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INTRODUZIONE:
L‟incremento d‟attenzione, mostrato sia dall‟opinione pubblica che dal
mondo scientifico, nei confronti delle violenze in ambito scolastico ha
incrementato negli ultimi anni il fiorire di molti studi correlati, la cui più
numerosa parte di stampo psicologico. Effettuare un‟ analisi di questo
fenomeno secondo concetti derivanti dalla sociologia, ha attirato il mio
interessamento. Inizialmente la mia attenzione si è indirizzata sull‟analisi
del concetto di devianza riferito alla letteratura sociologica cercando, in
primo luogo, di esporre una ricostruzione diacronica del concetto di
devianza, vista attraverso alcuni esempi disciplinari e nelle diverse
prospettive di ricerca sociale, per arrivare ad un‟ enunciazione del
medesimo concetto, caratterizzato da un fulcro complesso e problematico
all‟interno dell‟attuale dibattito nelle scienze sociali. Lo studio della
letteratura di riferimento, effettuata nel primo capitolo, mi ha concesso di
segnare le linee generali dello studio successivo restringendo il focus
d‟attenzione, inizialmente sulla particolare relazione tra la devianza e i
minori, per poi convogliare l‟attenzione sullo studio del bullismo.
Successivamente ho incentrato la mia riflessione sul concetto d‟aggressività
analizzando i fattori che generano ed influenzano tale comportamento.
L‟analisi svolta, rispetto alla prospettiva sociologica in materia di devianza
agevola la comprendere di come l‟interesse si sia, gradualmente trasferito
dall‟individuo (con il suo corpo, le sue patologie, la sua personalità, il suo
ambiente familiare), alla struttura sociale, al rapporto individuo-società, alle
norme, alla reazione della società ai comportamenti dell‟individuo. La
progressione del mutamento, riscontrabile nella ricerca svolta, consente di
annoverare ciò che congiunge gli accadimenti della storia e le relative
spiegazioni sociologiche fino ad arrivare ad oggi, all‟ articolato e acceso
dibattito che prova ad afferrare il presente, spiegandolo nella sua
complessità. Questa complessità, si manifesta tangibile nell‟analisi delle
manifestazioni di devianza, che si conferma effettivamente in vari modelli
ed in diversificate sottocategorie, impossessandosi di maggiore autonomia,
pervenendo ad asserire l‟esistenza di una molteplicità di devianze. Rispetto
al profilo qualitativo, il fenomeno della devianza minorile si è sempre più
differenziato, proporzionandosi e attivando una reazione ai diversificati
problemi che colpiscono la collettività odierna. Sulla base dei dati
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pubblicati, nel anno 2009, dall‟Osservatorio Nazionale dell‟Infanzia
1
, che
descrive minuziosamente la complessità dell‟evoluzione del problema, ho
cercato di esaminare le teorie e gli studi sociologici sulla devianza ed in
specifico sulla devianza minorile. Partendo, quindi, da questa
considerazione mi sono poi concentrata nel terzo capitolo, sul fenomeno del
bullismo, inteso come manifestazione di comportamenti conflittuali attuati
in forme di prepotenze ed aggressività soprattutto a scuola. La scelta di
approfondire in particolare l‟analisi del fenomeno rispetto ai bambini che
frequentano le scuole primarie ha come obiettivo quello di focalizzare
l‟attenzione e lo studio teorico sulle esigenze della mia formazione. Lo
scopo è di analizzare il fenomeno nella sua peculiare complessità, dando
largo spazio sia alle differenti dimensioni con cui si innesta, che alle azioni
di prevenzione compiuti nelle scuole italiane. Sull‟onda dell‟allarme
lanciato dai mass media e dalle ricerche effettuate nel nostro paese, il tema
della violenza e dei comportamenti aggressivi in ambito scolastico ha
rivestito negli ultimi anni una notevole importanza. Gli studi scientifici
realizzati dalla seconda metà degli anni „90 del secolo scorso si
contraddistinguono per una prevalente impostazione di psicologia dello
sviluppo. Tali ricerche, sia quelle internazionali sia le prime analisi compite
in ambito italiano, alle quali si associano considerazioni relative agli
interventi di prevenzione, collocano l‟attenzione sui seguenti generi di
difficoltà: la definizione di bullismo, la sua natura, l‟entità del suo
manifestarsi, la descrizione del bullo e della vittima.
Servendomi della bibliografia disponibile ho approfondito il fenomeno
accrescendo simultaneamente varie aree di indagine. Relativamente alla
letteratura e agli studi antecedenti la mia riflessione, l‟attenzione si è
gradualmente mossa verso la definizione di bullismo, dal rilevamento di
forme e reiterazione del fenomeno, dall‟individuazione dei costitutivi
psicologici del bullo e della vittima, ad una considerazione fondata sulle
interpretazioni delle parole degli attori coinvolti, sulle costituenti sociali e
ambientali del fenomeno ma soprattutto sull‟assunto che, un clima
scolastico, caratterizzato da solidarietà, partecipazione, rispetto per l‟altro,
possa agire come significativo fattore di prevenzione dell‟antisocialità.
La prospettiva che intendo indagare nel terzo capitolo, riguarda le concrete
proposte d‟intervento che hanno come obiettivo quello di affrontare il
1
Rapporto sulla Condizione dell‟Infanzia e dell‟Adolescenza in Italia, L’eccezionale Quotidiano,
Osservatorio Nazionale dell‟Infanzia, Istituto Poligrafico e Zecca della Stato, Roma, 2009
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problema delle aggressioni scolastiche e quello di facilitare la
comprensione, il confronto tra gli attori coinvolti e la riflessione sul
fenomeno da parte degli studenti e degli insegnanti attraverso la
realizzazione di laboratori e proposte a vari livelli, volte alla prevenzione
del bullismo. Personalmente ho proposto degli incontri ad un gruppo classe
dove ho prestato tirocinio per il mio terzo e quarto di università. La mia
idea, riguarda proprio lo sviluppo, all‟interno dell‟attività didattica e in
accordo con essa, di percorsi con l‟obiettivo di favorire una cultura del
dialogo tra i soggetti coinvolti. Il dialogo è una particolare forma di
comunicazione, le cui principali componenti normative sono osservate
come apertura e rispetto, distribuzione equa della partecipazione attiva,
empatia, conferma ed inclusione delle persone coinvolte.
Infine vorrei sottolineare che i media spesso parlano di bullismo,
attribuendo a tale fenomeno episodi che in realtà non sono attribuibili ad
esso, ma riconducibili a forme più o meno gravi di devianza minorile.
Nella seconda parte del lavoro analizzando i vari contesti familiari e
scolastici, ho voluto sottolineare che oggi l‟umanità è libera di esprimere le
proprie emozioni, sentimenti, idee e perciò è permesso ai ragazzi di
discutere con genitori ed insegnanti. Inoltre ciascuno può negoziare con i
vari attori sociali i fini e le regole delle relazioni interpersonali che vive.
Tutte queste componenti che oggi sembrano ovvie e scontate, rappresentano
una vera e propria rivoluzione rispetto al passato, anche recente, quando la
vita di relazione si svolgeva secondo regole e schemi prestabiliti e rigidi,
cui dovevano conformarsi tutti i membri di una comunità; non era pensabile
percorrere altre strade, cambiare le regole, vivere il ruolo di genitore, figlio
o coniuge in modi diversi del resto nella comunità, se non subendo
riprovazioni sociali o sanzioni anche più gravi. Nonostante questa maggiore
libertà ed anzi, come vedremo, in parte a causa di essa, il disagio
psicosociale e il malessere esistenziale sono sempre più diffusi nella società
contemporanea e tra le cause principali vi è proprio l‟insoddisfacente
qualità delle relazioni interpersonali, sempre meno rassicuranti e sempre più
conflittuali, nella coppia, in famiglia, a scuola ecc.
Le relazioni interpersonali sono in effetti tra i fattori che più incidono, nel
bene o nel male, sul nostro benessere psicofisico e possono farci sentire
entusiasti, felici, realizzati oppure amareggiati, irritati, depressi, finanche a
determinare l‟insorgere di vere e proprie patologie psicosociali,
psicoemotive, psicosomatiche. La qualità delle relazioni influenza il nostro
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grado di soddisfazione o insoddisfazione nella vita privata; si riflette sulla
gratificazione o frustrazione che ricaviamo dall‟ambito lavorativo; incide
sulla nostra autostima e sul senso d‟identità, insomma è a mio parere alla
base di tutte le principali sfere del nostro vivere sociale. Se chiediamo alle
persone che cosa le rende serene o felici, la maggior parte ci risponderà: il
sentirsi riconosciuti, apprezzati, amati, l‟avere una buona relazione con i
familiari, con gli amici, con i figli e colleghi. Se al contrario gli chiediamo
cosa le rende ansiose o infelici ci diranno: gli attriti e le liti, il non sentirsi
compresi, considerati, accettati, l‟avere rapporti conflittuali in famiglia, nel
lavoro. Dunque, sia la felicità che l‟infelicità, sia la gratificazione che
l‟insoddisfazione, visti in prospettiva sociologica, dipendono non solo e non
tanto da aspetti materiali ma anche e talvolta soprattutto da aspetti
relazionali ed emozionali.
Per millenni tali aspetti sono stati regolati in modo rigido, autoritario,
repressivo, senza consentire alcuna forma di deviazione e di creatività. “
Nel corso di pochi decenni si sta passando insomma da una società
patriarcale, rigida, maschilista ed autoritaria ad una società più aperta e
democratica, in cui la comunicazione viene ad assumere un ruolo centrale
in quanto facilita il sentimento di uguaglianza, evidenziando punti di
contatto e somiglianze tra le diverse persone, culture e religioni.”
2
Nella
società patriarcale le relazioni sociali non venivano liberamente costituite
dalle parti, ma erano predefinite da norme e gerarchie rigide imposte
dall‟alto ed i sentimenti e le emozioni non potevano essere liberamente
espressi e vissuti, ma andavano controllati, manipolati e spesso repressi. La
comunicazione in gran parte degli ambiti di vita era tutt‟altro che paritetica
e fluida. Nel corso del tempo ha preso avvio in occidente un lento ma
costante processo di risveglio delle libertà e sensibilità individuali che ha
portato ad una sempre maggiore libertà nel vivere le relazioni, nel
comunicare i propri bisogni e punti di vista, nell‟esprimere emozioni e
sentimenti. Per molti versi questi cambiamenti rappresentano una
trasformazione evolutiva positiva, in direzione di una società più
democratica, libera e creativa e di rapporti umani più gratificanti, costruttivi
e consapevoli. Tuttavia la medaglia ha pure il suo rovescio: come un
eccesso di repressione e di controllo ha generato e genera società autoritarie
e bellicose e individui mentalmente rigidi, emotivamente tendenti ad una
2
Cheli E., Relazioni in armonia, Sviluppare l’intelligenza emotiva e le abilità comunicative per
stare meglio con gli altri e con se stessi,teorie, tecniche, esercizi e testimonianze, Milano, Editore
Franco Angeli, 2009 pag. 15
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certa rigidità, così anche una libertà illimitata, priva di consapevolezza e di
strumenti adeguati, può portare alla crisi e alla dissoluzione delle identità
individuali e collettive, alla perdita di valori e delle norme morali, insomma
al caos sociale e probabilmente esistenziale. I segnali in tal senso purtroppo
non mancano: il senso d‟identità e i ruoli sociali sono in profonda crisi
mentre aumentano i conflitti nelle relazioni sociali e familiari.
Diminuiscono la solidarietà e la coesione sociale mentre crescono la
solitudine e l‟individualismo; si riduce l‟autorevolezza degli insegnanti e la
loro capacità di gestire la classe, mentre cresce il fenomeno del bullismo. Il
rapporto tra cittadini ed istituzioni è sempre più improntato alla sfiducia e
l‟ordine sociale ne risente sotto più aspetti. I nostri avi erano indubbiamente
meno liberi di noi nelle relazioni ma anche meno insicuri, meno ansiosi: le
stesse norme e vincoli che ne limitavano la libertà erano anche una
protezione contro l‟incertezza, una guida sicura per orientarsi nella vita
sociale, una solida fonte identità ed una garanzia di solidarietà.
Tuttavia, per quanto più tumultuoso, il modo attuale di vivere le relazioni è
a detta di molti studiosi più giusto e soprattutto potenzialmente più
appagante rispetto al passato, perché ci offre una maggiore possibilità
d‟autonomia, che va saputa gestire, certo, ma che rappresenta una conquista
preziosissima per l‟evoluzione e la realizzazione dell‟essere umano.
Occorrono adeguati strumenti conoscitivi, operativi e di consapevolezza che
mettano le persone in grado di orientarsi nei territori dell‟interazione sociale
e di gestire costruttivamente i molti conflitti e paradossi che li
caratterizzano. Infatti, oggigiorno la complessità sociale è ben più elevata
rispetto ad un tempo, la libertà di scelta molto più estesa, pertanto
occorrono strumenti nuovi e assai più articolati di quelli utilizzati dalle
generazioni precedenti, perché un conto è seguire binari prestabiliti uguali
per tutti, altra cosa è orientarsi tra più strade possibili e scegliere
autonomamente le direziono e le modalità del relazionarsi. Purtroppo né la
famiglia, né la scuola si sono finora prese cura si aggiornare i loro saperi e i
loro “programmi” educativi in chiave comunicativo relazionale e i risultati
negativi di questa disattenzione sono sin troppo evidenti. Nella scuola molto
spesso insegnanti ed allievi continuano a non comprendersi, ad avere
interessi e motivazioni divergenti, a non collaborare. Inoltre esistono troppe
situazioni di disagio psicosociale, dall‟isolamento al bullismo. Anche in
svariate famiglia le cose non vanno molto bene se consideriamo i rapporti
spesso difficili tra genitori e figli e la percentuale sempre più alta di
separazioni e divorzi, non di rado caratterizzati da un‟accesa conflittualità.
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Insomma la nostra società si definisce tecnologicamente avanzata, ma è
poco più che “analfabeta” sul piano comunicativo - relazionale, spesso gli
attori sociali in fenomeni come il bullismo, sono incapaci di comprendersi,
di mettersi nei panni dell‟altro e di affrontare costruttivamente e
pacificamente le molteplici diversità esistenti tra i pari. Perciò ognuno è in
balia di se stesso e deve imparare da autodidatta per tentativi e dolorosi
errori, come nuotare o almeno stare a galla in questo mare agitato di
relazioni sempre più conflittuali, incomprensibili ed imprevedibili. In realtà
conoscenze scientifiche e strumenti operativi per affrontare in modo nuovo
e più costruttivo le relazioni interpersonali già esistono, ma non si sono
adeguatamente diffusi nella società, per formare persone consapevoli dei
propri e altrui aspetti emozionali. Illustri autori hanno portato alla ribalta
internazionale questi aspetti, con i loro best sellers. Tra i quali Daniel
Goleman e Antonio Damasio, Claude Steiner, Peter Sharp, Bernardo
Cattarinussi e Bruno Rossi.
3
La dimensione emozionale svolge
indubbiamente un ruolo centrale nei processi interpersonali, che non
possono però ridursi ad essa; occorre quindi mettere a fuoco anche altri
aspetti che vi concorrono, dai valori alle motivazioni che ispirano la
relazionalità, alle regole e alle modalità di comunicazione che la
concretizzano. Questi aspetti che rimandano al campo socio antropologico e
psicosociale, risultano ancora troppo poco esplorati, salvo alcuni contributi
di scenario come quelli di Alberto Melucci (1994) e Anthony Giddens
(1995; 2000) o contributi settoriali come quelli della sociologia della
famiglia o della sociologia del lavoro e delle organizzazioni.
La mia convinzione è che con una visione olistica del fenomeno sia
possibile comprenderne le complesse dinamiche e conseguentemente
intervenire sulle ripercussioni che investono la sfera privata ed altre sfere
del vivere sociale, da quella che riguarda i contesti scolastici, in particolare
i rapporti insegnanti- studenti e le relazioni fra pari, inoltre approfondiremo
le relazioni all‟interno del nucleo familiare in particolare i rapporti tra
genitori e figli. A questo proposito ritengo che una valida educazione non si
ottiene con prescrizioni morali, con obblighi ed indottrinamenti ma neppure
con un‟esasperata permissività che lascia i ragazzi in balia di se stessi. È
passato il tempo in cui i genitori potevano plasmare e controllare i figli a
loro piacimento, ma non è ancora venuto, né mai verrà, il tempo in cui i
figli possano fare a meno della guida e del sostegno dei genitori. Si tratta di
3
Cfr. D. Goleman (1995), A. Damasio, (1995), C. Steiner (1997), P. Sharp (2001), B. Cattarinussi
(2000), B. Rossi (2004 e 2006)
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rendere questa guida non autoritaria, ma autorevole, non eccessivamente
severa ma amorevole. Ma secondo me, non si può e non si deve
trasformare un genitore in un amico o un coetaneo, come molti hanno
provato a fare, perché in tal modo si abdica ad un ruolo che per primo il
figlio richiede. Bambini ed adolescenti hanno bisogno di regole chiare e
valori di riferimento per orientarsi nel mondo, e tuttavia desiderano regole e
valori proposti e non imposti, spiegati e non dogmatici, elastici e non rigidi,
relativi e non assoluti. Parallelamente a questo rapporto di guida e non in
sostituzione ad esso, occorre poi un dialogo ed un confronto franco ed
aperto, che permetta ad entrambi, educatori (insegnanti e genitori) e giovani
di esprimere e negoziare le proprie esigenze, emozioni ed idee senza
sentirsi giudicati. Il punto, oggi, è di rispettare e conciliare in modo
costruttivo e democratico le esigenze e le capacità di entrambi: per le figure
adulte di riferimento si pone l‟esigenza di imparare a rispettare le crescenti
esigenze di autonomia dei bambini fin dall‟infanzia, senza aspettare la
ribellione adolescenziale, dandogli man mano che crescono, sempre più
fiducia ed educandoli ad effettuare scelte libere, (libertà di scegliere la
propria strada e anche libertà di sbagliare, entro certi limiti). I giovani, siano
essi bambini ed adolescenti, dal canto loro sono chiamati ad imparare a
rispettare il senso di responsabilità dei genitori, le loro ansie e
preoccupazioni ed anche apprezzarne la maggior esperienza.
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Capitolo 1 - Il concetto di devianza
1.1 Le origini sociali del concetto di devianza
Al fine di compiere un‟analisi articolata del fenomeno del bullismo, si può
iniziare con una percorrenza nel tempo alla scoperta delle genesi sociali del
concetto di devianza. Si indicheranno i tratti generali di una ricostruzione
temporale ed evolutiva del concetto di devianza, osservata attraverso i vari
modelli disciplinari e delle diverse prospettive di ricerca sociale, per
giungere ad un tentativo di definizione dello stesso concetto in un modo
complesso e problematico all‟interno dell‟attuale dibattito nelle scienze
sociali. Per far ciò si specificherà il collegamento sociologico tra le
difficoltà personali e la struttura sociale, situando l‟individuo in un contesto
di gruppo ed il gruppo in un ambito comunitario. Quest‟analisi ha inizio
proprio nel momento in cui nella storia del pensiero occidentale, grazie alle
teorie illuministe, il crimine viene rimosso alla volontà divina ed attribuito,
anziché ad influenze esterne, alla volontà dell‟uomo. Il fulcro di tale teoria,
affermatasi attorno alla seconda metà del 1700, è il convincimento che
l‟uomo che delinque sia un soggetto razionale, libero ed in grado di
scegliere in autonomia decisionale tra il comportamento deviante e quello
conforme ai regolamenti. Secondo Cesare Beccaria, fautore della Scuola
Classica italiana, il diritto dello Stato di sottoporre a sanzioni il cittadino
deve fare parte di un contratto sociale, redatto tra i vari membri di una
società che rinunciano consapevolmente ad una parte della loro libertà per
assicurarsi una convivenza civile ed il più verosimilmente armoniosa. Lo
Stato, in caso di violazione di una regola, può solo applicare la pena
prevista senza interporsi nella soggettività del soggetto che ha commesso il
crimine. In questo ambito ideologico le regole devono essere comprensibili
e identiche per tutti e le condanne devono essere utili alle esigenze della
società, umanitarie e conformi alla legge. La sanzione imposta ai soggetti
che si sono macchiati di un crimine è da stabilirsi in base a dei criteri
retributivi relativamente al danneggiamento sociale prodotto alla maggior
parte dei cittadini e non a quello cagionato ai governanti. Viene dichiarato il
libero arbitrio del delinquente e l‟azione illegale diventa una libera e
cosciente scelta del soggetto criminale a cui è riconosciuta una razionalità
specifica. Il delinquente, in quest‟ottica non è diverso da colui che è
rispettoso delle regole e deve essere giudicato in base a ciò che commette,
quindi in base ai comportamenti che attua e non in base a ciò che è o si
presuma che sia. Inoltre si affermava, l‟importanza dell‟osservazione della
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società e di conseguenza della sociologia come disciplina scientifica che
studia il campo dei relazioni intersoggettive. Il termine sociologia fu ideato
da Comte nel 1938 per designare “la scienza di osservazione dei fenomeni
sociali”
4
. Il transito da una disciplina sintetica (o sistematica) che indaga la
totalità dei fenomeni sociali nel suo complesso, ad una sociologia analitica
avente per oggetto gruppi o aspetti distintivi dei fenomeni sociali è
contrassegnato dal saggio di Durkheim il quale scrive “Ciò che esiste, ciò
che solo è dato all‟osservazione sono le società particolari che nascono, si
sviluppano, muoiono indipendentemente l‟una dall‟altra”.
5
Pur riconoscendo alla teoria illuminista il grande merito d‟aver spostato il
fulcro d‟interesse sull‟individuo è con Emile Durkheim, sociologo francese,
che, per la prima volta, si abbandona ogni riferimento a fattori statistici o
biologici per dedicarsi esclusivamente a fattori sociali. La prospettiva
concettuale di Durkheim non considera la società come un sommato di
contratti stipulati fra gli individui ma dà importanza all‟esistenza di
un‟impalcatura di tradizioni e pratiche, ovvero i fatti sociali. Inoltre questi
ultimi, pur rappresentando l‟operato dell‟azione umana, anticipano
l‟esistenza di ogni individuo, del quale plasmano la soggettività e di
conseguenza la natura stessa. “I fatti sociali intesi come realtà che non
appartengono alla coscienza individuale, che la oltrepassano, che non
possono essere influenzati tanto dall‟individuo, quanto da quella stessa
realtà che è la società come dimensione del sé”
6
. Per capire quali forze
leghino gli individui alla società, occorre, considerare le forme
dell‟organizzazione sociale in cui gli individui sono sorti e le istituzioni
dove essi operano. Il traguardo basilare dello studioso relativamente al
problema della devianza è quello della riconferma dell‟autorità morale della
società. Durkheim sostiene che il soggetto di studio della sociologia siano i
fatti sociali. L‟obiettivo fondamentale del sociologo è, dunque, quello di
mettere in evidenza le relazioni causali all‟interno della società. I fatti
sociali sono formati dalle modalità d‟azione, di pensiero e di sentire, esterni
all‟individuo e provvisti di un potere di imposizione per cui gli si
impongono. Questi fatti vanno presi in considerazione come cose.
Durkheim è il primo sociologo a asserire che il crimine è una
manifestazione ordinaria e addirittura socialmente necessaria, ciò è
4
A. Izzo, Storia del pensiero sociologico, Il Mulino, Bologna, 1991.
5
E. Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Edizioni di Comunità, Milano, 1963, p. 20.
6
G. De Leo, La devianza minorile. Il dibattito teorico, le ricerche, i nuovi modelli di trattamento.
Carocci, Roma, 1999, p. 118.