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Socrate: Un Modello di uomo Virtuoso
“ O mio ottimo amico, tu che sei Ateniese….non ti vergogni, tu che ti prendi tanto cura delle tue
ricchezze perchØ si moltiplichino, della tua reputazione e del tuo onore, di non darti affatto
pensiero della sapienza, della verità e dell’anima perchØ questa divenga quanto piø può
migliore?…GiacchØ non dalla ricchezza deriva Virtø, ma dalla Virtø la ricchezza”.
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(Cit. Apologia di Socrate)
Quando pensiamo a Socrate, indubbiamente ci viene in mente quell' uomo, che ha dedicato alla
filosofia l'intera esistenza ed è morto per essa. Nell'impegno di una ricerca condotta con metodo
rigoroso e incessantemente perseguita, egli ha posto il valore piø alto della personalità umana: la
virtø e il bene. Tale è infatti il significato di quell'identificazione tra virtø e scienza, che è stata tante
volte scambiata per intellettualismo. La scienza è per Socrate la ricerca razionalmente condotta e la
virtø è la forma di vita propriamente umana; la loro identità è il significato non soltanto dell'opera
ma della personalità stessa di Socrate.
La ricerca di sØ è nello stesso tempo ricerca del vero sapere e del miglior modo di vivere: cioè è
insieme ricerca del sapere e della virtø. Sapere e virtø si identificano secondo Socrate. L'uomo non
può tendere che a sapere ciò che deve fare o ciò che deve essere; e tale sapere è la virtø stessa.
Questo è il principio fondamentale dell'etica socratica, principio che viene espresso, nella forma piø
risoluta, nel Protagora di Platone. I piø degli uomini credono che sapienza e virtø siano due cose
diverse, che il sapere non abbia nessuna potenza direttiva sull'uomo e che l'uomo, anche quando sa
che cosa è il bene, possa esser vinto dal piacere ed allontanarsi dalla virtø. Ma a Socrate una scienza
che sia incapace di dominare l'uomo e che lo lasci in balia degli impulsi sensibili, non sembra
neppure una scienza. Se l'uomo si abbandona a questi impulsi, ciò vuol dire che egli sa o crede di
sapere che tale sia la cosa piø utile o piø conveniente per lui. Un errore di giudizio, quindi
l'ignoranza, è la base di ogni colpa e di ogni vizio.
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Cfr. Platone, Apologia di Socrate, edizione Bompiani 2000 La virtø per Socrate è ricchezza, è sapienza, è ricerca
continua come missione di vita
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¨ un cattivo calcolo quello che fa preferire all'uomo il piacere del momento, nonostante le
conseguenze cattive o dolorose che possono derivarne; e un calcolo errato è frutto di ignoranza. Chi
sa veramente, fa bene i suoi calcoli, sceglie in ogni caso il piacere maggiore, quello da cui non può
derivargli nØ dolore nØ male; e tale è soltanto il piacere della virtø.
Non è necessario, dunque, che l'uomo rinunzi al piacere perchØ sia virtuoso.
La virtø non è la negazione della vita umana, ma la vita umana perfetta; comprende il piacere ed è
anzi il piacere massimo. La differenza tra l'uomo virtuoso e l'uomo che non lo è, è che ìl primo sa
fare il calcolo dei piaceri e scegliere il maggiore; il secondo non sa fare questo calcolo e si
abbandona al piacere del momento. L'utilitarismo socratico è così un altro aspetto della polemica
contro i Sofisti. L'etica dei Sofisti oscillava tra un edonismo schietto quale si trova, ad esempio,
sostenuto da Antifonte e da alcuni interlocutori dei dialoghi platonici e quella specie di attivismo
della virtø che fu la tesi di Prodico. Per Socrate, l'una e l'altra di queste due tendenze sono
insostenibili. La virtø non è nØ puro piacere nØ puro sforzo, ma calcolo intelligente. In questo
calcolo, la professione o la difesa dell'ingiustizia non può trovar posto perchØ l'ingiustizia non è che
un calcolo sbagliato. Il suo sapere non è soltanto l'attività del suo intelletto o della sua ragione, ma
un modo d'essere e di atteggiarsi totale, l'impegnarsi in una ricerca che non riconosce limiti o
presupposti fuori di sØ, ma trova da sØ la sua disciplina. La virtø è scienza, secondo Socrate, in
primo luogo perchØ non si può essere virtuosi semplicemente conformandosi alle opinioni correnti e
alle regole di vita già conosciute. E' scienza perchØ è ricerca, ricerca autonoma dei valori su cui la
vita deve fondarsi. Per Socrate il filosofare è una missione divina, un compito affidatogli da un
comando divino. Egli parla di un demone, di un'ispirazione divina che lo consiglia in tutti i
momenti decisivi della vita.
S'interpreta comunemente questo demone come la voce della coscienza,come sentimento di una
investitura dall'alto, proprio di chi ha abbracciato con tutte le forze una missione. Il sentimento della
divinità è perciò sempre presente alla ricerca socratica, come sentimento del trascendente, di ciò che
è al di là dell'uomo e superiore all'uomo e dall'alto lo guida e gli offre una garanzia provvidenziale.
Ma certo la divinità di cui Socrate parla non è quella della religione popolare dei Greci.
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Egli ritiene che il culto religioso tradizionale rientri nei doveri del cittadino e perciò consiglia ad
ognuno di attenersi al costume della propria città, ed egli stesso vi si attiene.
Ma ammette gli dei solo perchØ ammette la divinità: in essi non vede che incarnazioni ed
espressioni dell'unico principio divino, al quale possono chiedersi non già beni materiali, ma il
bene, quello che solo è tale per l'uomo, la virtø. E in realtà la sua fede religiosa non è altro che la
sua filosofia. Ciò che la divinità comanda, secondo Socrate, è l'impegno nella ricerca e lo sforzo
verso la giustizia; ciò che essa garantisce è che
«per l'uomo onesto non vi è male nØ nella vita nØ nella morte»
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Ma quanto alla verità e alla virtø, l'uomo deve cercarle e realizzarle da sØ. Per Socrate, dunque, il
bene della psiche è la virtø tanto quanto il bene del corpo è la salute. In altre parole: il bene
dell'uomo è la salute fisica e psichica. Nei suoi dialoghi, come per esempio nel Protagora, Socrate
afferma che non bisogna gettare via la propria vita, che "bisogna salvarla" per impiegarla nella
realizzazione di sØ. Nel Gorgia egli insiste sulla necessità di prendersi cura di se stessi.
La salute della psiche è l'Aretè, cioè il conseguimento dell'eccellenza, in particolare della giustizia;
mentre il suo contrario, cioè la malattia della psiche, la malattia psichica in senso moderno, la
nevrosi o persino la psicosi, è causa del peggiore dei vizi, cioè l'ingiustizia. In questo dialogo
Socrate termina che è meglio subire un'ingiustizia invece che commetterla
Infatti, chi commette ingiustizie rovina la propria anima e perde se stesso. Se il vizio di commettere
ingiustizie è dunque il peggiore dei mali non ci sarebbe dunque contrasto, per Socrate, tra
conseguimento dell'utile e conseguimento del bene, nel senso che il vero utile è per Socrate la pace
della psiche, dunque, in termini moderni e correnti, il non avere pesi sulla coscienza.
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Cfr. Platone, Apologia di Socrate, edizione Bompiani 2000, pag 41
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La Virtù per Socrate
Il punto piø importante della morale socratica è la concezione della Virtø come scienza e ricerca.
Come abbiamo studiato il compito che si pone Socrate è di far generare delle definizioni, per
permettere questo egli pone l’interrogativo del: “Ti Østi” (che cos’è),
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cioè la richiesta di una
definizione precisa di un qualcosa. A una domanda del genere l’interlocutore di solito risponde con
un elenco di casi che rappresentano ciò di cui si parla (cos’è la virtø? La virtø è…, la virtø è
anche…), ma Socrate non vuole questo, egli richiede una definizione sempre valida. Con virtø
s’intendeva il modo di essere ottimale di qualcosa, per gli uomini indicava quindi la maniera
migliore di essere uomo, il modo migliore di comportarsi durante la vita. Inizialmente la virtø era
considerata come qualcosa di innato, con i sofisti questa visione cambia, Socrate si colloca in questa
corrente di pensiero, per lui la virtø non è un dono, ma una faticosa conquista, che si ottiene con la
ricerca, ed essa dipende dall’educazione, in quanto virtuosi si diviene tramite, appunto, la “Paideia”,
la cultura. L’esser uomini è l’arte piø difficile e piø importante di tutte. Per Socrate la ricerca della
verità è come dono inestimabile all’umanità e per l’umanità. Ciò comporta il “ vivere filosofando”
cioè l’unire pensiero e azione, ideale e vita, parole e gesti concreti. La vera felicità pretesa da
Socrate è quella duratura, la quale non può essere la felicità del corpo, che è caduco, ma soltanto
quella dell'anima, che è immortale. Il motto delfico vorrà allora dire, per Socrate, "conosci la tua
anima", "conosci la tua psychØ", giacchØ l'uomo, nella sua essenza piø profonda, non è altro che la
sua anima. E' proprio nel pensiero di Socrate che il tema dell'anima esce dal contesto religioso -
caratteristico di Orfismo e Pitagorismo, concezioni mitiche religiose di quei tempi - per diventare,
attraverso un processo di moralizzazione e di individualizzazione, il fulcro del discorso morale.
Se "compiere ciò che è proprio a ciascuno" è per Socrate il principio di ogni atto morale, con questa
affermazione egli da un lato si ricollega a un qualcosa che era profondamente radicato nella
concezione del tempo (l'AretØ come eccellenza, abilità, capacità) ma dall'altro, con lui per la prima
volta, si rende indipendente dal giudizio degli altri, dalla gloria e dall'onore. Ecco la grande novità
socratica: non è piø l'opinione degli altri, sia pure quella dei buoni e dei giusti, che deve determinare
l'uomo. Ciascuno deve invece "conoscere se stesso" e sviluppare ciò che è "proprio" della sua
natura, senza preoccuparsi delle cose altrui, finchØ non sia in chiaro con se stesso.
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Cfr. Platone, “Apologia di Socrate”, Milano, Bompiani, 2000 Ti- Østi Socratico è alla base di ogni ricerca verso la
verità