2
Introduzione
Il settore bancario internazionale, alla fine degli anni ‟70 del secolo scorso, si trovava
ad essere sottoposto a rischi significativamente maggiori - attribuibili a molteplici
fattori, soprattutto apertura dei mercati, progresso tecnologico, elevata volatilità dei
tassi di cambio e interesse - rispetto a quelli corsi precedentemente. A fronte di
questa situazione, alla fine del 1974, i Governatori delle banche centrali dei Paesi del
G10 istituirono il Comitato di Basilea, un luogo di consultazione e coordinamento in
materia di supervisione bancaria, il cui compito precipuo fu quello di ovviare ai gravi
episodi intervenuti sui mercati valutari e creditizi internazionali.
Dai primi contributi, intesi a definire i principi basilari per la cooperazione
internazionale in materia di vigilanza bancaria, il Comitato si è successivamente
concentrato sul miglioramento dell‟azione e della qualità della supervisione bancaria,
rivolgendosi a tutti i Paesi coinvolti dai processi di globalizzazione dei mercati
finanziari, per raggiungere, in particolare, obiettivi quali: maggiore solvibilità delle
banche, stabilità del sistema finanziario e international level playing field.
L‟intenzione a realizzare le precedenti finalità ha determinato la base del primo
Accordo sul capitale (luglio 1988), definito al termine di un lungo processo di
consultazione, che ha visto come protagonisti le autorità di vigilanza dei Paesi del
G10 e dei principali Paesi OCSE, e ratificato da 140 Paesi.
In seguito, durante la crisi delle economie sud-orientali dell‟Asia (1997), il Comitato
ha definito i Core principles for effective banking supervision (settembre 1997),
importante strumento per promuovere la stabilità del sistema finanziario.
Negli anni Novanta, i mutamenti verificatisi nei mercati creditizi e finanziari hanno
prodotto rilevanti riflessi sul tema della vigilanza degli intermediari bancari.
L‟introduzione di nuovi prodotti finanziari - cartolarizzazioni e operazioni strutturate
- è stata continua e progressiva e ha determinato un aumento notevole della
complessità del sistema bancario e finanziario. L‟utilizzo dei suddetti strumenti
innovativi ha evidenziato i limiti del primo Accordo sul capitale derivanti dalla sola
concentrazione e dalla scarsa differenziazione del rischio di credito; dalla mancata
considerazione del grado di diversificazione del portafoglio; dalla possibilità di
operazioni di arbitraggio regolamentare; dall‟inadeguata considerazione delle
politiche di hedging e risk mitigation e dal mancato riconoscimento della struttura
per scadenze del rischio di credito.
3
È in tale contesto che nasce dunque l‟esigenza di riformare la disciplina prudenziale,
che ebbe il suo punto di arrivo nella definizione del secondo Accordo di Basilea, del
giugno 2004. Questa volta gli obiettivi della nuova disciplina prudenziale, non solo
erano rivolti a superare i limiti presenti nel precedente Accordo, ma si collegavano
anche ad altre esigenze, quale, ad esempio, una misurazione più completa e accurata
dei rischi.
L‟Accordo di Basilea II, dimostrazione della tendenza all‟armonizzazione e alla
convergenza delle singole realtà nazionali verso una linea di condotta omogenea e
comune a livello internazionale, venne strutturato su tre Pilastri - Capital
Requirements, Supervisory Review e Market Discipline - per ognuno dei quali,
accanto alla fissazione di regole specifiche, vennero mantenuti ampi spazi di
discrezionalità, al fine di rendere l‟apparato normativo abbastanza flessibile e
applicabile.
L‟Accordo impone alle banche di quantificare con esattezza il rischio di credito e di
analizzare attentamente le caratteristiche dei soggetti a cui viene erogato il prestito,
attenendosi strettamente alle regole predisposte dall‟Autorità di Vigilanza. Per
rendere possibile il proprio funzionamento, poi, l‟Accordo prevede che le banche
adottino lo strumento dei rating interni per razionalizzare i processi di erogazione e
monitoraggio del credito. L‟introduzione di tale strumento - ancora non esente da
difetti nei profili metodologici utilizzati - e le problematiche sui conflitti di interesse
unitamente alla prociclicità dei requisiti patrimoniali, hanno comportato non pochi
problemi all‟operatività delle banche e, di conseguenza, ai rapporti banca ‐impresa.
Lo scoppio dell‟attuale crisi, che si è estesa all‟intera economia mondiale a partire
dal settore finanziario statunitense (agosto 2007), ha dato inizio a una lunga attività
di valutazione e verifica da parte degli esperti per evidenziare se vi fossero gravi
carenze nella regolamentazione e, in particolare, nella vigente disciplina di vigilanza
prudenziale per le banche (Basilea II). Si è potuto riscontrare come tra le principali
cause che hanno scatenato e alimentato la crisi vi sia un sistema regolamentare e di
supervisione del settore finanziario incapace di contenere l‟eccessiva espansione dei
rischi o di frenare l‟avanzare della crisi. Facendo leva sui margini di discrezionalità -
lasciati ai singoli ordinamenti dalla regolamentazione internazionale - e sulle prassi
di vigilanza eterogenee: sono stati accettati strumenti patrimoniali di qualità non
sempre adeguata a copertura dei rischi; sono state escluse, dal perimetro di
4
applicazione delle regole prudenziali, categorie di intermediari anche potenzialmente
sistemici; hanno usufruito di gestioni prudenziali insufficientemente rigorose
strumenti innovativi e ad elevato rischio; sono state incoscientemente consentite
dalle Autorità e dagli azionisti politiche di remunerazione determinate in funzione
della redditività di breve periodo.
Alla crisi hanno contribuito anche le agenzie esterne di rating: sott‟accusa, infatti,
per i conflitti di interesse generati, sono le cosiddette “tre sorelle” - Moody‟s,
Standard&Poor e Fitch - perché remunerate dagli stessi soggetti cui dovevano
attribuire il rating.
Con la consapevolezza delle precedenti criticità, il presente lavoro verterà su
un‟attenta analisi sia di quanto già attuato dal Comitato di Basilea per garantire la
stabilità del settore bancario, sia delle misure attualmente in discussione confacenti a
definire il futuro assetto regolamentare per lo sviluppo di un sistema finanziario più
solido e prudente alla luce dell‟attuale crisi; il tutto riducendo i costi che potrebbero
essere addossati alle finanze pubbliche e all‟economia reale. Si cercherà, in sintesi, di
ripercorrere il cammino che il Comitato di Basilea ha compiuto dalla sua nascita
(1974) ad oggi.
Nel Primo Capitolo, analizzato il contesto internazionale sul finire degli anni ‟70, si
individueranno le cause che hanno portato alla sostituzione della vigilanza strutturale
con quella prudenziale; si descriveranno, poi, le origini e le funzioni del Comitato di
Basilea con particolare riferimento ai suoi contributi nell‟ambito della normativa
prudenziale. Trattazione dettagliata sarà riservata ai Core Principles for effective
banking supervision che saranno enunciati nella loro versione rivista nel 2006,
chiarendone meglio lo scopo.
Il Secondo Capitolo è completamente dedicato alla descrizione del primo Accordo
sul capitale del 1988, con l‟individuazione immediata dei suoi obiettivi e le leve su
cui agire per raggiungerli: patrimonio di vigilanza, rischio complessivo e coefficiente
di solvibilità. In particolare, partendo dalla descrizione delle varie componenti del
patrimonio di vigilanza - patrimonio di base (Tier1), patrimonio supplementare (Tier
2), deduzioni patrimoniali (Tier 3) - e dalla determinazione dell‟attivo ponderato per
il rischio, si arriverà a calcolare il coefficiente di solvibilità e risulterà evidente il
concetto secondo cui le banche devono detenere un patrimonio di vigilanza pari a
non meno l‟8% del totale delle attività ponderate per il loro rischio. Si
5
evidenzieranno, altresì, le implicazioni che Basilea I - attraverso un ampio e
dettagliato rapporto, il Capital requirement and bank behaviour: the impact of the
Basel Accord, promosso dallo stesso Comitato - ha prodotto sulle banche.
In ultima analisi, si farà riferimento ai limiti del primo Accordo, con l‟illustrazione
delle proposte - avanzate dai due istituti Isda (International swaps and derivatives
associations) e Iif ( Istitute of International finance)- che poi costituiranno la base
per la determinazione di Basilea II.
Il Terzo Capitolo introduce il secondo Accordo di Basilea, ne analizza la struttura e i
destinatari, per poi approfondire gli aspetti del Secondo Pilastro dell‟Accordo -
Supervisory Review - elemento fortemente rivoluzionario, perché mancante nella
vecchia normativa. Nel particolare, partendo dall‟esame delle fasi in cui si articola
l‟ICAAP, si arriverà alla determinazione del capitale complessivo e alla
riconciliazione con il patrimonio di vigilanza. Per lo SREP, invece, saranno riportati,
schematicamente, l‟azione e i principi seguiti dall‟Autorità di Vigilanza nella verifica
di adeguatezza del processo ICAAP, con riferimento ad eventuali azioni correttive
nel caso di anomalie. Si esaminerà, infine, il Terzo Pilastro (Market Discipline)
specificandone la struttura ed evidenziandone le finalità.
Il Capitolo Quarto sarà interamente dedicato al Primo Pilastro di Basilea II, relativo
ai requisiti patrimoniali ed elemento attraverso cui si introducono una serie di
innovazioni - ad es. differenziare i requisiti di capitale in proporzione al rischio di
ogni singolo credito - attraverso le quali Basilea II vuole superare i limiti del
precedente Accordo. Dopo una breve panoramica sui rischi bancari, si definirà il
nuovo coefficiente patrimoniale alla luce delle modifiche apportate al denominatore
dalla nuova normativa prudenziale. In seguito, si analizzeranno i diversi approcci per
il trattamento del rischio di credito: metodo standard e metodo IRB, attraverso i quali
si arriva alla determinazione dei requisiti patrimoniali minimi a fronte del rischio di
credito. Oggetto di analisi saranno anche i restanti due rischi, di mercato e operativo,
cercando per ognuno, ma soprattutto per il secondo - novità assoluta di Basilea II - di
chiarirne meglio le caratteristiche e i metodi utilizzati per il loro trattamento, al fine
di determinare anche per essi i requisiti patrimoniali per farvi fronte. Si
osserveranno, inoltre, gli effetti del secondo Accordo di Basilea sulle banche e sul
rapporto di queste con le piccole e medie imprese. In particolare, si andrà a smentire
quel timore infondato - di banchieri e debitori - generato dall‟introduzione del
6
vigente Accordo di Basilea e consistente in aumento dei requisiti patrimoniali delle
banche, con il conseguente inasprimento delle condizioni applicate sui prestiti. In
ultimo verrà presentata l‟evoluzione del rapporto banca-impresa con un'analisi
spiccatamente incentrata sul tema della trasparenza informativa.
Nel capitolo precedente quello conclusivo, sarà trattato il rating con lo scopo di
evidenziare come tale importante indicatore di solvibilità si leghi alla normativa
prudenziale di Basilea II. Seguirà una breve parentesi storica sulle sue origini,
accompagnata dalla descrizione di quelli che, oltre alle banche, sono i nuovi soggetti
- Ecai e model vendors - che partecipano alla determinazione del rating stesso. Si
illustreranno, poi, i sistemi di assegnazione dei rating interni utilizzati dalle banche e
basati su analisi qualitative, quantitative e andamentali; sarà anche analizzato un
esempio di processo di attribuzione di rating esterni, appartenente a una grande
agenzia di rating internazionale. Si cercherà di “cogliere” il legame stretto e
indissolubile tra rating assegnato delle imprese e pricing dei finanziamenti ad esse
concessi. A tal proposito verranno descritte le azioni che un‟impresa può - ma che a
mio parere deve - effettuare al fine di migliorare il rating con conseguente
diminuzione dei tassi sui finanziamenti.
L‟impostazione conclusiva sarà caratterizzata dalla descrizione di un quadro storico
ben definito: si partirà dall‟enunciazione di quanto professato dalle teorie del credito
- inizialmente affrontate dai teorici del XVIII secolo e proseguita da Adam Smith
nella Ricchezza delle Nazioni (1776) - per passare all‟analisi della teoria del central
banking di Thornton e Bagehot - fondata sulla necessità nel mercato di un‟autorità di
regolamentazione - e descrivere, infine, la manifesta esigenza di regolamentazione,
atta a correggere i fallimenti di mercato, teorizzata dalla currency school.
Risulteranno evidenti i legami con l‟attuale attività di riforma del Comitato di
Basilea e si potranno così argomentare i documenti di consultazione prodotti dallo
stesso (su mandato dei Capi di Stato e di Governo del G20 negli scorsi mesi e in base
alla “roadmap” stabilita dal Finacial Stability Board) e miranti a rafforzare la
stabilità del settore finanziario. Sulla base di tali documenti, saranno descritti gli
interventi previsti dal Comitato di Basilea, ma affrontati ed elaborati da diversi attori
operanti nel settore finanziario. In una breve anticipazione, si può dire che tali
documenti prevedono interventi in sei direzioni: rendere il sistema regolamentare
capace di “catturare” tutti i rischi rilevanti; istituire requisiti regolamentari per
7
proteggere gli intermediari bancari dal rischio di liquidità; impiegare misure con lo
scopo di attenuare la prociclicità della normativa di vigilanza prudenziale; fissare
specifici limiti nel rapporto di leva (leverage ratio); individuare idonei strumenti
prudenziali nei confronti degli operatori sistemicamente rilevanti al fine di mitigarne
il rischio da essi generato (systemic risk); concepire una nuova definizione di
capitale, ossia, intervenire sulla scelta degli elementi da computare o meno nel
patrimonio di vigilanza.
Per ognuna delle suddette misure di intervento verrà svolta una breve analisi
personale al fine di individuarne le caratteristiche peculiari, ma anche i difetti di
costruzione e prevedendo - per quanto possibile - i futuri effetti sulle banche e, di
riflesso, sulle imprese. Verrà inoltre preso in considerazione il tanto discusso
conflitto di interesse, che attanaglia le “tre sorelle”, e verranno valutate proposte per
eliminarlo o quanto meno attenuarlo.
La parte conclusiva sarà dedicata alla previsione sui costi generati dalla futura
disciplina prudenziale, ma si lascerà anche spazio a quelli che saranno i prossimi
passi: fissazione del grandfathering ed entrata in vigore della nuova disciplina - la
futura Basilea III - stimata all‟inizio del 2019.
8
CAPITOLO I
Gli Accordi di Basilea per la stabilità economica e finanziaria
1.1 Le crisi che hanno scosso i sistemi bancari internazionali sul
finire degli anni ’70: l’esigenza del primo Accordo sul capitale.
Alla fine degli anni „70 si è assistito, in ambito internazionale, a numerose crisi che
hanno interessato il settore bancario e sono state causate, principalmente, dai
maggiori rischi incontrati dalle aziende di credito per effetto di vari fattori, tra i quali:
a) apertura dei mercati (con conseguente accrescimento della competitività);
b) progresso tecnologico;
c) valori elevati di rapporto sofferenza/patrimonio;
d) crescente volatilità dei tassi di interesse e di cambio.
Il settore bancario può favorire la diffusione degli shock all‟intera economia reale,
essendovi strettamente legato
1
: l‟attività bancaria, definita come «…quella costituita
dalla raccolta del risparmio tra il pubblico e dall’esercizio del credito»
2
, risulta
coinvolgere, infatti, uno spettro assai ampio di soggetti giuridici e individuali, le cui
attività determinano l‟economia reale stessa.
Le crisi bancarie di maggiore rilievo, evidenziate in una recente pubblicazione
3
, sono
state ben 117. Esse, oltre ad essere a carattere sistemico, hanno interessato ben 93
Paesi tra cui USA, Regno Unito e Francia.
Il fatto che il settore bancario più di qualsiasi altro sia sottoposto al rischio sistemico
è un aspetto di non poco conto, e i canali di propagazione degli shock sono
principalmente due:
- il primo, forse il più rilevante, fa riferimento ad effetti domino che possono
insorgere a causa dei collegamenti presenti nel mercato interbancario;
1
Il mercato interbancario permette sì alle banche di poter fronteggiare specifici shock di liquidità, ma
nel contempo, le relazioni interbancarie rappresentano un canale per la trasmissione del contagio:
l‟insolvenza di una singola banca, infatti, si potrebbe propagare ad altri istituti tramite le relazioni
interbancarie che sussistono tra le stesse, coinvolgendo così l‟intera economia reale.
2
Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia: D.Lgs. n. 385/1993.
3
Banca Mondiale, Caprio e Klingebiel, Bancaria, 2003.
9
- il secondo si riferisce alla corsa frenetica agli sportelli da parte dei
depositanti, che paventano la difficoltà di rimborso dei depositi, che non
vengono correttamente informati sulla natura dello shock che ha colpito la
banca.
L‟aspetto sistemico, quindi, non può essere analizzato solo considerando le
caratteristiche dell‟attività bancaria in senso lato, ma è necessario anche concentrare
l‟attenzione sui collegamenti interbancari, uno dei temi oggetto d‟esame della
regolamentazione bancaria. Relativamente a quest‟ultimo aspetto, emerge l‟esigenza
di realizzare la regolamentazione bancaria che, tra l‟altro, deve operare a due livelli:
- considerare, nella sua opera di vigilanza, la singola banca come
partecipante alla condivisione e diffusione del rischio, in una visione
sistemica, a causa dei suoi legami con gli altri attori del sistema stesso;
- esaminare la banca come soggetto singolo avente un proprio rischio
individuale e sistemico.
Diverse forme di regolazione bancaria, volte a prevenire il rischio sistemico e a
ridurre il numero di crisi senza minare la concorrenza all‟interno del sistema
bancario, sono state messe in atto nel corso degli anni, ma volendo focalizzare subito
l‟argomento del presente lavoro, si precisa che si farà riferimento al primo Accordo
sul capitale, siglato nel 1988, e alle sue successive evoluzioni.
1.2 La sostituzione della vigilanza strutturale con la vigilanza
prudenziale.
Negli anni „80, i mutamenti verificatisi nei mercati creditizi e finanziari, hanno
prodotto rilevanti riflessi sul tema della vigilanza degli intermediari bancari. In
particolare, è cambiato il peso relativo delle varie forme di vigilanza che, secondo
quanto riportato nel Testo Unico Bancario, risultano essere così definite:
- vigilanza informativa:
le banche inviano alla Banca d‟Italia, con le modalità e nei termini da essa
stabiliti, le segnalazioni periodiche nonché ogni altro documento richiesto,
tra cui anche i bilanci;
10
- vigilanza ispettiva:
la Banca d‟Italia può effettuare ispezioni presso le banche, richiedendo
anche l‟esibizione di tutti quei documenti e atti che ritenga necessari;
- vigilanza regolamentare:
la Banca d‟Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, emana
disposizioni di carattere generale aventi a oggetto: l‟adeguatezza
patrimoniale, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni,
le partecipazioni detenibili, l‟organizzazione amministrativa e contabile e i
controlli interni.
Si è passati così dal privilegiare la vigilanza strutturale, «...che definisce
analiticamente le scelte aziendali consentite tanto da influenzare la struttura
competitiva del sistema di intermediazione finanziaria»
4
, a enfatizzare la vigilanza
prudenziale «…che, invece, lascia liberi gli intermediari di articolare le proprie
scelte strategiche e operative nel rispetto di alcuni vincoli di fondo, tra cui quello di
patrimonializzazione»
5
. La vigilanza prudenziale, naturalmente, necessita di essere
svolta su base sia individuale che consolidata con riferimento a gruppi complessi e
può essere ulteriormente intesa come «…attività posta in essere dalle autorità
preposte al fine di controllare, la rispondenza dei parametri gestionali degli
intermediari a prefissate condizioni di equilibrio»
6
.
Ritornando al motivo fondamentale del precedente passaggio, occorre sottolineare
che esso consiste nell‟esigenza di aumentare la competitività tra le banche al fine di
migliorarne l‟efficienza, ovvero di offrire ai risparmiatori, e alle imprese soprattutto,
servizi finanziari migliori ed economicamente più convenienti. Tale passaggio ha
trovato massimo riscontro nel documento “International Convergence of Capital
Measurement and Capital Standards” emanato nel luglio del 1988 da parte del Basel
Committee on Banking Supervision.
4
De Laurentis G., Caselli S., “Miti e verità di Basilea 2”, Milano, 2006, pag. 5.
5
De Laurentis G., Caselli S., “Miti e verità di Basilea 2”, Milano, 2006, pag. 5.
6
Scamacci P., “Evoluzione e prospettive della vigilanza prudenziale internazionale”, in Bancaria,
2003, pag. 67.
11
1.3 Il Comitato di Basilea e la portata giuridica delle sue proposte.
Il Comitato di Basilea per la Vigilanza bancaria è un organismo di cooperazione
internazionale composto da rappresentanti delle banche centrali e dalle autorità di
vigilanza bancaria dei Paesi del cosiddetto “Gruppo dei Dieci”. Venne istituito dai
Governatori delle banche centrali dei Paesi del G10 alla fine del 1974 come reazione
alla crisi della Banca di Herstatt dell‟anno precedente. Il motivo della sua istituzione
fu quello di porre rimedio ai gravi episodi intervenuti sui mercati valutari e creditizi
internazionali
7
istituendo un luogo di consultazione e coordinamento in materia di
supervisione bancaria
8
. Il Comitato si riunisce in forma plenaria quattro volte
all‟anno, presso la sede della Banca dei Regolamenti Internazionali, che assicura il
suo supporto segretariale e tecnico alle riunioni dei lavori. Date la complessità e
l‟estensione delle materie trattate, l‟attività del Comitato risulta articolata in
sottocommissioni tecniche, in forma di sottogruppi a carattere permanente e di task-
force temporanee, composte da esperti provenienti anche da Paesi estranei al G10 e
presiedute ciascuna da un membro del Comitato
9
che risponde al G10 e alla cui
approvazione sono sottoposte le principali iniziative. Il Comitato, pertanto, non può
essere considerato una vera e propria autorità sovranazionale: gli atti da esso
emanati, ovvero gli “accordi”, infatti, non hanno un preciso valore giuridico e
vengono generalmente considerati alla stregua di gentlmen agreemnts
10
. La loro
introduzione negli effettivi ordinamenti giuridici è rimessa all‟unilaterale e autonoma
implementazione da parte degli Stati componenti, secondo le regole che presidiano le
rispettive forme di produzione normativa. Al riguardo, l‟impegno da parte dei
partecipanti al Comitato di promuovere nei rispettivi Paesi l‟applicazione delle
misure concordate, può aver valore solo a livello politico, in relazione alle naturali
7
Ci si riferisce alla crisi della Banca tedesca Herstatt, che rischiò di provocare, in relazione ad una
serie di operazioni valutarie transfrontaliere in corso di regolamento al momento della liquidazione,
una crisi sistemica (effetto domino).
8
L‟istituzione del Comitato coincide temporalmente con la fine del sistema di Bretton Woods, che
determinò il passaggio da un sistema fondato sull‟intervento pubblico nella determinazione dei tassi di
cambio e nel finanziamento degli squilibri esterni delle economie nazionali, ad un altro, in cui i
movimenti internazionali dei capitali e la determinazione dei valori relativi alle monete rimangono
affidati alle forze dei mercati, veicolati dall‟attività internazionale delle banche; Padoa Schioppa T.,
“La vigilanza bancaria in un mercato globale”, in Bancaria, 1995, pag. 6.
9
La partecipazione ai gruppi di lavoro di rappresentanti della Commissione UE fornisce una
possibilità di coordinamento tra la produzione regolamentare comunitaria e gli orientamenti del
Comitato.
10
Ascenzio H., “Les activities internationales des banques: liberté ou controle?”, Journal du droit
International, n. 2, 1993.
12
ripercussioni che i relativi esiti comportano sul prestigio internazionale delle
istituzioni interessate. Le proposte elaborate dal Comitato, tuttavia, rivestono
un‟importanza considerevole negli ordinamenti giuridici nazionali, influenzando
decisamente le relative regolamentazioni in materia di supervisione finanziaria. Le
autorità di vigilanza nazionali, inoltre, conformano le proprie metodologie di
supervisione ai principi enunciati nelle raccomandazioni tecniche del Comitato, in
ragione della sua credibilità e autorevolezza. In relazione alla diffusione che
raggiungono generalmente i testi del Comitato e alle conseguenze che la loro
emanazione comporta sui contenuti delle regolamentazioni nazionali, risulta evidente
che la loro efficacia è superiore a quella che normalmente si ricollega alle
elaborazioni di un organismo informale, privo di portata giuridica.
Sotto certi aspetti, pertanto, la consistenza giuridica delle proposte del Comitato
potrebbe essere ricondotta alla nozione di soft-law
11
, sviluppata nell‟ambito del
diritto economico internazionale, per indicare il fenomeno dell‟affermarsi in
particolari settori - caratterizzati da un elevato grado di complessità e di innovazione
delle modalità tecniche con cui si svolge la relativa operatività - di forme di
regolamentazione diverse da quelle dotate di formale vincolatività giuridica. La
portata ampiamente generica di tale nozione è stata estesa fino a ricomprendere una
variegata serie di convenzioni tra organizzazioni internazionali, governi nazionali e
anche soggetti economici e individui, che possono influenzare in varia misura e con
diverse modalità le fonti legali di produzione del diritto e che esprimono, e in
qualche modo realizzano, istanze di autoregolamentazione dei settori interessati.
In tale prospettiva, nel procedimento di formazione delle principali proposte del
Comitato, assume particolare rilievo la prassi della cosiddetta consultazione del
sistema bancario internazionale, consistente nella preventiva sottoposizione delle
elaborazioni del Comitato ai soggetti vigilati e nella considerazione delle loro
osservazioni e contributi per definitive determinazioni. Nella misura in cui le
proposte del Comitato si traducano successivamente in effettive misure
regolamentari, la consultazione determina l‟effettiva partecipazione dei destinatari
delle regole di vigilanza al loro processo di formazione, assicurando, con tecniche e
strumenti gestionali e di controllo in uso nell‟industria bancaria (best practice),
l‟integrazione e il coordinamento delle metodologie di vigilanza. In questo modo si
11
Snyder F., “Regole di condotta che, in linea di principio, non hanno un valore giuridico vincolante
ma che tuttavia possono avere effetti pratici”, 1993, pag. 32.
13
otterrebbe un più elevato livello di condivisione delle normative di vigilanza da parte
dei soggetti tenuti alla loro osservanza.
1.3.1 Il Gruppo dei Dieci.
Il Gruppo dei Dieci, più comunemente detto G10 è un‟organizzazione internazionale
che riunisce undici Paesi industrializzati: Germania, Belgio, Canada, Stati Uniti,
Francia, Giappone, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia e Svizzera. Esso fu
fondato nel 1962 dalle dieci maggiori economie capitalistiche d‟allora. Nel 1984 la
Svizzera vi aderì come undicesimo membro, ma il nome del gruppo rimase invariato
e fu mantenuto tale anche dopo l‟adesione, come membro associato, del
Lussemburgo. I Paesi membri del G10 hanno aderito, nel 1962, al General
Arrangements to Borrow (GAB), un accordo in base al quale si impegnavano a porre
a disposizione del Fondo Monetario Internazionale, valute per l'equivalente di 6
miliardi di dollari al fine di accrescerne le risorse. L'utilizzazione delle risorse
previste è, però, subordinata al consenso dei Paesi sottoscrittori, così che il Fondo
svolge solo funzioni di intermediario fra il gruppo dei Dieci e gli eventuali
richiedenti.
Un altro avvenimento importante nella storia del G10 è stato, nel 1971, la firma
dello Smithsonian Agreement, con cui si mise fine agli accordi di Bretton Woods,
rimpiazzando il sistema a cambi fissi verso il dollaro con un sistema a cambi
flessibili governato dal mercato. Da sempre, il G10 agisce come forum per
discussioni di politica economica e monetaria tra rappresentanti di banche centrali e
Ministeri delle Finanze.
I rappresentanti delle banche centrali e delle autorità di vigilanza bancaria del G10
compongono il Comitato di Basilea. I Ministri economici e finanziari e i Governatori
delle banche centrali del G10 si riuniscono annualmente in occasione dell‟assemblea
annuale dell‟FMI; i soli Governatori, inoltre, si riuniscono regolarmente presso la
BRI.
Si ritiene opportuno aggiungere, a conclusione, che le attività del G10 sono osservate
dalle seguenti organizzazioni internazionali:
14
BIS - Banca dei Regolamenti Internazionali
Commissione europea
FMI
OECD .
1.4 I primi contributi del Comitato al rafforzamento della vigilanza
internazionale: cenni storici.
All‟inizio della sua attività, il Comitato indirizzò il proprio impegno soprattutto
all‟eliminazione delle inefficienze dell‟azione di vigilanza determinate
dall‟internazionalizzazione dell‟operatività bancaria (cross-border banking),
provvedendo a enucleare i principi basilari per la cooperazione internazionale in
materia di vigilanza bancaria con riferimento, in particolare:
- alla suddivisione in capo alle autorità del Paese d‟origine (home country) e
del Paese ospitante (host country) delle responsabilità per i controlli sulle
filiali e filiazioni estere delle banche;
- alla necessità di adottare forme di consolidamento nell‟apprezzamento dei
profili di stabilità dei soggetti vigilati;
- allo scambio di informazioni tra le autorità di diversi Paesi
12
.
In una seconda fase, i contributi del Comitato si sono maggiormente orientati al
miglioramento dell‟azione e della qualità della supervisione bancaria, rivolgendosi a
tutti i Paesi coinvolti dai processi di globalizzazione dei mercati finanziari. In questo
senso il Comitato, nel tempo, ha lavorato all‟elaborazione di orientamenti tecnici,
risultanti dal confronto delle tecniche di vigilanza in uso nei diversi Paesi (best
practice di vigilanza) cui le diverse autorità nazionali possono conformarsi nel
fissare, all‟interno dei rispettivi sistemi, le relative regolamentazioni. In particolare,
nel primo quarto di secolo di attività, l‟elencazione delle tematiche affrontate dal
Comitato risulta composta - con riferimento agli aspetti di vigilanza prudenziale
“quantitativa” - dai lavori sulla misurazione e gestione del rischio di cambio (agosto
1980) e di tasso di interesse (aprile 93, settembre 97) in materia di prodotti derivati
(luglio 1994, settembre 1998), di rischi delle tecnologie telematiche e informatiche
12
Cooke P., “Sviluppi nella cooperazione fra le autorità di vigilanza bancaria”, in Bancaria, 1981,
pag. 578.
15
(luglio 1989), di e-banking e di e-money (marzo 1998). Ulteriori contributi del
Comitato, che forse sono stati i più significativi, ricomprendono principalmente:
- il primo Accordo sul capitale (luglio 1988) e il Nuovo Accordo (o più
comunemente Basilea II - dicembre 2003), che saranno oggetto di analisi
approfondita nei successivi capitoli;
- i Core principles for effective banking supervision (settembre 1997)
13
, che
saranno trattati nel prosieguo del presente capitolo.
Attualmente, alla luce dell‟odierna crisi finanziaria, il Comitato è impegnato nella
revisione di Basilea II e persegue le sue finalità principalmente attraverso tre
tipologie di interventi:
favorire lo scambio di informazione sull‟azione delle diverse autorità
nazionali;
stimolare il miglioramento delle tecniche di supervisione sull‟attività
bancaria internazionale;
individuare standard minimali di vigilanza che talune aree dovrebbero
assicurare.
1.5 I Core principles for effective banking supervision.
Alla fine del 1997, la realizzazione dei core principles suscita grande attenzione
perché è una delle più significative acquisizioni del Comitato di Basilea per la
vigilanza bancaria, in quanto rappresenta il culmine di un processo evolutivo che,
dopo oltre venti anni di attività, riconosce al Comitato il ruolo principe di creatore di
regole nel campo della supervisione bancaria.
L‟occasione della stesura dei principi è riconducibile alla crisi delle economie sud-
orientali dell‟Asia, dove il problema non era la difficoltà di una singola banca, sia
pure di grandi dimensioni, ma di eventi sistematici che, pur traendo origine da fattori
macroeconomici, trovavano terreno fertile nella debolezza degli intermediari
finanziari e delle autorità di controllo. In quel contesto, all‟intento di prevenire
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Comitato di Basilea, “Principi fondamentali per un efficace vigilanza bancaria”, in Bollettino
Economico Banca d‟Italia, n. 29, ottobre 1997, documenti pag. 16 e segg.