5
In particolare nel primo capitolo verranno esposte le cause e le conseguenze
dell’applicazione di tale modello in sostituzione al tradizionale piano di
marketing.
Nel secondo capitolo analizzeremo le fasi in cui tale processo è articolato,
soffermandoci sulla marca e le sue caratteristiche peculiari.
Nel terzo capitolo andremo ad analizzare due elementi alla base del brand
management ovvero la creazione di valore, obiettivo del processo e la misurazione
del customer satisfaction che da esso consegue.
Lo studio delle leve operative del marketing-mix interesserà il quarto capitolo. In
particolare ci si soffermerà sulla distribuzione, mettendone in evidenza il ruolo
sempre più significativo, e sulla comunicazione da sempre leva fondamentale per
rendere noto il valore dei prodotti/servizi aziendali.
Oggi è cambiato anche il significato d’acquisto: mentre prima l’esigenza era
soddisfare un bisogno, oggi, esso diviene una vera e propria esperienza che deve
rimanere impressa nella mente del consumatore. Se si indaga sulle strategie di
marketing di qualsiasi azienda, si può facilmente notare come la comunicazione
sia diventata un elemento di grandissimo rilievo e importanza per tutto il
management aziendale. La necessità di comunicazione, sia interna che esterna
all’azienda, è dovuta a tutta una serie di fattori sociali ed economici che anni fa
non esistevano.
Allo scopo di rendere più esplicito l’argomento principale della tesi nell’ultimo
capitolo viene proposto un caso aziendale.
Il marchio Breil nasce nel 1942 come produttore di orologi, ma nel corso del
tempo molte sono state le sue diversificazioni che lo hanno portato, oggi, a
possedere quattro linee di prodotto senza dubbio originali per le loro
caratteristiche strutturali e compositive. Molti sono stati i passaggi ed i
cambiamenti che hanno lasciato il segno proprio per la loro originalità, basti
pensare ai vari claim che si sono susseguiti e alle campagne di comunicazione
sempre molto impattanti. Un caso esemplare che a ragione di chi scrive, e non
solo, ha rappresentato e continua a rappresentare un importante esempio di
gestione innovativa della marca.
6
CAPITOLO I
Il Brand Management System
1.1 Le marche: i punti di forza più recenti
“Capire le marche e il brand marketing è essenziale per capire la moderna società
industriale. Oggi più che mai il successo di un’azienda dipende da un’attenta
risposta alle specifiche esigenze di specifici mercati e settori di mercato”.
1
Così
Michael Angus, presidente della Uniliver, commenta la situazione economica
internazionale, un mondo sempre più competitivo nel quale l’imperativo è
emergere affrontando giorno per giorno le difficoltà che una tale impresa richiede.
Il problema per le imprese odierne è “fare marca” nel vero senso della parola,
avere la possibilità di farsi conoscere e conservare nel tempo il proprio vantaggio
competitivo.
Da sempre le marche hanno avuto un ruolo di fondamentale importanza
nell’ambito del percorso di sviluppo delle imprese. Riconosciute in primo luogo
come uno strumento di differenziazione, esse hanno conquistato con il tempo una
posizione di rilievo nelle strategie e nelle politiche di marketing. Tra tutte le
politiche di mercato delle imprese, infatti, quelle che hanno lo scopo di
differenziare i prodotti e/o i servizi offerti costituiscono un’area caratteristica e
qualificante del marketing.
2
Insieme a questa funzione, la marca è al contempo uno strumento a disposizione
del cliente per esprimere le proprie specificità individuali ed i propri orientamenti;
essa risponde all’esigenza da parte del consumatore di prodotti che svolgano una
1
M. ANGUS (presidente della Uniliver), in D. ARNOLD, Manuale del brand management,
Franco Angeli, Milano, 1992, pag. 15.
2
Cfr. G. COZZI - G. FERRERO, Principi ed aspetti evolutivi del marketing aziendale, G.
Giappichelli editore, Torino, 2004, pag. 349.
7
chiara funzione, l’adempiano in modo costante ed offrano qualcosa di peculiare,
in aperta concorrenza con gli altri.
3
1.2 Il concetto di branding
Nel 1988, che The Economist ha battezzato l’ <<anno della marca>>, il branding
si è conquistato i titoli di prima pagina, e da allora ha continuato ad averli. <<Ciò
che ha reso il 1988 l’anno della marca è stata l’improvvisa scoperta del valore
capitale della marca e del brand-skill. Sino ad oggi pochi erano i manager al di
fuori delle grandi società di beni di consumo cui l’argomento “marche” stesse
particolarmente a cuore[...]. Oggi non è più così>>.
4
Dalla fine della seconda guerra mondiale le grandi imprese produttrici di beni di
consumo cominciarono ad adottare il Brand Management System.
Società quali ad esempio la Philip Morris e la Nestlé capirono da subito che il
branding è la chiave per imporsi nelle decisioni d’acquisto del cliente. Nel 1988,
infatti, la Morris assunse il controllo della Kraft e la Nestlé dell’industria dolciaria
inglese Rowntree. La novità stava nel sovrapprezzo riconosciuto in entrambi i casi
per i nomi di marca di proprietà della Kraft e della Rowntree.
La causa era che queste marche erano ritenute capaci di assicurare, nel lungo
periodo livelli di profitto più elevati della norma.
5
Fino a poco tempo fa si riteneva che il successo di una marca fosse sancito
essenzialmente dalle attività di comunicazione volte a promuovere la notorietà e
simpatia del brand, e ad enfatizzare gli elementi distintivi rispetto ai concorrenti.
Questa visione verso la metà degli anni ‘90 è stata progressivamente soppiantata
dalla consapevolezza che notorietà e differenziazione, pur rimanendo condizioni
necessarie, non erano più sufficienti
6
.
“L’equilibrio del potere pende dalla parte dei consumatori, sempre più
discriminanti; gli utili si possono ottenere solo se i consumatori decidono di
3
Cfr. G. AIELLO - R. DONVITO in Convegno “ Le tendenze del marketing”, Ecole Supérieure
de Commerce de Paris ESCP-EAP, Parigi, 21-22 Gennaio 2005.
4
“The Economist”, 24 Dicembre 1988, p. 101.
5
Cfr. K. L. KELLER, B. BUSACCA , M. C. OSTILLIO, La gestione del brand. Strategie e
sviluppo, Egea, 2005, pag. 8.
6
Cfr. C.A. PRATESI, G. MATTIA, Branding: strategia, organizzazione, comunicazione e
ricerche per la marca, McGraw Hill, Milano, 2006, pag. 38.
8
acquistare e riacquistare la nostra offerta tra le molte alternative”
7
commenta
ancora Angus.
Gli osservatori concordano nell’affermare che la marca negli ultimi anni ha
nuovamente assunto un ruolo fondamentale nel conquistare la preferenza e la
fedeltà del pubblico, come evocatrice di un mondo ricco di valori positivi
8
.
Affinché la marca possa affermarsi nel tempo è necessario che essa si carichi di
una capacità espressiva definita, percepibile e soprattutto stabile nel tempo. Ecco
perché il branding rimarrà ancora a lungo all’ordine del giorno delle riunioni dei
consigli di amministrazione.
1.3 Introduzione al brand management
“Il brand management si configura come un processo complesso, volto ad
assemblare e mantenere nel tempo un mix di attributi e di valori intangibili che
siano rilevanti per il cliente e distinguano effettivamente sul mercato l’identità di
una marca ed il suo mondo di riferimento rispetto alle marche concorrenti”
9
. La
caratteristica dei valori è che si presentano come concetti astratti, generali e di
numero limitato (es. la libertà, la semplicità, la virilità). Dal momento che la
marca non crea propri valori ma si appropria di quelli socialmente esistenti
facendoli propri, la posta strategica del brand management risiede nel capire
quali sono in un preciso arco di tempo i valori socialmente dominanti per poi
appropriarsene
10
.
Il brand management è essenzialmente una questione di equilibrio tra il mercato
esterno e le capacità interne della società, tra l’esigenza a breve termine di
massimizzare il profitto e quella a lungo termine di investire e sviluppare. Lo
scopo è, dunque, aumentare il valore percepito da un consumatore rispetto ad un
prodotto, aumentando di riflesso il Brand Equity (valore del marchio o patrimonio
7
ANGUS M. (presidente della Uniliver), in D. ARNOLD, op. cit. pag. 15.
8
“I valori rappresentano una condizione giudicata desiderabile dall’individuo, un obiettivo da
raggiungere, o una qualità auspicata e ritenuta degna di investimento, un fine condiviso da molti”.
A. SEMPRINI , La marca: dal prodotto al mercato, dal mercato alla società, Lupetti, Milano,
pag.84.
9
C. ZARA, La marca e la creazione del valore di impresa, SDA Bocconi, 1997, pag. 37.
10
Cfr. M. FALCHERO, “La marca lascia il segno”, Largo Consumo, 1/2001.
9
di marca)
11
. È un compito difficile, per via del manifesto squilibrio tra il
complesso processo attraverso il quale le società fabbricano i prodotti e
l’apparente semplicità con cui i consumatori scelgono la marca.
Una marca, infatti, se da una parte attinge da tutte le funzioni del management per
avere supporto, dall’altra è un’entità unica, ed è una percezione del consumatore,
non della società
12
.
Nella maggior parte delle società di brand marketing un solo manager (di solito
chiamato brand manager o product brand) ha la responsabilità generale di una
data marca. Il suo ruolo è vegliare sulla marca ed evitare che le preoccupazioni
immediate della società gli siano di ostacolo in questo compito.
Il manager deve avere ben chiari i significati e i contenuti della marca in modo
che le strategie di brand risultino coerenti, credibili e dunque efficaci nel lungo
periodo
13
1.3.1 Il Brand Management System nel XX secolo
“Il brand management nasce alla Procter & Gamble, una grande impresa
americana diversificata in molti mercati del largo consumo: negli anni Trenta
l’azienda decise di istituire specifiche posizioni manageriali responsabili di marca,
i brand manager appunto. Nacque così il Brand Management System.
14
Per comprendere l’evoluzione del BMS
15
è utile partire da alcune trasformazioni
verificatesi all’interno di due grandi imprese americane, la Procter & Gamble e la
General Motors.
A pochi anni di distanza l’una dall’altra esse ristrutturarono la funzione marketing
configurandola come BMS. Le principali ragioni che indussero entrambe le
imprese a questa importante riorganizzazione erano in gran parte le stesse: la
11
Secondo Aaker il valore della marca (brand equity) è dato da una serie di “attività” e “passività”
associate al nome o marchio, che aggiungono o sottraggono valore al prodotto o al servizio
venduto dall’azienda ai consumatori. Le attività e passività sono raggruppabili in cinque categorie:
fedeltà alla marca, qualità percepita, altri valori associati, altre risorse esclusive della marca
(brevetti, marchi registrati, canali distributivi esclusivi, ecc.).Cfr. D.A. AAKER, Brand equity: la
gestione del valore della marca, Franco Angeli, Milano, 1997, pag. 38.
12
Cfr. D. ARNOLD, op. cit. pagg. 57-59.
13
Cfr. C.A. PRATESI, G. MATTIA, Branding: strategia, organizzazione, comunicazione e
ricerche per la marca, McGraw Hill, Milano, 2006, pag. 42.
14
MAURI C., Product & Brand management, Egea, Milano, 2004, pag. 6.
15
Nel prosieguo useremo tale abbreviazione per intendere Brand Management System.
10
necessità di differenziare i posizionamenti e le politiche di mercato delle
numerose marche presenti nel portafoglio prodotti.
Si chiedeva a ciascun BM
16
di essere un little general manager, portando nella
grande corporation un po’ di quello spirito imprenditoriale che era stata la forza
generatrice delle grandi marche di successo.
17
Il BMS rappresenta il risvolto organizzativo della Corporate Revolution che aveva
caratterizzato l’industria americana dal 1896 al 1930. In tale periodo l’industria
americana si era ristrutturata in senso oligopolistico. Le grandi imprese avevano
eretto elevate barriere all’entrata, tra le quali una delle più efficaci si era rilevata
l’affermazione di grandi marche, sviluppate all’interno ma anche acquistate sul
mercato.
A tale affermazione avevano contribuito diversi fattori:
18
ξ Il miglioramento nei trasporti e nelle comunicazioni che aveva agevolato
l’ampliamento geografico del mercato servito;
ξ I miglioramenti nei processi produttivi, che avevano consentito di
realizzare grandi produzioni economiche e, soprattutto, produzioni di
qualità costante;
ξ Il sempre più massiccio ricorso alla pubblicità su scala nazionale e,
contemporaneamente, l’aumento della rispettabilità e della considerazione
per la pubblicità da parte di molti attori sociali;
ξ L’industrializzazione e l’urbanizzazione, che avevano creato le condizioni
per aumentare il reddito disponibile dei consumatori.
L’ulteriore rafforzamento dell’oligopolio generò in breve tempo nelle imprese la
consapevolezza della necessità di una ristrutturazione anche negli aspetti
organizzativi e finanziari.
La consistente delega di responsabilità gestionali comportò un ampliamento della
dimensione manageriale delle grandi imprese e, più in generale, la nascita di una
classe manageriale che si andava affiancando a quella imprenditoriale provocando
16
Abbreviazione di Brand Manager che verrà usata nella continuazione.
17
Cfr. R. FIOCCA, A. MARINO, M. TESTORI, Brand management. Valori e relazioni nella
gestione della marca, Etas, 2007, pagg. 15-18.
18
Cfr. G.S.LOW,R. A. FULLERTON, Brands, Brand Management and the Brand Manager
System: A critical-historical Evolution, Journal of Marketing Research, 31, n.3, May, pagg.173-
180.
11
importanti cambiamenti anche nel mercato finanziario e nelle modalità di
corporate governance.
La grande impresa moderna che nacque da questa rivoluzione era gestita da un
management professionale, che assumeva come obbiettivo competitivo prioritario
la conquista di una pregnante posizione di mercato.
19
In questa ottica, il BMS apparve la soluzione organizzativa ideale per interpretare
le esigenze della funzione commerciale, che fino ad allora era costituita quasi
esclusivamente intorno a due responsabilità: la vendita e la pubblicità, la prima
svolta all’interno, la seconda coordinata dall’interno ma in gran parte delegata ad
agenzie pubblicitarie esterne.
Nel decennio 1920-1930 il marketing, inteso come disciplina di studio e pratica
manageriale, era progredito lungo due direttrici.
Da un lato era stata avviata l’integrazione dei sapere provenienti da diverse
discipline che avevano costituito le fondamenta del marketing: dallo studio del
consumatore di matrice microeconomica, agli effetti della pubblicità studiati dalla
psicologia.
Dall’altro lato le imprese avevano cominciato a identificare classi di fenomeni da
analizzare e da tenere sotto continuo controllo; tra queste le più importanti erano i
clienti, i prodotti, i canali di vendita. Il BM poteva dunque applicare questo
patrimonio di conoscenze ad una marca per affermarla e rafforzarne il valore nel
tempo.
20
1.3.2 Le fasi evolutive del Brand Management System
Possiamo riassumere l’evoluzione del BMS in quattro periodi.
Fino agli anni Trenta e Quaranta l’impostazione organizzativa del marketing
prevalente nelle grandi imprese americane era l’approccio funzionale. Le varie
attività di marketing erano assegnate a specialisti di pubblicità, di vendita, di
ricerca di mercato. Tale soluzione è adeguata quando le singole attività richiedono
un notevole impegno e competenze specifiche, ma soprattutto quando l’azienda
ha in portafoglio un numero limitatissimo di prodotti.
19
Cfr. A.S. EICHNER A, The Emergence of Oligopoly, Greenwood Press, Westpoint, 1978,
pag.34.
20
Cfr. C. MAURI, op.cit., pagg. 8-9.
12
Fino a quegli anni la maggior parte delle imprese era sostanzialmente
monoprodotto e le due funzioni prevalenti erano il sales management e
l’advertising management, quest’ultimo in gran parte delegato ad agenzie
pubblicitarie esterne, le quali assumevano un importante ruolo di consulenti nello
sviluppo delle marche industriali.
21
Con l’affermazione delle imprese multimarca l’approccio funzionale si dimostrò
inadeguato: lo sviluppo di una marca richiede si competenze specialistiche , ma
soprattutto una strategia unitaria; ciò che infatti mancava era il coordinamento e la
collaborazione tra manager responsabili delle varie funzioni per le diverse marche
presenti in portafoglio.
La diffusione del BMS non fu immediata, e soltanto dalla fine della Seconda
guerra mondiale le grandi imprese produttrici di beni di consumo cominciarono ad
adottarlo: inizia così l’<<era del brand management >>. Nonostante la lenta
partenza e la notevole sfiducia le previsioni furono smentite dai fatti. I
consumatori, consapevoli del reale valore aggiunto della marca rispetto a prodotti
anonimi, erano rapidamente tornati alle grandi marche: nel 1945 il 78% dei
consumatori americani sceglieva sulla base del riconoscimento della marca.
22
Il boom del dopoguerra segnò una seconda età d’oro per le marche industriali,
favorita dall’aumento del reddito dei consumatori e dalla crescita della classe
media urbana. Le marche ricevettero un grande slancio dalla continua
introduzione di nuovi prodotti e dal massiccio ricorso alla pubblicità televisiva.
Il BMS si diffuse rapidamente: nel 1967 era adottato dall’84% delle grandi
imprese americane produttrici di beni di consumo confezionati e dal 34% delle
imprese produttrici di beni durevoli; la percentuale di adozione giungerà al 100%
alla fine degli anni ’80.
Le agenzie pubblicitarie persero gradualmente il loro ruolo di consulenti della
strategia di marca, ora sviluppata all’interno delle imprese, e concentrarono la loro
attività sui servizi relativi alla creatività e alla pianificazione dei mezzi.
Nei quindici anni dal 1965 al 1980 l’attività del BM, concentrata sull’analisi della
domanda e del consumatore, si ampliò alla dimensione competitiva del mercato.
21
Cfr. G. BARTELS, Development of Marketing Thought: A Brief History, in G. Schwartz (a cura
di), Science in Marketing, Wiley, New York,.1965, pagg. 35-48.
22
Cfr. F.E. WEBSTER, “The Canging Role of Marketing in the Corporation”, Journal of
Marketing , 56, October,1992 pagg.1-17.