1
Introduzione
I primi sforzi, da parte dei musei, di dotarsi di un’immagine coordinata, sono da
collocare tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta del Novecento.
Questo è imputabile al fatto che il museo non è più solo adibito alla conservazione ed
alla tutela dei beni culturali, ma è diventato un luogo d’uso, di fruizione ed un centro
d’erogazione di servizi.
Sulla base di questo presupposto, è nata l’idea del seguente studio, che indaga un
argomento, come quello del brand equity per il museo, non ancora affrontato a livello
teorico nella letteratura museale. Il lavoro ha da subito, preso una piega innovativa ed
interdisciplinare grazie a due guide, il Prof. Luciano Caramel e il Prof. Luigi Di
Corato, i quali mi hanno permesso, attraverso il loro costante aiuto, la loro esperienza e
competenza di realizzare questo studio.
Gli obbiettivi prefissati, sono sostanzialmente tre:
- analizzare e definire le applicazioni del concetto di logo e marca nell’ambito
museale;
- capire che tipo di contributo può recare l’immagine coordinata all’istituzione
museale;
- definire se e in che modo il brand equity è uno strumento strategico utile a
perseguire la mission museale.
In virtù di queste premesse, lo studio parte dalla definizione della marca e del logo in
termini più generali, volutamente non relativizzati al contesto museale. All’interno del
primo capitolo, in seguito alla presentazione di come il concetto di marca nella sua
accezione più generale muta in base alla diverse dottrine (socio-comunicativa ed
economica), è stato definito cosa sia il brand equity e come lo si possa generare. Simile
è stato l’approccio con la seconda parte, dedicata alla definizione di ciò che è il logo,
dove, dopo aver fatto luce all’interno delle sue diverse nomenclature, sono state
precisate le sue differenti forme e funzioni e la relazione che intercorre fra esso e la
marca. I primi due capitoli si prefiggono come obbiettivo di fornire gli strumenti
2
teorici atti alla redazione del terzo capitolo, perno della tesi. A fronte di questo studio,
il lavoro è proceduto nell’analisi specifica delle strategie di marca di alcuni istituti
museali italiani ed internazionali. Sono stati contattati, con fine di rendere il più
scientifica possibile la presente ricerca, duecentouno musei e ottenute centoquattro
risposte positive dalle quali sono stati estrapolati ventidue casi studio. Sono stati così
scelti i musei che presentano un logo ed una marca particolarmente efficace e
aggiornata, dotati, quindi, di una potenzialità comunicativa efficace e consapevole.
Tali materiali, analizzati e ponderati, sono stati raccolti in un’apposita sezione
articolata in schede che rispettano, per quanto possibile, cinque suddivisioni: breve
profilo del museo; descrizione ed analisi del logo; descrizione, analisi, applicazione
della marca; obbiettivi e risultati (qualora forniti dal museo); bibliografia relativa
(laddove presente).
Sulla base dei “casi studio” e in virtù dei primi due capitoli, è stato così possibile
redigere il terzo capitolo, fase più delicata e propositiva del lavoro. Al suo interno sono
stati affrontati gli obbiettivi prefissati, motivando il ruolo della marca e del logo per il
museo, definendo nuove possibilità e potenzialità grazie alle definizione di un brand
equity al suo interno e in che termini il marketing mix sia funzionale per fornire valore
alla marca anche per istituti culturali che non sono avvezzi, almeno nel nostro paese, a
strumenti di comunicazione d’impresa oramai consolidati e imprescindibili.
Il museo si trova a dover rispondere ad una palese necessità di cambiamento
d’atteggiamento nei confronti della comunicazione e della promozione delle proprie
attività. In altre parole, le organizzazioni culturali hanno necessità di aggiornarsi e stare
al passo con la società contemporanea, che richiede costantemente informazioni, che
spesso si basa sull’apparenza e si confronta oramai con una dimensione virtuale. La
comunicazione deve essere, di conseguenza, accattivante, riconoscibile e attiva su scala
globale.
Da questa premessa nasce l’adozione da parte dei musei di strategie di branding i cui
logoi sono applicati a tutti i materiali stampati, alle campagne pubblicitarie e nella
segnaletica interna alle strutture. L’immagine coordinata, mira in tal modo, a
promuovere l’istituto museale con il fine di allargare il più possibile il suo bacino
d’utenza. Il concetto di visibilità, se pianificato attraverso un percorso legato ai valori
istituzionali mediante la costruzione di un brand equity, porta il museo ad aumentare il
3
proprio valore percepito, la condivisione della sua identità simbolica così come della
qualità formale delle sue azioni.
L’orientamento “economico” attraverso l’adozione di uno strumento come il brand
equity, è solo in parte finalizzato ad una dimensione di “business”: esso, attraverso gli
atteggiamenti condivisibili ed utili, mira, in primo luogo, a comunicare il museo come
luogo di cultura, conservazione e d’uso.
Il logo e la marca quindi, sono risultati, in conclusione di tale lavoro, strumenti
strategici e “indispensabili” per rafforzare l’identità del museo - valore fondamentale di
ogni istituto perchØ è la base sulla quale si costruiscono tutte le sue attività - in quanto
essi si presentano come strumenti di sintesi per una più ponderata gestione sia interna
che esterna dei fattori centrali della sua attività. Pertanto, si ritiene che in futuro il
valore della marca, la sua creazione e la sua applicazione è destinata ad essere la
conditio sine qua non per ogni istituto mussale, poichØ essa è quell’elemento che riesce
a mettere a stretto contatto gli obbiettivi e le attività con i diversi pubblici - sia abituali
che potenziali – del museo nonostante non siano stati svolti, per il momento, studi
scientifici e statistici per misurare gli effetti del branding museale e come questo venga
percepito dal pubblico. Neppure nel mondo anglosassone, sempre precursore dei tempi
in termini di ricerca e di creazione di dati non solo quantitativi, si sono creati
documenti piuttosto che materiali sull’argomento. Pertanto si ritiene che quest’ultima
fase possa essere un’ottima possibilità di ricerca per il futuro.
4
al
CONSUMATORE
LA MARCA esterna
- vantaggi
- benefici
- qualità
- orientamento di
mercato
- garanzie
- identificazione del
prodotto
- identificazione del
produttore
Capitolo 1
Marca o brand
1.1 Cos’è la marca
Non esiste una sola ed unica definizione del concetto di marca. Esso assume sfumature
diverse secondo il punto di vista in cui viene analizzato
1
. Esiste, tuttavia, un minimo
comune denominatore in questo mare magnum d’enunciati: vale a dire, l’identificare la
marca o brand
2
come l’insieme degli elementi intangibili di un determinato prodotto
e/o azienda che vengono trasmessi al consumatore
3
.
fig. 1
Attraverso questo processo (fig. 1), la marca agevola il consumatore nella scelta del
prodotto da acquistare, sveltendo l’atto dell’acquisto. Il brand, quindi, diviene uno
strumento importante e potente per qualsiasi azienda tanto che nessun prodotto ne è
1
La letteratura concernente al concetto marca è stata prodotta da più discipline, trattandola di volta in
volta in modo diverso a seconda delle finalità ed esigenze della materia. Per questo lavoro sono stati
consultati testi provenienti da ambiti quali il marketing, le scienze della comunicazione, la psicologia e
la sociologia.
2
Il termine inglese “brand” è la traduzione letterale di “marca”. Nei testi italiani queste due terminologie
sono usate indistintamente, come se fossero sinonimi.
3
Kotler P. – Armostrong G. – Sauders J. – Wong V. 1996, pp. 436 – 438.
5
sprovvisto
4
. La sua creazione, di conseguenza, è un momento delicato ed effettuato
mediante un’estrema dedizione; essa avviene attraverso un processo creativo che pone
le sue radici nell’analisi del prodotto, dei benefici attesi e del target di riferimento su
cui poi si innesteranno le strategie di marketing.
La marca formalmente, è realizzata attraverso una componete grafica. ¨ proprio grazie
ad essa che questa si crea una propria notorietà, facendosi riconoscere dal maggior
numero di persone. Il brand nasce, da un punto di vista principalmente grafico, in un
primo momento solo come marchio e spesso successivamente si tramuta in logo
5
.
Monachesi
6
individua quattro tipologie di marchi: il marchio designatore
7
, il marchio
apprezzatore
8
, il marchio identificatore
9
e il marchio prescrittore
10
.
Questa distinzione implica anche una differenziazione di funzioni al suo interno:
identificando queste, vengono palesate, in sostanza, le caratteristiche “intangibile”
proprie di quel marchio e di riflesso poi trasmesse alla relativa marca.
La marca, infatti, viene così definita da Jean Noºl Kapferer: “La marca ha una
responsabilità. ¨ un impegno severamente controllato. La marca è la memoria del
prodotto, il magazzino delle impressioni reiterate del consumatore, dopo il suo uso”
11
.
La marca ha dunque una funzione che va oltre al puro segno grafico, è una sorta
di significante che si pone al centro del rapporto “consumatore – prodotto”,
identificandone così il valore del consumo e fornendo un possibile significato sul
perchØ si scelga un determinato prodotto.
4
Se un’azienda possiede una marca “vincente”, ha a disposizione uno strumento in più per aumentare le
vendite del proprio prodotto.
5
Si veda anche, Capitolo 2 – Il logo.
6
A tal proposito, si veda Monachesi R. 1993.
7
Per marchio designatore s’intende quel logo che possiede al suo interno tratti distintivi di carattere
qualitativo.
8
Per marchio apprezzatore, in quanto il logo reca particolari definizioni che aggiungono senso e valore
al segno stesso.
9
Per marchio identificatore, il logo atto a dirigere la risposta dell’interprete in una certa regione spazio-
temporale.
10
Per marchio prescrittore, definito tale il logo che induce attraverso un suggerimento un dato
comportamento al consumatore.
11
Kapferer J.N. – Laurent G. 1991, pag. 36.
6
1.1.1 Cenni storici e funzioni della marca oggi
12
La marca intesa come simbolo non è un concetto recente, anzi pone le proprie radici
nell’antichità. ¨ impossibile, infatti, affermare con certezza, quando è nato il brand.
Probabilmente un esordio è riconducibile all’antico “atto di marchiatura” già presente
nelle civiltà arcaiche. Fabris
13
, appunto, arriva anche ad affermare che “probabilmente
la marca esiste da che esiste l’uomo, l’uomo organizzato in comunità che, marchiando
a fuoco il bestiame per segnarne la proprietà, realizzava il significativo passaggio dalla
natura alla cultura, istituendo un nuovo ordine e un nuovo senso delle cose: significato
e appartenenza”
14
.
Etimologicamente il termine “brand”
15
deriva dal verbo della lingua inglese arcaica “to
burn” che letteralmente significa “bruciare nel fuoco”; inteso non come verbo, ma
come sostantivo è, quindi, qualcosa che “è stato forgiato nel fuoco”, come ad esempio
una spada o lo “stigma”
16
. Per tutta la storia, tale termine, venne usato per indicare,
quindi, un monito, un segno di riconoscimento. Ad esempio, nel Medioevo, così come
poi nel Rinascimento, i contrassegni erano utilizzati per certificare l’origine di svariati
manufatti: dagli utensili, ai gioielli, alle armi.
Il significato che oggi s’impartisce a questa parola, nasce tuttavia durante il Novecento
proprio negli anni in cui si ebbe un passaggio da un’economia su piccola scala, rivolta
ad un pubblico ristretto, alla produzione di massa con elevati volumi ed elevati
consumatori. L’atteggiamo si modificò proprio nel non considerare più solo il singolo
cliente, bensì una molteplicità di persone raggruppate fra loro mediante
l’individuazione di caratteristiche e desideri a loro comuni. In tal modo si incominciò,
infatti, a parlare di target di riferimento. La marca moderna, infatti, cresce e si
12
Questo paragrafo ha la finalità di contestualizzare il divenire e le inevitabili trasformazioni a cui è
soggetta la marca. A tal fine è quindi utile una breve inquadratura dell’humus in cui fonda le proprie
radici la marca moderna. Non s’intende quindi fornire una vera e propria “storia” intesa dal punto di
vista cronologico e storiografico.
13
Fabris G. – Minestroni L. 2004, p. 103.
14
Esemplificativo può essere ricordare che in epoca preistorica, in Mesopotamia, i mattoni dei palazzi
erano dotati di un segno identificativo di una determinata bottega; medesima situazione si verificò per le
tombe faraoniche nell’antico Egitto.
15
Twitchell J.B. 2004, p. 17. L’etimologia della parola è in lingua inglese, in quanto il termine “marca”
nasce come traduzione del termine anglosassone “brand”.
16
“Stigma” è il marchio che i Romani impartivano ai criminali, agli schiavi e ai cristiani duranti le prime
persecuzioni, come segno di riconoscimento.
7
trasforma parallelamente alla civiltà industriale, al consumo di massa e alla diffusione
dei mass media e della pubblicità
17
.
Si pensi, in effetti, a molte delle marche contemporanee, che ancora oggi possiedono
un forte brand equity
18
, queste sono nate fra metà dello XIX secolo e l’inizio dello XX
secolo
19
.
La rapida crescita e diffusione della marca, tuttavia variò lentamente in seguito alla
crisi americana e internazionale del 1929. Il venerdì nero della borsa di New York,
portò alla consapevolezza della precarietà del mercato e a come esso sia soggetto alle
paure e alle attese dei consumatori. In seguito a questo fatto storico, la pressione
concorrenziale aumentò in maniera del tutto nuova, tanto da rendere insufficiente la
capacità d’assorbimento del mercato. La soluzione immediata fu individuata nel tentare
di allargare i vecchi mercati e parallelamente di ricercandone dei nuovi.
L’orientamento industriale alla produzione lasciò così posto ad una nuova era
economica, detta “sales era” ovvero l’era dell’orientamento alle vendite.
Il fulcro del nuovo sistema passò così, dall’interesse a produrre in quantità elevate,
all’interesse a vendere ciò che si era prodotto. Le imprese cercarono in conseguenza di
spingere i loro prodotti mediante due tecniche differenti: o attraverso lo sfruttamento
delle leve del “communication mix”
20
, oppure attraverso l’adozione di forme primitive
di “standardizzazione relativa”
21
.
Esiste, tuttavia, un altro grande momento in cui la marca si modifica per situazioni a lei
circostanziali: durante, infatti, gli anni ’70, a seguito dello shock petrolifero e dei
disordini sociali del ’68, si passa dall’orientamento alla vendita, “all’orientamento al
marketing”
22
. Il consumatore è spinto in questo modo, a cercare qualcosa di diverso nei
prodotti che compra: non si ferma più unicamente alla qualità del bene o ad un modello
17
Tale tesi è stata sposata unanimemente dagli studiosi, come ad esempio Ellwood I. e Fabris G.
18
Si veda il paragrafo seguente, 1.2.
19
Fabris G. – Minestroni L. 2004, p. 104. Esemplificativo, per comprendere come certe imprese, marchi
e prodotti abbiano avuto un successo che mai si è estinto si pensi a: American Express (1850),
Ballantine’s (1827), Barilla (1877), Bayer (1899), Budweiser (1876), Burberry’s (1856), Campbell’s
(1869), Cartier (1847), Church’s (1876), Coca-Cola (1886), Fiat (1899), Ford (1896), Guerlain (1828),
Harrods (1849), Heineken (1864), Levi’s (1850), Nokia (1865), Pepsi-Cola (1893), Philips (1890),
Pirelli (1890), Swarovski (1895).
20
Ovvero attraverso la pubblicità, la vendita personale o le promozioni.
21
¨ la tecnica che si adotta per prodotti con la medesima funzione d’uso ma orientati a target differenti
di consumatori. Ciò è reso possibile, attraverso delle modifiche, non sostanziali, applicate al “prodotto-
base”.
22
Kotler N. – Kotler P., 1998.
8
culturale accettato passivamente rappresentato dal prodotto e/o servizio. Il cliente
diviene parte attiva nella scelta del suo bene, assegnando un significato personale ed
individuale al processo d’acquisto.
Il nuovo approccio lascia più spazio alle esigenze della domanda, divenuta più attenta
ad ogni tipo di sfaccettatura proposta dall’offerta e quindi meno standardizzabile.
Il ruolo del consumatore moderno nell’economia attuale è, quindi, come il risultato di
quel processo evolutivo che, partendo da una produzione di massa del tutto omogenea
nei contenuti e indifferenziata rispetto alla domanda, ha reso possibile l’introduzione di
un modo di produrre diametralmente inverso al precedente in cui l’attenzione
dell’impresa è concentrata non più sull’insieme indistinto degli individui che
costituiscono il suo target di riferimento, quanto invece sul singolo consumatore, sulle
sue particolari esigenze e sulle proprie personali attese.
Negli ultimi venti anni, secondo Semprini è tuttavia da ricondurre il vero ed esteso
sviluppo della marca. Il fenomeno da essa generato, è qualcosa in grado di coinvolgere
tutti i settori del consumo e del commercio o in altre parole che “La marca è diventata
una presenza obbligata in tutti i contesti associati alla produzione, distribuzione e
consumo di beni e servizi”
23
.
Il brand ha, quindi, conquistato un valore di rilievo, tale da diventare protagonista
degli scenari mondiali come l’oggetto di dibattiti e di schieramenti “politici”
24
.
Detestata, demonizzata, boicottata oppure amata, moltiplicata, venerata. Il motivo è
riconducibile alla sua onnipresenza nella nostra società, in modo più o meno
silenzioso; è parte di uno starsystem particolarissimo fatto di consumi e di costumi
degli individui.
23
Semprini A. 2004, p. 21.
24
Si pensi al fatto di come la marca sia diventata l’oggetto non simbolo del fenomeno socio-economico
della globalizzazione in antitesi alla corrente no-global o conosciuta anche come “No Logo”. Tale
appellativo deriva dal titolo del libro della scrittrice N. Klein, in cui espone come a suo avviso, il logo e
quindi il brand siano da considerare come un “male” della nostra epoca.
9
1.1.2 La marca negli studi socio-comunicativi
La marca risulta un veicolo comunicativo di un prodotto e/o servizio facilmente
riconoscibile. Attraverso questa sua peculiarità di “arrivare” al consumatore mediante
dei messaggi, crea con esso un rapporto talvolta fidelizzato
25
.
Gli studi socio – comunicativi sull’argomento, infatti, tendono ad evidenziare e porre
l’accento unicamente sulle funzioni in cui la marca appare come un emittente di
informazioni
26
.
Vanni Codeluppi
27
raffinando (fig. 3) ad hoc il sistema - base della comunicazione (fig.
2) afferma che la cultura aziendale ha sempre avuto difficoltà nel comprendere i
meccanismi e il funzionamento della marca. L’autore
28
, giunge a tale considerazione in
quanto vede come medium di questo sistema comunicativo “azienda – consumatore”, il
prodotto e di conseguenza la marca ad esso connessa
29
.
25
Williams 2000, p. 7; Un esempio significativo è quello della catena di ristoranti “McDonal’s”:
attraverso il suo logo facilmente individuabile lungo le strade, si attua una politica tale per cui si induce
il cliente a pensare proprio al fast food come prima e unica scelta.
26
Per una trattazione più approfondita sull’argomento, si veda Bettetini G. 1984.
27
Codeluppi V. 1995, pp. 11-19; Codeluppi V. 1997, pp. 154 – 161.
28
Il modello ideato da Vanni Codeluppi è riportato di seguito.
29
Il modello prevede un emittente empirico (ovvero un soggetto reale) che emette una comunicazione ad
un destinatario empirico (ovvero un destinatario reale). Tuttavia la comunicazione in quanto testo
presenta un’immagine ideale che l’emittente vuole dare di sØ (enunciatore), contrapposta ad una visione
idealizzata che il ricevente empirico ha di se (l’enunciatario). Il punto d’incontro di questi due
“fantasmi” idealizzati è la produzione, che viene all’interno della comunicazione, di un mondo possibile
che entra in rapporto dialettico con il mondo reale sia dell’emittente empirico che del destinatario
empirico. Naturalmente il sistema è interattivo, nel senso che “emittente empirico” e “destinatario
empirico” non necessariamente sono il primo l’impresa e il secondo il consumatore: talvolta i ruoli si
invertono, perchØ la circolazione della comunicazione all’interno del sistema del consumo è continua e
sicuramente bidirezionale o addirittura multidirezionale. Un ruolo decisivo nel modello è ricoperto dal
prodotto che è il medium, in funzione del quale tutta la comunicazione ha inizio, e che assicura il terreno
sia di esperienza sia di significati, affinchØ possa svolgersi.