INTRODUZIONE
Nel corso del 2009 continua a manifestarsi con estrema virulenza la crisi economica che,
iniziata al termine del 2007 come crisi finanziaria, si è ormai propagata all’economia reale.
Gli Stati Uniti d'America, che fino a qualche anno fa sono stati il motore della crescita
mondiale grazie alla loro alta propensione al consumo, dopo essere stati il centro da cui si è
propagata la crisi in seguito allo scoppio della bolla mobiliare, hanno davanti a sé un difficile
periodo. Dopo la forte contrazione dell'economia statunitense nel IV trimestre 2008 (6,2%),
nell'incontro del Federal Open Market Committee del 27 gennaio 2009
1
sono state presentate
le proiezioni per la crescita economia dell'economia americana che vedono una contrazione
del PIL nel 2009 in una fascia che oscilla fra lo0,5% ed il 1,3%, per poi tornare alla crescita
nel 2010 tra il 2,5% ed il 3,3%.
A testimonianza della gravità della crisi che si è estesa all'intera economia globale, un
significativo documento rilasciato dalla Banca Mondiale
2
, prevede che, dopo una contrazione
della produzione industriale del 20% nel IV trimestre del 2008, ripartibile fra un 23% per i
Paesi industrializzati ed un 15% per i Paesi in via di sviluppo, il PIL mondiale registrerà nel
2009 la prima crescita negativa dal fine della Seconda Guerra Mondiale. La crescita
dell'economia mondiale si stima che resti circa il 5% inferiore al suo potenziale per tutto il
2009 e la vittima principale della crisi mondiale si prospetta essere il commercio
internazionale: la Banca Mondiale teme infatti che il 2009 sia caratterizzato dal peggiore
deterioramento dell'interscambio internazionale degli ultimi 80 anni, con una declino
accentuato nei Paesi dell'Estremo Oriente a causa del contemporaneo calo dei volumi, calo
dei prezzi e deprezzamento delle valute asiatiche.
Ne deriva quindi un quadro che lascia poche possibilità di una ripresa del corso 2009 e la
tendenza è quella di domandarsi a che data procrastinare la ripresa e soprattutto quale possa
essere la sua intensità. Se infatti, come si è sopra riportato citando il documento del Federal
Open Market Committee, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke è moderatamente
ottimista su una robusta crescita già a partire dal 2010, un'altra corrente di pensiero che
circola fra gli economisti
3
è quella secondo cui l'attuale crisi assuma la forma di una
1 Minutes of the Federal Open Market Committee , January 2728, 2009; http://www.federalreserve.gov
2 Swimming Against the Tide: How Developing Countries Are Coping with the Global Crisis;
http://www.worldbank.org
3 An L of a recession, amd reform is the only way out, Wolfgang Munchau, Financial Times, 09/03/09
4
“L”anziché di una “U”. Si intende cioè che a una marcata contrazione dell'economia reale,
non segua un'immediata ripresa, bensì una fase di stagnazione prolungata simile a quella che
colpì il Giappone negli anni '90 dove, in seguito alla crisi del sistema finanziario, si ebbe un
lungo decennio di stagnazione economica. Il Giappone tuttavia poté alleviare le sue modeste
prestazioni economiche grazie al contesto economico internazionale allora in forte
espansione, situazione che oggi è purtroppo assente.
In questo contesto che vede le economia dei paesi avanzati contrarsi del 2% nel corso del
2009 secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale
4
, le economie che meno
sembrano essere affette dai mali della recessione globale sono quelle dei Paesi emergenti
asiatici ed, in particolare, la Cina non sembra rallentare il vorticoso processo di sviluppo che,
a partire dall'apertura di Deng Xiaoping nel 1979 e la creazione del cosiddetto socialismo di
mercato, hanno portato il Paese ad essere la terza economia del mondo.
Riportiamo la tabella del FMI precedentemente citata, dove sono riportate le percentuali di
crescita
del PIL per parità d'acquisto del mondo e di singoli Paesi:
4 World Economic Outlook Update, Global Economic Slump Challenges Policies, gennaio 2009, IMF
5
Come si evince dalla tabella, la Cina ha riportato fino all'anno precedente all'inizio della crisi
economica internazionale una crescita superiore al 10% che, protrattasi a partire dalla metà
degli anni '90, unitamente ad una ridotta volatilità ed un'inflazione generalmente bassa
5
, ha
consentito al gigante asiatico di compiere enormi passi in termini economici e sociali, se si
pensa che la popolazione che, secondo i criteri internazionali, vive sotto la soglia di povertà è
scesa dal 65% del 1981 al 7% del 2005, permettendo quindi a centinaia di milioni di persone
di migliorare il proprio standard di vita.
Quello che però più si nota osservando i dati del Fondo Monetario Internazionale, è come, sia
i dati del 2008 sia le proiezioni per il biennio successivo, lasciano sperare in una significativo
aumento del PIL che si potrebbe assestare in un +6,7% nel 2009 e un +8% nel 2010. Sebbene
una crescita inferiore all'8% sia giudicata insufficiente dal Governo cinese, poiché non in
grado di assorbire la domanda di lavoro in costante aumento, per via della migrazione dalle
5 Midterm Evaluation of China’s 11th Five Year Plan, December 18, 2008, Wold Bank,
http://www.worldbank.org/
6
campagne e la spinta demografica, un osservatore esterno rimane stupito di fronte a tali
numeri, considerato specialmente la contrazione economica che è in corso nei Paesi
industrializzati.
In realtà le sbalorditive prestazioni dell'economia cinese nascondono luci ed ombre, in quanto
il fattore trainante dello vorticoso sviluppo cinese, dalla fine degli anni '80 a oggi, è stato
essenzialmente l'export. La Cina negli ultimi venti anni è diventato il modello dell'economia
exportoriented per antonomasia, tanto da meritarsi l'appellativo di “fabbrica del mondo”
grazie alla quantità di merci con cui ha raggiunto i mercati di ogni continente. Degli oggetti
che ogni prendiamo in mano per lavorare o divertirci, è inevitabile che c'è ne sia almeno uno
che riporti come paese di fabbricazione la Cina: fabbricando in modo efficiente e a costi
altamente economici prodotti di largo consumo, l'export ha costituito la chiave di volta su cui
si è retto lo sviluppo dell'economia cinese negli ultimi anni. La strepitosa crescita dell'export
cinese che ha funzionato da motore dello sviluppo economico ha tuttavia creato dei marcati
squilibri che vedono un'economia essenzialmente rivolta alla produzione di prodotti
esportabili e agli investimenti diretti a supportare tale produzione, mentre i consumi, sebbene
siano cresciuti in termini assoluti, sono diminuiti in maniera sensibile se rapportati al PIL
dagli anni '80 ad oggi
6
. Questo significa che i cinesi consumano di più rispetto a 30 anni fa,
ma paradossalmente destinano ai consumi una percentuale inferiore del PIL oggi che la Cina
è assorta a terza economia mondiale, piuttosto che non all'inizio delle riforme lanciate da
Deng Xiaoping nel 1978.
Se è coerente con la teoria economica classica
7
che la percentuale dei consumi nel rapportati
al PIL cali nella prima fase del processo di industrializzazione di un Paese, poiché l'elemento
trainante sono gli investimenti, quello che risulta anomalo nel caso cinese è il costante declino
dei consumi in una fase ormai in cui tale processo è saldamente avviato.
Il modello economico cinese basato su alti livelli di export e investimenti
8
è, tuttavia,
insostenibile nel lungo periodo, come già più volte ammesso dalle stesse autorità cinesi e
sottolineato da numerosi economisti
9
. Le cause di tale insostenibilità che accenniamo qui
brevemente e che, nel corso del lavoro, riprenderemo, sono:
6 Rebalancing China’s Economy: What Does Growth Theory Tell Us?, Jahangir Aziz, IMF Working Paper
7 Explaining China’s Low Consumption: The Neglected Role of Household Income, Jahangir Aziz and Li Cui, IMF
Working paper
8 Rebalancing China’s Economy: What Does Growth Theory Tell Us?, Jahangir Aziz, IMF Working Paper
9 Rebalancing Growth in China: A ThreeHanded Approach, Olivier Blanchard, Francesco Giavazzi
7
Alti investimenti protratti per un lungo periodo rischiano di creare sovraccapacità
produttiva, con conseguenti spinte deflattive e peggioramento del sistema finanziario a
causa di ingenti risorse dirottate verso investimenti non profittevoli.
L'eccessiva dipendenza dell'economia cinese dall'export rende particolarmente
vulnerabile la Cina nelle congiunture economiche internazionali sfavorevoli. I dati
sull'export cinese mostrano a marzo 2009
10
, ad anno dall'inizio della crisi economica,
una contrazione dell'export cinese del 25,7% rispetto ad anno precedente, aggravando
la situazione di intere province cinesi dedite solo all'export. D'altra parte è
storicamente noto
11
che sono proprio i Paesi più integrati nel commercio
internazionale a subire maggiormente le congiunture negative, come dimostrato dal
fatto che l'internazionalizzata economia inglese del XIX secolo, fu la principale
vittima della grande depressione protrattasi dal 1873 al 1896.
il costante surplus commerciale della Cina unito al correlato deficit commerciale degli
Stati Uniti, fenomeno interpretato dal governatore della FED Ben Bernanke come una
delle principali cause del “saving glut”
12
, costituisce oggi il principale squilibrio
dell'economia mondiale
Un'economia vocata alla produzione industriale per l'export e scarso peso dei consumi
e del terziario, offre meno opportunità di lavoro e benessere
13
, rispetto ad un'economia
più bilanciata.
La presente tesi quindi vuole confermare l'insostenibilità di un modello di crescita fondato
sull'export e correlato ad una compressione dei consumi, mentre vuole dimostrare i benefici
che apporterebbe un modello di sviluppo più equilibrato.
La tesi si articolerà di conseguenza in tre parti:
1. La prima descriverà il modello economico cinese exportoriented finora adottato, i
suoi successi ed i suoi limiti
2. La seconda si focalizzerà sulla contrazione dei consumi nell'economia cinese
registrata fino a oggi, sulle cause e le conseguenze
10 China hit by massive drop in export, by Geoff Dyer, Finacial Times, 11/03/09
11 P. Deane, La Rivoluzione industriale in Inghilterra in M.L. Salvadori (a cura di) La Storia, Utet, 2004.
12 The global saving glut and the US current Account Deficit, 10/03/05, http://www.federalreserve.gov
13 Rebalancing Growth in China: A ThreeHanded Approach, Olivier Blanchard, Francesco Giavazzi
8
3. La terza si incentrerà sulle scelte che bisognerebbe adottare per incentivare i consumi
nell'economia cinese i benefici che si avrebbero e su quali misure il governo cinese ha
adottato in questa direzione.
Per supportare tale tesi si ricorrerà ad una vasta serie di elaborati scientifici prodotti dalla
Banca Mondiale ed il Fondo Monetario, ai lavori di affermati economisti ed infine a
significativi articoli apparsi su riviste economiche quali il Financial Times e l'Economist.
9
PARTE PRIMA
LA CRESCITA EXPORTORIENTED, SUCCESSI E LIMITI
Il ruolo delle Special Economic Zones (SEZs)
Sin dalla fine degli anni'70, con la salita al potere di Deng Xiaoping, la Cina ha intrapreso un
percorso di liberalizzazione economica ed apertura sia verso il commercio internazionale che
gli investimenti esteri. Tale processo non ha conosciuto fino ad oggi alcun momento di
arresto, sebbene ci siano stati alcuni momenti, in concomitanza degli episodi di piazza di
Piazza Tiananmen e nel periodo di turbolenza che ha seguito la morte de Deng, in cui le forze
conservatrici del partito comunista abbiano invano tentato di arrestare il processo.
Da allora l'economia cinese è cresciuta ad un tasso medio del 9%, accompagnata ciò
nonostante da un basso tasso di inflazione che, tra il 1996 ed il 2003, si è attestato attorno
all'1%. Nel 2003 la formazione del capitale, alimentata dall'alto tasso di risparmio, si attestava
attorno al 50% del PIL ed il flusso di investimenti esteri diretti si aggirava attorno un miliardo
di dollari a settimana
14
.
Alla base di questa portentosa crescita troviamo tre elementi essenziali:
1. la trasformazione dell'economia da pianificata ad una di mercato
2. il passaggio di un'economia basata sull'agricoltura ad una poggiata sull'industria
3. l'apertura ai mercati internazionali dopo il lungo ripiegamento della Cina su se stessa.
I fattori che hanno contribuito a tale trasformazione possono invece essere ricondotti a:
Prerequisiti favorevoli alla crescita: come la presenza di un'efficiente Stato che, per
quanto non democratico, ha saputo cogliere con successo la sfida
dell'industrializzazione ed una vastissima popolazione che offre manodopera con una
velocità tale da contenere qualsiasi spinta inflazionistica sui salari
Una strategia di implementazione: le autorità cinesi sono molto attente alla stabilità
macroeconomica sotto i suoi aspetti (inflazione, mercato del credito, salari, etc.) ed
allocano le risorse in maniera che la crescita sia sostenuta ma costante, piuttosto che
vorticosa e volatile
14 The Development of China's Export Permormance, By Javier SilvaRuete, IMF Conference
10
Riforme strutturali: il fatto che lo Stato sia sempre stato presente nella cultura cinese,
permette di implementare le riforme con gradualità ed efficacia. Tra queste riforme le
più importanti furono la semiprivatizzazione delle terre, avvenuta alla fine degli
anni'70, che incentivò la produttività nel settore allora trainante del PIL ed il permesso
accordato ai privati cittadini di investire in piccole attività locali. A queste riforme
seguì la creazione di zone economiche speciali (da ora SEZs) in cui erano attratti gli
investimenti stranieri ed infine, nel 1988, ci fu una riforma delle grandi imprese statali
(State Owned Entreprises, SOEs) al fine di renderle più conformi alle regole di
mercato.
Il dato tuttavia che più colpisce della strepitosa crescita cinese è quello riguardante l'export: il
tasso di aumento medio dell'export cinese si è attestato attorno al 5,7% negli anni '80, al
12,4% negli anni '90 e al 20% circa dal 2000 al 2003
15
.
Per farsi un'idea dell'aggressività con cui l'export cinese ha conquistato i mercati
internazionali osserviamo la seguente tabella:
Si evince che l'export cinese nei principali mercati di sbocco è più che raddoppiato tra il 1995
ed il 2003, raggiungendo il 12,5% delle merci importate dagli Stai Uniti.
Nello spiegare il successo dell'export cinese merita a questo punto soffermarsi brevemente
sulle SEZs, per via del fondamentale ruolo che hanno avuto nell'industrializzazione cinese e
che tuttora rivestono per l'export del Paese. Le SEZs furono costituite nel 1979, inizialmente
nel numero di cinque (Shenzen, Shantou, Zuhai, Xiamen ed Hainan), con l'obbiettivo di
emulare quelle che erano le cosiddette Tigri Asiatiche (Taiwan, Singapore, Sud Corea). Si
tentò, con successo, di creare distretti in cui incentivare gli investimenti stranieri, attratti dal
basso costo del lavoro e da una fiscalità agevolata. I primi capitali che affluirono nelle SEZs
15 Ibidem
11
provenivano dalle vicine regioni più sviluppate, come le città, fino al 1999 indipendenti, di
Macao e Hong Kong e le isole di Taiwan e Singapore
16
Analizzando la tabella
17
sotto riportata si ricava come nel 1994, quindi quando le riforme
concernenti commercio estero erano state completate, più della metà degli investimenti diretti
alle SEZs erano di provenienza straniera.
Considerando le cinque SEZs nel loro complesso si ricava che la percentuale media degli
investimenti stranieri rapportati al totale delle risorse impiegate superava nel il 70%, con una
punta del 154% nello Xiamen, grazie all’eccedenza di capitali stranieri in entrata rispetto agli
investimenti effettuati. Nel 1991 la parte più cospicua degli investimenti stranieri
18
proveniva
dall’interno dello territorio cinese cioè da Hong Kong, Taiwan e Macao, per un totale di 33
miliardi dollari, cui seguiva il Giappone con 18,4 $mld e gli Stati Uniti con 4,4 $mld. E’
chiaro quindi che un contributo determinante, in termini di risorse e competenze, fu dato dalle
comunità cinesi che risiedevano fuori dal controllo della Repubblica Popolare Cinese ed
erano già inserite nel commercio internazionale: queste cittàstato dirottarono ingenti
investimenti nelle SEZs per la produzione intermedia o completa di beni destinati all’export,
usufruendo delle agevolazioni fiscali e salariali offerte dalle stesse.
Analizzando la destinazione dell'export delle SEZs, proposta nella sottostante tabella, si può
notare come nel 1992 la prima meta dell’export cinese fosse Hong Kong, che importava dai
distretti cinesi quasi il 16% del suo import totale. Non si deve tuttavia credere che le SEZs
esportassero nell'excolonia britannica beni destinati al consumo in loco, poiché a loro volta
16 China's Opening Door, The Royal Institute of International Affairs, 1996
17 Ibidem
18 China's Opening Door, The Royal Institute of International Affairs, 1996
12