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INTRODUZIONE
L’ultima crisi di portata internazionale che ha visto coinvolti Stati Uniti e Cuba proprio
allo scadere del secolo scorso, è senza ombra di dubbio legata alla triste vicenda di Elián
González. Elián era un bambino di soli cinque anni quando il 25 novembre 1999 stava
viaggiando con altri tredici connazionali alla volta degli Stati Uniti, ma la sua tragica
esperienza ha dato origine a una complessa battaglia legale, che sia gli Stati Uniti sia Cuba
si sono impegnati a rendere pubblica. La “carretta del mare” che trasportava i passeggeri
cubani, infatti, è naufragata al largo delle coste della Florida e il salvataggio di Elián, unico
superstite minorenne, ha scatenato un dibattito politico-mediatico che si è protratto per
circa sette mesi, fino al rientro in patria del bambino, avvenuto il 29 giugno 2000.
La controversia legale è nata dalla necessità del Servizio di Immigrazione e
Naturalizzazione (INS) di risolvere il conflitto di natura familiare fra Lázaro González,
prozio del bambino, residente a Miami, che ha avanzato varie richieste d’asilo per
trattenere Elián negli Stati Uniti, e Juan Miguel González, padre legittimo del bambino che
chiedeva il rimpatrio di suo figlio. Il giovanissimo balsero (così veniva chiamato chi si
avventurava in mare alla volta della Florida su imbarcazioni di fortuna) di Cárdenas si è
trovato inconsciamente al centro di una sorta di guerra fredda, denominata poi da Fidel
Castro “Batalla de Ideas”, la quale ha portato ad una modifica nei rapporti fra i due paesi
contendenti.
Questa tesi si propone, innanzitutto, di ripercorrere gli eventi che inevitabilmente
influenzarono il corso della vita del piccolo Elián e di riflettere sulle motivazioni per cui
questo episodio attirò l’attenzione a livello internazionale. A tale scopo, nel Capitolo I ho
ricostruito la vicenda utilizzando come fonti primarie gli atti giudiziari stesi durante lo
svolgimento del processo, raccolti attraverso i siti web dei vari tribunali statunitensi in cui
si tennero le udienze. E’ stato utile, dal punto di vista metodologico, osservare la vicenda
con una prospettiva legale, senza lasciarmi coinvolgere dalle emozioni, elemento chiave su
cui hanno invece fatto leva i mezzi di comunicazione di entrambi gli stati coinvolti. Nel
Capitolo II della la tesi mi sono occupata invece di riassumere le varie narrazioni della
storia di Elián e le numerose interpretazioni sorte attorno alla figura del piccolo balsero,
allo scopo di comprendere le ripercussioni che questo caso ha avuto sulle relazioni fra
Cuba e Stati Uniti e, soprattutto, sull’immaginario collettivo delle comunità cubana e
cubano-americana.
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Il cuore del mio lavoro consiste, comunque, nello studio del discorso mediatico pro e
anti-cubano attraverso l’analisi di un corpus comparativo di articoli di giornale. Ho perciò
considerato le diverse modalità con cui sono state presentate le notizie riguardanti la
cosiddetta “saga di Elián” e la connotazione delle identità di Cuba, USA e comunità
cubano-americana che emerge dalle parole delle principali parti interessate alle vicenda. Il
corpus analizzato nel Capitolo III, perciò, prende in considerazione articoli pubblicati sui
quotidiani Granma, New York Times e Miami Herald, durante i sette mesi in cui si è
sviluppata la vicenda. I giornali sono stati scelti in quanto riflettono l’opinione delle
principali parti interessate alla vicenda, ovvero il governo cubano, le istituzioni statunitensi
e la comunità cubano-americana di Miami.
Nel periodo compreso tra novembre 1999 e luglio 2000, il tema Elián fu stato il
principale argomento trattato da Granma e uno dei maggiori temi d’interesse del Miami
Herald, mentre per il New York Times risultò essere un argomento rilevante ma non
fondamentale.
L’elevato numero di articoli pubblicati in merito, ovvero varie centinaia, ha determinato
la necessità di restringere il campo d’indagine per evitare un lavoro dispersivo e poco
approfondito, e ho dunque operato una selezione.
Sebbene il caso di Elián abbia rappresentato un momento di collaborazione fra il
governo cubano e quello statunitense, è indubbio che contribuì a inasprire il conflitto fra le
due Cuba che si fronteggiavano dalle sponde opposte dello Stretto della Florida. I leader
cubani di entrambe le sponde si mobilitarono immediatamente, vedendo nel piccolo Elián
la possibilità di salvezza dei propri sogni nazionalisti.
Inoltre, la vicenda del piccolo balsero, come effetti collaterali, mise alla prova diversi
politici statunitensi. In quel periodo, infatti, era in corso la campagna elettorale per le
presidenziali di Al Gore e George W. Bush, mentre Hillary Clinton e Rudy Giuliani si
stavano fronteggiando per la carica di Senatore per lo Stato di New York. Le loro
dichiarazioni sul caso influenzarono pesantemente l’opinione pubblica, non solo della
comunità cubano-americana, ma di quanti erano stati toccati emotivamente da quella
tragedia, tanto che la sconfitta di Al Gore nel 2001 venne in parte attribuita alla sua presa
di posizione in merito alla questione Elián. Come vedremo in seguito, l’opinione pubblica
statunitense si schierò a favore del rimpatrio del bambino; la comunità di Miami, invece,
colse l’occasione per mobilitare una campagna di sensibilizzazione verso le difficoltà di
centinaia di bambini cubani senza nome a cui era stato negato il permesso di lasciare
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l’isola per ricongiungersi con i genitori negli USA. Alcuni cubano-americani, inoltre,
diedero vita a un’organizzazione chiamata Misión Elián, con lo scopo di protestare
pubblicamente contro la politica di Fidel Castro nei confronti del bambino, da loro
giudicata ingannevole e ipocrita.
Questa vicenda ha rappresentato un caso singolare nella storia dei due paesi rivali e,
sotto certi aspetti, anche nelle relazioni internazionali a livello globale. Prima d’ora, non
erano mai state mobilitate ingenti forze militari per sequestrare un bambino; nessun
governo aveva mai mobilitato l’intera nazione a sostegno di una causa d’affidamento di un
minore; e certamente Fidel Castro non aveva mai chiesto il rimpatrio di bambini cubani
giunti negli Stati Uniti senza documenti e con famiglie divise fra le “due Cuba”.
La storia di Elián e, di conseguenza, la polemica sul diritto d’immigrazione di cubani
verso gli Stati Uniti si diffuse ulteriormente a livello internazionale per mezzo di una
fotografia scattata da Alan Díaz, fotografo newyorchese, il 22 aprile 2000, mentre gli
ufficiali statunitensi stavano prelevando il bambino dalla casa del prozio Lázaro. Questa
fotografia, insieme alle testimonianze e ai video di quella stessa notte stimolò un vasto
dibattito sul rispetto dei diritti umani e della legge in senso lato. L’anno seguente la
fotografia vinse il Premio Pulitzer.
Anche le arti cinematografiche hanno fatto la loro parte nella diffusione della vicenda di
Elián; nel 2000, infatti, il regista Christopher Leitch ha diretto il film A Family in Crisis,
che propone in forma romanzata la ricostruzione dei fatti. Più recentemente, invece,
nell’aprile del 2017 al Festival del Cinema Tribeca di New York è stato presentato il
documentario Elián, diretto da Tim Golden e Ross McDonnell.
Oltre ai documentari, alle interviste e agli articoli critici tratte da varie riviste
scientifiche, mi sono avvalsa di alcune testimonianze dirette, fra cui quelle gentilmente
rilasciate dal professor Hassan Pérez Casabona, dalla psicologa Patricia Ares, dallo stesso
Elián González e da suo padre Juan Miguel. Nonostante si sia concluso nel migliore dei
modi, ovvero con il rimpatrio e il ricongiungimento familiare di Elián, l’episodio ha
lasciato molte domande senza una risposta soddisfacente e molti dubbi sul coinvolgimento
politico dei due stati. Si è fatto portavoce di tali interrogativi César Guerra, un cubano-
americano originario dell’Avana, residente in Florida dal 1962, che con toni sarcastici e
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provocatori
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spinge il lettore a riflettere più approfonditamente sui dettagli poco trasparenti
che hanno contribuito a dare forma alla storia e al personaggio pubblico di Elián.
Questa tesi prende le mosse da un’indagine personale svolta sul campo a La Habana,
Matanzas e Cárdenas; pertanto, sono più approfondite le informazioni sui mass media
cubani rispetto a quelli della comunità cubano-americana di Miami, così come le nozioni
relative alla realtà socio-politica di Cuba.
Il lavoro svolto si inserisce, da una parte, nel contesto della ricerca sulle relazioni fra
Cuba e Stati Uniti e, dall’altra, nell’ambito dell’analisi del discorso. In questo senso la mia
tesi s’ispira all’indagine portata a termine dalla professoressa Irene Fonte La nación
cubana y Estados Unidos. Un estudio del discurso periodístico (1906-1921), una ricerca
meticolosa e approfondita sul discorso politico cubano durante il periodo iniziale della
Repubblica.
Infine, questo lavoro si propone di sopperire alla mancanza di una vera e propria
letteratura scientifica in merito al caso Elián in lingua italiana, facendo una sintesi delle
ricerche più rilevanti in materia, pubblicate principalmente negli USA e a Cuba.
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C. Guerra, Elian: Shame or Sham?, United States of America, IUniverse Inc., 2002
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CAPITOLO I. LA CUBA DEGLI ANNI ‘90 E IL CASO ELIÁN GONZÁLEZ
I.1. Il contesto politico: le relazioni Cuba-USA negli anni ’90
Il 25 novembre 1999 due pescatori di Miami hanno salvato dalle acque dello Stretto della
Florida Elián González, un bambino cubano di sei anni, sopravvissuto al naufragio della
piccola imbarcazione su cui viaggiava alla volta degli Stati Uniti insieme alla madre e altre
11 persone. Prima di avvicinarci alla vicenda del piccolo balsero
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, che ha attirato
l’attenzione internazionale, è necessario innanzitutto ripercorrere brevemente alcune fasi
delle relazioni intercorse fra Cuba e Stati Uniti e, in particolare, nel periodo degli anni ‘90
che ha visto come protagonisti Fidel Castro e Bill Clinton. Sarebbe pleonastico soffermarsi
minuziosamente su tutte le tappe che hanno segnato il rapporto conflittuale fra i due stati,
ma è fondamentale ricordarne alcuni episodi e alcuni aspetti che costituiscono parte del
dibattito nato attorno ad Elián. Infatti, le differenze sociali, culturali e politiche fra Cuba e
Stati Uniti innegabilmente hanno radici profonde nella storia e si ripercuotono ancora
sull’attualità.
Indubbiamente, nel conflitto che ha coinvolto Cuba e Stati Uniti per decenni, tuttora in
corso, la politica migratoria è stata una delle armi maggiormente utilizzate da parte del
governo americano per indebolire il regime castrista. Lo avrebbe confermato l’ispettore
generale della CIA Allen Welsh Dulles in un documento rimasto occultato per vari
decenni, in cui si afferma che dal 1959 l’agenzia si era dedicata a fomentare, sia all’interno
sia all’esterno del paese, l’opposizione controrivoluzionaria (Torreira Crespo & Buajasán
Marrawi, 2000, p. 118). In altre parole, il tema migratorio è stato strumentalizzato come
misura strategica per destabilizzare il governo cubano.
La politica immigratoria statunitense nei confronti della popolazione cubana è regolata
principalmente dal Cuban Adjustment Act (in spagnolo Ley de Ajuste Cubano), introdotta
nel 1966, che essenzialmente riserva agli immigrati di origine cubana un trattamento
privilegiato, concedendo loro la Green Card, un documento che permette ad uno straniero
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Il termine balsero (balseros al plurale) è stato coniato per definire quei cubani che nel tentativo di fuggire
dal regime castrista si avventurano su piccole imbarcazioni di fortuna, dette balsas, al fine di attraversare lo
Stretto della Florida ed entrare illegalmente negli Stati Uniti. Questo vocabolo si è diffuso a partire dall’estate
del 1994, quando più di 25000 balseros hanno lasciato l’isola per dirigersi verso nord. (Masúd-Piloto, 1996,
pag. 139)