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CAPITOLO 2 – LE PROBLEMATICHE DEL SISTEMA CARCERARIO
In questo capitolo analizzerò le Regole penitenziarie europee, recepite per la prima volta in
Italia nel 1973. Esse sono 94, suddivise in due parti. Tale documento subisce alcune revisioni:
la prima nel 1987, mentre la più importante è del 1989 a seguito dell’emanazione della CEDU
per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti, con particolare
riferimento all’art 3 secondo cui le condizioni dei detenuti devono rispettare la dignità umana.
Nel 2006 si apportano ulteriori modifiche e il nuovo corpus si compone di 108 articoli, suddivisi
in 9 parti. Nel 2020 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa emana le nuove Regole
penitenziarie europee. Anche il nuovo documento è suddiviso in 108 articoli inseriti in 9 parti,
ma aggiunge alcune novità.
Molti Stati membri dell’Unione europea faticano ad applicare tali Regole; tra essi l’Italia dove
le carceri sono caratterizzate da alcune difficoltà endemiche, quali: il sovraffollamento; le
problematiche psicologiche dovute all’impatto con il carcere; le sindromi reattive alla
carcerazione; la sindrome da prisonizzazione; la sindrome di Ganser; i gesti di autolesionismo;
il suicidio; le violenze e le morti in carcere; la recidiva e il costo delle carceri.
2.1. Regole penitenziarie europee
In Italia il primo tentativo di fissare delle regole standard in tema di misure carcerarie e pena
detentiva risale al 1973, quando si vollero recepire le norme minime per il trattamento dei
detenuti delle Nazioni Unite del 1955, le quali rappresentavano «i principi generali e le regole
minime di una buona organizzazione penitenziaria e di una buona pratica di trattamento dei
detenuti»
37
.
Le regole sono 94 e sono divise in due parti: la prima tratta l’amministrazione degli istituti
carcerari, ad esclusione di quelli minorili, ed è in generale applicabile a ogni categoria di
detenuti. In questa sezione si annoverano: le regole di applicazione generale e i principi
fondamentali; il registro; la separazione delle categorie; i locali di detenzione; l’igiene
personale; indumenti e letto; alimentazione; esercizio fisico; servizi sanitari; disciplina e
punizioni; mezzi di coercizione; informazioni e diritti di reclamo dei detenuti; contatti con il
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Regole minime per il trattamento dei detenuti – Ris, O.N.U 30.08.1955.
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mondo esterno; biblioteca; religione; deposito di oggetti; comunicazione di morti, malattie e
trasferimenti; personale penitenziario e ispezioni. La seconda parte riguarda regole applicabili
a determinate categorie di detenuti, tra cui detenuti in espiazione di pena; detenuti infermi di
mente o mentalmente anormali; persone arrestate o in custodia preventiva e condannati per
debiti a prigione civile.
Tale documento subì alcune revisioni, la prima delle quali risale al 1987, alla luce delle diverse
condizioni sociali e culturali che caratterizzavano quegli anni, con l’obiettivo di «abbracciare
le esigenze e le aspirazioni delle amministrazioni penitenziarie, dei detenuti e del personale
penitenziario in un approccio coerente alla gestione e al trattamento che sia positivo, realistico
e contemporaneo»
38
.
Il Consiglio d’Europa diede quindi vita alla Convenzione europea per la prevenzione della
tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti, entrata in vigore nel 1989 e divenuta
fondamentale all’interno delle società democratiche. Fu anche costituito il Comitato europeo
per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti con il preciso
scopo di garantire il controllo sul reale rispetto da parte degli Stati di quanto disposto dall’art.3
della Convenzione dei diritti dell’uomo. La Commissione, attraverso sopralluoghi, aveva la
facoltà di esaminare il modo in cui i detenuti venivano trattati per proteggerli da eventuali
soprusi. All’interno della Convenzione si fa riferimento a una serie di standard minimi ai quali
gli Stati membri del Consiglio d’Europa sono chiamati ad attenersi nell’amministrazione degli
istituti penitenziari. Tali dispositivi, pur non essendo vincolanti sul piano giuridico a meno che
non siano stati recepiti attraverso leggi nazionali, consentono di esercitare una sanzione morale
sulle autorità incaricate di garantirne il rispetto e sono da considerarsi come il codice più
avanzato in campo penitenziario che sia mai stato scritto a livello internazionale. La ratio
principale che emerge da queste disposizioni è l’esigenza di proteggere il principio essenziale
della dignità di ogni essere umano, che ha natura fondamentale, assoluta e inderogabile e non
può subire alcuna eccezione che ne diminuisca la portata.
Non viene fatta alcuna distinzione tra le nozioni di tortura e di trattamenti o pene inumane o
degradanti in quanto si è ritenuto impossibile fare un elenco e assegnare delle priorità, col
38
V. European Committee on crime problems (CDPC), Council for Penological Co-operation (PC-CP), Revised
commentary to Recommendation CM/REC (2006)2 of the Committee of Ministers to member states on the
European prison rules, 2018, p.4.
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rischio di escludere alcuni trattamenti dal divieto e finire per consentirne indirettamente
l’applicazione. Tale mancata distinzione ha inoltre permesso alla Commissione e soprattutto
alla Corte Edu di avvalersi di un ampio margine di discrezionalità per l’applicazione della
norma, sviluppando in merito una propria giurisprudenza che tenesse conto di un ordine di
gravità decrescente: tortura a livello più alto, comprendente sevizie e azioni di particolare
gravità, che causino “sofferenze gravi e crudeli” anche al fine di ottenere informazioni e
confessioni; trattamento inumano a livello intermedio, che consiste nel provocare
volontariamente tormenti mentali e fisici di notevole intensità, come ad esempio la detenzione
di molti reclusi in un’unica cella, impedendo loro di uscirne, vedere l’esterno e far filtrare la
luce; tortura a livello più basso, cioè il trattamento degradante che umilia fortemente il detenuto
davanti agli altri tanto da spingerlo ad agire anche contro la propria volontà, come ad esempio
l’isolamento quando è applicato senza limiti temporali e non è giustificato da oggettive esigenze
di sicurezza, disciplina e difesa sociale. La Corte ha pertanto osservato che l’art. 3 impone a
ogni Stato di accertare che le condizioni di ciascun detenuto siano compatibili con il rispetto
della dignità umana; ne consegue che le modalità di esecuzione della misura punitiva non
debbano creare disagi che superino l’inevitabile livello di sofferenza legato allo stato detentivo.
La Convenzione impone inoltre la garanzia della salute del detenuto, garanzia violata qualora
non siano prestate cure adeguate da parte dell’autorità nazionale. La Corte ha chiarito che, in
astratto, anche la permanenza in carcere di persone malate o anziane può considerarsi una
violazione dell’art. 3.
Riferendosi a campi nei quali il pensiero è in costante evoluzione, a quasi vent’anni di distanza
dal precedente testo, a causa dello sviluppo della criminalità, del diffuso sovraffollamento degli
istituti penitenziari, degli indirizzi della giurisprudenza della Corte europea e dell’aumento
degli Stati membri da 23 a 47, si è resa indispensabile una modifica, realizzata nel 2006 durante
la 952a seduta dei Rappresentanti dei Ministri del Consiglio d’Europa, con la quale è stato
possibile il raggiungimento pressoché completo e coerente della razionalizzazione dei principi
cardine in materia carceraria, sanciti dalla CEDU.
Il nuovo corpus era formato da 108 articoli, anche in questo caso non vincolanti,
39
ma con il
monito alle Istituzioni nazionali competenti di procedere a un regolare aggiornamento della
39
Soft law – norme prive di efficacia vincolante diretta.
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normativa e a un sistematico approfondimento della materia penitenziaria. I 108 articoli erano
suddivisi in 9 parti dedicate ai principi fondamentali, alle condizioni di detenzione, alla salute,
al buon ordine, alla gestione del personale, all’ispezione e al monitoraggio, allo status dei
prigionieri imputati e condannati e, come anticipato, all’invito all’aggiornamento della
normativa. Nonostante la completezza del documento, a causa dell’inerzia di molti Paesi
nell’applicazione delle linee guida penitenziarie e delle nuove esigenze igienico-sanitarie sorte
per il contenimento del contagio da Covid-19, sono emerse numerose riflessioni
sull’importanza di ribadire entro quali limiti e su quali buone prassi debba concretizzarsi
l’applicazione della pena carceraria. Come conseguenza, il 1 luglio 2020, durante la 1380a
riunione dei suoi Rappresentanti, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha emanato
le nuove Regole penitenziarie europee
40
.
Il nuovo documento riflette in buona parte e sotto molti aspetti quello precedente, a partire dalla
suddivisione in 108 capitoli inseriti in 9 parti.
La prima parte, che concerne i principi fondamentali e l’ambito di applicazione a cui le
Amministrazioni devono ispirarsi, è costituita da tredici regole che riproducono interamente il
testo del 2006: in primo luogo si tratta dei principi noti all’ordinamento italiano perché già
inseriti nella L. n. 354/75, che riguardano l’esigenza di attivare il trattamento penitenziario nel
rispetto dei diritti umani, civili politici e sociali a meno che gli ultimi tre non siano stati
legittimamente sospesi a causa della condizione di detenzione. Le Regole successive invitano
le amministrazioni a coinvolgere i servizi sociali del territorio per fare in modo che la
permanenza negli istituti sia il più possibile fedele alla vita che si conduce all’esterno, allo
scopo di favorire il reinserimento sociale. Dalla regola 10 alla 13 viene precisato l’ambito di
applicazione entro il quale dovranno muoversi gli Stati, fornendo edifici separati e norme
dedicate per i minorenni, per coloro che sono affetti da disagio psichico e il cui stato di salute
risulti incompatibile con la detenzione. Infine viene imposto il rigoroso rispetto del principio di
uguaglianza tra tutti gli individui.
La seconda sezione risulta più corposa e al suo interno si possono apprezzare alcune novità. In
particolare dalla regola 14 alla 16 sono disciplinati i principi e le modalità in base ai quali deve
essere garantito l’ingresso negli istituti e la tenuta dei registri. Oltre agli aspetti già previsti in
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EPR.
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precedenza, riferiti ai dati anagrafici, sanitari e di proprietà dei beni del detenuto, infatti, è
necessario che venga registrato anche il nominativo della persona che dovrà essere avvisata in
caso di decesso, lesioni gravi o malattia, nonché gli eventuali dati relativi alla prole. Secondo il
nuovo testo alle informazioni di tipo sanitario, che devono comunque essere integrate da una
valutazione del medico dell’istituto, vanno aggiunti nel registro altri elementi, che riguardano
ad esempio la condotta, lo stato del processo, i trasferimenti. E’ ribadita, senza specificazioni,
l’importanza di selezionare il carcere più idoneo in base al luogo di residenza della famiglia del
reo, tenendo in considerazione anche sue eventuali richieste. La tematica del sovraffollamento,
in relazione all’uso degli spazi comuni e dei dormitori, sarà trattata successivamente. Le regole
che seguono non presentano elementi di novità rispetto al precedente documento
41
, a parte
alcune marginali eccezioni riguardo alle detenute di sesso femminile e agli stranieri: vengono
infatti invitati gli Stati membri ad adottare politiche igienico-sanitarie o sociali che tengano
conto degli specifici bisogni delle donne e si sottolinea la necessità di prevedere misure ad hoc
che considerino il disagio dei detenuti stranieri per la lontananza dai propri familiari,
promuovendo altresì il rapporto con le autorità diplomatiche; una novità riguarda la concessione
della libertà anticipata che deve essere prevista anche per gli stranieri. La disciplina che riguarda
il trattamento penitenziario dei condannati minorenni risulta tuttora poco approfondita.
Nella terza parte delle nuove Raccomandazioni vengono richiamate le disposizioni del
precedente testo in merito al tema della sanità penitenziaria che viene in buona parte delegata
alle singole Amministrazioni nazionali. Nel nostro Paese, ad esempio, la Riforma
dell’ordinamento penitenziario del 2018 ha cercato di fornire risposte soddisfacenti, conferendo
in modo esclusivo alle ASL le competenze in materia, esigendo controlli approfonditi sulla
salute dei detenuti al momento del loro ingresso in istituto e prevedendo celeri procedure di
trasferimento agli ospedali specializzati, in particolare per i detenuti affetti da disagio psichico.
La quarta parte è dedicata all’ordine e alla sicurezza nelle carceri e presenta molti elementi di
novità. Innanzitutto vengono ribadite le modalità secondo le quali deve essere garantito
l’ordine. A tal proposito la regola 49 stabilisce che il personale dell’istituto è sempre obbligato
ad agire nel rispetto della dignità del singolo e quindi «anche a fronte di trasgressioni, seppur
gravi, l’uso della forza deve costituire l’estrema ratio»
42
. Vengono inoltre integrate le norme
41
Cfr., J. Bergeron, Relazione sui sistemi carcerari e le condizioni di detenzione, in europarl.europa.eu, 6 luglio
2017.
42
Nei medesimi termini, cfr. Allegato alla Raccomandazione R(2006)2, cit., pp. 104-105.
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riguardanti l’alta protezione e la sicurezza che contengono specifiche misure da impiegare, in
via eccezionale e per il tempo necessario al contenimento del pericolo, solo nelle ipotesi in cui
il detenuto rappresenti una minaccia concreta per gli altri detenuti o per il personale
penitenziario.
Si precisa inoltre che ogni decisione riguardante tali misure dovrà essere comunicata per iscritto
anche all’interessato, il quale potrà sporgere eventuali reclami. La regola 53 A, di nuova
generazione, sancisce la possibilità di distanziare i detenuti considerati più pericolosi, sempre
però nel rispetto dei diritti dell’interessato, al quale sono concesse due ore di contatto umano al
giorno; l’isolamento deve cessare se il suo stato di salute, che va attentamente valutato, ne
risulta compromesso. Le celle dedicate a tale tipo di trattamento sono da programmare nel
rispetto degli standard minimi relativi allo spazio, all’igiene e alla luce; ai detenuti va poi
garantita la possibilità di svolgere attività di lettura ed esercizio fisico. Riguardo ai mezzi di
contenimento e alle punizioni, la nuova regola vieta il confinamento nei casi di detenuti
minorenni, donne in gravidanza, madri in fase di allattamento o genitori con prole molto
giovane a carico. Si impone anche l’attenta valutazione delle condizioni di salute fisiche e
psichiche del detenuto, vietando l’uso di strumenti di tortura o trattamenti disumani o degradanti
da parte del personale che se ne deve occupare. Viene invece rinviata alle normative nazionali
la durata massima dell’isolamento. Altre modifiche riguardano gli strumenti di contenimento,
come le manette o le camicie di forza, sottolineando la loro natura sussidiaria e rendendoli
pertanto utilizzabili solo laddove siano già state poste in essere, invano, misure meno invasive.
Deve inoltre sempre essere rispettato il principio di minima offensività e proporzionalità nella
scelta e nella durata della misura e si aggiunge il divieto dell’adozione di strumenti, tipo le
catene, altamente invasivi e degradanti per la dignità dei detenuti. Questa parte si conclude con
alcune nuove disposizioni in merito ai possibili reclami avanzati dai carcerati, i quali non
devono per questo subire punizioni o ritorsioni. Nuova è anche la regola che prevede l’esistenza
di un registro, che nel rispetto del principio di riservatezza, riporti le istanze presentate.
La quinta parte delle Raccomandazioni, che ricalca quasi del tutto il precedente testo, si
compone di venti regole, dedicate all’importanza del ruolo del servizio pubblico delle carceri,
a tutela della comunità. Al personale addetto degli istituti sono richiesti elevati standard
professionali, in quanto la loro condotta esemplare rappresenta un elemento rilevante per la
buona riuscita del processo rieducativo. In questa direzione vanno molte delle regole dedicate