IL CANTO E LA DANZA NEL LIBRO VIII DELL’ODISSEA
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Introduzione
Premessa: il criterio metodologico e l’intento
Innanzitutto vorrei che il lettore fosse partecipe di un concetto, ovvero dell’idea
cardine di carattere metodologico che soggiace e sostiene il presente elaborato scritto.
Chi scrive, infatti, è stato condotto, in tutte le varie fasi di redazione, da una sua ben
precisa idea di analisi letteraria. È bene perciò porre in chiaro fin da subito una
circostanza preliminare e, per quanto mi riguarda, ineludibile: questa tesi di laurea
non ha, né d’altronde potrebbe avere, la pretesa di essere un testo esaustivo per
quanto concerne l’argomento trattato. L’intera ‚questione omerica‛ ha, infatti, una
sua intrinseca natura problematica di fondo, chiara di per sé già nella sua stessa
dicitura. Nel termine ‚questione‛, a mio modo di vedere, risiede infatti un’idea che
da un punto di vista concettuale ne dichiara in modo quasi programmatico la non
possibile soluzione definitiva, in quanto dibattito sempre aperto, continua ricerca e
‚richiesta‛ di conoscenza: questione appunto. Il fatto di essere un problema
insolubile, non esclude né preclude ovviamente la possibilità di nuove scoperte
archeologiche o letterarie, nuove prospettive d’interpretazione, nuovi ambiti di
studio poco o per nulla frequentati in precedenza perché non ritenuti importanti ai
fini della maggior perspicuità del testo. Anzi tutta la feconda messe di contributi
critico-letterari relativi al mondo omerico, sia sociale sia strettamente letterario,
esprime proprio questo continuo sforzo di raffinare sempre di più la ricerca, il
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tentativo di capire sempre meglio ciò che il poeta ci narra in modo esplicito e ciò che
invece ci sottace. Chi scrive ha la netta sensazione che, di molti aspetti della cultura
arcaica, il poeta non faccia cenno, eppur sembra alludervi continuamente,
considerandoli in qualche modo ovvi. Sta al critico letterario individuare e
interpretare tali allusioni, rendere più lucide le opacità del testo. Tutto lo sforzo
esegetico e interpretativo degli studiosi, infatti, è stato ed è tuttora teso verso una
conoscenza di Omero per così dire ‚perfettibile‛, pur nella consapevolezza che sarà
possibile soltanto un’intelligenza parziale dell’intero testo originario. Si tratta
dunque di una questione di fatto senza fine, stando almeno alle attuali conoscenze in
nostro possesso: troppi secoli e forse troppe parole si sono accumulate sui due poemi
omerici. Per comprendere appieno tutto l’universo letterario che abitualmente siamo
soliti chiamare con il nome di ‚Omero‛, gli aspetti da prendere in considerazione
sarebbero infatti moltissimi e assai eterogenei, soprattutto da un punto di vista
qualitativo. Un’impresa titanica e forse vana sarebbe anche solo tentare di
circoscrivere, entro un centinaio di pagine, un’intera indagine critico-letteraria
protrattasi per decine di secoli; un’indagine che, per attingere preziose informazioni
tra loro interrelate, ha necessitato del continuo connubio tra ricerca filologica da un
lato e ricerca storico-letteraria dall’altro, spaziando fra i più vari ambiti dello scibile
umano. A mio modo di vedere, un testo che intenda farsi carico di una così grande
mole di dati e di un così pesante fardello culturale, nel tentativo di un’estrema
quanto sterile sintesi, non potrebbe in alcun modo esaurirsi nel giro di così poche
pagine, e se lo facesse, risulterebbe assolutamente ridicolo nella sua sistematica
superficialità di trattazione. D’altronde, anche volendo e nelle più idonee e degne
proporzioni, con ogni probabilità sarebbe comunque un testo troppo dispersivo,
debole e poco chiaro nella sua struttura, se non altro considerando la quantità di
argomenti da tenere insieme in modo organico e funzionale: l’esposizione, a mio
avviso, sarebbe confusa, faticosa, forzata, artificiosa. Per questo motivo è forse
preferibile intraprendere la strada del singolo contributo tematico: ovvero focalizzare
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l’attenzione critica su un singolo e particolare aspetto della questione, analizzarlo,
sviscerarlo e chiarificarlo nelle sue linee interpretative fondamentali, tentare quindi
delle ipotesi, azzardare una sintesi conclusiva che non abbia necessariamente la
pretesa di essere un vademecum, bensì proponga al lettore alcuni genuini spunti di
riflessione per una propria interpretazione dell’argomento. In fondo, è la stessa
enormità della questione omerica a imporre allo studioso questo tipo di approccio
metodologico. Non si tratta, infatti, di un modo vagamente puerile di aggirare la
vastità della questione stessa, imboccando apparenti e facili scorciatoie: si tratta anzi
di comprendere che vi è una impossibilità di fondo per una trattazione che ambisca
ad essere onnicomprensiva e al contempo esaustiva. Si tratta infine, a maggior
ragione, di avere il massimo rispetto del poeta e del suo lascito. A parere di chi
scrive, il principale scopo della critica testuale, almeno nel senso più letterario che le
si possa attribuire, è questo: non stigmatizzare il proprio modo di vedere,
somministrarlo quindi ai lettori come se fosse una medicina da mandare giù senza
troppi pensieri; si tratta invece di fornire i più validi strumenti di conoscenza, quegli
stessi che possano essere utili alla formazione di un proprio giudizio personale, per
quanto possibile e comunque entro il limite di una decenza argomentativa e logica.
Tenendo sempre ben presente questo sostrato metodologico, chi scrive ha cercato
di studiare e analizzare l’argomento in tutti i suoi aspetti principali e più interessanti,
guidato da un punto di vista antropologico e letterario in senso lato. Il presente
elaborato non ha dunque, né intende averlo, un carattere apodittico, né le
argomentazioni trattate sono irremeabili o non suscettibili di revisione, anche
completa. Non intende perciò tuonare sentenze o ammaestramenti alla maniera del
Seneca morale, né tantomeno esprimere presunte verità assolute e incontrovertibili.
La lettura di un testo, a mio avviso, essendo un ambito culturale che si presta bene al
giudizio soggettivo, non ha bisogno di regole codificate che la irretiscano in una
paralisi forzata. Le uniche vie da seguire sono quelle della pura logica e del buon
senso: ognuno, mentre legge, già creerà infatti nella sua mente l’immagine che di
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quella lettura è la sua impressione soggettiva. La bellezza di un testo letterario risiede
proprio in questo, ossia nella libera potenzialità immaginifica, svincolata da qualsiasi
rappresentazione imposta dall’esterno. Ognuno avrà quindi, fin già nel momento in
cui legga, sia la sua rappresentazione mentale sia la sua primissima interpretazione.
Il critico letterario, a mio modo di vedere, deve a priori essere persuaso di tale
circostanza, e limitarsi soltanto ad aiutare il lettore nel visualizzare al meglio questa
sua ‚immagine‛ mentale, definirne i contorni con chiarezza, renderne più vivi i
colori, illustrarne le relazioni interne e i collegamenti esterni, ecc. Un lavoro umile,
dunque, e metodologicamente sussidiario. Sarebbe vano, a mio avviso, gridare dalle
altezze vertiginose di un’erudizione pomposa ma sterile, col rischio di cadere
rovinosamente in basso.
Tuttavia, il presente elaborato non intende nemmeno sottrarsi al diritto di
manifestare una propria coerenza argomentativa e produrre così un’interpretazione
del tema trattato. Non vuole e non può essere un elaborato asettico, scevro di errori,
pulito e impeccabile. Anzi intende proporre temi di discussione per future riprese
d’indagine; far scaturire quell’interesse, anche minimo, che valga a compenso della
fatica profusa nella redazione e nel reperimento dei testi bibliografici. Se in ciò si sia
riuscito, spetterà al lettore farsene un’idea.
Si tratta dunque di un piccolo contributo d’indagine filologico-letteraria, né più né
meno: uno sguardo, per quanto breve e succinto, su uno degli aspetti più interessanti
della cultura greca antica, almeno alla luce di come esso ci viene presentato
nell’Odissea: la danza in rapporto al canto dell’aedo. Vuoi perché tema in qualche
modo ‚ovvio‛ per gli antichi, abituati a viverci dentro, vuoi perché considerato come
tema a latere del canto e quindi apparso non degno di una trattazione monografica, la
danza antica è stata trascurata dagli esegeti e dagli studiosi del più recente passato,
tranne alcune autorevoli eccezioni che saranno man mano chiarite nelle note al testo
e nella bibliografia finale. L’argomento in sé meriterebbe comunque una maggiore
attenzione e una maggiore risonanza presso gli studiosi, essendo la danza un aspetto
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certamente importante della cultura greca antica, come si avrà modo di capire
meglio, e a maggior ragione quindi sottovalutato dalla critica omerica. Certo un
argomento più importante di quanto si possa pensare, al punto da mostrarsi
fondante e caratterizzante della società greca stessa.
Infine, mi si conceda una brevissima divagazione: per quanto mi è stato possibile,
ho ricercato uno stile sobrio e chiaro nell’esposizione, di facile comprensione anche
per chi abbia poca o nessuna dimestichezza con l’argomento trattato. Nessun timore,
quindi, di incamminarsi in un sentiero irto di spine. Chi scrive è anzi consapevole e
persuaso in prima persona delle proprie difficoltà nell’affrontare l’argomento, vista e
considerata la sua non padronanza della lingua greca; il che potrebbe sembrare
quantomeno inopportuna, se non addirittura risibile, in una tesi che si occupa del
testo omerico. Confido quindi che sarà un percorso di proficua crescita comune.
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Struttura dell’elaborato
La prima parte dell’elaborato espone brevemente le principali problematiche
inerenti allo studio del mondo omerico e del racconto epico, focalizzando in
particolare l’attenzione su alcuni temi di carattere storico-letterario desumibili
direttamente o indirettamente dai poemi omerici, e centrando successivamente
l’interesse sulla figura dei cantori di età arcaica: gli ἀοιδοί.
La seconda parte, prendendo il via dalle trattazioni filosofiche che già in epoca
classica furono avanzate a proposito della danza, soprattutto per merito di Platone,
analizza in modo generale le principali caratteristiche culturali della danza nel suo
rapporto con la società greca antica. La percezione e l’interpretazione che di essa
ebbero gli antichi servirà così a delineare meglio il suo ruolo e la sua funzione
nell’immaginario greco, permettendo inoltre al lettore di contestualizzare meglio
l’argomento nelle sue principali coordinate culturali.
La terza parte focalizza invece la trattazione della danza e del canto prendendo
direttamente in esame i relativi passi omerici dell’Odissea. Traendo spunto da essi per
osservazioni e interpretazioni più puntuali, si forniranno quindi al lettore esempi e
analisi più approfondite e mirate.
Seguiranno delle brevi riflessioni conclusive, con l’intento di tracciare un’agile
sintesi complessiva dei temi principali affrontati nelle varie sezioni precedenti.
Infine, un indice bibliografico renderà conto al lettore di tutte le abbreviazioni usate
nelle note e di tutti i testi che si sono rivelati utili, a chi scrive, per la redazione
dell’elaborato stesso.
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Omero: agli albori della letteratura
Omero e il suo tempo
I poemi omerici sono un’opera fondamentale, in tutti i sensi
1
. Sono il più antico
testo della letteratura occidentale di cui si abbia conoscenza e insieme il primo che ci
sia giunto, almeno in parte, attraverso i canali della tradizione letteraria. I due poemi
omerici, Iliade e Odissea, furono infatti le prime opere a carattere letterario, quindi non
vincolate da necessità momentanee di tipo pratico-amministrativo o estemporaneo,
ad essere redatte e messe per iscritto con uno scopo divulgativo e scolastico. Di fatto,
con i poemi omerici viene introdotto nella cultura occidentale il concetto di testualità,
la cui premessa psicologica è rappresentata da una volontà di conservare in forma
scritta il ricordo di fatti e cose altrimenti destinate all’oblio. I poemi epici di Omero
raccontano dunque di un passato esemplare, sono il retaggio culturale di un mondo
lontano nel tempo ma ancora ben presente nella mente dei Greci. L’importanza
letteraria rivestita da Omero nel corso dei secoli risiede, in ultima analisi, proprio in
tale circostanza fondamentale: egli è, in mancanza di altre testimonianze, all’inizio
della nostra civiltà scritta
2
.
I problemi relativi alla figura di Omero, nonché alle varie opere tramandate sotto il
suo nome, sono numerosi e complessi. Persino nelle fonti più antiche non vi sono
chiare delucidazioni in merito, tanto che Omero era considerato un uomo di tempi
1
Per quanto riguarda la composizione dei poemi omerici, la loro struttura, l’innovazione e la
tradizione culturale in essi presenti, si veda CODINO, Omero, 191-206.
2
Cfr. LATACZ, Omero, 17-20.
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remoti fin già dall’età arcaica. D’altra parte non possediamo alcun documento coevo
che possa gettare una luce più luminosa sull’oscura personalità di questo poeta. E
proprio questa mancanza di testimonianze sicure intorno alla sua figura è stata alla
base della tendenza a negare l’esistenza stessa di Omero come personalità poetica
unica, tesi emersa nella filologia omerica del XIX secolo ma poi in seguito respinta
3
.
Al di là di tutto, con ogni probabilità Omero visse nell’VIII sec. a.C. e svolse l’attività
di cantore in un luogo non meglio precisato della Ionia asiatica, colonizzata dai Greci
fin dal sec. XI, producendo i suoi poemi nella seconda metà del secolo VIII. Cercare
di districarsi o anche solo provare ad approfondire le molteplici e contrapposte idee
che insigni studiosi del passato hanno proposto in merito, sarebbe assai impegnativo
e forse vano: se Omero fosse di Chio, Colofone, Smirne o di un altro luogo della
grecità antica; in quale modo i poemi siano stati tramandati fin dalla loro origine; se
l’autore fosse un cantore cieco e da quale classe sociale realmente provenisse, ecc.
Fiumi d’inchiostro sono stati sparsi ormai da decenni su questo tipo di argomenti e
similia, senza peraltro giungere a una conclusione che sia del tutto esaustiva. E d’altra
parte questi problemi furono trattati diffusamente, e non senza un certo acume
critico, già nell’antichità. Quella che poi sarà denominata, molti secoli più tardi, come
‚questione omerica‛ nacque infatti già durante l’epoca ellenistica (fine IV - fine I sec.
a.C.), ed ebbe il suo centro propulsore nella celeberrima biblioteca di Alessandria
d’Egitto, alla corte dei re Tolomei, che fu insieme la più grande biblioteca e la più
grande istituzione culturale del mondo antico
4
. Alcuni tra i più grandi studiosi e
letterati del mondo antico, tra cui illustri personalità culturali del calibro di Zenodoto
di Efeso, Apollonio Rodio, Aristofane di Bisanzio, Aristarco di Samotracia, Callimaco
ed Eratostene di Cirene, svolsero importantissime mansioni all’interno
dell’istituzione alessandrina: con l’unica eccezione di Callimaco, infatti, stando alle
fonti tutti furono direttori della famosa biblioteca. Essi si interessarono tenacemente
3
Ibidem, 23-24.
4
Per uno sguardo generale sull’istituzione alessandrina, le sue articolazioni, le sue funzioni e i suoi
protagonisti, si veda FRASER, Alexandria, 305-335; cfr. anche REYNOLDS-WILSON, Copisti e filologi, 5-15.
Per un’analisi riassuntiva e agile della ‚questione omerica‛, si veda CODINO, Omero, 38-47.
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ai problemi filologici inerenti al testo omerico, in uno sforzo incessante e
continuamente teso a definire e circoscrivere al meglio la purezza del testo originale
delle opere tramandate sotto il nome di Omero. Tra l’altro, la stessa suddivisione dei
due poemi in ventiquattro libri ciascuno (tanti libri quante le lettere dell’alfabeto
greco: in lettera maiuscola per l’Iliade, minuscola per l’Odissea), si deve proprio al
lavoro di sistemazione filologica che questi grammatici di età ellenistica operarono,
specialmente all’acribia di Zenodoto, Aristofane e Aristarco
5
.
Ma a ben guardare, la figura di Omero, per il carattere esemplare delle sue opere,
ha attirato da sempre l’attenzione degli eruditi di ogni epoca, tanto che secondo una
consolidata tradizione già nell’Atene del VI sec. a.C., per volere di Pisistrato e di suo
figlio Ipparco si allestì una redazione ufficiale dei due poemi, da recitare in occasione
delle festività panatenee
6
. Ma questa autorevole patina di ufficialità non riuscì
purtroppo a eliminare le numerose varianti testuali presenti e di fatto circolanti,
dovute in parte anche a una trasmissione e a una fruizione di tipo orale del testo
omerico
7
.
Leighton D. Reynolds e Nigel G. Wilson hanno ben inquadrato tale situazione
storico-letteraria:
Nella Grecia antichissima la letteratura precedette la scrittura. Il nucleo dei poemi
omerici fu tramandato oralmente per parecchi secoli, quando ancora non si usava la
scrittura; e quando l’alfabeto fenicio venne adattato al greco, nella seconda metà
dell’ottavo secolo, la consuetudine del componimento letterario recitato era ancora viva,
con la conseguenza che non si ritenne subito necessario affidare Omero alla scrittura.
Secondo una tradizione spesso ripetuta nell’antichità, il primo testo scritto delle due
epopee fu preparato ad Atene per ordine di Pisistrato: la notizia è plausibile, anche se
5
Per un’attenta disamina sulla critica alessandrina, si veda RENGAKOS, Critics, 143-157. Si vedano
anche le ancora utilissime analisi proposte in PASQUALI, Tradizione, 201-247.
6
MONTANARI-MONTANA, Letteratura greca, 32. Più ampiamente riguardo alle edizioni omeriche tra età
arcaica ed età classica, si veda anche l’interessante CASSIO, Early editions, 105-142.
7
MONTANARI-MONTANA, Letteratura greca, 20. Cfr. inoltre LATACZ, Omero, 11 sgg. A sostegno di una
tesi favorevole alla redazione e fruizione scritta dei poemi, cfr. l’attenta disamina critica che Latacz fa
alle pp. 62-64, 66; inoltre PASQUALI, Tradizione, 202-203.
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non esente da sospetto; ma non ne consegue che cominciassero a diffondersi in numero
considerevole volumi di Omero, dato che con tutta probabilità lo scopo di Pisistrato era
di assicurare l’esistenza di una copia ufficiale dei poemi da recitarsi nelle feste
Panatenaiche. L’abitudine di leggere la poesia epica invece di ascoltarla declamare non
nacque da un giorno all’altro, e i libri rimasero press’a poco una rarità fino al quinto
secolo avanzato.
8
Tuttavia, come già detto, è soltanto con l’avvento dell’età ellenistica e del
mecenatismo dei successori di Alessandro Magno che si assiste a un maggiore
impegno critico sul ‚problema Omero‛ e su tutte le tematiche testuali e culturali ad
esso connesse. Molti, da allora, attraverso oltre duemila anni di storia culturale e
letteraria, sono stati i progressi compiuti nel delineare una sempre più sicura e
completa fisionomia sia dell’autore sia dei testi a lui attribuiti dalla tradizione.
Permangono tuttavia alcuni lati oscuri di difficile soluzione e comprensione, elementi
in penombra che si lasciano intravedere, ma che non è ancora possibile cogliere del
tutto nella loro interezza e chiarezza. Ed è forse proprio questo il fascino più intenso
che promana dai poemi omerici: una sensazione di mistero e incertezza avvolta nelle
pieghe oscure di una storia antichissima; un potere genuinamente letterario che tiene
sempre desti l’attenzione e l’interesse degli studiosi, protesi nello sforzo di
comprendere sempre meglio la genesi dei poemi e la cultura da cui il poeta ha attinto
per conferire loro questa particolare forma poetica.
I due poemi omerici, Iliade e Odissea, affondano le loro radici culturali proprio in
un’epoca culturale che sembra rimasta ‚in sospeso‛ tra ciò che è mito e ciò che invece
è storia documentabile. La celebre guerra di Troia, la quale funge da retroscena
narrativo per entrambi i poemi omerici, potrebbe difatti assumere nell’immaginario
collettivo moderno una forma ibrida in tal senso. Senza dubbio essa ha rappresentato
un momento importante per la cultura greca. Ma la sua presunta storicità, sebbene
sia confermata a più riprese in tutte le fonti letterarie che ne fanno menzione, sembra
8
REYNOLDS-WILSON, Copisti e filologi, 1.
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sfumare proprio al confine di questi due ambiti culturali: mito da un lato e storia
dall’altro. In realtà, per la cultura greca si tratta in sostanza di due facce di una stessa
medaglia, fra loro sì contrapposte, ma in qualche modo necessariamente
complementari e per nulla antitetiche. Di fatto, per l’uomo greco antico sia la storia
sia il mito sono due ‚costruzioni‛ mentali indissolubili ed entrambe necessarie per
capire il mondo così come si presenta
9
. Inoltre, non c’è alcun motivo né alcuna
ragione di dubitare del fatto che gli antichi Greci considerassero la guerra di Troia, e
le gesta degli eroi protagonisti, come fatti realmente accaduti. Anzi per loro tutto ciò
era modello insuperabile ed esemplare di educazione a tutto tondo, ovvero nel senso
etimologico della parola ‚enciclopedia‛. Per la famosa guerra troiana, la datazione
prevalente nelle fonti letterarie è al 1184 a.C., ma vi erano oscillazioni anche notevoli
tra le varie testimonianze degli scrittori di ‚archeologia‛; il che a ben vedere non fa
altro che confermare quanto esposto in precedenza.
D’altra parte, gli scavi di Heinrich Schliemann presso l’odierna Hisarlìk hanno
ormai da tempo dimostrato l’effettiva esistenza della celebre città, sorta nella zona
nord-occidentale della penisola anatolica. Una città testimoniata, dal punto di vista
archeologico, attraverso numerose e stratificate fasi cronologiche. Si è potuto inoltre
comprendere meglio l’importanza di Troia come centro culturale della regione
microasiatica, e gettare quindi una luce su un periodo storico altrimenti del tutto
oscuro. E tutto ciò al di là della non indifferente messe di informazioni letterarie e
culturali testimoniate dai poemi omerici stessi
10
.
Tuttavia non la storicità del luogo o della guerra qui si mette in dubbio, bensì i
‚caratteri narrativi‛ della stessa, ovvero i personaggi, le gesta eroiche e tutto quanto
insomma, più o meno chiaramente, sia frutto di invenzione poetica e relativo alla
descrizione di uomini. Per questo motivo, tralasciando considerazioni tecniche di
9
Sulle relazioni tra mito e storia, secondo l’ottica greca antica, si veda KERÉNYI, Religione, 17-43 e
passim; più diffusamente in GRAVES, Miti, passim.
10
Cfr. MONTANARI-MONTANA, Letteratura greca, 22-24; si vedano anche, a proposito della storicità di
Troia, SACCONI, Problemi omerici, 73-74; BIANCHI BANDINELLI, Introduzione, 85-86; e più
approfonditamente KORFMANN, Report, 209-225.