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produttive di Ford di ottenere risultati impensabili in termini di ripetitività,
velocità ed efficienza
1
.
La situazione, oggi, si è però notevolmente modificata: il successo di un
servizio è legato a fattori diversi, la vita media di un prodotto si è drasticamente
ridotta (dai 20 anni del Modello T ai 3 di qualsiasi autovettura moderna) e se un
tempo produzione di massa era sinonimo di efficienza oggi è efficiente produrre
solo quello che serve. A tal proposito Prestopino (2002) in un articolo sul Lean-
Thinking afferma che la parola d’ordine oggi per conquistare un cliente è
personalizzare, così, se un tempo Ford affermava ironicamente che ogni
americano avrebbe potuto possedere una Modello T del colore che preferiva
purché fosse nero, oggi qualsiasi prodotto, e nella fattispecie qualsiasi automobile,
è disponibile in decine di combinazioni di attributi differenti.
Il cambiamento di fattori economici, sociali e culturali che hanno
contraddistinto il XX secolo hanno mostrato come l’intero sistema vada
ridisegnato: al giorno d’oggi basta una fluttuazione della domanda, dei flussi
finanziari, dei rapporti internazionali o una minima innovazione tecnologica per
provocare il fallimento delle piccole imprese così come dei colossi industriali. La
soluzione è naturalmente quella di adattare le logiche di produzione e di gestione
agli attuali contesti competitivi e sociali. Tra le molte soluzioni proposte quelle
valide ed universalmente accettate sono le tecniche della qualità totale, del Just-
In-Time, il Supply Chain Management ed il reengineering process
1
In pochi anni fu possibile ridurre il prezzo della “Modello T” da 850 a 290 dollari a fronte di volumi di
produzione sempre più alti
5
(PRESTOPINO, 2002); ed è appunto di quest’ultimo strumento che ho voluto
approfondire la mia conoscenza nel lavoro che mi accingo a svolgere.
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INTRODUZIONE
Taylor, Frederick Winslow (Germantown 20/03/1856 – Filadelfia
21/03/1915) ingegnere statunitense. Studioso dei rapporti produttivi tra uomo e
macchina, applicò le sue ricerche alla razionalizzazione del lavoro: taylorismo.
Il taylorismo è stato un tentativo di ridurre la complessità attraverso un’opera
di razionalizzazione in cui la tecnologia incorporava sempre più la conoscenza e
l’uomo, considerato un fattore di disturbo, era sempre più diviso tra progettazione
ed esecuzione (ROMEO, 1988). L’organizzazione era l’insieme delle regole che
consentivano l’efficienza nell’uso delle risorse tecnologiche ed umane.
I tre principali obiettivi della teoria del Taylor sono:
• accentrare e razionalizzare le linee di autorità all’interno dell’impresa;
• aumentare la produzione e il rendimento di uomini ed impianti non solo
attraverso la riorganizzazione ma anche attraverso la trasparenza totale dei
costi, delle procedure, dei tempi e dei metodi di lavoro;
• usare la scienza non solo come criterio di azione ma anche come base
legittimante delle nuove proposte.
Oltre quelle del Taylor, numerose sono state le teorie di organizzazione delle
aziende, ma tutte possono essere ricondotte ad una matrice comune: la staticità.
Per staticità s’intende l’incapacità delle aziende di adeguarsi alle evoluzioni del
contesto ambientale in cui l’impresa opera. La mancanza di risvolti negativi sulle
performances delle imprese che adoperavano un’organizzazione di quelle appena
7
delineate, era dovuta allo scarso, o per nulla competitivo contesto in cui queste
operavano.
Gli anni ‘60, infatti, furono testimoni dell’automazione industriale che
permise alle imprese di accrescere la loro produttività senza peraltro garantire la
competitività.
Oggi anche se la tecnologia è molto più pervasiva, il vero fattore di
competitività è l’uomo e la sua capacità di applicare la conoscenza ai processi
produttivi dell’impresa. Il tentativo tayloristico di ridurre la complessità oggi non
ha più senso in quanto la complessità va accettata e trattata (BONAZZI, 1995).
Uscire dal taylorismo significa prendere atto che esistono gli strumenti per gestire
complessità e variabilità
La pervarsità delle nuove tecnologie, in particolare quelle dell’informazione,
che rendono meno distinguibili i confini settoriali; la crescente flessibilità dei
processi produttivi; lo sviluppo internazionale delle imprese e la crescente
globalizzazione dei mercati; l’evoluzione parallela della domanda che supera la
richiesta del soddisfacimento dei bisogni primari, però, fanno nascere nell’azienda
l’esigenza di ottenere la customer satisfaction
2
(QUINTANO, 2000).
I primi a rendersi conto di ciò furono i dirigenti giapponesi i quali raggiunsero
un vantaggio competitivo sulle concorrenti, grazie alla cultura giapponese fondata
2
Quanto detto è spiegato ed ampiamente approfondito dal professor Michele Quintano nel suo libro: “Il
comportamento del consumatore nella prospettiva del marketing”.
8
sui principi del confucianesimo che dava ai lavoratori una completa dedizione agli
obiettivi dell’impresa
3
(DORE, 1987).
Nel resto del mondo occidentale, invece, mancando in toto i presupposti per
lo sviluppo di un’organizzazione industriale sul modello giapponese i problemi
persistevano ancora. Problemi che non era possibile risolvere migliorando lo
svolgimento dei singoli compiti.
Crescente era la necessità di un maggiore coinvolgimento dei lavoratori e di
un sistema più efficiente di comunicazione all’interno dell’intero complesso
organizzativo.
Lo sviluppo di una concorrenza globale inarrestabile, una clientela sempre più
preparata ed esigente rese lapalissiano che il modus operandi del passato non era
più adeguato.
Fu così che nella seconda metà degli anni ottanta qualcosa cominciò a
cambiare.
I sistemi informatici, che erano già presenti nelle aziende, assunsero il ruolo
di sistemi operativi; così che le informazioni cominciarono a circolare meglio sia
dentro che fuori l’azienda, oltre che assumere un importante ruolo coadiuvante
nelle decisioni del management.
Ben presto, però, le imprese si resero conto che non bastava informatizzare
l’intera organizzazione per aumentare il fatturato.
3
Come lo stesso professor Ronald Dore, insegnante al Massachusetts Institute of Technology nonché
direttore del Centre for japanese and Comparative Industrial Research dell’università di Londra, spiega nel
libro da lui scritto: “Taking Japan Seriously. A confucian Prospective on Leading Economic Issues”.
9
In quegli stessi anni, alcune aziende, tra le quali la Ford Motor Company, la
Texas Instrument e la Taco Bell avviarono un programma di miglioramento del
proprio modo di lavorare destinato a trasformare radicalmente l’industria
americana: avviarono così un rivoluzionario programma di reengineering. Con il
reengineering l’attenzione fu spostata sui processi e cioè all’intera sequenza di
attività che nel loro insieme crea valore per il cliente (ARUNACHALAM e
SUBRAHMANIAN, 1995).
Le previsioni non negative per il futuro furono surclassate da risultati ben più
positivi e una volta che la notizia iniziò a diffondersi, il reenginering assunse le
dimensioni di un fenomeno di massa che investì l’intera scena economica
mondiale.
Agli effetti positivi, però, andò ad affiancarsi un effetto negativo: i top
manager, infatti, si resero conto di non sapere più come gestire le proprie aziende
in quanto il reengineering ha trasformato non solo il loro modo di lavorare, ma ha
modificato profondamente anche le loro organizzazioni (SIA e NEO, 1997).
Non si trattò, quindi di una semplice soluzione ad un problema di
performance, ma di una totale rivisitazione delle teorie nate in quasi duecento anni
di storia dell’industria.
In questo lavoro, cercherò di mostrare come la reingegnerizzazione modificò
il vecchio modo di intendere l’organizzazione dell’azienda illustrando i suoi
principi e le sue configurazioni dimostrando che incentrando l’attenzione sui
10
processi è possibile migliorare le performances aziendali nonché la customer
satisfaction.
Per creare un mondo di organizzazioni gestite per processi, occorre rivedere il
tipo di lavoro che le persone svolgono, le mansioni loro affidate, il know-how di
cui necessitano, il modo per valutare e remunerare, il loro rendimento, il ruolo del
manager, i principi strategici ai quali s’ispira l’impresa.
Nell’ultima parte del mio lavoro esporrò quella che è l’attuale tendenza:
l’applicazione del reengineering alla Pubblica Amministrazione; esposto che sarà
completato da un esempio concreto di B.P.R. nella P.A.: il caso I.N.P.S.
Infatti, l’elevata burocrazia, la corruzione e il clientelismo presenti nel nostro
Paese rendono, dal punto di vista della customer satisfaction, la performance della
Pubblica Amministrazione molto deludente.
Così oggi, dati i molteplici successi dell’applicazione nel settore privato, il
tentativo è quello di applicare il reengineering process anche alla Pubblica
Amministrazione.
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CAPITOLO I. L’organizzazione per processi.
PARAGRAFO 1.1. Il vecchio modo di operare.
La crescente pressione della concorrenza, prima soprattutto giapponese oggi
anche asiatica e le crescenti esigenze dei consumatori stanno impegnando da circa
vent’anni i manager delle grandi imprese americane nello sforzo di migliorare le
performances dei loro business.
Gli obiettivi furono all’unanimità diretti alla riduzione dei costi, all’aumento
della flessibilità e della produttività e dei tempi del ciclo nonché al miglioramento
della qualità e del servizio. Nel tentativo di raggiungere i loro obiettivi, le imprese
si sono dotate delle tecnologie più avanzate, hanno applicato le tecniche gestionali
e motivazionali più innovative ed hanno invitato i loro dipendenti a partecipare a
tutti i corsi di formazione più quotati del momento
4
, ma i risultati furono per tutti
insoddisfacenti e soprattutto per le nuove imprese fortemente determinate a
conseguire risultati (HAMMER, 1998). Il trade-off derivante dal confronto con le
concorrenti internazionali restava fortemente negativo; ecco alcuni esempi a
testimonianza di ciò tratti dall’opera di Hammer: “Oltre il reengineering. Come i
processi aziendali cambiano l’organizzazione e la nostra vita”:
• Per evadere le richieste di sottoscrizione delle polizze inoltrate dai
proprietari di case, la Atena Life & Casualty impiegava in media ventotto
4
La formazione dei dipendenti è un aspetto molto importante nelle organizzazioni focalizzate sui processi in
quanto è necessario il superamento della parcellizzazione dei singoli compiti e delle singole competenze. I
lavoratori non devono imparare in maniera meccanica un singolo compito, ma devono conoscere tutte le
singole fasi del processo nonché parteciparvi.
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giorni, dei quali solo ventisei minuti erano occupati da lavoro realmente
produttivo.
• Ogni volta che acquistava del materiale tramite la sua organizzazione di
approvvigionamento (persino se si trattava di banali articoli di
cancelleria che costavano meno di 10 dollari) la Chrysler sosteneva costi
interni per 300 dollari dovuti alle procedure di verifica, visto e
appprovazione.
• Il Semiconductor Group della Texas Instruments impiegava 180 giorni per
evadere un ordine per un circuito integrato, quando un concorrente era
spesso in grado di compiere la stessa operazione in 1 mese.
• L’unità servizio al cliente della Gte era in grado di risolvere i problemi
dei consumatori alla prima chiamata solo nel 2 per cento dei casi.
• La Pepsi scoprì che il 44 per cento delle fatture inviate ai distributori
contneva degli errori. Ciò generava enormi costi di riconciliazione e
interminabili controversie con i clienti.
Questi esempi non fanno altro che evidenziarci le inefficienze, le imprecisioni
e le rigidità presenti nel modus operandi delle imprese. Il modo di operare, però,
non era nuovo e tali tipi di inefficienze esistevano anche in precedenza, solo che a
partire dal 1980 cominciarono ad avere un peso. La chiusura dei mercati e la
comune negatività delle performances delle imprese, rendevano inutile la ricerca
di organizzazioni più efficienti; quando però i consumatori vestiti di una nuova
13
consapevolezza cominciarono in massa a tradire i marchi più prestigiosi la
questione divenne di primo piano tra gli obiettivi del management.
Quanto appena illustrato avvenne perché la fase evolutiva delle imprese ha
interessato gli Stati Uniti tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni
sessanta: periodo caratterizzato da un grande sviluppo economico. Ne è scaturito
un modello organizzativo progettato per un periodo di domanda crescente e quindi
di sviluppo accelerato e perciò aderente perfettamente alle condizioni esistenti
nell’era postbellica: fortissima domanda di beni e servizi con scarso interesse per
la qualità e il servizio. Di conseguenza, la preoccupazione dominante dei
responsabili aziendali era la capacità dell’impresa di essere sempre in grado di
soddisfare la domanda crescente, di non perdere quote di mercato, senza però
avventurarsi in investimenti prematuri, tali da generare una capacità produttiva
eccessiva mettendo in crisi l’equilibrio finanziario dell’azienda
5
.
Per fronteggiare queste esigenze si introdussero metodologie sempre più
complesse di formulazione dei budget, di pianificazione e di controllo. La
struttura organizzativa piramidale vigente nella maggior parte delle aziende era
ideale per attuare controllo e pianificazione. Frammentando il lavoro in compiti
elementari, i supervisori potevano garantire buone prestazioni da parte dei
lavoratori, cioè l’efficienza. Con il crescere del numero dei compiti, tuttavia, i
processi di produzione di beni e di erogazione di servizi si complicarono e di
conseguenza la loro gestione. L’introduzione di numerosi strumenti di
5
Quella che successivamente verrà definita customer satisfaction, non era una preoccupazione degli
imprenditori del secondo dopoguerra, che riuscivano a vendere qualsiasi cosa fosse prodotta.
14
coordinamento (ampie staff di pianificazione e controllo, nuovi livelli
manageriali, ecc.) con conseguenti aumenti di costo e complessità di gestione, fu
uno dei prezzi che le aziende dovettero pagare a fronte dei benefici derivanti dalla
frammentazione dei processi in attività specialistiche e gerarchizzate.
15
PARAGRAFO 1.2. Il superamento del taylorismo: il
modello giapponese.
Negli anni sessanta alcune società giapponesi (in testa la Toyota, che ha
impiegato oltre vent’anni nel progettare il Toyota Production System elaborando i
principi di quello che ora chiamiamo JIT) iniziarono a muoversi verso l’eccellenza
del processo nello sforzo di ottenere miglioramenti nella qualità e riduzioni dei
costi per entrare in concorrenza e superare le aziende occidentali, soprattutto
quelle statunitensi.
Con la crisi petrolifera del 1973, le altre aziende giapponesi cominciarono ad
apprendere i “concetti Toyota” di orientamento al processo e a convertirsi alla
lean production con l’obiettivo di eliminare lo spreco nei processi produttivi e di
migliorare continuamente la qualità (BONAZZI, 1993).
Alla produzione di massa i giapponesi hanno aggiunto più qualità, più
convenienza, più servizio. Tutto ciò ha:
• elevato enormemente il livello di aspettative nel cliente;
• guidato il costante rialzo del prezzo di entrata nella competizione;
• contribuito in modo sostanziale a modificare l’ambiente competitivo,
imponendo di adottare modelli organizzativi ad esso adatti.
Il modello giapponese può essere visto come una decisiva svolta filosofica ed
organizzativa, prima che tecnologica, nei confronti del fordismo generalizzato
(TAKEUCHI e NONAKA, 1995}. Come prima accennato alla Toyota va il merito
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di aver progettato i principi di quello che noi oggi chiamiamo JIT di seguito sono
illustrati i principi base di tale modello organizzativo:
JUST IN TIME= con tale termine si intende l’imperativo di produrre e
consegnare merci finite al momento opportuno per inserirle nei sottogruppi, e i
materiali acquistati per trasformarli al momento opportuno in parti (Schonberger).
Il JIT presume quattro requisiti fondamentali:
• eliminazione delle risorse ridondanti, considerate spreco: i modelli
organizzativi occidentali presentavano notevole indifferenza al tempo
complessivo che materiali e prodotti impiegavano per passare da un
reparto all’altro, dall’entrata all’uscita delle fasi produttive.
• il coinvolgimento dei dipendenti nelle decisioni riguardanti la produzione:
tale concezione sostituisce la classica divisione burocratica del lavoro; è
un diritto-dovere dei dipendenti quello di interrompere il flusso produttivo
ogni volta che notano anomalie o difetti, e di segnalarlo attraverso
indicatori luminosi, al fine di poter effettuare una immediata correzione; al
contrario del modello fordista/taylorista che invece prevedeva la continuità
- SCORTE
- SPAZI - MOVIMENTI
DI
MATERIALE
- APPARATI
INFORMATIVI
- TEMPI PER I
MACCHINARI
- ADDETTI
I S
M N
P E
= R L
E L
S A
A
Figura n.1 - Le caratteristiche dell’impresa snella.
Fonte: I.N.P.S. Direzione Centrale Formazione.
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assoluta e indiscutibile del flusso produttivo. I segnali di correzione
dovevano essere valutati solo al momento della verifica e da personale
scelto;
• qualità totale: nelle organizzazioni classiche, l’attenzione è focalizzata
sulla regolarità dei flussi di lavoro programmati, al fine di poter garantire
produzioni di massa, il controllo di qualità è scadente in quanto effettuato
a valle della produzione; il modello giapponese ha invece nella qualità il
proprio elemento centrale. La qualità centrale è la ricerca della qualità nel
complessivo processo di lavoro, dal mercato, alla ideazione del prodotto,
alla scelta del materiale, alla organizzazione, ai costi, alla costruzione, alla
distribuzione. E’un concetto che pervade tutte le risorse umane
dell’impresa (MATTANA, 1991);
• la collaborazione con i fornitori: essa consente di programmare
adeguatamente le modalità di fornitura e di progettare componenti sino al
loro costante miglioramento, considerando anche innovazioni trovate dagli
stessi fornitori.
Un altro concetto fondamentale alla base delle organizzazioni giapponesi è
rappresentato dalla centralità delle risorse umane. Il nodo fondamentale della
gestione delle risorse umane nell’impresa è: come ottenere i risultati migliori dalle
persone, a qualsiasi livello di capacità, di coinvolgimento o di collocazione
organizzativa esse si trovino.