2
Ci si potrebbe chiedere il motivo per il quale ho deciso di incentrare la mia tesi di
laurea su questo argomento: in sintesi potrei dire che ho cercato di unire l’utile al
dilettevole.
Mi sembra giovevole aprire qui una breve parentesi per sviscerare il problema. Essendo
una studentessa senza redditi propri, le mie risorse finanziarie sono sempre state
limitate per il tempo libero: non essendo però una ragazza sprovveduta, ho iniziato fin
dal liceo a perseguire le maniere più disparate per reperire biglietti gratuiti per
partecipare ad anteprime cinematografiche, rappresentazioni teatrali, concerti e
spettacoli in senso lato. Molte persone non sono a conoscenza delle infinite possibilità
che le aziende offrono ai propri clienti per partecipare ad eventi in maniera totalmente
gratuita. E’ un mondo conosciuto a una ristretta cerchia di persone: o, quanto meno,
sono pochi individui a conoscerlo davvero bene.
Al principio ero una fedelissima delle iniziative messe in atto dal quotidiano nazionale
Corriere della Sera: questo si è sempre adoperato per organizzare eventi per i propri
lettori. Col passare degli anni ho imparato ad affinare le mie tecniche e ho compreso le
infinite sfaccettature che questo fenomeno stava assumendo su larga scala. Il Corriere
della Sera era solo una goccia di un oceano. Infatti le potenzialità erano, e sono,
pressoché illimitate. Anche perché questa tipologia di manifestazioni è in continua
espansione qui in Italia.
Devo la conoscenza di questa realtà a Nina, o meglio al suo sito Internet:
www.neparliamo.it . Scoperto quasi per caso grazie alla mia passione per i concorsi,
sono giunta tre anni fa a navigare su questa piattaforma virtuale dedicata quasi
interamente al cinema. Questo sito segnalava tutte le occasioni, offerte dagli sponsor
più diversi ed insoliti, per intervenire ad anteprime cinematografiche gratuite: essendo
molto interessata a questa possibilità, ho iniziato ad utilizzare sistematicamente il sito,
scoprendone poi il forum, che si è rivelato un incredibile fonte di informazioni, sempre
fresche ed aggiornate.
Ammetto che la mia adesione al forum inizialmente aveva scopi puramente utilitari.
Non ero guidata da nessuno spirito comunitario, scrivevo poco e non davo contributi
sostanziali. In breve, lo sfruttavo per il mio tornaconto personale. Tutto è cambiato
quando ho cominciato a conoscere gli altri utenti del forum alle proiezioni dei film di
cui eravamo riusciti ad entrare in possesso degli inviti. Mi sono affezionata e, quando il
3
forum di www.neparliamo.it è stato chiuso per motivi che tuttora in parte ignoro, mi
sono accorta di quanto grave era la perdita.
Per fortuna non tutto è andato perduto e, dopo una serie di vicissitudini, una parte degli
utenti di quel forum è riuscita a trovarsi su un altro spazio virtuale, messo a
disposizione da un’altra persona, che per me, fino a quel momento, era stata solo un
freddo nickname: Kiki. Quest’ultima è una ragazza romana che non lesino a definire la
nostra salvatrice. Per merito suo, il 6 febbraio 2007 il nostro forum festeggerà il suo
primo anniversario.
Sono estremamente onorata e gratificata per il fatto di fregiarmi della qualifica di
moderatore all’interno di questo strumento asincrono di comunicazione telematica
attraverso il World Wide Web. Il mio atteggiamento è totalmente mutato negli ultimi
36 mesi e il mio attaccamento nei confronti di questa comunità virtuale si rafforza ogni
giorno di più. E non solamente perché partecipo gratuitamente, con una frequenza
sempre maggiore, a spettacoli di vario genere.
Questa mia passione mi ha permesso di avere nozioni di prima mano su questa
innovazione degli strumenti del marketing che è il brand entertainment. Non solo sono
venuta al corrente di questo fenomeno relativamente presto (rispetto alla sua vera e
propria concettualizzazione), ma ho avuto modo di averne un’esperienza diretta, oltre
che di capirne le dimensioni e seguirne lo sviluppo.
Naturalmente non sono riuscita da sola ad intuire l’importanza di ciò che stavo vivendo
in prima persona: è stato solo grazie ai miei studi universitari e ai miei professori che
ho compreso esattamente il valore e l’influenza di questa rivoluzione delle strategie
aziendali. Sapevo cosa stava succedendo, ma non sapevo dargli un nome. L’espressione
“brand entertainment” ha dato una svolta al mio campo cognitivo (non ho
espressamente esagerato, ma ero alquanto tentata a dire “alla mia vita”). Mi ha aperto
una nuova finestra sul mondo. E’ per questa ragione che ho voluto indagare a fondo
questo settore, cercando di costruirne un apparato teorico esplicativo, correlato da casi
concreti chiarificatori.
Lo studio sarà quindi ripartito su più fasi: ad un iniziale approfondimento sul rapporto
tra il mondo dell’impresa e quello della cultura, seguirà un capitolo più specifico che
avrà il compito di delineare con precisione le peculiarità del fenomeno, soffermandosi
4
sui campi di applicazione e sui metodi di realizzazione. Fondamentali si stanno infatti
rivelando quelle società che riescono ad unire gli obiettivi del marketing aziendale con
lo sviluppo di attività culturali di vario tipo. Ci si concentrerà quindi su un caso
specifico, quello della società Comunicare In Teatro, fondata e gestita da Valentina
Cimino, con sede a Milano.
Con questo scritto spero di contribuire a far maggior chiarezza su un campo, che ha
ancora molti lati oscuri, ma che si rivelerà senz’ombra di dubbio una strategia vincente
nel XXI secolo.
5
CAPITOLO 1
LA CULTURA NEL BUSINESS O IL BUSINESS
NELLA CULTURA?
Introdotto verso la fine dell’Ottocento, il termine “cultura” sarà la parola chiave del
nuovo secolo. Il vocabolo appartiene di diritto alla storia occidentale e abbraccia un
ampissimo ventaglio di significati. Per quanto sia complicato darne una definizione
univoca, è innegabile la sua relazione con il mondo dell’impresa. A maggior ragione
quindi, il loro è un rapporto difficile da descrivere, anche se alla base risiede un
concetto indiscutibile: la cultura è un valore aggiunto per l’impresa.
Per addentrarci nel problema, è possibile fin da subito cercare di distinguere una cultura
“interna” e una “esterna” all’impresa. La prima è la concretizzazione di quella che
l’antropologo inglese Edward Taylor definì nel 1871 “quel complesso insieme, quella
totalità che comprende la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il
costume, e qualsiasi altra capacità e abitudine, acquisita dall’uomo in quanto membro
di una società”
3
: si possono qui includere tutte le attività specifiche aziendali, dalla
produzione alla formazione del personale, dalla ricerca all’istituzione di archivi storici.
La seconda si esplica, invece, in quella serie di forme ed attività culturali (come l’arte,
il cinema, il teatro, la musica, la danza e la letteratura) su cui l’azienda può usare la
propria influenza, ponendo in essere una serie di interventi che spaziano dalla mera
sponsorizzazione alla più elaborata realizzazione di eventi.
In che senso la cultura può essere considerata un valore aggiunto allora? Economisti
americani ed europei hanno sottolineato come questa sia il miglior strumento per
conferire esclusività e riconoscibilità al prodotto. Negli ultimi anni si è sempre più
investito in ambito culturale, proprio in conseguenza di apposite indagini di mercato
che hanno evidenziato come un’azienda che promuova iniziative culturali, nelle più
3
E.B. TAYLOR, Cultura primitiva, 1871.
6
diverse modalità, si garantisca un considerevole ritorno di immagine. Questo tipo di
attività viene ormai adoperato come un vero e proprio strumento di marketing, molto
più influente delle ormai banali campagne pubblicitarie.
I mezzi di comunicazione aziendale tradizionali (personal selling, pubblicità,
promozioni, direct marketing, sponsorship, esibizioni, packaging, punti vendita e
merchandising, passaparola e identità aziendale) devono essere rivisti e reinterpretati
alla luce del nuovo modo dei consumatori di relazionarsi con i brand. La cultura può
essere interpretata come la chiave di volta in questo processo. Infatti, le iniziative
intraprese in questa sfera sono un’opportunità unica per le imprese di ottenere il
massimo rendimento dalla propria competenza manageriale, tecnologica e
organizzativa, trasmettendo ai vari stakeholders il proprio impegno civile, etico e
morale, che si trasforma in nient’altro se non un feedback fortemente positivo per il
marchio. Non è solo l’opinione pubblica ad essere influenzata da tali politiche, ma
anche i dipendenti dell’azienda stessa dimostrano maggior soddisfazione e senso di
appartenenza al gruppo di lavoro.
Una ricerca particolarmente significativa in proposito è quella condotta dall’agenzia
Unicab Italia per conto dell’Associazione Civita, in occasione del convegno “L’impresa
tra cultura e comunicazione” svoltosi a Roma il 13 novembre 2002. L’obiettivo primo
di questo studio è stato di comprendere la relazione esistente tra il mondo dell’impresa
e quello della cultura: per questo motivo sono state intervistate 202 aziende operanti nel
settore dei servizi e dell’industria. Si è cercato di calcolare il valore attribuito alla
cultura tradizionalmente intesa e il valore materiale assegnato al mondo della cultura
(in termini di impegno e benefici).
Da questo sondaggio è emerso innanzitutto che l’86,6% degli intervistati considera la
cultura come un valore per il mondo dell’impresa, contro un 13,4% che non condivide
quest’affermazione. Nonostante questa decisa presa di posizione, solo il 58,7%
ammette di aver sostenuto iniziative culturali. Alla domanda in cui veniva
esplicitamente chiesto il motivo per cui non erano state svolte attività in questa
direzione, le risposte sono state eterogenee, come dimostra il grafico della pagina
seguente.
7
24,1
6,6
4,1
6,9
7,2
14,4
33,7
0 5 10 15 20 25 30 35 40
NESSUN MOTIVO IN PARTICOLARE
ALTRO
MANCANZA DI INTERESSE PER IL TEMA
MANCANZA DI RISORSE UMANE E DI TEMPO
NON CREDIAMO IN QUESTO TIPO DI INVESTIMENTO
RISORSE ECONOMICHE NON ADEGUATE
NON RIENTRA NELLA NOSTRA POLITICA AZIENDALE
Grafico 1.1 Perché la sua azienda non ha mai sostenuto iniziative culturali?
Fonte: Associazione Civita e Unicab
Il 58,7% di aziende che ha avviato progetti in campo culturale può essere suddiviso a
sua volta, a seconda della tipologia delle iniziative: infatti, all’interno di questo
segmento il 76,3% si è dedicato ad eventi, il 6,8% ad interventi strutturali, mentre il
restante 16,9% ha dato spazio ad entrambi.
L’entità dell’investimento sostenuto da queste imprese è evidenziato dal seguente
grafico:
Grafico 1.2 Che genere di iniziative culturali sono state sostenute dalla sua azienda?
Fonte: Associazione Civita e Unicab
%
93,8
6,3
100,0
13,6
75,0
25,0
7
72,1
20,9
11,4
70,5
18,2
0
20
40
60
80
100
< 1 m ilione
di €
1 - 5
milioni di €
5 - 10
milioni di €
10 - 30
milioni di €
> 30 milioni
di €
INTERVENTI STRUTTURALI
EVENTI
ENTRAMBI
8
Tra coloro che hanno dichiarato di aver appoggiato interventi strutturali, l’82,1% si è
impegnato nel restauro di monumenti, il 42,9% nella ristrutturazione o nel recupero di
spazi e/o strutture, il 14,3% nella creazione o costruzione di nuovi spazi e/o strutture e
il 14,3% in altro ancora.
Anche gli eventi culturali sostenuti riguardano ambiti diversi, come quest’altro grafico
mette bene in risalto:
Grafico 1.3 Che genere di eventi culturali sono stati sostenuti dalla sua azienda?
Fonte: Associazione Civita e Unicab
Le motivazioni addotte dalle imprese per giustificare l’attività culturale sostenuta sono
le seguenti:
42,7
1,8
19,1
21,8
27,8
32,7
1,8
10,4
0,9
0 102030405060
ALTRO
EVENTI INTERCULTURALI
DANZA-BALLETTI
SFILATE DI MODA
MANIFESTAZIONI TEATRALI
MOSTRE OGGETTI - DESIGN
CONVEGNI - PREMI LETTERARI
ESPOSIZIONI-ARTI FIGURATIVE
CONCERTI
9
10,1
4,2
10,1
14,4
33,0
46,6
0 102030405060
ALTRO
UTILITA' SOCIALE
AFFINITA' CON
L'ATTIVITA' AZIENDALE
ATTINENZA COL
PROPRIO TERRITORIO
SPESSORE CULTURALE
DELL'INTERVENTO
RITORNO DI IMMAGINE
3,3
6,6
12,1
19,8
86,8
0 2040608010
ALTRO
ARRICCHIMENTO
CULTURALE
ECONOMICI
AUMENTO CONTATTI
PRESTIGIO/
IMMAGINE
Grafico 1.4 Secondo quali criteri la sua azienda seleziona e definisce il tipo di iniziativa a cui aderire o da gestire?
Fonte: Associazione Civita e Unicab
Rilevante è stato anche capire il tipo di feedback ottenuto dalle imprese in seguito alle
iniziative culturali intraprese: tre quarti del campione analizzato (il 77,1% per
l’esattezza) ha riconosciuto di aver riscontrato benefici, il 13,6% dichiara di non avere
avuto alcun tornaconto, mentre il 9,3% rimane neutrale, asserendo di non essere in
grado di esprimere un giudizio.
Il gruppo che ha individuato degli evidenti vantaggi ripartisce questi utili in questo
modo:
Grafico 1.5 Che tipo di benefici ha portato alla sua azienda l’aver ideato, organizzato o sostenuto iniziative
culturali?
Fonte: Associazione Civita e Unicab
%
%
10
6,3
6,3
12,5
18,7
18,7
37,5
0 1020304050
INIZIATIVE NON FINALIZZATE AD UN RITORNO
MEDIA INEFFICACI
PROBLEMI ORGANIZZATIVI
SCELTA INIZIATIVA NON BEN MIRATA
RISORSE NON SUFFICIENTI
NON SA INDIVIDUARE UNA CAUSA
Coloro, invece, che hanno indicato di non aver avuto frutti adducono le seguenti
motivazioni:
Grafico 1.6 Per quale motivo l’aver ideato, organizzato o sostenuto iniziative culturali non ha portato benefici alla
sua azienda
Fonte: Associazione Civita e Unicab
Alla luce di questi fatti, l’87,3% del campione dichiara di vedere la cultura come
un’opportunità comunicazionale: questo sia perché garantisce un ritorno di immagine
(57,5%), sia perché la cultura coinvolge tutti (32,6%) sia per altri motivi non meglio
esplicitati (9,9%). Al contrario il 9,3% delle imprese intervistate non ritiene la cultura
utile per la comunicazione aziendale e il 3,4% dichiara di non avere una precisa
opinione in proposito, spiegando così il loro punto di vista:
%
11
31,6
10,5
5,3 5,3
26,3
21,0
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
NON
RAGGIUNGE
TUTTI I TARGET
RITENIAMO PIU'
EFFICACI ALTRI
MEZZI
RITORNO DI
IMMAGINE NON
ASSICURATO
IL MONDO
DELLA
CULTURA NON
HA ATTINENZA
CON QUELLO
DELL'IMPRESA
ALTRO NON SA
Grafico 1.7 Perché la cultura non rappresenta una realtà comunicazionale?
Fonte: Associazione Civita e Unicab
L’analisi si è poi spostata sull’organizzazione di queste iniziative ed è subito stato
chiaro come esse siano organizzate direttamente dall’azienda solo per il 29,7%. La
prassi (confermata dal 70,3% di intervistati) è di rivolgersi a realtà esterne. In effetti un
altro dettaglio su cui si è soffermata la ricerca è stata la verifica della presenza di un
responsabile culturale all’interno dell’organizzazione aziendale: il dato sembra qui
significativo ma deludente, in quanto solo l’11,9% prevede questa figura.
Un’altra ricerca che può risultare utile a questo livello è quella commissionata
dall’Agenzia della Comunicazione e condotta, su oltre 300 top manager di imprese
italiane medio-grandi che investono in comunicazione, dall’Istituto Astra. Questo
studio è stato divulgato il 9 novembre 2006 in occasione della manifestazione Visual
Communication, organizzata da Fiera Milano International. Questa volta l’analisi si è
focalizzata sulla figura dell’event manager, posizione non coincidente con quella del
responsabile culturale, ma spesso sovrapponibile. Anche qui è emerso come questa
figura sia tuttora poco diffusa all’interno delle aziende italiane: infatti, il 71% degli
intervistati afferma che non esiste alcun event manager nella propria organizzazione. E’
altresì rilevante un secondo dato: il 40% del campione puntualizza che ambirebbe ad
assumerne uno entro il 2008.
%
12
Cosa possiamo quindi estrapolare dai dati appena riportati?
Innanzitutto si può affermare che la situazione sopra descritta denota un atteggiamento
ambivalente, per non dire schizofrenico, delle aziende italiane. Infatti il rapporto con il
mondo della cultura viene ritenuto rilevante, ma nello stesso tempo si può constatare
come poche realtà cerchino di instaurarvi una relazione. Queste rare imprese, però,
sono state capaci di trarne grande profitto. Tuttavia, a livello generale, non viene
prevista nessuna formazione per i manager in questa direzione. Questi sono dati
totalmente contrastanti e lascerebbero ipotizzare un completo disinteressamento delle
aziende ad aumentare i propri utili. Ma poiché l’impresa è, per sua stessa definizione,
un organismo che coordina prestazioni di lavoro e strumenti adeguati per il
conseguimento di finalità economiche, questa congettura non è in nessun modo
credibile.
Nella sua opera L’impresa in ascolto
4
il sociologo francese Michel Crozier sostiene la
necessità di “dirigere attraverso la cultura”. Anche Kaplan & Norton
5
giungono alle
medesime conclusioni, nel loro studio sulla società post-industriale, affermando che il
valore delle imprese non è determinato dal loro conto economico, ma ha delle basi
qualitative.
Per le aziende investire in cultura ha molteplici significati: lasciare una testimonianza,
consolidare i legami con il contesto di riferimento, contribuire alla propria eccellenza
intellettuale e competitiva, costruirsi un’immagine oltrepassando il marketing
tradizionale.
Durante il convegno organizzato da Civita nel 2002, alla domanda “esiste un futuro per
l’investimento in cultura da parte delle imprese?”, l’ex Ministro per i Beni e le Attività
Culturali Giuliano Urbani aveva sottolineato come la risposta potesse essere duplice.
Infatti, se l’obiettivo delle aziende fosse un profitto diretto derivante dalla gestione di
un bene artistico, la risposta sarebbe stata negativa; ma se, al contrario, il fine fosse un
ritorno indiretto rispetto all’investimento, la sua risposta sarebbe stata assolutamente
positiva.
4
M. CROZIER, L’impresa in ascolto, Il sole 24 ore, Milano 1990.
5
R. S. KAPLAN, D. P. NORTON, The balanced scorecard: translating strategy into action, Boston: Harvard Business
Press, 1996.
13
Infatti la cultura può concorrere alla creazione di quel plusvalore identitario necessario
all’impresa per distinguersi e ottenere un posizionamento privilegiato nella mente degli
stakeholders. Le iniziative culturali non solo attraggono un sempre più consistente
numero di persone, consentendo al brand di relazionarsi col grande pubblico, ma,
soprattutto, conferiscono prestigio e qualità al marchio. E’ già stato appurato come gli
stakeholders siano indotti a giudicare in maniera molto più positiva le società che
manifestino una particolare attenzione alle problematiche sociali: risale al 1984
l’espressione “responsabilità sociale di impresa”, coniata da R. Edward Freeman nel
suo saggio Strategic Management: a Stakeholder Approach, per indicare l'integrazione
di preoccupazioni di natura etica all'interno della visione strategica di
un’organizzazione.
Nonostante gli scarsi incentivi statali
6
, il rapporto tra impresa e cultura si è
concretizzato in passato e continua a concretizzarsi soprattutto nelle forme canoniche
del mecenatismo e della sponsorizzazione (di mostre d’arte, di restauri, di concerti,
ecc...). Nell’ultimo periodo, però, si sta notando un’evoluzione: si cerca per l’appunto
di abbracciare progetti più complessi, trasformando l’intervento sulla cultura in una
strategia di comunicazione che leghi - senza intermediari - l’identità stessa dell’azienda
(o il prodotto finale) all’evento culturale.
Possiamo quindi distinguere due principali indirizzi, quelli che il semiologo Omar
Calabrese
definisce “partecipativo” ed “inventivo”.
Il primo include tutte le iniziative a cui le imprese aderiscono, provando ad incanalare
sull’azienda un complesso di valori che è già implicato in ciò che si manifesta nel
sociale. Agendo in questo modo, l’azienda ha due vantaggi: poter essere presente sulla
scena culturale cooperando con altre istituzioni ed intessere relazioni non-profit con
differenti soggetti sociali, sempre importanti per l’immagine aziendale. Questo filone
comprende:
• la sponsorizzazione di mostre e spettacoli;
• il finanziamento di musei, fondazioni ed istituti;
• il finanziamento della ricerca su campo;
• il finanziamento di restauri;
6
In Italia e in Europa in generale, il mecenatismo è ancora considerato un fenomeno esclusivamente privato e non
suscettibile di piena deducibilità fiscale, come avviene in altri paesi come gli Stati Uniti d’America.
14
• la pubblicazione di testi rari e specialistici a tema, diversamente non eseguibili.
La seconda tendenza prevede l’attuazione di politiche di investimento culturale del tutto
indipendenti: ciò significa che eventi e progetti culturali vengono prodotti
autonomamente dall’impresa. Questa pratica è molto meno diffusa, ma si prospetta
anche nettamente più interessante, dal punto di vista del tornaconto aziendale, per vari
motivi: in primis l’azienda si configura come un vero e proprio propulsore per la
cultura, presentandosi come interlocutore diretto e acquisendo credito sociale;
secondariamente il successo di un’iniziativa è direttamente riconducibile all’impresa, la
quale, oltretutto, non corre più il rischio di patire gli effetti negativi causati da eventuali
insuccessi altrui.
Non si può, infine, non accennare al Premio Impresa e Cultura messo in palio dal
concorso nazionale concepito da Bondardo Comunicazione esattamente dieci anni fa. I
dati in merito sono significativi: le aziende che si sono candidate per ricevere questo
riconoscimento hanno investito 269 milioni di euro
7
in progetti culturali dal 1997 al
2005.
Un sondaggio realizzato tra le imprese partecipanti ha chiarito una volta per tutte quali
fossero i vantaggi nell’intraprendere iniziative di stampo culturale: la valorizzazione del
marchio, il ritorno d’immagine presso pubblici mirati, il consenso sociale, l’incremento
dell’orgoglio di appartenenza da parte delle risorse interne, l’affiorare di un nuovo
pensiero stimolatore di creatività, la qualificazione della comunicazione all’esterno e
all’interno, per non parlare dei vantaggi economici rispetto alle tradizionali leve di
marketing. La cultura può esercitare un ruolo di primo piano come fonte inesauribile di
tecniche e soluzioni innovative per un’azienda che reputa la creatività una risorsa
importantissima per trionfare nelle lotte di mercato.
In questo contesto è poi emerso come sia indispensabile occuparsi delle pianificazioni a
medio-lungo termine di marketing (e non solo), delle necessità di uno scambio con il
contesto locale, del rispetto per le tradizioni del territorio di appartenenza e del
coinvolgimento dei dipendenti nei progetti culturali attivati. La relazione tra impresa e
7
Questa cifra è arrotondata per difetto, in quanto quasi un centinaio delle imprese concorrenti in tutti questi anni non
hanno fornito indicazioni precise relative all’ammontare del loro investimento.
15
cultura non può più procedere solo con incontri sporadici, ma deve modificarsi,
diventando un rapporto costante e duraturo. Scommettere sui valori identitari, stabilire
le finalità, selezionare il codice espressivo, predisporre le tecniche di comunicazione
più efficaci sono le mosse fondamentali per ricavare frutti da ogni investimento
culturale.
In breve, si può riassumere il tutto dicendo che inizialmente la cultura veniva
interpretata come sostegno all’arte, come impegno nel sociale e come strategia. Le
iniziative venivano scelte in base al tipo di progetto artistico, all’interesse soggettivo
per la causa e alla tipologia di target dell’elemento artistico. Ora la cultura non è più
solo questo: è, invece, un fattore critico di grande interesse per il posizionamento del
brand. Nelle prossime pagine vedremo come l’intrattenimento culturale, in particolare,
si stia rilevando una leva di marketing importantissima per le imprese al giorno d’oggi..