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INTRODUZIONE
L’idea di un lavoro sull’archeologia navale, nasce essenzialmente
dalla mia curiosità, dopo la frequentazione, del tutto casuale, del
Corso in metodologia e tecnica in Archeologia Navale, organizzato a
Venezia nell’estate 2002,
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dall’Università Ca’ Foscari, e coordinato da
Carlo Beltrame; corso introduttivo, aperto a tutti, e anche per questo
innovativo, oltre che per l’argomento trattato, quasi sconosciuto in
Italia, se non per gli addetti ai lavori. Corso che si rivela però foriero
di molti interessanti spunti, tanto da pensare di poterne approfondire il
tema e farne una tesi di laurea; quindi, aldilà di quello che sarà il
risultato del lavoro, un corso utile, perché capace di suscitare interesse
e curiosità anche in chi non aveva quasi idea dell’esistenza di
un’Archeologia Navale.
Lo spunto poi per trattare in particolare i cantieri, è dello stesso Carlo
Beltrame. Il motivo di tale scelta dipende dal fatto che, di relitti e
imbarcazioni si parla molto e si scrive molto, mentre i cantieri, i
luoghi dove materialmente si producevano barche e navi,
non sono un
argomento molto trattato, soprattutto in Italia.
I cantieri sono luoghi archeologicamente molto importanti: erano
innanzitutto centri di produzione, più o meno vasta, di manufatti che
hanno permesso di allargare gli orizzonti geografici, commerciali e
culturali d’Europa, e questo anche prima delle grandi scoperte
geografiche; inoltre nei cantieri si producevano anche le imbarcazioni
per il commercio locale, che hanno permesso l’approvvigionamento di
1
A questo primo corso ne segue un altro nell’estate 2003, incentrato sulla Conservazione e
valorizzazione del patrimonio culturale marittimo. Entrambi i corsi sono stati patrocinati dal
ROSTE, il Regional Bureau for Science in Europe, dell’ UNESCO.
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derrate e materie prime, per secoli, ad intere popolazioni; infine
permettono un’analisi molto approfondita di tecniche e organizzazione
del lavoro pressoché invariate quasi fino ai giorni nostri.
Dal punto di vista archeologico la cantieristica navale è sempre stata
un tema piuttosto trascurato, in primo luogo per la scarsità di
ritrovamenti. I pochi studi archeologici esistenti sono, infatti,
soprattutto relativi ai Paesi dell’Europa settentrionale, luoghi dove vi
sono stati scavi di cantieri, ma anche luoghi in cui, da sempre,
l’attenzione per le tematiche dell’archeologia navale e marittima è
molto forte. Basti pensare al fatto che nel resto d’Europa la
denominazione e la concezione stessa di archeologia marittima, esiste
da almeno 30 anni- la nascita dell’International Journal of Nautical
Archaeology, una delle riviste più altamente specializzate nel settore,
è del 1971 – mentre in Italia non se ne parla che da pochissimi anni. Il
punto è che nel nostro Paese parlare di archeologia legata al mare ha
voluto dire, per moltissimo tempo, parlare di archeologia subacquea,
quindi essenzialmente di relitti e materiali connessi, ma l’Archeologia
Marittima comprende e si differenzia dall’archeologia subacquea,
innanzitutto per le specifiche tecniche di scavo di quest’ultima, mentre
la più vasta accezione di archeologia marittima comporta anche lo
scavo “terrestre”, l’analisi degli elevati, lo studio dei rapporti
urbanistici fra città, porti e arsenali.
In breve, possiamo vedere l’Archeologia Marittima come un grande
contenitore all’interno del quale si collegano le molte specializzazioni,
dall’archeologia subacquea all’archeologia navale, dal trattamento e
conservazione del legno bagnato allo studio delle strutture
cantieristiche, dalla conoscenza delle rotte commerciali antiche
all’analisi dei sistemi di propulsione, e così via. A questa si collegano
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inoltre tutte le consuete forme di analisi dei materiali e dei contesti,
come la ceramologia, la dendrocronologia, la geomorfologia, la
mensiocronologia, la paleoclimatologia (e potremmo continuare),
passando per l’archivistica e la numismatica, con un approccio
trasversale dal punto di vista diacronico e fortemente interdisciplinare.
Per quanto riguarda l’Italia, i principali studi sulla cantieristica navale
sono soprattutto di tipo storico-archivistico ed etnografico,
proprio per
la mancanza di ritrovamenti archeologici, ad eccezione del cantiere
romano trovato ad Olbia,
i cui dati sono ancora in corso di
pubblicazione, e degli scavi di Arsenali medievali, sondaggi, come nel
caso di Pisa, o scavi di emergenza, come nel caso di Genova, ma mai
studi esaustivi.
E’ facile comprendere che, in conseguenza di questa carenza di
materiale archeologico analizzabile, l’orizzonte degli studi italiani
sulla cantieristica sia molto ristretto; gli studi archivistici, grazie
all’analisi dei contratti di costruzione e di assunzione di apprendisti,
hanno permesso soprattutto di chiarire gli aspetti e le funzioni sociali
dei lavoranti che, come sappiamo, si organizzavano in arti, oltre a
chiarire alcuni aspetti tecnici della costruzione navale, come nel caso
degli studi sulle tipologie, dimensioni e portata delle imbarcazioni. Gli
studi di tipo etnografico fotografano bene alcune realtà locali,
risalendo al massimo fino alla fine del XIX secolo, con la
documentazione fornita dalle prime immagini fotografiche, periodo
oltre il quale, in alcuni casi, si può procedere a ritroso solo grazie alle
fonti iconografiche.
Il ruolo delle fonti iconografiche ed etnografiche è comunque di
primaria importanza, perché queste possono talvolta coadiuvare la
documentazione archeologica, come nel caso del presente lavoro, in
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cui svolgono un importante ruolo di raccordo fra alcuni casi pre-
medievali - per i quali abbiamo dati archeologici- ed alcuni esempi
moderni o post-moderni -documentati archeologicamente o
etnograficamente- lasciando supporre una continuità delle strutture
cantieristiche e dei metodi di lavorazione, che viene poi confermata
dall’iconografia medievale.
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L’area geografica presa in esame è quella italiana, ma con attenzione a
tutto il bacino mediterraneo, ovvero tutte le zone che, pur con forti
caratterizzazioni e differenze locali, hanno avuto un denominatore
comune nella costruzione navale, essendo stati territori, legati,
appunto, da rapporti commerciali e bellici (innanzitutto le Crociate),
rapporti che, per tutto il Medioevo, costituiscono possibilità di contatti
e di influenze fra le marinerie. Vengono, in parte, analizzati anche i
rapporti con il mondo nord Europeo, il Mar Baltico e il mare del Nord,
innanzitutto perché le marinerie nordiche, pur mantenendo sempre
caratteri propri, trasmisero alcune soluzioni costruttive a quelle
mediterranee e viceversa,
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in secondo luogo perché, dal XV secolo, si
annullano le grandi differenze tipologiche far nord e sud, e infine
perché, con la navigazione oceanica, le marinerie nordiche raccolgono
l’eredità di quelle mediterranee, andandosi a costituire come centro
del nuovo asse commerciale.
4
Di queste zone vengono analizzati i cantieri privati e gli Arsenali di
cui si ha documentazione archeologica, cercando di definirne un
modello, dal punto di vista strutturale, ma cercando anche di
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Ne sono un esempio molto semplice e chiaro i bassorilievi di XIII secolo del Portale maggiore
della Basilica di San Marco, che raffigurano maestranze al lavoro con strumenti e tecniche che
ritroviamo nei cantieri veneziani, e non solo, almeno fino a metà XX sec.
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Il timone centrale assiale si diffonde, ha origini nordiche, si diffonde nel Mediterraneo a partire
dal XIII secolo; la vela latina, la cui prima origine è incerta, si diffonde nei mari del nord
attraverso la mediazione mediterranea.
4
BORGHESI, 1976, Il Mediterraneo fra due rivoluzioni nautiche.
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ricostruirne le attività e le fasi di lavoro sulla base dei confronti con le
fonti etnografiche attuali. Gli scopi del lavoro sono principalmente tre:
- l’individuazione di variazioni diacroniche e diatopiche nella
struttura e nel funzionamento di questi luoghi di produzione, e per
questo si analizzano anche esempi molto lontani fra loro nel tempo e
nello spazio.
- La comprensione della causa della scarsità di ritrovamenti
archeologici di questo tipo: continuità d’uso di molte strutture fino ad
epoca moderna? Deperibilità dei materiali di costruzione? Incapacità
di riconoscere un cantiere e le strutture connesse?
- Realizzazione di un sunto critico della letteratura esistente riguardo
alla cantieristica navale, sia quella privata sia quella pubblica.
Nel corso del lavoro ho cercato di dare risposta a queste domande,
sperando di dare un contributo utile per questo tipo di studi che, in
Italia, faticano a prendere il largo, cosa inaccettabile per un Paese
geograficamente più legato al mare che alla terraferma.
Come ho già accennato i lavori riguardanti la cantieristica italiana
sono soprattutto lavori settoriali, di tipo documentario, storico o
storico-architettonico, e riguardanti singole aree geografiche, come i
lavori sulla Liguria della Gatti e della Balletto, quelli di Bresc
riguardanti la Sicilia, la cantieristica veneta di Caniato o l’arsenale di
Venezia di Concina
5
, per citarne alcuni. Sono studi di fondamentale
interesse, che rappresentano, di fatto, un punto di partenza importante,
soprattutto per quelle realtà in cui mancano dati di scavo.
L’intento di questo lavoro non è di raccogliere e riassumere i risultati
di questi studi, visto che il punto di vista è di tipo archeologico, ma di
5
Concina ha trattato anche il tema degli arsenali europei in Arsenali e città nell’Occidente
Europeo. Per gli altri lavori vedi bibliografia.
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cercare di ricostruire un quadro generale della cantieristica pubblica e
privata italiana medievale, tenendo presenti i rapporti di questa con le
altre culture, e utilizzando le informazioni derivanti da quegli studi,
integrandoli, dove possibile, con i dati archeologici, purtroppo non
numerosi.
Il percorso seguito non è stato privo di ripensamenti, una volta
appurata l’impossibilità di analizzare contesti di scavo medievali ben
definiti o materiali inediti, ma è poi proseguito in virtù del fatto che la
ricostruzione archeologica può avvenire anche per via indiretta, e
soprattutto perché, a mio avviso, è importante e interessante
analizzare questo aspetto della cultura materiale mediterranea,
indipendentemente dalle tracce lasciate. La ricostruzione archeologica
del funzionamento della cantieristica medievale (tanto per usare un
immagine chiara), ci pone di fronte allo stesso problema che in
stratigrafia si presenta con la US negativa, per cui, se non è corretto
non considerare unità stratigrafica un US negativa che ha comunque
rappresentato una fase, temporale e materiale, del contesto
archeologico, a mio avviso, non è corretto non tentare di ricostruire
questo settore che, di fatto, rappresenta oggi un buco cronologico, ma
che ha rappresentato una realtà materiale.
6
Per quanto riguarda la metodologia, la mia ricerca non è stata solo di
tipo bibliografico, ma è consistita anche di documentazione
fotografica di alcuni cantieri attualmente in funzione, e almeno in fase
preliminare, nella ricerca di notizie di scavo inedite, che purtroppo
non ho trovato. Questa fase del lavoro ha comportato contatti con
Istituti di Ricerca, Università e singoli docenti o ricercatori, in Italia e
6
HARRIS, 1983, Principi di stratigrafi archeologica, pp. 92.95.
7
in Europa,
7
dai quali ho ricevuto piena disponibilità, pur
nell’impossibilità di fornirmi dati positivi, o, in alcuni casi, totale
disinteresse, proprio da parte di coloro che invece avrebbero potuto
aiutarmi con qualche informazione in più, a riprova del fatto che,
spesso, la concorrenza quasi “faziosa” fra istituti, è una delle cause
della lacunosità degli studi.
Il quadro di informazioni riguardo all’interesse per questo settore, per
quello che ho potuto raccogliere, risulta, tutto sommato, piuttosto
disomogeneo, ma non del tutto inesistente. Accanto a realtà come
quella ligure, dove, nonostante la mancanza di evidenze
archeologiche, e un Arsenale oramai distrutto, trovano spazio studi
archivistici sulla tecnica costruttiva navale e sui costruttori, molto
approfonditi e iniziati già trenta anni fa, troviamo situazioni come
quella di Pisa, in cui l’Arsenale Repubblicano non è stato mai scavato
completamente e si trova in una situazione quasi di abbandono, o
quello di Venezia, dove l’Arsenale, per il quale esistono progetti di
musealizzazione mastodontici, è stato oggetto di restauri solo parziali,
e mai di indagini stratigrafiche degli elevati, né di scavo, soprattutto
per la mancanza di fondi che opere del genere richiederebbero in
un’area tanto vasta, e che ha portato ad affittare l’intero edificio delle
Corderie alla Biennale di Venezia.
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In generale, aldilà degli studi, abbastanza datati, di cui ho già detto, si
configura una situazione di interesse comune e piuttosto vasto per
7
CNR di Genova, CNRS di Aix en Provence, Museo navale di Parigi, Museo navale di Genova,
MOLAS (Museum Of London Archaeological Service); Soprintendenze ai beni archeologici
(Toscana, Marche, Ostia, Campania, Veneto, Liguria, Sassari e Nuoro, Sicilia); Cooperativa
ARKE’; Jerzy Gawronsky, Università di Amsterdam; Marco Tangheroni, Università di Pisa; Paolo
Peduto, Università di Salerno; Roberto Parenti, Università di Pisa; Carlo Beltrame, Università di
Venezia; Giuliano Volpe, Università di Foggia; Tiziano Mannoni, Istituto di Storia della Cultura
Materiale di Genova.
8
MENICHELLI, 2003, Il recupero dell’Arsenale, in, Corso di Conservazione e valorizzazione del
patrimonio culturale marittimo (dispense corso).
8
quella che è l’archeologia subacquea in senso classico, fatta quindi di
recuperi e studi di materiali e relitti, grazie anche all’eco prodotta
dalle recenti scoperte di Pisa e Olbia, in cui gli studi su Arsenali, Porti
e soprattutto cantieri, sono delle eccezioni. Indubbiamente la
mancanza di ritrovamenti non può essere un elemento trascurabile
nella poca fortuna di questo settore, ma non deve essere nemmeno un
impedimento totale ad un tentativo di studio, potenziale premessa per
indagare le realtà marittime mediterranee ponendosi un quesito in più.
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CAPITOLO PRIMO. I cantieri .
I.1 Cantieri navali e cantieri edili.
Il termine cantiere, in greco καντήλιος, indicava un grosso asino da
soma, così come in latino canthērium indicava un cavallo
1
.
In
entrambi i casi il significato è legato al concetto di portare pesi, e in
senso lato, di fungere da sostegno. In latino i canterii erano anche le
travi di sostegno del tetto, ma anche quelle che oggi vengono
variamente indicate come incavallature, cavalle, capre, capriate, da cui
si dipartono le falde di un tetto, o che servono da appoggio per la
costruzione di un manufatto. Il cantiere ha poi avuto una più ampia
accezione di significati, tutti legati alla costruzione: cantiere è, in
primo luogo, il sostegno su cui si imposta la costruzione di
un’imbarcazione, o l’impalcatura che si realizza per costruire un
edificio ma anche il luogo, comprensivo di strutture e attrezzature,
dove si svolge la costruzione stessa.
2
Il termine ha quindi implicazioni marinare, e probabilmente nasce
proprio nell’ambito della costruzione navale, e passa poi ad indicare
soprattutto i cantieri edili
.
.
Confrontare questi due tipi di cantieri potrebbe apparire una forzatura,
visto l’ambito di lavoro completamente diverso, in realtà hanno più
elementi in comune di quanto si potrebbe pensare, soprattutto riguardo
alla suddivisione del lavoro al loro interno, ma anche ai rapporti di
N.B. Le citazioni GATTI, 2004°, GATTI, 2004b e BELLABARBA, 2002, sono prive dei numeri
di pagina, poiché si tratta, nel primo caso di una bozza, gentilmente concessami dalla Dott.ssa
Gatti, e non ancora edita, e nel secondo caso, di dispense di un corso (vedi Bibliografia).
1
CORTELLAZZO- ZOLLI, Dizionario etimologico della lingua italiana, pp. 75, 196. cfr.
Enciclopedia Italiana Treccani 1949, pp. 604-610, Enciclopedia dell’arte medievale, 1993,
pp.784-786.
2
SCOPPOLA, 2001,Il cantiere di restauro, pag.12.
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collaborazione che creano con altre figure, altrettanto specializzate ma
non legate ad un unico settore.
Dal punto di vista della funzionalità, non è questa la sede per
analizzare nel dettaglio le fasi di lavoro di un cantiere edile, se non
limitatamente a quegli elementi che permettono un confronto con la
cantieristica navale, a cominciare dalla suddivisione del lavoro fra tre
principali categorie: il maestro, l’apprendista, e i laboratores.
3
In termini generali, il maestro, è colui che ha la completa padronanza
della professione, pratica e teorica, acquisita, anche quest’ultima,
unicamente dall’esercizio del mestiere; esistono molti maestri, vale a
dire molte specializzazioni, soprattutto in ambito edile, in cui più
numerosi sono i tipi di materiali impiegati (legno, pietra, metalli,
marmi, laterizi, vetro), e vi sono importanti differenze riguardo alla
libertà decisionale che i maestri hanno all’interno dei cantieri,
decisamente maggiore per quelli navali, nei quali, spesso, i maestri
erano anche proprietari e gestori del cantiere, e in cui la società a
carattere familiare è una realtà ovunque molto diffusa dal XII secolo
in poi.
4
I maestri si occupano anche della retribuzione dei
collaboratori.
L’apprendista è colui che si mette al servizio del maestro per imparare
un’arte, in genere in giovanissima età; la durata dell’apprendistato è
variabile, e stabilita dagli Statuti delle varie Arti, ed ha inizio con un
vero e proprio contratto, stipulato fra il maestro e un adulto che tutela
il giovane apprendista, di solito il padre; il maestro si impegna ad
3
BARAGLI, 2001, Ricostruire il cantiere, pag.143 cfr. PINTO, 1984, L’organizzazione del lavoro
nei cantieri edili, pp.72-80.
4
BALLETTO, 1984, I lavoratori nei cantieri navali, pp. 150-152. Cfr. PINTO, 1984,
L’organizzazione del lavoro nei cantieri edili; CANIATO, 1985, Arte degli squerarioli;
pag. 45, PISTARINO, 1983, La civiltà dei mestieri: maestri d’ascia e calafati a Portovenere,
pag.283.
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insegnare l’arte al ragazzo, tanto da renderlo autonomo. Ci sono poi
molte altre specificazioni fornite dai contratti di apprendistato e di
costruzione.
Infine i laboratores, i lavoratori generici, gli uomini di fatica, in
genere assunti a giornata, per svolgere le funzioni più faticose e meno
qualificanti, ma indispensabili, come il trasporto dei materiali, le
operazioni di sterro, la manovalanza al fianco dei maestri
.
5
In entrambi i tipi di cantiere il rapporto fra numero di maestri e
lavoratori generici è molto sbilanciato a favore dei secondi, che sono
anche i lavoratori non fissi, ma impegnati e assunti secondo del
bisogno, il cui numero può quindi variare notevolmente. Bisogna
sempre tenere presente che non si possono fare confronti assoluti o
generalizzazioni fra cantieri edili e navali, innanzi tutto perché
esistevano cantieri di importanza e dimensioni differenti, e perché, in
ambito navale, si ha una forte squilibrio, nel numero di lavoranti, fra
cantieri statali e cantieri privati, e, per questi ultimi, fra committenza
statale o privata. Inoltre si deve tenere conto del fatto che la situazione
cambia da una città all’altra, poiché, pur potendo individuare, come
vedremo, delle caratteristiche generali nel processo di costruzione
navale e nella struttura dei cantieri, e delle peculiarità locali, vi sono
alcune incertezze, dovute alla non omogeneità nel tempo delle fonti
scritte, e alla scarsità di ritrovamenti archeologici.
Tornando al confronto far i due tipi di cantieri, oltre a questa
principale tripartizione del lavoro, comune a molti altri mestieri
medievali, troviamo, nei cantieri edili, la figura del capomastro, con
funzioni direttive e organizzative del cantiere, ma spesso anche con
5
GATTI, 1996, Cantieri e maestranza fra XVI e XVII secolo, pag, 54.