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INTRODUZIONE
Interessarsi alla Corea del Nord non significa solo occuparsi di un “regno eremita”
che, superato dalla storia, opprime e affama il proprio popolo non curandosi delle pressioni
da parte della comunità internazionale. Significa anzitutto capire la strategia di
sopravvivenza di uno stato “canaglia” che si muove in un contesto internazionale di
generale astio, e i sotterfugi che esso usa per tenersi a galla. Significa poi interrogarsi sui
limiti della diplomazia internazionale, tanto per quello che riguarda le sanzioni, che per le
sue episodiche concessioni; strategie entrambe insufficienti a produrre risultati. La Corea
del Nord pone una sfida complicata a chi cerca di comprenderla, soprattutto per coloro che
s’interessano di relazioni internazionali contemporanee e di rapporti di forza che muovono
e governano il mondo.
Bisogna premettere che esistono due Coree del Nord: una messa dal regime a
disposizione dei visitatori a scopo propagandistico, meravigliosa, solare, pulita, efficiente,
ed un'altra nascosta, solitaria, sporca, arida e provata dal tempo, dalla guerra e da una
dittatura troppo longeva.
Lo scopo di questo lavoro è mostrare entrambe le facce della medaglia attraverso
comparazioni e testimonianze, dati, fatti ed ipotesi.
Il testo è strutturato in tre macro-parti.
La prima ripercorre il percorso storico del paese, dalle origini della divisione fino ai
giorni nostri, attraverso la politica dei tre leaders che hanno governato e che governano,
rivelandone pregi e difetti, pensiero e strategia.
La seconda tratta argomenti di politica internazionale come la deterrenza atomica,
le amicizie e le inimicizie, le strategie economiche e i rapporti di politica estera con i paesi
che hanno avuto grande influenza sul regime e con i quali i loro leader hanno
maggiormente interagito.
La terza parte si focalizza più sull’aspetto sociale del “caso Corea del Nord”,
sull’influenza del sistema statale, sulla popolazione e sulla gestione interna delle risorse
economiche e umane, nonché sul fenomeno di chi riesce a fuggire da un regime dittatoriale
e di chi, da questo regime, viene schiacciato.
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Trattandosi di uno dei paesi più chiusi al mondo il lavoro dell’osservatore politico o
dello storico risultano maggiormente complicati, la stampa, la radio, la televisione e le
agenzie nordcoreane sono difficilmente accessibili e mostrano unicamente quella faccia
della Corea del Nord che il regime di Kim Jong-un vuole mostrare. Le testimonianze dei
rifugiati rimangono la fonte d’informazione più importante, in particolare per gli aspetti
che concernono la società interna del paese. Gli studi dei vari politologi e storici del paese
sono altrettanto importanti come lo sono quelle dei reporter che ogni giorno cercano di
dare voce e visibilità ad un contesto politico e sociale molto problematico, anche a rischio
della loro stessa incolumità. Ci sono poi le organizzazioni non governative che veicolano
molta dell’informazione che ci arriva e sostengono molte delle persone che in Corea del
Nord vivono situazioni al limite dell’umano.
La maggior parte della gente conosce pochissimo della Corea del Nord, ciò che
propinano i media è l’immagine di un dittatore grassottello, con i capelli a fungo, la giacca
maoista e la passione per le parate militari e i missili nucleari. Non molti sanno che la
Corea del Nord è una dinastia ereditaria comunista che da oltre mezzo secolo regna su uno
stato di polizia grazie ad una delle propagande politiche più invasive e oppressive della
storia, dove le condizioni di vita sono straordinariamente difficili, dove i diritti dell’uomo
vengono sistematicamente e gravemente calpestati, dove esistono campi di concentramento
che spesso si trasformano in campi della morte, dove la preoccupazione unica di una parte
dei nordcoreani è sopravvivere alla miseria.
Per comprendere a fondo il comportamento di questa nazione è d’obbligo quindi
ampliare la propria ottica di osservazione, indagando sugli elementi di razionalità piuttosto
che sulla presunta irrazionalità. La Corea del Nord non è in alcuna misura un provocatore
irrazionale. Tale visione, molto in voga tra coloro che guardano a Pyongyang senza
conoscerne le caratteristiche politiche, sociali ed economiche, ha contribuito a “sporcare”
le analisi condotte sul paese.
Questo testo si propone di analizzare quello che è accaduto alla nazione e al popolo
nordcoreano dal secondo dopoguerra ad oggi e come si sono mossi i paesi limitrofi quali
Cina, Corea del Sud e Giappone; si cercherà di capire come si è mossa la comunità
internazionale, con in testa gli Stati Uniti, e come ha fatto un regime così anacronistico ed
economicamente debole a sopravvivere alla guerra fredda e alla caduta del Muro di
Berlino.
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Cercando di arrivare a dare un senso logico e cronologico al “caso Corea del Nord”
si tenterà di dare una risposta a questi problemi utilizzando un’analisi storica, politica e
sociologica il più possibile oggettiva e razionale.
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CAPITOLO I
LA STORIA DI UNA NAZIONE DIVISA DALLA GUERRA
1.1 – Una Guerra Per Procura
Il termine “Corea” deriva dal nome della dinastia Goryeo che dal 918 fino al 1392
amministra la maggior parte del territorio della penisola, rimossa poi dalla dinastia
Josœeon
1
che, nel XIV secolo, introduce tra l’altro l’attuale alfabeto coreano (hangul).
Nel 1592 il Giappone tenta di fare della Corea la sua base di partenza per il
progetto d’invasione della Cina, vengono sconfitti l’anno seguente ma le mire cinesi e
giapponesi caratterizzano praticamente tutto il periodo storico successivo. Si accentuano,
anche per via della diversità linguistica, le tendenze isolazioniste. Dopo le sconfitte di
Russia e Cina nel 1905 da parte del Giappone, quest’ultimo annette a se la Corea nel 1910.
La questione ligustica avvelena i rapporti di quegli anni. L’Impero cerca in tutti i
modi d’imporre nella colonia l’uso dell’idioma giapponese, ma i coreani fanno del
mantenimento della propria lingua una questione di sovranità nazionale. Si aggiunge al
clima d’astio il disprezzo dei giapponesi verso la cultura coreana, il lavoro obbligatorio,
l’arruolamento forzato nell’esercito imperiale, le c.d. “donne di ristoro” nonché umiliazioni
di vario genere.
La Seconda Guerra Mondiale caccia via i giapponesi dell’Asse liberando la
penisola dal giogo coloniale e avviando una nuova fase fatta, anche in questa occasione, di
“dominazione” da parte stavolta delle superpotenze.
È il presidente Roosevelt, proprio in piena Guerra Mondiale, precisamente durante
la Conferenza del Cairo, nel 1943, a proporre un “mandato a quattro” su tutta la penisola
coreana, suggerendo di considerarla come una nazione neutrale. Britannici, Cinesi e
Sovietici dapprima accolgono positivamente la proposta ma, a seguito della crisi interna
alla Cina nazionalista e di una situazione finanziaria britannica già gravata dalle spese
belliche, gli attori sul campo restarono soltanto USA e URSS.
1
Per riferirsi alla Corea nel suo insieme (Corea del Nord e Corea del Sud), vengono utilizzati 2 nomi: i
nordcoreani la chiamano Chosŏn (조선), mentre i sudcoreani Han-guk (한국). In riferimento alle due
dinastie che hanno governato la penisola e per enfatizzare la differenza culturale che li divide.
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Il piano di Roosevelt prevede la liberazione del paese dalle forze giapponesi in
maniera congiunta: i sovietici dal nord, passando per la Manciuria, e gli americani dal sud,
attraverso sbarchi di contingenti marittimi dai vari porti della penisola. Attuato il piano,
URSS e USA arrivano ad occupare la loro porzione di territorio pattuita in modo
meramente “amministrativo e provvisorio”.
Nel settembre del 1945, momento della resa nipponica, la situazione si configura
così: l’Unione Sovietica a nord del 38° parallelo e gli Stati Uni a sud. Tutte le potenze
vincitrici accettano in quel momento la spartizione in attesa di un accordo che porti ad un
governo nazionale. Di accordi però non se ne fanno: al Nord i sovietici incaricarono
d’instaurare un governo su modello staliniano il compagno Kim Il-sung, che vanta una
lunga permanenza nell’URSS e a Mosca e che era stato a capo di un contingente di
partigiani coreani antigiapponesi operanti in Manciuria sotto le fila dell’esercito comunista
cinese. A Sud viene posto dagli americani come Capo dell’Esecutivo Provvisorio della
Corea Liberata Syngman Rhee
2
, il quale regge il paese sotto una dittatura autoritaria
appena abbellita da alcune forme democratiche.
È chiaro fin da subito che entrambi gli attori, Kim Il-sung e Syngman Rhee, sono
meri ambasciatori della superpotenza che li ha cooptati, leaders-fantocci di un
“colonialismo” ideologico e politico.
Dopo una serie di reciproche accuse di aver instaurato regimi ostili all’ideologia
dell’altro, nel settembre del 1947 la questione viene rimandata alle Nazioni Unite le quali
votano una raccomandazione che prevede di arrivare ad elezioni libere sotto la
supervisione di suoi rappresentanti nei rispettivi paesi.
Trattandosi di una mera raccomandazione, quindi non a carattere vincolante, Kim
Il-sung respinge i rappresentati ONU, elimina i nazionalisti moderati ancora rimasti nel
paese e, il 9 settembre 1948, dopo elezioni plebiscitarie e dietro l’appoggio dell’Unione
Sovietica, decreta la nascita della Repubblica Popolare Democratica di Corea con capitale
Pyongyang. Per contro, al Sud, dopo aver messo da parte le correnti di sinistra, a seguito di
elezioni dichiate regolari dagli ispettori ONU, il 15 maggio 1948, viene decretata la nascita
della Repubblica di Corea con Syngman Rhee Presidente, appoggiato senza riserve dagli
Stati Uniti.
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Alcuni coreani usano il proprio nome rispettando l'ordine tradizionale (cognome-prenome), altri invece lo
invertono seguendo la consuetudine occidentale. È indifferente scrivere “Syngman Rhee” o “Rhee Syngman”
ma la prima locuzione è quella più comunemente usata.