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CAPITOLO 3
I MOVIMENTI FONDAMENTALI
PER LA BIOMECCANICA
3.0 Le basi neurofisiologiche del movimento
Cosa agisce sull’organizzazione del movimento e come viene coadiuvato
l’apprendimento motorio
Una gru.
Chi di noi non ha mai visto l’oggetto
rappresentato a fianco? Questa macchina
compie lavori impossibili da portare a
compimento per un uomo.
Certo, nessuno di noi si sogna di ritenerla superiore all’essere che
l’ha creata o di ritenerla interamente autonoma solo perché compie un
lavoro che a noi risulta impossibile. Non prendiamo nemmeno in
considerazione che possa funzionare senza l’intervento e il controllo
continuo dell’uomo stesso.
Quindi se dovessimo identificare la parte prioritaria del
funzionamento di una gru non avremmo difficoltà a farlo: è il suo
operatore, l’uomo.
Avrebbe senso pensare ad una gru funzionante solo come a un
insieme di leve e parti meccaniche, separate e indipendenti da chi le
comanda? Avrebbe senso concentraci sul lavoro che queste svolgono
dimenticando chi le sta guidando? O peggio, non sarebbe assurdo nella
progettazione della gru dimenticarci del sistema di comando che lo
colleghino al sistema operativo?
È facilmente comprensibile che la gru la pensiamo come sistema
uomo/macchina e che quindi non togliamo l’importanza alle leve o ai
Figura 5 Gru (tratto da
www.directindustry.it)
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sistemi effettori ed alla loro progettazione. Ma tutto questo insieme
meccanico senza un sistema di controllo e di gestione non funzionerebbe
o mal funzionerebbe, anche se ben progettate.
Perché l’esempio della gru?
Perché questo è paragonabile a ciò che è la macchina umana. Ma
prima di entrare nel dettaglio è importante analizzare come questa opera
straordinaria funziona, attraverso una descrizione semplice dei principi
fisiologici.
La macchina motoria umana ha potenzialità veramente incredibili e
il suo equilibrio è fondamentale per il suo buon funzionamento.
Questo equilibrio viene definito come omeostasi e diversi fattori
concorrono al suo mantenimento.
Si pensi, ad esempio, alla temperatura corporea. In base
all’innalzamento o all’abbassamento della medesima, sistemi specifici
intervengono in maniera diversa avendo come obiettivo il mantenimento
dell’equilibrio. Quando essa si innalza o si abbassa eccessivamente dalla
temperatura media fisiologica di 37°C, meccanismi come l’evaporazione
del sudore, un aumentato metabolismo o i brividi di freddo (contrazioni
della muscolatura liscia autonoma che contraendosi producono calore)
intervengono per riportarla in condizioni di normalità.
Un altro concetto fondamentale riguarda l’energia. Tutte le
macchine che conosciamo funzionano attraverso l’uso di energia prodotta
in maniera diversa.
Anche la macchina umana funziona attraverso l’uso di energia e a
differenza delle macchine costruite dall’uomo questa ha bisogno di
essere creata partendo dalle sostanze che si inseriscono nell’organismo.
Questo processo, che rappresenta il metabolismo della macchina
umana, avviene per disgregazione delle sostanze che ingeriamo, il
catabolismo. A differenza delle macchine costruite dall’uomo, la stessa
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fonte di nutrimento serve come raccolta di materia prima per riparare,
mantenere e sostituire parti della macchina stessa ed è rappresentata
dall’anabolismo.
Infatti grazie alle proteine che ingeriamo ricaviamo alcuni
aminoacidi (i costituenti della catena proteica) essenziali per la vita e che
il nostro corpo non è in grado di produrre.
Come una buona macchina, anche noi abbiamo dei serbatoi che
conservano elementi indispensabili utilizzati in caso di richiesta
energetica suppletiva, come avviene durante una attività fisica.
Il nostro corpo ha un continuo bisogno di zuccheri (cervello e
muscoli ne sono i principali utilizzatori) e per questo motivo vengono
conservati sotto forma di glicogeno nel fegato pronti ad essere trasformati
e usati. Inoltre, nel tessuto adiposo immagazziniamo gli acidi grassi sotto
forma di trigliceridi che verranno richiesti quando ci sarà bisogno di molta
energia. Quest’ultimi, più degli zuccheri, attraverso il loro catabolismo
possono produrre molta dell’energia che è usata per far funzionare la
macchina umana, l’ATP. Senza che dimentichiamo anche la produzione
di CP, creatinfostato, che concorre con l’ATP al mantenimento del flusso
energetico al corpo. È importante inoltre tenere conto dei valori di acqua
persa e acqua introdotta.
Tutto ciò che ingeriamo e metabolizziamo viene distribuito ai
tessuti, ai muscoli e al cervello grazie ai fluidi ematici. Durante il gesto
atletico il nostro organismo consuma i nutrienti presenti nei serbatoi per
permettere ai muscoli stessi di funzionare. I crampi possono essere
generati da diverse situazioni. Spesso sono dovuti a un’eccessiva
disidratazione, problemi circolatori, squilibri o carenza di alcuni elementi
(sodio, potassio, magnesio, calcio e vitamina D) e in uno sportivo sono
spesso dovuti alla mancanza di allenamento. Quindi un atleta ben
allenato saprà utilizzare bene le sue potenzialità contrattili e le sue riserve
energetiche affaticando meno il cuore (frequenza, gettata cardiaca) e
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permettendo inoltre una buona ossigenazione dei tessuti con una
frequenza respiratoria ottimale per l’attività che si sta svolgendo (debito
d’ossigeno).
Sin qui è comprensibile perché ci si è concentrati maggiormente
nell’allenare gli aspetti energetici, il cuore e i polmoni, allo sforzo
attraverso l’allenamento funzionale o muscolare che sono gli effettori del
movimento. Ma come in una gru, non bisogna dimenticare gli altri fattori.
Fattori come quello biomeccanico e quello psicologico sebbene
siano conosciuti sono poco approfonditi e poco utilizzati nel mondo
sportivo allo scopo di incrementare performance e prevenire traumi; e
negli ultimi anni la prevenzione degli infortuni è diventata per molti club un
vero problema.
Proviamo a fare un breve esempio per sottolineare questo aspetto.
Un normale stato di ansia o di preoccupazione è normalmente presente
in un atleta prima della gara. Questo aspetto psicologico (e con esso
molti altri), agendo sul sistema ortosimpatico può aumentare la frequenza
cardiaca, introdurre un maggior numero di catecolamine in circolo che
concorrono allo stesso effetto, alterando con la frequenza anche la
gettata sistolica.
L’aumento della velocità del flusso di sangue riduce la permanenza
del sangue venoso (o meglio del globulo rosso) all’interno dell’alveolo
ed essendo ridotto il suo tempo di passaggio (generalmente 0,75 sec
necessari allo scambio dei gas in condizioni normali) la perfusione
d’ossigeno potrebbe risultare alterata. Dato che l’ossigeno è un elemento
ossidativo necessario a produrre energia sotto forma di ATP nel contesto
aerobico, comprendiamo come anche semplici eventi emozionali o della
ragione possano alterare la performance, vanificando il lavoro svolto in
settimana.
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Nei contesti di
anaerobiosi eventi emozionali
possono giocare sulla
motivazione ad eseguire un
gesto alterando comunque la
prestazione finale ottenuta,
nonostante l’allenamento.
Il sistema nervoso centrale (SNC) presiede tutte queste attività e
quindi anche quelle motorie.
Ma come fa il SNC a coordinare, elaborare ed eseguire un gesto
sottoposto a comando o riflesso (autonomo)?
La macchina motoria umana è dotata di molti “sensori”: alcuni
registrano e notificano al cervello dati relativi la pressione o la vibrazione,
altri relativi alla propriocezione (cioè alla posizione del corpo), altri
passano informazioni di pericolo o di dolore, ecc.
Questi sensori inviano informazioni al cervello permettendoci di
analizzare, capire e reagire a ciò che ci circonda.
Ci permettono per esempio di correlare noi stessi al movimento di
oggetti che osserviamo programmando di conseguenza il nostro gesto e
le nostre reazioni.
Ognuno d’essi ha una risposta diversa e si distinguono in:
- Tonici: si adattano lentamente allo stimolo conducendo così
lentamente il segnale al cervello. La risposta di questi recettori
prende il nome di scarica tonica;
- Fasici: si adattano rapidamente e conducono velocemente il
segnale al cervello. Il segnale prodotto dai recettori fasici prende il
nome di scarica fasica.
Figura 6 Aree del
cervello (tratto da
www.inran.it)
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Questi recettori, come in un’ordinata rete autostradale, danno
precedenza ai segnali provenienti dai sensori del dolore (nocicettori) che
forniscono informazioni circa eventuali danni che subiscono i tessuti
dell’organismo e sono in grado di creare stimoli riflessi di esecuzione
rapidissima (0,5 - 30 m/s) come l’allontanamento di un arto da una fonte
calda.
L’organo tendineo del
Golgi è situato nella giunzione
tra i tendini e le fibre muscolari e
fornisce informazioni sulla
tensione muscolare.
Quando recepisce uno stiramento eccessivo si attiva eccitando
degli interneuroni inibitori nel midollo spinale che a loro volta causano
l’inibizione dei motoneuroni alfa che innervano il muscolo, provocando la
diminuzione o la cessazione della contrazione muscolare.
Il fuso neuromuscolare è un recettore meccanico situato
all’interno dei muscoli striati e dà informazioni sullo stato di contrazione
muscolare permettendoci di adattare la postura che ci consente di vivere
vincendo la forza di gravità.
Con questi sensori cooperano altri che sono presenti all’interno
delle articolazioni.
Queste sinergie ci permettono il movimento volontario attraverso
riflessi involontari (il miotatico, ad esempio) che attivano senza il bisogno
di un nostro controllo diretto i fasci muscolari o meglio le unità motorie più
adatte a correggere tali disequilibri.
Figura 7 Organo tendineo del Golgi (tratto da
www.scienzemotorie.com)
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Va detto che mentre i riflessi sono innati, i gesti ad esso correlati
sono allenabili per tutta la durata della nostra vita essendo il nostro SNC
molto plastico. Cosa manca dunque?
Il collegamento tra ciò che percepiamo e ciò che facciamo.
Lo stimolo afferente raggiunge il corno posteriore del midollo
spinale il quale in modo diretto e quindi senza il coinvolgimento del SNC
invia un segnale attraverso un motoneurone alfa, posto nel corno
anteriore, al muscolo (il quadricipite in questo caso) che contraendosi
mantiene la postura eretta (effettore).
Figura 8 Esempio di riflesso monosinaptico (da Univ. San Raffaele
lez di Fisiologia II)
Figura 9 Esempio di riflesso monosinaptico (da Univ. San Raffaele
lez di Fisiologia II)