiuse in un loggiato di colonne corinzie sono affrescati quattro episodi di
storia romana:
1.2.1 L’incontro fra Massinissa e Sofonisba
Figlia del generale cartaginese Asdrubale, Sofonisba è promessa sposa di
Massinissa re dalla vicina Numidia alleato di Roma, ma sposa Siface, anch’egli
re numida e alleato di Roma ma convertito dalla fanciulla alla causa di Carta-
gine. Massinissa combatte e vince Siface, incontra Sofonisba e la sposa. Sci-
pione, non volendo correre il pericolo di perdere di nuovo un alleato, impone
che la principessa sia inviata a Roma in catene come bottino di guerra. Mas-
sinissa non potendo disubbidire al suo comandante per non farle subire
l’oltraggio le darà una coppa di veleno uccidendola. Dominano la scena Mas-
sinissa a cavallo e Sofonisba in atteggiamento di vinta ma non succube. I pa-
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lazzi al centro (uno è Palazzo Da Monte del Palladio a Vicenza) aprono in pro-
spettiva la scena e dividono i severi guerrieri di Massinissa dalle ancelle di So-
fonisba, preoccupate per la sorte della loro regina.
Questa vicenda ha nella Vicenza del Cinquecento una particolare risonanza
per il dramma scritto da Giangiorgio Trissino protettore, committente e amico
del Palladio.
1.2.2 Porsenna e Muzio Scevola
Le truppe etrusche stanno occupando Roma.
Un nobile romano, Caio Muzio, riesce ad
intrufolarsi fra le linee nemiche e tenta di
assassinare il re etrusco Porsenna, ma uccide
invece il suo segretario. Dopo la cattura, per
dimostrare la poca considerazione per la sua
persona, decide di mettere la mano destra sui
bracieri ardenti. Dopo tale gesto di fermezza e
nobiltà Porsenna lascia libero il giovane romano
che Tito Livio ricorda nelle Historiae col nome di “Scevola”(mancino).
I tre anziani, disposti a piramide con Porsenna più elevato al centro, spiccano
con il loro atteggiamento solenne e pensoso mentre il gruppo dei soldati
chiude la scena in cui il braciere è sostituito da una candela sopra la quale
Caio Muzio mette un dito.
1.2.3 I l convito di Cleopatra
La leggenda racconta che Marcantonio, generale di
Giulio Cesare e poi governatore delle province orientali,
invitato ad un banchetto dalla regina d’Egitto che lo
convincerà a tradire Roma, si mostri sorpreso per la
magnificenza della sua corte. Cleopatra si sfila un
orecchino di perla di grande valore e lo dissolve nell’aceto manifestando così
la sua indifferenza per la ricchezza.
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Antonio e Cleopatra sconfitti nel 31 a.C. con la battaglia di Azio, in tempi di-
versi, si suicidano.
Molta cura è stata dedicata alla tavola imbandita e al banchetto a base di
cacciagione; la minuziosa attenzione per i lineamenti del volto di Antonio, a
differenza degli altri visi realizzati in modo meno particolareggiato, fa pensare
ad un possibile criptoritratto del committente degli affreschi Giovanni Porto,
nipote di Francesco Porto jr..
1.2.4 La clemenza di Scipione
Dopo la conquista di Cartagine, viene offerta a Scipione una stupenda fanciul-
la catturata dai soldati romani. La ragazza però era già promessa sposa ad
Aluccio, valoroso comandante cartaginese, che Scipione chiama per restituir-
gli la fanciulla formulando un breve discorso sull’integrità morale dei romani.
Scipione inoltre dona ai futuri sposi parte del bottino di guerra in precedenza
confiscato.
Al centro della scena c’è una colonna che divide a sinistra il gruppo dei militari
con Scipione sul trono alla cui base un servo pone i doni per il riscatto, a de-
stra i parenti della fanciulla dove risalta l’accostamento cromatico delle vesti.
Il significato globale del ciclo di affreschi non è stato ancora chiarito ma sono
state indicate due interpretazioni fra loro connesse: una è l’opposizione tra
fedeltà e tradimento, qualità di fondamentale importanza nel comportamento
virtuoso in armi, l’altra è riferibile al rapporto sempre incerto ed equivoco fra
Vicenza (città con forte inclinazione filo-imperiale) e quella che per i Porto è la
sua naturale dominatrice, Venezia. Massinissa, africano come Sofonisba, ac-
cetta la volontà di Scipione per cui combatte così come ogni vicentino fedele
deve riconoscere la supremazia di Venezia
5
.
5
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1.3 La Sala Del Biliardo
La sala che segue, probabilmente nel XVI secolo la camera da letto di France-
sco Porto jr.
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, nell’Ottocento è diventata una sala da biliardo. Tale ambiente
conserva in numerose vetrine oggetti d’arredamento e uso domestico: cera-
miche di Nove, vetri di Murano, reperti romani provenienti dalla Siria, statuet-
te in terracotta della fine dell’Ottocento che rappresentano le scene salienti
dei Promessi Sposi.
Alle pareti si possono ammirare diversi ritratti delle famiglie Porto e Thiene al-
cuni dei quali attribuiti a Chiara Varotari, Alessandro Maganza e Gerolamo
Forni. Alle pareti della sala sono inoltre conservate delle stampe che rappre-
sentano dei cavalli in esercizi di dressage. Molto probabilmente
l’addestramento artistico del cavallo era svolto nel parco di fronte alla Villa, in
particolare attorno alla colonna in pietra come ricordano gli schizzi Antoine
Pluvinel (1555-1620) primo maestro di cavallo del duca d’Angiò e poi scudiero
di Enrico IV con il compito di istruire anche il futuro Luigi XIII.
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1.4 Il Salottino Azzurro
Questo salottino privato, che mette in comunicazione la sala del biliardo con
il Salon Rosso, deve questo nome al colore originario della tappezzeria con
stemma Colleoni in tinta con i fiori del lampadario settecentesco in vetro di
Murano. In origine però tale stanza era utilizzata come studiolo da Francesco
Porto jr., Generale Collaterale per la Repubblica di Venezia
7
. Oggi invece no-
tiamo due comò del Settecento, i grandi vasi in maiolica e le specchiere con i
due stemmi in legno dorato e intarsiato delle famiglie Porto e Colleoni.
Alle pareti, oltre alle settecentesche incisioni (1710) del pittore francese Jean
Marc Nattier (1685-1766) che riproducono il celebre ciclo del Rubens dipinto
per il matrimonio di Enrico IV e Maria de Medici (Parigi, Louvre), e a tre ri-
tratti possiamo ammirare:
1.4.1 Il supplizio di Marsia
Attribuibile al tenebroso Giovanni Battista Langetti (Genova 1635-Venezia
1676), il Marsia è considerato dalla mitologia greca l’inventore del doppio
flauto ed è rappresentato frequentemente come un satiro. La tradizione gre-
ca vuole che Marsia abbia trovato il flauto buttato da Atena e con esso abbia
sfidato Apollo Citaredo, dio delle arti e della musica. Sconfitto dalla divinità,
fu appeso ad un albero e scorticato vivo.
1.4.2 Scena di battaglia
Il dipinto, attribuito dal restauratore Serafino Volpin (comunicazione orale ai
proprietari) a Ilario Spolverini (Parma 1657-Piacenza 1734), descrive una
scena di battaglia seguendo le precise regole compositive di questo genere
pittorico diffuso fra Seicento e Settecento: lo scontro viene inserito in uno
scenario paesistico esteso, si svolge su più piani e in più episodi di ambienta-
zione moderna.
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1.5 Il Salon Rosso
L’ultima sala di quest’ ala del piano terra, in origine probabilmente una came-
ra da letto, è tutta progettata ed arredata alla
moda dell’Ottocento. Sono di particolare interesse il
rivestimento in stoffa damascata, il lampadario
centrale e la specchiera dorata con stemma
Colleoni. Alle pareti sono presenti ancora molti
ritratti tra i quali Federico Porto di Francesco Maffei
la contessa Giustiniani Bandini di Tommaso
Pasquotti Guardino Colleoni-Porto di Tomaso Da Rin e forse il ritratto di un
Porto attribuito dal restauratore Serafino Volpin a Benedetto Caliari.
1.6 La Galleria
Si può raggiungere la galleria, ossia il piano nobile della villa, da una delle
due rampe di scale fatte eseguire da
Francesco Porto jr. ed è dedicata
all’esposizione di dodici ritratti di cavalli.
Il ritratto equestre nel Seicento è legato
all’arte dell’equitazione praticata da molti
nobili dell’epoca in Accademie specifiche.
Prima fra tutte fu quella di Napoli dove Federico Grisone pubblicò il primo te-
sto illustrato sull’addestramento artistico del cavallo. Alcuni di questi esercizi
di dressage si eseguivano talvolta anche in battaglia.
Qui, a differenza dell’atrio al piano terra, possiamo ammirare la pavimenta-
zione originale della fine del Quattrocento in cotto policromo.
In questo salone, dove sotto le tele possiamo scorgere una decorazione ad
affresco mai portata a compimento probabilmente per la morte del commit-
tente Francesco Porto, si possono distinguere oltre a due serie di ritratti e-
questri numerosi ritratti alcuni dei quali attribuiti a Giulio Carpioni.
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1.7 La Scuderia
La scuderia, senza dubbio lo spazio più singolare dell’intero complesso mo-
numentale, è stata realizzata nella prima
metà del Settecento probabilmente
dall’architetto Francesco Antonio Muttoni
(Lugano 1668 - Venezia 1747). Presenta
32 stalli, 16 per lato, divisi l’uno dall’altro
da colonne di marmo rosso di Verona.
Ogni colonna è coronata da dei putti
realizzati in pietra tenera di Vicenza da artisti locali dell’epoca. I primi due box
in entrambi i lati non furono però mai usati in quanto due botole celano la
roggia sottostante, un piccolo ruscello da cui si prelevava l’acqua per lavare
ed abbeverare i cavalli. Grazie a piccoli canali di scolo realizzati in pietra e
opportunamente inclinati, la roggia veniva usata anche per scaricare il liqua-
me. La scuderia presenta alcune caratteristiche interessanti come i ferri bat-
tuti sulle colonne dove si mettevano le briglie dei cavalli, le mangiatoie degli
stalli in legno di pino e i divisori intagliati a mano. Particolari sono i ferri sul
lato interno della colonna utilizzati come cursori che permettevano allo stallie-
re di sollevare il battifianco che separava i cavalli per consentire il passaggio
da un box all’altro senza dover scendere e risalire e, in secondo luogo, di gira-
re il cavallo e farlo uscire frontalmente. Si può notare inoltre come lo stallo,
nella zona dove il cavallo poggia gli zoccoli anteriori, abbia una pavimentazio-
ne a ciottolato in quanto il mattone si sarebbe consumato troppo rapidamen-
te; per lo stesso motivo e per dare maggiore aderenza agli zoccoli, la stessa
pavimentazione è presente al centro della scuderia dove il cavallo veniva stri-
gliato. In questa zona per una migliore visibilità le finestre sono sui due lati.
Sempre per favorire una maggior stabilità agli zoccoli, il resto del pavimento
presenta un complesso disegno a catena in pietra martellata rosa e bianca.
Vicino alla porta di sinistra al centro della scuderia c’è un condotto (ora chiu-
so) che metteva in comunicazione uditiva la scuderia con la casa dello stallie-
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re. Nel suo insieme la scuderia presenta caratteristiche molto elaborate, ed è
un esempio di straordinario razionalismo del secolo illuminista
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DI THIENE, 1995, pagg. 45, 46.