CAPITOLO 2 IL MERCATO SECONDO LA VISIONE NEOCLASSICA
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CAPITOLO 2
IL MERCATO SECONDO LA VISIONE NEOCLASSICA
2.1 Introduzione: la teoria marginalista.
Per gli economisti classici l’economia politica rappresentava la scienza sociale che aveva
il compito di studiare il sistema economico dal punto di vista della produzione,
distribuzione e impiego del reddito. Quindi essi mettevano in risalto le connessioni che
sussistevano tra l’apparato economico ed il sistema sociale al fine di identificare le leggi
che governavano il funzionamento del sistema economico capitalistico. Ciò comportava
la considerazione che ogni sistema economico e sociale, che si affermava nella storia
dell’uomo, aveva le sue leggi specifiche. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento
nasce l’approccio marginalista che adotta prospettive e strumenti concettualmente diversi
da quelli impiegati dai teorici classici. L’economia da scienza sociale diviene scienza del
comportamento razionale e quindi l’uomo, come singolo e nelle aggregazioni sociali ed
economiche, diventa l’epicentro di una nuova teoria che basa il tutto sulla razionalità
dell’essere umano come imperativo del suo agire. Emblematica la definizione di
economia proposta da Lionel Robbins
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:
“Economics is the science which studies human behaviour as a relationship between ends
and scarce means which have alternative uses.”
Che tradotto significa “l’economia è la scienza che studia la condotta umana come
relazione tra scopi e mezzi scarsi applicabili ad usi alternativi”. L’autore non propone
solo una nuova definizione di economia ma una rinnovata concezione della stessa facendo
emergere la differenza rispetto alla precedente. A tal riguardo egli dispone che la
definizione previgente nei paesi anglosassoni era quella materialista il cui fine si
sostanziava nello studio delle cause che determinavano il benessere materiale dell’uomo.
Tale visione, a parere dell’autore, era di tipo classificatoria e richiedeva la distinzione tra
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ROBBINS L., The nature and significance of economic science, London, Macmillan and co., Seconda
edizione,1945, p. 16.
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attività che impattavano sul benessere materiale ed attività che non producevano tale
effetto. Ciò determinava una limitazione delle attività che rientravano nel campo
dell’economia. Di contro l’autore propone questa nuova definizione basata sul concetto
di scarsità
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in cui fa emergere che l’uomo deve continuamente scegliere tra il
soddisfacimento di bisogni alternativi disponendo di risorse scarse. Viene proposto
l’esempio del singolo individuo che deve scegliere quante ore dedicare al lavoro e quante
al tempo libero considerando che il tempo è una risorsa scarsa e deve necessariamente
lavorare per poter vivere. Entrambe le attività soddisfano l’individuo e quindi esso dovrà
individuare la combinazione giusta tra lavoro e tempo libero. Questo esempio mostra un
altro aspetto dell’economia e fa emergere come ogni azione, sia individuale che collettiva,
deve tener conto della scarsità delle risorse e del fatto che esse possono essere impiegate
per usi alternativi. Questa definizione fa sì che l’agire umano rientra nel campo di
applicazione dell’economia intesa, appunto, come la scienza del comportamento
razionale. Di conseguenza il problema economico di fondo resta lo stesso in ogni società
ed in ogni tempo, l’uomo razionale deve sempre ricercare il migliore impiego delle risorse
scarse a sua disposizione. Il primo aspetto da introdurre, rispetto ai principi marginalistici,
riguarda la considerazione che i bisogni degli uomini sono: molteplici, perché ognuno
desidera più cose allo stesso tempo; ordinabili, in quanto definiamo delle priorità ed una
gerarchia tra bisogni primari e secondari; illimitati, perché l’uomo tende a volere sempre
di più. Quindi l’individuo avendo un dato insieme di bisogni da soddisfare, che hanno le
sopracitate caratteristiche, dovrà tener conto della scarsità delle risorse che non gli
consente di soddisfarli in modo illimitato. In tal modo è possibile affrontare in modo
specifico il problema che deve affrontare l’individuo nelle diverse vesti che può
assumere:
Il problema del consumatore consiste nell’individuare quali beni ed in che
proporzione acquistarli per soddisfare i propri bisogni avendo un reddito
disponibile limitato. Il ragionamento da condurre potrà essere: dato un certo
reddito qual è la combinazione di beni che mi consente di massimizzare l’utilità?
Oppure, dato un livello di utilità conseguibile come posso minimizzare la spesa?
Il problema del produttore consiste nel definire cosa produrre e quanto produrre.
L’obiettivo è la massimizzazione del profitto che potrà realizzarsi scegliendo la
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A tele definizione dedica un paragrafo: The "Scarcity" Definition of Economics.
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combinazione ottima dei fattori produttivi in funzione della quantità ottima da
produrre per un dato livello di prezzo.
Anche la società nel suo complesso deve affrontare il problema dell’efficiente
allocazione delle risorse al fine di soddisfare le preferenze dei cittadini e di
impiegare al meglio le risorse scarse disponibili.
Non affronteremo nello specifico le singole problematiche delle categorie economiche
indicate ma ci focalizzeremo sui alcuni modelli marginalisti adottati per spiegare e
rappresentare le forme di mercato. Prima è necessario introdurre alcuni concetti
fondamentali per comprendere le conclusioni a cui si giunge seguendo questa
impostazione. Il primo elemento da chiarire, anche se è già stato impiegato nella
trattazione, riguarda la domanda ed a tal punto introduciamo un sistema di assi cartesiani
ponendo sull’asse delle ascisse la quantità q di un generico bene e su quelle delle ordinate
il prezzo massimo p, cioè la disponibilità a pagare, che un consumatore è disposto a
spendere per l’acquisto del bene. In tal modo otteniamo una domanda individuale,
discreta
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, del singolo consumatore il quale sarà disposto a pagare un prezzo alto quando
acquista la prima unità del bene ed un prezzo via via più basso per le unità aggiuntive.
Questo accada a causa di un postulato base affermato dalla teoria marginalista che si
sostanzia nel concetto di utilità marginale decrescente secondo il quale il consumatore
trae una soddisfazione via via minore all’aumentare delle quantità consumate di un certo
bene. Anche se l’utilità in quanto tale non può essere misurata possiamo utilizzare il
prezzo di riserva, cioè la disponibilità a pagare, come una misura in senso lato di tale
concetto. Sommando le n domande individuali, se esse sono identiche, possiamo ottenere
la domanda aggregata del mercato che sarà continua e potrà essere rappresentata come
una retta inclinata negativamente con intercetta in un punto dell’asse delle ordinate.
Passando direttamente alla rappresentazione grafica della domanda di mercato:
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Quando si rappresenta la curva di domanda individuale può essere rappresentata graficamente come una
curva discreta a gradini. In tal caso abbiamo sempre in ordinata il prezzo ed in ascissa la quantità domandata
di un certo bene. Quando consideriamo l’intero mercato invece abbiamo una curva di domanda continua.
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FIGURA 7
La curva di domanda può essere espressa attraverso l’equazione di una retta lineare
inclinata negativamente pari a p = a – bq, in cui l’intercetta a rappresenta la disponibilità
massima a pagare che ciascun consumatore ritiene accettabile. Infatti per prezzi superiori
al punto di intercetta a nessun consumatore sarà disposto ad acquistare il bene in oggetto.
Man mano che il prezzo si riduce la quantità domandata aumenterà e ad un livello di
prezzo p’ la quantità domandata sarà pari a q’. Quindi avendo messo in relazione la curva
di domanda con l’utilità marginale possiamo evidenziare una serie di elementi che si
desumono dallo studio della domanda di mercato:
Dato il prezzo p, possiamo determinare la quantità domandata dal mercato.
Graficamente questo valore lo ricaviamo dal punto di incontro tra la retta del
prezzo e la curva di domanda. Nel nostro esempio dato p’ otteniamo q’.
Data la quantità q, possiamo individuare l’utilità marginale e la disponibilità a
pagare, da parte del mercato, che corrisponde al punto sulla curva di domanda
ottenuto proiettando la quantità sulla curva. Nel nostro caso dato q’ otteniamo p’.
È possibile individuare il surplus del consumatore, che rappresenta l’area
compresa fra la curva di domanda e la retta del prezzo ed è pari alla differenza fra
la disponibilità a pagare e il prezzo per tutte le unità acquistate. Nel nostro caso è
pari all’area SC.
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Altro elemento da introdurre al fine di meglio comprendere gli aspetti che tratteremo in
seguito riguarda i concetti di offerta dell’impresa e dell’industria. Anche qui è possibile
introdurre un sistema di assi cartesiani dove sull’asse delle ordinate indichiamo il prezzo
p e su quella delle ascisse la quantità q in riferimento ad un generico bene prodotto. Se
prendiamo in considerazione un produttore allora è possibile individuare la curva di
offerta del singolo che indica la disponibilità a vendere una certa quantità di prodotto per
i diversi livelli di prezzo individuati
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. Passando al caso in cui il numero dei produttori è
molto grande allora è possibile tracciare la cura di offerta del mercato (S) che in tal caso
è continua. La curva di offerta ci dice quale quantità l’impresa, o l’industria, è disposta a
produrre per un dato livello di prezzo oppure per ogni data quantità da produrre qual è il
prezzo minimo al quale si è disposti a produrre. In realtà non è sempre possibile parlare
di curva di offerta perché le imprese non possono, in alcuni mercati, decidere il prezzo e
le quantità da collocare sul mercato
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. Per ovviare a teli problematica si preferisce
prendere in considerazione la curva di costo marginale (MC), dell’impresa o
dell’industria, che esprime l’offerta dell’impresa ed è un concetto utilizzabile in tutte le
forme di mercato. Quindi la curva del costo marginale ci dice qual è il costo, per l’impresa
o per l’industria, per produrre una data quantità di prodotto e a quale prezzo si è disposti
a venderla. Inoltre è importante ricordare che il costo marginale rappresenta il costo che
l’impresa deve sostenere per produrre una quantità aggiuntiva di prodotto o in altri termini
esso ci dice la variazione del costo totale in seguito alla produzione aggiuntiva di output.
Matematicamente il costo marginale rappresenta la derivata prima del costo totale rispetto
alla quantità prodotta: MC = ∂CT/∂q. I teorici marginalisti ipotizzano che i costi marginali
e medi abbiano un andamento ad “U” dovuto al fenomeno dei rendimenti di scala prima
crescenti, il che giustifica una riduzione dei costi, e poi decrescenti, il che determina un
aumento dei costi. Questa ipotesi è spiegata ricorrendo alla considerazione che in una
prima fase si migliora l’efficienza organizzativa mentre in una seconda fase si perde tale
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Anche in tal caso abbiamo una curva di offerta a gradini in quanto siamo nel discreto.
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Mentre in concorrenza perfetta il prezzo è dato e quindi ha senso parlare di offerta dell’impresa e
dell’industria, nel caso di monopolio l’impressa decide prezzo e quantità ed il riferimento più appropriato
è il costo marginale.
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efficienza a causa di problematiche organizzative
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. Ritornando alla nostra curva di
offerta o di costo marginale:
FIGURA 8
Come si evince dal grafico la curva di offerta S è pari al costo marginale MC e ci permette
di individuare il surplus del produttore, o dei produttori, per un certo valore di prezzo e
quantità che nel nostro caso sono la coppia di coordinate (q’; p’). Il surplus del produttore
SP è dato dall’area compresa tra la retta del prezzo p’ e la curva di offerta o costo
marginale S=MC. In altri termini il surplus del produttore ottenuto dalla produzione di
una singola unità di bene è la differenza fra l’ammontare che il venditore riceve per tale
unità e i costi sostenuti per produrlo, sommando queste differenze per le quantità totali si
ottiene il surplus totale del produttore. Ora possiamo introdurre un altro concetto
fondamentale che è quello di efficienza allocativa che si realizza quando le risorse di una
società vengono allocate nel modo più efficiente possibile considerando come data la
domanda, i costi e la tecnologia disponibile
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. L’efficienza allocativa si ottiene quando il
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L’ipotesi dei costi ad “U” è fondamentale per rendere l’equilibrio dell’impresa un traguardo raggiungibile
e reale almeno in teoria. Diverse sono le critiche rivolte ai teorici marginalisti proprio su tale particolare
ipotesi.
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In questa circostanza si parla di efficienza allocativa o efficienza statica proprio perché conosciamo la
domanda, i costi dell’impresa e la tecnologia disponibile.
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surplus totale, dato dalla somma del surplus del consumatore e del produttore, è
massimizzato. Ciò avviene nel punto in cui la curva del costo marginale incontra la curva
di domanda a cui corrispondono le coordinate E (p’’; q’’), infatti è facile osservare che
per valori di prezzo superiori a p’’ e valori di quantità inferiori a q’’ si attesta una perdita
di efficienza (detta anche perdita di benessere) pari all’area PB, che è pari alla differenza
fra il surplus totale ottenuto ad un livello q’’ e quello ottenuto a livello q’.
FIGURA 9
Supponendo di essere nel punto di coordinata (p’; q’), in cui si realizza la perdita di
benessere, dove le risorse non sono allocate in modo efficiente perché ci sono
consumatori disposti ad acquistare il bene ad un prezzo più basso ed al contempo anche i
produttori avrebbero convenienza ad incrementare la produzione continuando a
conseguire un surplus positivo. Ecco che tale situazione non è conveniente per nessuno
in quanto la perdita PB rappresenta surplus potenziale che viene perso e né i consumatori
né i produttori possono appropriarsene. Quindi la situazione in cui si realizza l’efficienza
allocativa è data dal punto di coordinate (p’’; q’’) in cui il surplus totale è massimizzato
e suddiviso tra produttori SP e consumatori SC. Produrre quantità superiori a q’’ non
sarebbe possibile in quanto la curva del costo marginale è al di sopra della curva di
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domanda e quindi il produttore richiederebbe un prezzo superiore a quello a cui è disposto
il mercato.
FIGURA 10
Da ciò desumiamo che il punto E (p’’; q’’) è un punto di ottimo sociale in cui la società
alloca al meglio le risorse ed il settore del consumo e quello della produzione sono in
equilibrio, inoltre questo avviene quando si realizza l’uguaglianza tra prezzo e costo
marginale p = MC.
Avendo analizzato alcuni concetti propedeutici allo studio delle forme di mercato
secondo l’approccio marginalista ora passiamo all’analisi specifica della concorrenza
perfetta, del monopolio, della concorrenza monopolistica e dell’oligopolio.
2.2 La concorrenza perfetta.
Il modello di concorrenza perfetta è basato su cinque ipotesi
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fondamentali senza le quali
non sarebbero validi i risultati che da esso si evincono:
L’atomicità; nel mercato ci sono moltissime imprese ciascuna delle quali è così
piccola che il suo comportamento non ha un impatto significativo su quello dei
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CABRAL L., Economia industriale, Roma, Carocci editore, 2004.
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rivali. Inoltre in tale mercato le imprese sono price taker in quanto considerano il
prezzo come dato e non sono in grado di incidere sul suo livello, esso si forma sul
mercato e viene scelto dalle imprese per collocare il proprio output.
Omogeneità del prodotto; il prodotto offerto è lo stesso per tutti gli operatori di
mercato.
Informazione perfetta; tutti gli agenti conoscono le informazioni necessarie per
far sì che lo scambio di mercato abbia luogo senza difformità e quindi non ci sono
asimmetrie informative. Questo significa che i prezzi dei mezzi di produzione e
dei beni di consumo, oltre ad essere dati, sono noti sia ai produttori che ai
consumatori.
Simmetria tecnologica; tutte le imprese hanno accesso alle stesse tecnologie
produttive, quindi non ci sono imprese che possono utilizzare tecnologie migliori
e protette da tutele giuridiche che ne limitano la diffusione nel mercato.
Libertà di entrata e uscita; le imprese possono liberamente entrare e uscire dal
mercato in quanto non ci sono barriere che limitano tale possibilità.
L’obiettivo dell’impresa in concorrenza perfetta, così come in altre forme di mercato,
secondo la logica marginalista è la massimizzazione del profitto che si realizza quando il
costo marginale è uguale al ricavo marginale (MC=MR). Sapendo che il profitto è dato
dalla differenza tra ricavi totali e costi totali e considerando che essi sono funzione delle
quantità prodotte e vendute allora massimizzando la funzione del profitto possiamo
dimostrare questa condizione:
π = RT-CT (il profitto è pari alla differenza tra ricavi totali e costi totali).
π = RT(q)-CT(q) (i ricavi totali e i costi totali sono funzione delle quantità prodotte).
max π: ∂π/πq = 0 (massimizziamo la funzione del profitto ponendo la derivata prima
pari a 0. Infatti la derivata prima è nulla in un punto di minimo o di massimo della
funzione e se la funzione è concava, come nel caso di quella del profitto, allora una
derivata prima implica un punto di massimo).
∂RT/∂q - ∂CT/∂q = 0 (ponendo la derivata prima della funzione del profitto pari a 0).
∂RT/∂q = ∂CT/∂q (la derivata prima è nulla quando si realizza tale uguaglianza).
MR = MC (considerando che la derivata prima di RT è pari a MR e la derivata prima di
CT è pari a MC allora si comprende la condizione di massimizzazione del profitto).