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Introduzione
Le Relazioni Industriali
Le relazioni industriali e le loro dinamiche attraggono da sempre l’attenzione del mondo
accademico e dei lavoratori dipendenti in quanto raccolgono al loro interno un profondo legame tra
tre aspetti fondamentali della società: la politica, l’economia e la sociologia.
Difatti, il termine stesso è composto da due elementi importanti in stretto legame reciproco:
“relazione” ed “industriale”, riferendosi con il primo alla relazione che esiste nell’azienda o
industria tra il datore di lavoro e i suoi impiegati. Il termine è usato per evidenziare la relazione tra
l’amministrazione aziendale e i lavoratori soprattutto da un punto di vista collettivo, denotando
inoltre un tipo di relazione non occasionale ma ripetitiva e quotidiana. Mentre con il secondo ci si
riferisce, invece, a qualsiasi attività produttiva nella quale un individuo, o un gruppo di individui, è,
o sono, coinvolti. Nello specifico, il termine inglese “industry” indentifica tutti i settori di attività,
compreso quello del terziario, per cui non è anormale parlare di relazioni industriali anche in
riferimento alle relazioni della pubblica amministrazione, considerando invece che, per antonomasia,
il termine contrattazione collettiva viene associato ai livelli aziendali.
1
Tradizionalmente il termine è usato per identificare aspetti della vita industriale quali il
sindacalismo, la contrattazione collettiva, la partecipazione dei lavoratori nell’amministrazione
aziendale, la cura della disciplina tra i lavoratori e le dispute aziendali. Utilizzando le parole
dell’economista inglese Richard A. Lester:
“le relazioni industriali coinvolgono gli sforzi per raggiungere le soluzioni dei conflitti tra
obiettivi e valori; tra il motore del profitto e lo scopo sociale; tra la disciplina e la libertà;
tra l’autorità e la democrazia industriale; tra la contrattazione e la cooperazione, ed infine
tra gli interessi contrastanti dell’individuo, del gruppo e della comunità.
2
”
Il cosiddetto mondo occidentale, ovvero l’Europa, gli Stati Uniti d’America, il Canada, ha da
sempre dimostrato una particolare attenzione circa questa tematica, in parte spiegabile e
riconducibile proprio al background storico e culturale che ci ha e ci caratterizza. Da un lato, la
maggior attenzione dell’emisfero occidentale è dovuta al fatto che le relazioni industriali siano nate,
1
Il contratto collettivo nasce come aziendale, agli inizi del secolo e si occupa principalmente dalla parte retributiva
(concordati di tariffa).
2
Richard A. Lester,“Labor and industrial relations, a general analysis”, McMillan 1951, New York
4
nel senso moderno del termine, proprio in Gran Bretagna a seguito della Rivoluzione Industriale del
XVIII secolo, l’evento storico che ha modificato la relazione e la concezione della forza lavoro in
rapporto ai datori di lavoro e le regole dei governi e dell’economia dando vita alla moderna
relazione lavoratori attraverso la generazione del libero mercato del lavoro e organizzazioni su
grande scala industriale di migliaia di lavoratori stipendiati. Questa relazione è stata spesso
identificata, specialmente secondo il modello pluralista, come un modello di input-output dove alla
voce input sono compresi i conflitti, le rivendicazioni, le domande di ogni genere connesse al
rapporto di lavoro dipendente; mentre alla voce output sono comprese le norme, le regole, più o
meno formalizzate, che governano i vari rapporti. L’efficacia di tale sistema, e delle relazioni
industriali in primo luogo, è rappresentata dalla capacità di ridurre attraverso l’utilizzo di vari
strumenti le controversie che scaturiscono dalle relazioni stesse.
Tra queste due voci operano diversi strumenti predisposti proprio ad appianare le controversie: tra
di essi, quello che ha rivestito una posizione di particolare importanza e che risulta anche più
interessante al fine di questa ricerca è la contrattazione collettiva.
Secondo quanto affermato da due dei maggiori esponenti della scuola di Oxford, Fox e Flanders:
‟Storicamente la contrattazione collettiva è stata il metodo principale costruito dalle
società industriali per la creazione di sistemi normativi validi e adatti a mantenere in limiti
socialmente tollerabili le controversie nei rapporti di lavoro. Questo, essa lo ha fatto
perché le regole che essa crea, in quanto espresse in accordi collettivi e in intese non
scritte, sono sostenute da un grado sufficientemente elevato di consenso fra coloro i cui
interessi sono maggiormente toccati dalla loro applicazione.
3
"
Ovviamente la contrattazione collettiva si qualifica e caratterizza anche per essere il principale
strumento di azione del sindacato industriale che all’interno delle relazioni industriali ha acquisito
maggiori responsabilità e poteri, di cui possiamo tracciare però già le origini e il suo prototipo con
le gilde medievali. La legittimità del sindacalismo è derivata dalla necessità della contrattazione
collettiva in un sistema di distribuzione competitiva. Secondo quanto spiegato infatti dal riformatore
Magnus Alexander
4
già agli inizi del Novecento, “i sindacalisti ritengono che l’unico vero metodo
di contrattazione collettiva sia possibile solo qualora e laddove gli operai siano organizzati dai e in
sindacati e laddove le condizioni di lavoro siano stabilite congiuntamente tra il datore di lavoro e i
3
Alan Fox e Allan Flanders, “La riforma della contrattazione collettiva: da Donovan a Durkheim”, Ed. Lavoro, Roma,
1969, p. 44
4
Un ingeniere tedesco naturalizzato americano divenuto poi negli Stati Uniti un riformatore sociale attraverso il suo
lavoro nelle commissioni in ambito salariale operaio.
5
delegati dei sindacati.
5
” Due dei criteri fondamentali della contrattazione collettiva, così come viene
intesa nel mondo occidentale, sono l’azione di gruppo e la responsabilità di entrambe le parti
coinvolte nel processo. Un altro aspetto fondamentale che a volte diviene indispensabile al fine di
poter intraprendere o concludere la contrattazione collettiva è lo strumento dello sciopero.
6
Quest’ultimo si presenta sovente come l’unica arma “violenta” nelle mani dei lavoratori capace di
esprimere il proprio disaccordo nei confronti di salari bassi o di condizioni lavorative inaccettabili,
portando l’attenzione dei datori di lavoro e dell’amministrazione aziendale su questi punti poiché la
produzione viene bloccata e di conseguenza causa delle perdite per l’impresa.
A differenza dell’esperienza occidentale, nella RPC la contrattazione collettiva non ha avuto
sicuramente lo stesso sviluppo e importanza. Anzi, come si evince nel corso dello studio, è un
concetto poco analizzato e sviluppato, con particolar riguardo all’aspetto legislativo. La diversità
dello sviluppo nasce dal differente approccio che le relazioni industriali rivestono e hanno rivestito
nel mondo orientale. A mio avviso, questo sia spiega attraverso il percorso storico della Cina e della
RPC; la Cina ha vissuto la sua vera industrializzazione soltanto a partire dagli anni cinquanta del
Novecento, dopo la nascita della Repubblica Popolare Cinese, con le politiche di sviluppo maoista
del Grande Balzo in Avanti, incentrate sulla crescita dell’industria pesante. Precedentemente,
l’economia cinese era sempre stata caratterizzata da un sviluppo maggiore dell’agricoltura e di
conseguenza non si è mai verificata un vero sviluppo delle relazioni industriali.
Si può dire che la base delle relazioni industriali cinese e l’inizio ufficiale della partecipazione dei
lavoratori alla vita ed amministrazione dell’azienda si ha dagli anni cinquanta con l’istituzione dei
comitati dei lavoratori. Dagli anni cinquanta in poi, con lo sviluppo del settore industriale, si è avuto
in parallelo uno sviluppo delle dinamiche datore di lavoro-dipendente, che però è soltanto dagli anni
settanta che hanno avuto una vera e propria radicalizzazione nel sistema e nella società. Il carattere
assunto è stato di tipo unitario con una concezione del rapporto in pieno accordo con il sistema
integrato ed armonioso tipico dell’ideologia e filosofia cinese che da sempre ha aberrato i conflitti e
prediletto una società di relazioni armoniose suddivise per livelli in base alla filosofia confuciana.
Per questo, i conflitti sono sempre stati percepiti come distruttivi, e non costruttivi o opportunità di
miglioramento come invece il mondo occidentale è abituato a vedere. Conseguentemente il
sindacato, che ha principalmente il compito di portare alla luce le esigenze dei lavoratori,
scontrandosi spesso con gli interessi dei datori di lavoro, non ha avuto lo stesso peso che ha avuto
5
Alexander Magnus, “Collective Bargaing—Some Fundamental Considartions”, in Annals of the American Academy
of Political and Social Science, Vol. 90, IndustrialStability (Luglio1920), pp. 61-67
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N.d.r. Infatti il caso studio di questa tesi si concentra proprio sullo sciopero dei lavoratori cinesi nello stabilimento
della Nanhai Foshan Honda CHAM.
6
nella storia occidentale. Questa è un’altra ragione per cui il concetto di contrattazione collettiva non
ha avuto la stessa importanza che ha acquisito nel mondo occidentale.
I sindacati cinesi, confederati nella Federazione Nazionale Sindacati Cinesi, sono stati spesso
accusati di essere più uno strumento sociale del governo e di assecondare di più gli interessi degli
imprenditori che non dei lavoratori, tanto da esser definito come “cintura di trasmissione” secondo
una visione stalinista. È stato predefinito un modello di relazioni che assicurava a tutti i lavoratori
delle particolari garanzie mantenendo i conflitti e il malcontento ad un livello basso: il cosiddetto
sistema della “ciotola di riso di ferro”, 铁饭碗 tie fan wan, consolidante la dottrina corporativista
delle relazioni sindacali. Un’altra istituzione che ha caratterizzato il particolare sviluppo delle
relazioni industriali cinesi e dello sviluppo della contrattazione collettiva è costituita dalle国有企业
guoyouqiye, meglio conosciute come SOE, state owned enterprises, delle entità legali create dal
governo cinese per partecipare alle attività commerciali per benestare e beneficio del governo.
7
Obiettivamente parlando, si può affermare che il Partito Comunista Cinese ha adottato una politica
di maggiore controllo rispetto ai governi occidentali, ed è spesso intervenuto per sedare delle rivolte
o dei conflitti in ambito lavorativo, sottoponendo tali episodi a rigida censura. Va ricordato, infatti,
che ancora oggi lo sciopero non è riconosciuto come un diritto legittimo dei lavoratori nella RPC e
su di esso le interpretazioni sono ancora alquanto diverse.
8
Basti pensare che il concetto stesso di
sciopero, in cinese, viene tradotto con un più politicamente corretto “interruzione del lavoro.”
All’interno dell’analisi sulle relazioni industriali, un altro strumento che si differenzia per la
diversità di utilizzo ed interpretazione, è la consultazione tripartita che nell’esperienza cinese
potrebbe anche definirsi come accessoria. Infatti, i lavoratori partecipano minimamente, se non per
niente, a tale meccanismo. Questa assenza è riconducibile all’ulteriore trasformazione delle
relazioni industriali cinesi in concomitanza con la trasformazione della politica economica del
governo che si è aperta sempre più al commercio con il mondo occidentale. Infatti le relazioni
industriali cinesi, nel corso della loro “breve” storia hanno comunque già avuto delle trasformazioni
anche abbastanza importanti: da un principio caratterizzato da una partecipazione attiva dei
lavoratori all’interno dell’amministrazione aziendale o comunque in cui rivestivano un ruolo
importante nella vita aziendale, ad una situazione attuale in cui hanno perso qualsiasi tipo di potere
7
Per una lettura più esaustiva sulle SOE vedere Barry Naughton “The Chinese economy: Transition and growth”, the
MIT press
8
Nella Costituzione del 1982 il diritto di sciopero non è stato incluso. Per una panoramica sui paradossi dell’attuale
situazione del diritto di sciopero in Cina, si veda anche Franceschini Ivan “Paradossi del diritto di sciopero nella
Repubblica Popolare Cinese”, http://www.inchiestaonline.it/osservatorio-internazionale/paradossi-del-diritto-di-
sciopero-nella-repubblica-popolare-cinese/
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nella partecipazione della vita aziendale, assumendo principalmente il ruolo di meri mezzi di
produzione.
Il che è quanto risulta anche dal caso studio dello sciopero dei lavoratori dell’Honda, soprattutto per
l’interpretazione che è stata data dalla stampa e da alcuni studiosi. Quello che inoltre si evince a
seguito dello studio, è la mutazione stessa della classe operaia cinese e le diverse politiche adottate
dal governo in base alle necessità collegate alle modifiche dello sviluppo economico. Nello
specifico, il governo cinese ha cercato (e sta tuttora cercando) di attuare una ristrutturazione delle
relazioni industriali mirando a determinati aspetti che, da un punto di vista macroeconomico, si
possono distinguere sulla base di tre elementi fondamentali tra di loro correlati: le politiche di
privatizzazione aziendale; la trasformazione economica (in contemporanea con il fenomeno della
disoccupazione); e il declino del consumo del settore privato. La progressiva transizione delle
imprese da pubbliche a private ha portato a un capovolgimento delle relazioni industriali sino ad
allora attuate, provocando una crisi del rapporto tra i lavoratori e le istituzioni pubbliche non più
garantite, con un aumento della disoccupazione dei lavoratori statali, generando il fenomeno dei
lavoratori xiagang, la cui maggior parte è ritornata nelle città di origine, grazie anche alle nuove
politiche più vantaggiose per gli agricoltori, generando il fenomeno conosciuto come 民工荒
mingonghuang, “carestia dei lavoratori migranti”, che però secondo alcuni studiosi si tratta più di
un fenomeno di carestia di lavoratori specializzati in base alle differenti richieste del mercato del
lavoro.
In occasione delle trasformazione avvenute nella classe operaia, e in occasione dello sciopero dei
lavoratori Honda, è stato introdotto, e anche abusato, il concetto di una “nuova generazione di
lavoratori migranti”, rapportandolo ai giovani lavoratori nati dopo il 1980, dopo l’introduzione delle
riforme di aperture intraprese del Partito Comunista Cinese. In riferimento allo sciopero della
Honda, questo termine è stato usato per identificare una delle possibili cause di tanta attenzione e
importanza, in quanto alcuni studiosi, tra cui il professore di relazioni industriali dell’Università di
Pechino, Chang Kai, che ha anche partecipato alle negoziazione tra i datori di lavoro e i lavoratori,
in qualità di consulente di questi ultimi, ha affermato che uno dei motivi per cui i lavoratori hanno
ottenuto il consenso per l’aumento di salario e l’attenzione dei mass media, sia dovuto al fatto che la
maggioranza dei protestanti era costituita da giovani operai con un livello di istruzione più alto e
una maggiore presa di posizione e coscienza dei propri diritti di lavoratori rispetto ai propri genitori,
la prima generazione di lavoratori migranti. In realtà non ci sono dei dati ufficiali che possano
sostenere tali affermazioni. Ciò che traspare invece dall’analisi è piuttosto una nuova generazione
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che, si rispetto ai propri genitori ha sicuramente delle marcie in più, ma che sulle relazioni
industriali e sui propri diritti in qualità di lavoratori non ha ancora piena padronanza né coscienza.
La ricerca si è incentrata sugli studi e sulle interpretazioni che ruotano attorno all’istituto della
contrattazione collettiva e del ruolo che il sindacato riveste all’interno di questo delicato ma
importantissimo processo nella RPC, cercando di verificare se l’importanza che ha rivestito lo
sciopero allo stabilimento Honda sia riconducibile ad un effettivo risveglio della coscienza dei
lavoratori cinesi e degli strumenti in loro possesso, tra cui la contrattazione e negoziazione
collettiva.
Per poter analizzare al meglio e soprattutto comprendere le peculiarità del caso cinese, è stato
ritenuto fondamentale ed esemplificativo analizzare (seppur in maniera non troppo approfondita in
quanto non era questa la sede adatta per tale lavoro) l’interpretazione occidentale dell’istituto della
contrattazione collettiva, essendo la maggior parte dei lettori occidentali e avendo così anche un
metro di paragone chiaro. Per ciò, dopo un breve capitolo introduttivo, alquanto doveroso, sulle
differenze tra il concetto, la storia e l’interpretazione che il mondo occidentale ha attribuito alla
contrattazione collettiva e quella attribuita invece dal mondo orientale, e nello specifico del caso
della RPC, l’analisi prosegue, nel secondo capitolo, con un focus sulla legislazione e sugli elementi
politici legati a suddetto istituto politico-legale e alle limitazioni che il sindacato cinese si trova ad
affrontare nel svolgere il proprio ruolo. Il corpo centrale dell’analisi, nonché il capitolo terzo, si
focalizza sullo studio dello sciopero che nella primavera del 2010 ha avuto luogo nel Guangdong
(provincia della costa meridionale della Cina continentale) allo stabilimento della casa
automobilistica nipponica Honda. La scelta di questo caso è stata fatta per analizzare con particolare
enfasi il ruolo rivestito dalla contrattazione collettiva in un Paese in cui poche volte questo
strumento è stato usato con successo. Inoltre, il caso si è dimostrato alquanto interessante perché
nella sua peculiarità ha attirato l’attenzione della stampa nazionale e internazionale, che però ne ha
dato un’interpretazione fortemente di parte.
Per poter analizzare il caso dello sciopero della Honda è stato necessario esaminare diversi aspetti
correlati dell’esperienza cinese. Per questo, la prima parte esplora la ristrutturazione delle relazioni
industriali nell’industria automobilistica cinese, facendo leva sui poteri di contrattazione detenuti
dai lavoratori nei confronti dei propri datori (ad esempio, potere di contrattazione sul posto di
lavoro, potere di contrattazione di mercato). Segue poi, un paragrafo che spiega la storia della casa
automobilistica giapponese, il suo metodo di produzione e le politiche da essa adottate. Si arriva
quindi all’analisi dello sciopero. Dopo una cronologia degli avvenimenti, sono stati messi in luce
alcuni aspetti, tra cui il ruolo dei mass media, il ruolo dei sindacati aziendali e dei sindacati, le
9
conseguenze che lo sciopero ha avuto nello stabilimento e anche in altri stabilimenti Honda e non
solo, gli effetti che ha comportato sulle relazioni industriali e la cosiddetta nuova classe di lavoratori
migranti. Il corpo centrale si conclude poi con un paragrafo unico che evidenzia le caratteristiche
dello sciopero cercando di riassumere i punti fondamentali toccati durante l’analisi.
Il conseguente capitolo quarto vuole essere un po’ provocatorio, dando un’interpretazione più
critica dell’importanza che lo sciopero alla Honda ha rivestito. Infatti, vengono messe in relazioni le
politiche economiche adottate dal governo e dal Partito Comunista Cinese degli ultimi anni con la
posizione del governo nei confronti degli scioperanti. Sono stati analizzati, quindi, il Piano di
stimolo e gli ultimi Piani Quinquennali che rivelano il nuovo andamento intrapreso dal governo in
ambito economico.
Le conclusioni che seguono e concludono ovviamente il lavoro, riprendono i punti cruciali, dalla
particolare situazione in cui si trovano i sindacati cinesi, a quella dei lavoratori stessi, dalle
limitazioni legislative, all’effettività di un modello cinese di sviluppo economico, in quanto anche
in questo caso si evince che politica, economia e sociologia, ancora una volta rivestono un ruolo
fondamentale nella vita di ogni giorno.
Per quanto riguarda le fonti utilizzate, esse si possono dividere in due sottogruppi: testi di
riferimento in lingua occidentale e testi di riferimento in lingua cinese. A tal proposito, una
considerazione sulle fonti in lingua occidentale deve essere fatta. La maggior parte di esse, quasi la
totalità, è costituita da fonti in lingua inglese. Questo perché purtroppo le fonti in italiano
scarseggiano o sono quasi del tutto inesistenti. Ciò potrebbe essere riconducibile anche
all’importanza dell’inglese come lingua veicolare anche a livello accademico, e anche al fatto che lo
studio delle relazioni industriali cinesi, della contrattazione collettiva e dello sciopero della Honda
ha interessato di più gli accademici d’oltre oceano che gli hanno dedicato più spazio, sia su riveste
specializzate, che sui giornali.
Le fonti in lingua cinese invece sono state costituite principalmente da articoli su riviste
specializzatee documenti ufficiali del Governo cinese. Esse sono state importanti al fine della
ricerca in quanto hanno fornito una visione d’insieme dell’interpretazione data allo sciopero
dell’Honda dalla stampa nazionale e anche dell’analisi del sistema legislativo sulla contrattazione
collettiva nella RPC, sui sindacati e sulle sue limitazioni.
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PARTE PRIMA
Capitolo 1. I Contratti Collettivi
La Nascita del concetto
1.1.La prospettiva occidentale
Al termine “contrattazione collettiva”, nell’esperienza occidentale, vengono associati due
significati, uno avente valenza verbale più ampia mentre l’altro più ristretta. Analizzando con più
precisione i due significati, si può affermare che quello più ampio si riferisce al processo di
accomodamento di interessi comprendente ogni sorta di discussione bilaterale o trilaterale relativa
ai problemi di lavoro che influenzano direttamente o indirettamente un gruppo di lavoratori.
Quando, invece il termine viene usato nella sua valenza più restretta, ci si riferisce alla
contrattazione collettiva soltanto in rapporto a discussioni bilaterali per raggiungere accordi formali.
In questo processo vengono coinvolti i negoziati tra datori di lavoro singoli o rappresentanti delle
organizzazioni dei datori di lavoro e rappresentanti dei lavoratori. I negoziati avvengono tra i
firmatari, e anche i gruppi loro rappresentanti, ad intervalli periodici abbastanza regolari, e
l’accordo ha carattere legalmente vincolante. A tal fine si possono distinguere i contratti
unilateralmente sindacali, stipulati da un singolo datore di lavoro con l’organizzazione collettiva dei
lavoratori, e i contratti bilateralmente sindacali, stipulati da contrapposte associazioni sindacali di
datori di lavoro, da un lato, e di prestatori di lavoro, dall’altro. Di regola, lo scopo di questi
negoziati è lo stabilimento delle condizioni minime garantite e le condizioni di lavoro come la
determinazione dei salari o altre condizioni lavorative d’impiego in azienda o industria. Tuttavia
possono essere perseguiti, all’interno del processo di contrattazione, anche altri obiettivi come la
promozione della partecipazione diretta dei lavoratori alle attività dell’azienda.
1
Oggi giorno, la
contrattazione collettiva ha acquisito un’ulteriore importanza: di fatti, in un mondo ormai sempre
più globalizzato, il sistema della negoziazione collettiva è in grado di mostrare le differenze
all’interno dei diversi sistemi economici, in quanto mostra la diversa interpretazione che ne deriva
in base alle diverse politiche economiche adottate dagli Stati.
Nella storia delle relazioni industriali occidentali, i termini contratto e negoziazione collettiva
furono usati per la prima volta dalla coppia di riformatori socialisti britannici Sydney e Beatrice
1
Efrén Cordova in “Diritto del lavoro e relazioni industriali comparate” di Treu, T., cap. 13 “La contrattazione
collettiva”, pp. 297-329
12
Webb nel loro libro “Industrial Democracy” del 1897.
2
Il libro, che analizza principalmente il ruolo
del sindacato e i metodi da esso adottati per adempiere al suo compito, ha fatto si inoltre che il
concetto di relazioni industriali rientrasse nell’ambito delle discipline sociologiche(per definizione
lo studio scientifico della società e dei fenomeni della società umana in rapporto con l’individuo e il
gruppo sociale, in quanto il termine relazioni industriali specifica un tipo di relazione consona con
quella che è la natura della società civile, e si riferisce ad un rapporto non occasionale tra due o più
soggetti, dotato di una minima continuità che implica inoltre una forma di scambio volontario di un
certo bene e non di potere
3
). Tradizionalmente il termine di relazioni industriali è usato per
identificare aspetti della vita industriale quali il sindacalismo, la contrattazione collettiva, la
partecipazione dei lavoratori nell’amministrazione aziendale, la cura della disciplina tra i lavoratori
e le dispute aziendali. Utilizzando le parole dell’economista inglese Richard A. Lester:
“Le relazioni industriali coinvolgono gli sforzi per raggiungere le soluzioni dei conflitti tra
obiettivi e valori; tra il motore del profitto e lo scopo sociale; tra la disciplina e la libertà;
tra l’autorità e la democrazia industriale; tra la contrattazione e la cooperazione, ed infine
tra gli interessi contrastanti dell’individuo, del gruppo e della comunità .
4
”
Benché non ne abbiano mai dato una definizione formale, i due riformatori hanno posto i due
termini in relazione agli incontri tra sindacati e datori di lavoro atti al miglioramento e alla
conservazione delle condizioni lavorative. Tali strumenti, insieme alla regolamentazione sindacale
unilaterale (ossia la formulazione da parte del sindacato di proprie norme che precisavano le
condizioni alle quali i loro affiliati avrebbero potuto accettare l’occupazione), e alla
regolamentazione per legge (ovvero gli interventi del legislatore a seguito della pressione sindacale),
costituivano il mezzo mediante il quale il sindacato poteva imporre ed esercitare il proprio potere
2
Il termine negoziazione era stato usato precedentemente solo in riferimento alla “negoziazione individuale” usato
accidentalmente per la prima volta da C. Morrison nel suo libro “Essay on the Relations between Labour and Capital
“(Londra, 1854), in qualità “di principio commerciale in base al quale il lavoratore cerca di vendere il proprio lavoro a
caro prezzo mentre il datore di lavoro cerca di acquistarlo al minor prezzo possibile" p.9
3
Gian Primo, Cella e Tiziano, Treu, “Relazioni industriali” in Enciclopedia Treccani. L’espressione stessa rivela la
particolare origine, sociale e culturale di regolazione del conflitto. La definizione può essere altresì identificata nella
seguente frase: l'attività di produzione, più o meno sistematica e più o meno stabile, di norme più o meno formalizzate
relative all'impiego del lavoro dipendente e alle controversie che da tale impiego derivano, effettuata in prevalenza a
partire da rapporti fra soggetti collettivi più o meno organizzati (sindacati dei lavoratori, associazioni imprenditoriali,
ma anche imprese singole) o nell’ambito delle scienze sociali come l'insieme di norme (più o meno formalizzate,
specifiche o generali), relative all'impiego del lavoro dipendente, nonché ai problemi e alle controversie che da tale
impiego derivano, prodotte in prevalenza da attori collettivi più o meno organizzati (sindacati dei lavoratori,
associazioni imprenditoriali oppure singole imprese) e quasi sempre con il concorso dell'attore pubblico. Tali relazioni
normalmente presentano delle peculiarità per i lavoratori del pubblico impiego. Se, da una parte, non si differenziano
molto da quelle dei settori manifatturieri (presenza delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e ricorso allo sciopero),
dall'altra, se ne discostano per numerosi aspetti (la natura e la legittimazione del datore di lavoro, una elevata
regolamentazione legislativa, una maggiore uniformità delle norme).Enciclopedia Treccani.
4
Richard A. Lester, “Labor and industrial relations, a general analysis”, McMillan 1951, New York
13
nei confronti dei datori di lavoro esprimendo le norme concernenti le modalità in cui questi ultimi
avrebbero dovuto trattare i propri dipendenti.
5
Alcuni autori (tra cui Flanders) hanno criticato la visione dei Webbs affermando che essi
concepivano la negoziazione collettiva quale equivalente di quella individuale (vale a dire la
trattativa che si verifica tra il singolo dipendente e il datore di lavoro), in accordo con quella che
Flanders ha individuato con una delle caratteristiche della versione classica di contrattazione:
“Qualora i lavoratori siano disposti e capaci di proporre un accordo, preferiranno
contrattarlo individualmente con i datori di lavoro, in quanto questa scelta consente
loro di assicurarsi migliori condizioni di assunzione avendo un determinato controllo
sulla competizione interna. Inoltre, più grande sarà la scala della negoziazione
collettiva, maggiori saranno i loro vantaggi.
6
”
Nonostante ciò, autori di fama internazionale come Ng Sek e Warner (1999), hanno sottolineato
invece la distinzione riconosciuta dai Webbs tra negoziazioni collettive basate sul ruolo del
sindacato e il “mercanteggiare” individuale con il mercato, ossia il contratto individuale.
7
Quest’ultimo è visto essenzialmente come uno strumento che, mancando della capacità di mutua
comunicazione tra i lavoratori attraverso l’informazione su alcuni punti fondamentali per i
dipendenti quali i salari e le offerte a causa della competizione interna che li penalizza, li induce ad
una spietata concorrenza abbassando al minimo il loro prezzo per il salario.
Inoltre, benché la negoziazione collettiva sia un processo di “rule-making”, ossia capace di creare a
sua volta delle ulteriori norme relative alla materia trattata, che regola indirettamente anche la
negoziazione individuale, esso non la rimpiazza.
Secondo quanto affermato da due dei maggiori esponenti della scuola di Oxford, Fox e Flanders:
‟Storicamente la contrattazione collettiva è stata il metodo principale costruito dalle società
industriali per la creazione di sistemi normativi validi e adatti a mantenere in limiti
socialmente tollerabili le controversie nei rapporti di lavoro. Questo, essa lo ha fatto perché le
regole che essa crea, in quanto espresse in accordi collettivi e in intese non scritte, sono
sostenute da un grado sufficientemente elevato di consenso fra coloro i cui interessi sono
maggiormente toccati dalla loro applicazione.
8
"
5
Per i Webbs infatti il sindacato “era un’associazione permanente dei lavoratori salariati allo scopo di conservare e
migliorare le proprie condizioni di lavoro.”
6
Allan Flanders, “The Nature of Collective Bargaining” Harmondsworth Penguin, 1969
7
Ng Sek, e Michael Warner, “Collective Contracts in Chinese Enterprises: A new brand of collective bargaining under
Market Socialism?”, pp.299
8
Alan Fox e Allan Flanders, “La riforma della contrattazione collettiva: da Donovan a Durkheim”, Ed. Lavoro, Roma,
1969, p. 44
14
Flanders, uno dei maggiori esperti in materia, sottolinea alcune differenze tra la negoziazione
individuale e quella collettiva. La prima, e più importante, è che mentre nella negoziazione
individuale vi è un processo di compra-vendita di un certo tipo di bene o servizio (quindi uno
scambio tra datore di lavoro e impiegato singolo), in quella collettiva ciò non avviene. L’obiettivo
principale di quest’ultima è quello di determinare le condizioni base sulle quali poi stabilire lo
scambio. La seconda differenza riguarda la specificità delle negoziazioni individuali in cui vengono
stipulati con precisione i termini e le clausole della trattativa, mentre in quella collettiva vengono
prefissate le condizioni e i termini minimi. Un’altra differenza riguarda la natura delle due
negoziazioni: quella individuale ha natura prettamente economica; quella collettiva ha
essenzialmente natura politica. Proprio per questo motivo, il contratto collettivo viene stipulato
principalmente tra impiegati e datori di lavoro che riconoscono la necessità di mantenere una certa
armoniosità nelle relazioni con l’altra parte. A tal proposito si può citare la definizione che
Harbison
9
ha dato del contratto collettivo, ovvero “canale di drenaggio” per l’insoddisfazione dei
lavoratori. Inoltre proprio perché le trattative collettive implicano una serie di incontri tra la
direzione aziendale e il sindacato, esse potrebbero aiutare nell’ agevolazione delle relazioni
industriali. Strettamente collegato a quest’aspetto è il fatto che i contenuti discussi all’interno di una
negoziazione collettiva non sono meramente di natura economica ma riguardano anche i diritti dei
lavoratori, il controllo dell’azienda ecc.
10
9
Frederick Harbison è un professorre di economia dell’Università di Princeton, e membro del consiglio IIEP in qualità
di consulente. é specializzato a livello mondiale nello sviluppo delle relazioni industriali e dell’amministrazione del
personale. Nel corso della sua carriera è stato consulente dell’ILO, OECD, AID e della Banca Mondiale.
10
Allan Flanders, “The Nature of Collective Bargaining” Harmondsworth Penguin, 1969
11
Neil W. Chamberlain, e James Kuhn, “Collective Bargaining”. McGrill Hill, New York, 1965