La ricerca sociologica qualitativa è apparso lo strumento più adatto per restituire le esperienze degli
individui intervistati, partendo proprio dalla narrazione soggettiva, in modo dunque deduttivo ed
endogeno. Essa comporta l’evocazione, in questi soggetti, di percorsi di auto-percezione che
rappresentano l’oggetto di maggior difficoltà interpretativa.
Ci si è appoggiarsi ad una metodologia di ricerca qualitativa che utilizza gli strumenti dell’etnografia:
interviste in profondità e focus group.
L’analisi compiuta in questo elaborato è personale, anche se si lega all’insieme della riflessione e dei
confronti dei dati delle tre realtà locali considerate nel progetto di ricerca MIUR.
Nel capitolo 1 verrà discusso il concetto di Capitale Sociale e di altre categorie che si è inteso
utilizzare nell’analisi dei dati raccolti. La riflessione critica si sviluppa a partire dall’uso del concetto in
ambito migratorio nella letteratura sociologica nazionale e internazionale. La questione della scelta
soggettiva è centrale nel caso si accordi ai giovani migranti il carattere di autori e attori di se stessi nei
processi di inserimento sociale, se si vuol dare adito all’idea che il capitale sociale sia una sorta di
materia prima per la costruzione di opportunità e il raggiungimento di soddisfacimenti individuali, anche
se poi questo porta ad effetti negativi sugli stessi meccanismi di inserimento.
Il capitolo 2 è dedicato alla descrizione dell’oggetto di ricerca, del modello teorico elaborato per
attuare l’analisi dei dati raccolti e delle ipotesi di ricerca.
Nel capitolo 3 verranno esposti gli strumenti e criteri metodologici che sono stati utilizzati nella
raccolta dei dati empirici, precisando i motivi che hanno spinto ad una scelta del metodo etnografico.
Prima di addentrare il lettore nel nucleo dell’analisi qualitativa, nel capitolo 4 è esposta una
rappresentazione analitica dei dati fissi, di ordine anagrafico e biografico, riguardanti i soggetti e i loro
genitori, con l’intenzione di fornire una cornice meso alle narrazioni d’intervista.
I capitoli successivi verranno invece dedicati all’analisi vera e propria.
Nel capitolo 5 sono descritti i meccanismi di identificazione che si sviluppano mediante gli scambi di
capitale sociale realizzati nelle tre reti sociali considerate: famiglia, scuola, gruppo amicale.
Il capitolo 6 è dedicato all’agire sociale rivolto al futuro, che nei termini di strategie e di progettualità
considera il capitale sociale come strumento o vincolo, incorporato nelle tre reti sociali suddette.
L’ultimo capitolo, il n. 7, si sviluppa a partire da una peculiarità del territorio padovano da cui non si
può prescindere e a cui si è pensato dover dare visibilità particolare. Esso è dedicato all’esposizione di
due casi limite del campione, che evidenziano non solo specifiche problematiche ma anche un
intervento eccezionale delle istituzioni pubbliche, nonché una mia partecipazione ai confini della ricerca
stessa.
6
Capitolo 1
Impianto teorico: La metafora del capitale
sociale in un’ottica costruzionista
Premessa
La ricerca osserva le reti sociali dell’esperienza giovanile di ragazzi e ragazze d’origine straniera,
usufruendo del capitale sociale come chiave di lettura.
Se si adotta una prospettiva costruzionista
5
, la condizione giovanile consta di una ricerca soggettiva
volta all’auto-costruzione, ovvero una ricerca di senso e di modelli sociali per la realtà esperita, e di
simboli per auto-definirsi. Essa ha i caratteri di un processo guidato dal soggetto, piuttosto che imposto
socialmente.
Questa ricerca tuttavia non è assoluta e astratta, ma viene condotta dagli individui negli ambiti sociali
della propria esperienza di vita. Esiste quindi una dimensione di vincolo o di imposizione a questo
percorso, che sta nel fatto che esso, non essendo universalmente libero, si lega a riferimenti simbolici e
modelli reperibili nelle reti d’esperienza, che sono un materiale, o un capitale sociale appunto, garantito
o negato socialmente
6
. Questo non deve però tradursi in un determinismo dato per scontato, perché gli
ambiti d’esperienza, e le loro province di significato
7
, essendo molteplici, danno la possibilità al soggetto
di attuare scelte preferenziali e discrezionali.
Accanto alle condizioni di molteplicità dell’esperienza sociale, fondata nella significazione soggettiva,
si deve inoltre dare peso alla variabilità delle vicissitudini di vita, come fattore eteronomo. Così, un
5
E. Colombo (2005) spiega che, nel caso di giovani d’origine straniera in via di formazione, si dovrebbe preferire l’idea di
identificazione a quella di identità. L’identificazione presuppone un processo non compiuto e definito, passibile di
trasformazioni e modificazioni in itere, mentre l’idea di identità segna una entità simbolica certa e stabile, tipica dell’età
matura.
6
E’ negato in primo luogo il capitale sociale delle reti e comunità cui non si appartiene socialmente, ma, in secondo luogo,
anche negli ambiti sociali cui si partecipa quotidianamente avvengono meccanismi di accessibilità, condivisione e reperibilità
non scontati, che discendono dallo status di partecipazione e dalle forme relazionali concrete.
7
L’esistenza di realtà multiple nella dimensione soggettiva dell’esperienza sociale, per Schutz (1979), si tramuta nella
ripartizione in provincie finite di significato, costituite dal significato donato all’esperienza stessa. La realtà dunque, sarebbe il
rapporto con la vita attiva ed emotiva (p. 181), tipizzato in un atteggiamento naturale che dà per scontato il mondo e i suoi
oggetti finché non si impone una prova contraria (ibidem). Questa prova determinerebbe una crisi di coerenza simbolica a
cui si può rispondere mediante meccanismi di conservazione dell’universo simbolico (Berger & Luckmann 1966, p. 147),
oppure può avvenire una trasformazione dell’universo stesso, tramite risocializzazioni (Ibidem, p. 214).
7
giovane nato in Italia o migrato nei primi anni di età non esprime le stesse condizioni e successioni di
socializzazione di un giovane migrato in età più avanzata, e dobbiamo quindi distinguerli sia per classi
di età, sia per contesti di socializzazione.
Quando un giovane è migrato sotto i sei anni, quindi prima che inizi la socializzazione secondaria, per
esso, presumibilmente, la migrazione comporterebbe una lieve rottura strutturale e temporale nei
processi di socializzazione. Il nucleo familiare è il principale e dominante ambiente sociale conosciuto e
i mutamenti ambientali dovuti alla migrazione non sarebbero percepiti così intimamente perché, se il
nucleo familiare rimane intatto nel cambiamento, la percezione stessa da parte del soggetto non
assegnerebbe loro un senso drasticamente rilevante. Se la composizione del nucleo familiare non viene
intaccata dal cambiamento, non verrebbero vissute incrinature né cambiamenti simbolici importanti. In
questa condizione, i fattori di incertezza e variabilità per i processi di identificazione si proiettano negli
anni successivi, a partire dalla seconda scolarizzazione, quando iniziano riassetti strutturali e
compaiono differenti modelli di trasmissione culturale, magari non armonici, a volte anche
incommensurabili, dovuti ad agenzie di socializzazione che rappresentano mondi culturali non integrati,
talvolta contrastanti.
Nel caso di individui migrati in età giovanile, al fattore dell’incommensurabilità delle agenzie, si
aggiungerebbe una rottura atavica, segnata dalla migrazione compiuta in un’età più consapevole, che
indurrebbe un’attribuzione soggettiva di senso all’abbandono di reti sociali extrafamiliari che avevano
iniziato la loro opera di socializzazione. Ad una socializzazione precedente, da cui si stavano
apprendendo modelli culturali (valori e norme), definizioni della realtà e identificazioni, si affianca una
socializzazione successiva, che veicola nuovi modelli e diverse identificazioni. Oltre a ciò, nel mezzo tra
quel prima e questo adesso, tra i passati assetti strutturali di socializzazione e quelli presenti, vi è la
rottura, la migrazione, a sua volta un vissuto a cui i soggetti danno un senso, che muta e si articola pari
passo alla costruzione individuale.
Sarà una necessità per questi ragazzi procurarsi una sintesi tra queste dimensioni culturali e
temporali distinte, che assumerà necessariamente dei tratti individualistici, che dipendono anche dalle
forme e dai gradi dell’incommensurabilità tra agenzie di socializzazione nella diaspora
8
.
Il capitale sociale, mezzo della ricerca sociologica che fonda le basi di questo elaborato, viene qui
considerato come una materia prima di auto-valutazione e auto-costruzione. Si ritiene che, proprio in
virtù dei subitanei bisogni inerenti alla condizione giovanile, la ricerca di riferimenti simbolici investa la
8
Il concetto di diaspora, che nell’uso corrente è attribuito alla condizione storica della dispersione del popolo ebraico, è
recuperato e impiegato da C. Saint-Blancat (1995) per caratterizzare la migrazione musulmana in Europa. Si estende qui
l’uso del termine, attribuendolo anche alla migrazione rumena.
8
dimensione del capitale sociale, che acquisirebbe una rilevanza particolare e fondamentale nei
meccanismi di inserimento sociale dei giovani d’origine straniera.
Tornerà utile, dunque, procedere nel paragrafo 1.1 a una sintesi dei principali riferimenti teorici che,
nella cornice del fenomeno del capitale sociale, si ritengono inerenti alla questione di ricerca. Quindi, nel
paragrafo 1.2, si fornirà una visione d’insieme, che integra la letteratura sul capitale sociale con il tema
dell’inserimento sociale e dell’identità dei ragazzi migranti.
1.1 Approccio teorico al concetto di capitale sociale
In letteratura vi è un accordo unanime su quello che può essere definito il carattere d’intangibilità del
capitale sociale, che è alla base dello scoglio della costruzione concettuale e delle molteplici versioni
che le definizioni hanno assunto. Capitale umano e capitale culturale sarebbero entità idealmente
compiute, ovvero definibili secondo canoni teorici convenzionali, ma il capitale sociale sembra non
acquisirsi una validità teorica assoluta
9
.
Se il fenomeno si riducesse essenzialmente al numero, alla tipologia e al grado di rilevanza personale
dei legami sociali di un soggetto (posizionamenti di rete), una metodologia di ricerca quantitativa
sarebbe in grado di darne una obiettiva restituzione. Questo invece non basta per spiegare e descrivere
in modo esaustivo il fenomeno reale, poiché in esso ogni meccanismo rilevabile empiricamente veicola
molteplici livelli di significato (collettivo o soggettivo, ideale o pragmatico, simbolico o concreto),
producendo vere e proprie mappe cognitive, anche di ordine culturale, ma sempre costruite nella
dialettica sociale/individuale. Di qui quindi la necessità di una ricerca e un’analisi qualitativa.
Non è intenzione di questo lavoro considerare centrali (se non come cornici secondarie) gli aspetti
strutturali legati alla comunità (o alle molteplici comunità) o a quello che viene comunemente inteso con
il termine “integrazione sociale”, ma concentrarsi invece sull’aspetto di come i soggetti usufruiscano del
particolare capitale sociale che hanno in dotazione. Il focus quindi è sulla dimensione individuale
dell’esperienza, così come viene percepita dagli attori stessi.
9
L’utilizzo sociologico del termine, non solo è estremamente differente a seconda che sia ponderato come caratteristica di
singoli individui o come un bene strumentale alla collettività (prospettiva individualista, ottica microsociologica, e prospettiva
strutturalista, macrosociologica), ma varia molto anche all’interno dello stesso filone di pensiero. Il disaccordo ruota attorno a
considerazioni tautologiche, ma anche ad aspetti generativi (fonti) e nessi causali, attorno al dilemma sul fatto che sia un
fenomeno naturalmente positivo oppure ambivalente negli effetti o profitti (outcomes) e addirittura negativo in altri casi. Non
vi è neppure accodo nei metodi di misurazione di esso, cosa che alimenta la confusione teorica con un secondo livello di
complessità, di natura empirica, legato a difficoltà sia induttive sia deduttive rispetto al primo livello teorico.
9
1.1.1 Innovazione o mosaico di teorie sociologiche? Il concetto nella
letteratura sulla migrazione
Adottando l’approccio teorico individualista (capitale sociale come dotazione individuale), si parte
quindi dalla posizione soggettiva per considerare le reti sociali che la circoscrivono.
I lavori primigeni, fondati sull’assegnazione di maggior importanza ai legami più forti delle reti, sono
quelli di Bourdieu (1980; 1986), che focalizza sullo scambio che “produce mutua conoscenza e mutuo
riconoscimento” e che “trasforma le cose scambiate in segni di riconoscimento” (1986, p. 52)
10
, e
Coleman (1988; 1990), che, pur concentrando l’attenzione sul concetto come insieme di risorse
scambiate, soppesa maggiormente gli aspetti normativi che monitorano e guidano le condotte
individuali. Il primo definisce il concetto come un “aggregato di reali o potenziali risorse legate al
possesso di network durevoli, di più o meno istituzionalizzate relazioni di conoscenza e riconoscimento”
(ovvero di appartenenza a un gruppo), “che fornisce a ognuno dei suoi membri l’abilità al credito, nei
vari sensi della parola” (1986, p. 51). Il secondo come “varietà di differenti entità con due elementi in
comune: consistono di alcuni aspetti delle strutture sociali e facilitano l’azione dei singoli individui nelle
strutture stesse” (1988, p. S98).
E’ evidente la loro predilezione per le reti sociali chiuse, considerate, attraverso lo scambio che
avviene in esse, esclusive fonti di capitale sociale, anche se studiate sotto profili teorici differenti
11
.
La teoria, successivamente, conosce uno sviluppo soprattutto nella sociologia d’oltreoceano,
comprendendo successivamente prospettive di analisi sempre più specifiche e particolareggiate. Le
formulazioni di Granovetter (1973; 1983) e di altri (Camphell, 1986; Burt, 1992) sulla rilevanza dei
legami deboli nella costituzione di opportunità di mobilità sociale vengono prese ad oggetto per ampliare
lo spettro comprensivo della teoria, comprendendo una serie di studi sulla questione migratoria, spesso
risolta nei termini della sola mobilità sociale, appunto.
Successivamente, altri autori propongono un’ulteriore interpretazione del concetto, identificandolo
nell’appartenenza piuttosto che in sistemi di risorse. In tal senso Portes & Sensenbrenner (1993)
adottano il concetto di embededness, nell’uso che Granovetter ne fa (ma coniato da Polanyi e soci nel
1957), per evidenziare gli effetti negativi delle appartenenze di gruppo sui singoli. Gli autori infatti citano
10
Integrando il tal modo capitale economico e capitale culturale nella dotazione soggettiva di capitale e nella riproduzione
della classe sociale di appartenenza.
11
Prospettiva culturalista quella di Bourdieu, interessato ai processi di costituzione, mantenimento e riproduzione delle
identità culturali (e condizioni d’esistenza) di specifici gruppi (o classi) sociali; prospettiva maggiormente funzionalista quella
di Coleman, che centra le sue considerazioni sulle funzioni di gruppo degli aspetti normativi come reciprocità e sanzioni
sociali, affermando per questo che il capitale sociale può essere “definito in base alla sua funzione” (1988, p. S98).
Un’ulteriore differenza tra i due approcci, che sembra originata da una divergenza di prospettiva, si nota in diverse
interpretazioni dell’azione sociale, a cui Coleman sembra maggiormente disposto a concedere caratteri di azione economica
in vista di scopi individuali.
10
il concetto di vincolo di Granovetter, affermando come la struttura sociale (non solo può migliorare e
tutelare la posizione di un singolo, ma) può anche costringere la ricerca individuale degli obiettivi,
ridefinendone i contenuti
12
.
Considerando il concetto nella prospettiva della sociologia economica, Burt (2000) parla di metafora
del vantaggio, un’allusione sia al carattere aleatorio del termine sia al valore strumentale sul quale esso
si basa. Sarebbero infatti le persone meglio connesse a riuscire in modo più deciso nella propria vita,
utilizzando come strumenti le loro dotazioni personali di rapporti umani, assettati in reti sociali, per
ottenere benefici individuali. Nella cornice della “scuola economica” di questo autore, il capitale sociale,
come per Bourdieu, sarebbe il particolare assetto degli scambi sociali di un soggetto.
Il concetto di scambio guida direttamente a quello di reciprocità, un fenomeno peculiare e
particolarmente evidente in reti a legami densi. Lo scambio e la reciprocità sono portatori di aspettative
sicure, ovvero si prestano ad essere un utile mezzo di raggiungimento per i propri fini soggettivi sulla
base di una intrinseca fiducia accordata a tali relazioni sociali. Citando Mutti, per fiducia si può intendere
una “aspettativa di esperienze con valenza positiva per l’attore, maturata sotto condizioni di incertezza,
ma in presenza di un carico cognitivo e/o emotivo tale da permettere di superare la soglia della mera
speranza” (1998, p. 42).
Ma lo scambio e particolari forme di reciprocità sono la base anche di meccanismi di mobilità sociale
che beneficiano della strumentalizzazione di legami deboli (Granovetter, 1973; Burt, 1992; 2000). La
dicotomia chiusura-apertura delle reti sociali trova qui adito e legittimazione, ipotizzando l’esistenza di
fenomeni differenti in base alla classificazione dell’esperienza individuale in una di queste due
categorie. Per il fatto di chiudersi nell’esclusività (e limitata realtà) delle reti dense, gli individui
rimangono tagliati fuori da scambi di informazioni e conoscenze invece presenti in altre cerchie sociali.
Granovetter parla di questo tipo di scambi (soprattutto informativi) nel considerare i legami deboli come
sistema informale di riferimento per la mobilità occupazionale. Burt ricalca questa formulazione teorica
12
Nelle comunità asiatiche americane, le reti familiari e comunitarie sono fonti di capitale sociale nell’aiutare a superare le
difficoltà di un inserimento sociale e spalleggiare uno sviluppo socio-economico, facendo dei valori tradizionali, dell’etica del
lavoro e della reciprocità vincolante delle risorse (Nee & Nee, 1973; Light & Bonacich, 1988; Zhou, 1992; Zhou & Bankston,
1996). Altri lavori empirici si concentrano sul fenomeno dell’imprenditoria etnica, su come il capitale sociale, in quanto
scambio e obbligazione in una comunità, sia lo strumento per lo sviluppo di tali attività economiche (Light & Gold, 2000;
Rubin, 1994).
In queste stesse ricerche empiriche tuttavia, vengono aggallati molti aspetti negativi dell’appartenenza comunitaria sui singoli
soggetti. Scambi e reciprocità comunitari, con il riflusso di vincoli e norme che essi veicolano, sono una limitazione personale
se la condotta del singolo lo spinge ad uscire dalla collettività e immergersi in quello che gli americani chiamano mainstream.
In questo contesto Margaret Grieco (1987) evidenzia come i legami parentali, che spesso facilitano e rendono possibile la
migrazione, sono gli stessi che contribuiscono alla segregazione.
11
introducendo il concetto di “buchi strutturali”, ovvero le connessioni tra gruppi diversi, che evidenzia i
benefici dell’intessere legami oltre la stretta cerchia di conoscenze familiari, amicali e comunitarie
13
.
Sempre nell’ambito della sociologia economica spicca il lavoro di Nan Lin, che sembra riassumersi
egregiamente nell’articolo “Building a network theory of Social Capital”, del 1999. Per l’autore, nel
capitale sociale avviene generalmente un “investimento nelle relazioni sociali con aspettative di ritorno”
(p. 31), attraverso l’accesso e l’utilizzo di risorse incorporate nelle reti, volti a guadagnare ricompense e
ritorni in azioni strumentali o preservare guadagni in azioni espressive. Nella formulazione della
distinzione tra azioni (e outcomes) “espressive” e azioni “strumentali”, si nota l’influsso dei diversi
approcci dei due padri fondatori del concetto in sociologia, per cui mentre le azioni strumentali sono
definite tali in base alla visione utilitaristica dell’approccio economico le azioni espressive sono
manifestazioni (in seno all’individuo, nella nostra cornice teorica) dell’identità sociale, in quanto “ritorno
psicologico, di rinforzo e stabilizzazione, legato all’identità” (p. 37).
Appare dunque estremamente variegato lo stato delle definizioni di ciò che può essere considerato
capitale sociale, che sembra un concetto ineffabile, chiamato a descrivere serie e concatenazioni di
fenomeni tra loro a volte contradditori e a costituire una reinvenzione teorica di idee già calcate in
sociologia. Il fulcro della riformulazione risiede nell’associazione di benefici o vincoli che nelle relazioni
sociali interessano un soggetto, rispetto a obiettivi personali o funzioni sociali. L’essenza del concetto, il
focus, sta in questi esiti, desunti dalla pratica dei legami sociali. Ogni effetto è da considerarsi legato al
capitale sociale, sia che si prefiguri in risorse sia che comporti vincoli annichilenti per il soggetto.
Portes (1998) esprime una complessità simile affermando l’importanza di distinguere le risorse in se
stesse dall’abilità soggettiva di ottenerle in virtù dell’appartenenza a differenti strutture sociali
14
.
Il capitale sociale appare come una metafora sociologica fascinosa e di grande effetto, ma in molti
evidenziano il nesso teorico del concetto con svariate dottrine sociologiche del passato, affermando
così la sua non originalità. Non si può quindi assegnare ad esso valore innovativo in senso stretto,
quanto il merito di riunire differenti approcci sociologici in un sistema interpretativo dell’azione sociale.
Coleman (1988, p. 97) scrive che nelle scienze sociali sono due i principali filoni di pensiero che si
occupano di azione sociale: l’approccio sociologico (che vincola gli individui alle visioni del mondo,
sistemi di valore e norme sociali del proprio gruppo di appartenenza per mezzo dei processi di
13
L’individuo che costituisce la connessione tra i due gruppi diversi costruisce un ponte che attraversa questi buchi,
permettendogli di accedere alle informazioni dell’altro gruppo, infonde nuove idee e comportamenti nella propria rete ma
controlla anche la comunicazione tra i due gruppi, fungendo quindi da mediatore e costituendo un controllo sui flussi
informativi (Burt, 2000, p. 9).
14
Nello stesso articolo l’autore cita decine di studi, in merito all’”ambiguità” dei meccanismi di appartenenza, palesando una
serie di manifestazioni negative del fenomeno del capitale sociale, tra cui, eccesso di richieste ai membri del gruppo e forme
di livellamento verso il basso delle possibilità personali di successo sociale, che tendono a perpetuare la situazione di
disagio che viene invece accusata pubblicamente (Waldinger, 1995, sulle comunità italiane, polacche e irlandesi; Geertz,
1963, sull’imprenditoria a Bali; Rumbaut, 1977, sul legame negativo solidarietà familiare-successo scolastico; ecc.)
12
socializzazione) e quello economico (che vuole i soggetti come attori individuali che perseguono fini
soggettivi autonomamente, obiettivi personali che non risentirebbero delle particolari appartenenze
sociali a gruppi e comunità). L’autore spiega come la teoria del capitale sociale permette di riunire
entrambi i filoni in un sistema interpretativo coerente e una cornice di lavoro per studiare i fenomeni
sociali visti dal punto di vista individuale. In tale cornice teorica quindi risiedono concetti appartenenti a
differenti teorie sociologiche del passato, come “scambio” (Homans, 1961; Blau, 1964), “giustizia
distributiva” (Homans 1964) e “norme di reciprocità” (Gouldner 1960).
Lo stesso Burt (2000) ammette di aver elaborato il sui concetti di buchi strutturali e ponti basandosi
sull’apporto teorico di alcuni classici della sociologia come Simmel e Merton. Egli inoltre cita una serie di
studi e di esperimenti condotti su manager e su temi quali la produttività aziendale, l’imprenditoria
creativa e i processi di apprendimento e conoscenza (tra cui due studi di A. Smith e J.S. Mills). Questi
infatti, pur essendo remoti nel tempo, adotterebbero criteri di interpretazione simili ad alcuni di quelli
individuati nel corpo della teoria del capitale sociale.
Più esplicitamente, altri ricercatori hanno evidenziato dei nessi di continuità tra alcune
concettualizzazioni sul capitale sociale e teorie fondamentali della sociologia del passato. Ad esempio
Portes afferma che “malgrado la corrente popolarità, il concetto non incorpora nessuna idea realmente
nuova per i sociologi” (1998, p. 2), citando come esempi l’enfasi di Durkheim nel gruppo come antidoto
all’anomia (l’idea di solidarietà) e la distinzione marxista tra classe in sé e classe per sé (e quindi all’idea
di coscienza di classe generata dalla comune esperienza di circostanze avverse), nonché le già citate
teorie dello scambio di Simmel, Homans e Blau.
1.1.2 Fonti del Capitale Sociale e problemi metodologici
E’ evidente che pochi ricercatori si sono prestati all’analisi del fenomeno della migrazione giovanile
adottando la cornice teorica del capitale sociale, prediligendo a questa quelle del capitale umano e del
capitale culturale. Tra loro domina nettamente la dimensione interpretativa comunitaria, quella che
predilige letture etnicizzanti e/o etnocentriche del fenomeno. Uno dei meriti delle teorie di Portes è
sicuramente quello di aver provato gli aspetti negativi del fenomeno del capitale sociale etnico sulle
nuove generazioni di ragazzi di origine straniera, smontando la tesi per cui esso costituiva una risorsa
universale e mostrando che esso può essere alternativamente una risorse e un limite sulla base di
determinati obiettivi ideali. Purtroppo però, egli dedica poco spazio alle possibilità di condotta individuale
autonome dall’appartenenza, fondate su un agire emotivo e/o di utilità personale.
13
Una prima ricostruzione ideal-tipica di possibili fonti di capitale sociale ci viene trasmessa in un
articolo del 1993, scritto da Alejandro Portes in collaborazione con J. Sensenbrenner (Embededness
and Immigration: Notes on the social determinants of economic action). In questo articolo gli autori
individuano quattro tipologie di fonti, la prima e la terza originate dall’interiorizzazone di principi e valori,
la seconda e la quarta da razionalità strumentale. Sembra evidente l’eco delle teorie di Weber sulle
varie forme di razionalità dell’azione
15
.
In un articolo del 1998, Alejandro Portes riassume in due categorie distinte le fonti del Capitale
Sociale, tutte riconducibili a due ordini di motivazioni, di consumo e strumentali. Con tale dicotomia egli
interpreta i meccanismi di scambio con la metafora del dono, che prevede un donante, con propri
interessi a donare, un ricevente o beneficiario del dono e l’instaurazione di un vincolo di reciprocità che
può essere sfruttato dal donante in un momento futuro, considerato che la moneta con cui viene
ripagato il favore può essere di diversa natura (p. 7). Egli utilizza, e lo fa notare, i contributi teorici di
Simmel, Homans e Blau.
I questa costruzione ideal-tipica appare evidente tuttavia il gran peso accordato alla comunità e
all’ingruop, che vengono considerati fattori determinanti delle condotte individuali, vuoi per mezzo della
trasmissione di valori e modelli tradizionali, vuoi per la solidarietà o per la discriminazione sociale o le
sanzioni collettive che impongono. L’unica fonte di capitale sociale che permette un’agire secondo
strategie d’utilità soggettiva è quella degli scambi face-to-face, delle dinamiche di scambio a due.
Questa tipologia, esaustiva dei possibili dinamismi di gruppo in merito alla produzione di obbligazioni
talvolta imposte e talvolta interiorizzate, sembra non dare spazio ai processi di strumentalizzazione
individuale di risorse (o vincoli) incorporati nelle reti.
Nessun’altro autore è altrettanto specifico e categorico come lo sono stati Portes e Sensenbrenner, i
quali descrivono efficacemente una serie di fenomeni precisi, che accadono realmente e
inequivocabilmente in seno a comunità e gruppi etnici. Questa chiara classificazione permette di
15
La prima fonte è l’introiezione classica di valori condivisi, (Value Introjection). Questa spinge gli attori a comportarsi in
modi che sono anche altri rispetto a quelli della puro tornaconto. La concettualizzazione di questi fenomeni in sociologia,
dicono gli autori, è stata compiuta da Durkheim nelle sue teorie dei contratti sociali e trova applicazione successivamente nel
Funzionalismo di Parsons e Smelser. Il principio operante è la socializzazione in credenze istituzionalizzate. La seconda
fonte è costituita da scambi di reciprocità, (Reciprocity Exchanges). Nella sua cornice, precedenti atti positivi verso gli altri
danno adito ad attese di ricambio che permettono di perseguire fini individuali. Gli autori fanno risalire queste argomentazioni
al contributo di Simmel sull’analisi delle coppie e delle triadi e successivamente alle teorie di Blau sullo scambio e il potere
nella vita sociale. La terza fonte si può tradurre col termine solidarietà limitata, (Bounded solidarity). Tale solidarietà deriva
dalla condivisione nel tempo e nello spazio di una comunione situazione avversa che crea un comune sentimento di
appartenenza collettiva. Fatta risalire alle teorie di Marx sulla classe sociale, essa viene individuata come una peculiarità
delle comunità di migranti. Il suo principio operante sta nei sentimenti reattivi di tipo situazionale. La quarta fonte, lo scambio
rinforzabile, (Enforceble Trust), è originato nella capacità sanzionante della comunità stessa e deriverebbe dalle teorie
weberiane sulla razionalità degli scambi economici. Questa fonte viene considerata dagli autori alla base delle dinamiche di
imprenditoria etnica.
14
facilitare i processi di restituzione del fenomeno, ma tende ad escludere invece alcune possibili
manifestazioni del fenomeno stesso, quelle più legate alla sfera soggettiva, che così non verrebbero
considerate neppure nella misurazione. La maggior vacuità sulle fonti del capitale sociale, manifestata
dagli altri autori (che parlano in generale di fiducia, scambio, reciprocità, sostegno, solidarietà,
informazioni, vincoli, limitazioni, obblighi, esclusione, segregazione) per contro, garantisce la possibilità
di inclusione di un numero maggiore di manifestazioni del fenomeno, ma non permette restituzioni
altrettanto chiare e univoche.
Nelle elaborazioni concettuali di capitale sociale e assimilazione segmentata Portes sembra
tralasciare, inoltre, le differenze interne alla stessa comunità, ad esempio tra gruppi parentali, facendo
delle seconde generazioni le uniche portatrici di distinzioni interne. F. Furstemberg, in un articolo del
2005, sottolinea come i network familiari e di parentela differiscano non solo nelle capacità di evocare
norme comuni, scambi e attaccamento emotivo, ma siano detentori di abilità differenti di connettersi alle
comunità esterne alla propria. Questa osservazione è interessante in quanto sposta il fulcro della
riflessione dall’ambito endogeno (intra-familiare e intra-comunitario) al livello interstrutturale: se è vero
che la famiglia opera come un piccolo sistema sociale essa si scontra o si trova a interagire con i
sistemi sociali più ampi in cui è inserito ogni suo membro, in primo luogo quelli dei propri figli.
Tutti gli autori sono concordi nell’affermare le difficoltà metodologiche della ricerca sul capitale
sociale, in primo luogo in merito a interpretazioni di fenomeni e misurazione quindi di questi.
Considerando ad esempio la cornice familiare e delle reti parentali, Furstemberg, nel suo articolo
centrato sui meccanismi di filiazione, pone la necessità di distinguere differenti approcci di misurazione
a seconda del livello strutturale considerato (nazionale, comunitario e familiare). In capo gli ambiti più
microsociologici, devono essere misurati, dice, il livello di capitale sociale esistente in famiglia e reti di
parentela, i livelli di accesso e uso del capitale disponibile e conseguenze e risultati di possesso e
utilizzo
16
.
Se si vuole dare una lettura congiunta delle varie tipologie di reti che coinvolgono questi ragazzi,
sembra essere un valido supporto l’apporto di Nan Lin. La misurazione comprenderebbe due
dimensioni di rete: le risorse incorporate e i posizionamenti di rete. Per risorse incorporate si intende
“risorse di altri, valorizzate e ottenute dall’individuo”, che suddivide in risorse di rete, strutturali e sempre
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Tre sarebbero le complicazioni di queste misurazioni. La prima è legata alle forme di normative embededness, in quanto
mentre questo tipo di capitale sociale promuove alcune azioni ne restringe altre. Così elementi di appartenenza quali ad
esempio consenso e impegno, dinamiche coniugali e interazione delle reti parentali sanciscono forme di utilizzo da parte dei
giovani che comportano differenti scelte su base soggettiva. La seconda è connessa alle abilità e agli interessi individuali ed
è di ordine percettivo e cognitivo. Non è scontato infatti che il soggetto sia in grado di identificare e sapersi rappresentare il
capitale sociale disponibile, e in esso tali riconoscimenti e rappresentazioni sono selezionati in base agli interessi personali.
La terza riguarda la crescente complessità e le problematiche che investono la famiglia nella modernità e rendono molto
articolate e contraddittorie le riflessioni sul capitale sociale disponibile: divorzi, coabitazioni, secondi matrimoni.
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presenti, e risorse di contatto, eccezionali in quanto legate a contatti e aiuti in azioni specifiche. Per le
prime le dimensioni da rilevare sono qualità, varietà ed eterogeneità e composizione, per le seconde
invece ricchezza, potere e status. Nell’ambito dei posizionamenti di rete vengono distinti i ponti (o gli
accessi ai ponti, cioè il contatto con chi è in una posizione di ponte), per i quali si rende necessario
comprenderne l’utilità in situazioni specifiche le costrizioni che comportano, dai legami forti, per i quali le
manifestazioni importanti sono l’intimità, l’intensità, l’interazione e la reciprocità (1999), pp. 37 e 38).
Una volta individuato l’oggetto fenomenico che si vuole sondare, tre sono le principali tecniche di
rilevazione citate da Nan Lin: la saturation survay (mappatura del network, con posizioni, nodi e risorse
per ognuno di essi), buona per i piccoli network, la name-generation (contenuti delle azioni e le risorse
impiegate), che manca di definizioni di cornice e predilige i legami forti e la position generator (posizioni
rilevanti e risorse di valore misurate per indici di composizione, eterogeneità, ricchezza, ecc.), che però
subissa l’aspetto relazionale (ibidem, p. 39).
1.2 L’opportunità dell’adolescenza: La crescita come bisogno
di auto-definirsi
Considerando l’esperienza specifica dei figli dell’immigrazione, in particolare di adolescenti o giovani,
figli di immigrati, che si confrontano con una realtà sociale e il complesso universo culturale, tipico della
modernità, che in essa si articola, ci si deve porre la questione di come adattare ad essa un approccio
teorico talmente variegato e volatile come quello del capitale sociale.
Nel far ciò, si deve aver chiaro che due sono le dimensioni particolaristiche che distinguono le
circostanze d’esperienza di questi soggetti. Una comprende l’esperienza dell’adolescenza che questi
giovani vivono. La seconda dimensione fondamentale, che si intreccia con la prima, è la dimensione
dell’esperienza della migrazione (propria e/o familiare), del ciclo migratorio e dei sistemi di riferimento
culturali tradizionali. A parte Portes e collaboratori, pochi altri hanno adottato la metafora del capitale
sociale come cornice teorica per il fenomeno delle nuove generazioni della diaspora migratoria. Per la
precisione, in molti hanno adottato il concetto per studiare i processi migratori mentre in pochi lo hanno
usato per interpretare la condizione giovanile, per la quale si è sempre preferito l’utilizzo delle categorie
concettuali complementari al capitale sociale, quali il capitale culturale.
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