Introduzione
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da notevoli trasformazioni che hanno investito
vari campi, in particolare l’ambito politico, economico e soprattutto pubblico.
Riferendosi alla realtà locale, il principale sintomo dello spirito riformatore fa
riferimento alla figura del cittadino, come principale interlocutore dell’organizzazione
pubblica. Costui non è più l’individuo che assiste passivamente alle decisioni prese
dall’Amministrazione Pubblica (AP) subendone gli effetti, ma, al contrario, viene chiamato
a partecipare attivamente alla vita dell’ente (democrazia partecipativa). Ciò comporta il
dovere da parte del soggetto pubblico di saper anticipare i bisogni della collettività
mantenendo un atteggiamento di attenzione costante nella soluzione dei problemi e
mostrando una forte disponibilità all’ascolto delle esigenze, nella prospettiva di far superare
la convinzione che le organizzazioni pubbliche siano distanti dal cittadino.
Ne risulta quindi una forte spinta a monitorare tutte le prestazioni ed i servizi erogati
sul territorio e alle comunità locali per attuare un progetto di comunicazione permanente,
cittadino-amministrazione e amministrazione-cittadino.
E’ in questa situazione che il tema della rendicontazione sociale attrae l’attenzione degli
enti locali che sperimentano accanto ai documenti tradizionali strumenti di contabilità
diversi che rendano più trasparenti e comprensibili da parte del destinatario finale i risultati
raggiunti dall’azienda pubblica.
L’obiettivo del presente lavoro è di analizzare la portata del Bilancio Sociale con
riferimento ai Comuni rispetto ad altre autonomie territoriali.
Il nostro percorso deve partire dalle stesse domande che ciascun amministratore
politico, direttore generale, dirigente o funzionario di un ente si pone inizialmente: cos’è un
Bilancio Sociale? In che cosa si differenzia dal tradizionale? A che cosa serve? Chi lo
realizza?
A cominciare dal primo capitolo si è cercato di dare progressivamente risposta a tali
quesiti ponendo le condizioni per verificare che il Bilancio Sociale è il risultato di un
processo che permette all’Ente di crescere e di valorizzare il rapporto con i propri
interlocutori, di creare ricchezza ed enfatizzare il valore pubblico della sua attività.
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Il lavoro di ricerca consta di tre parti principali: due approfondiscono aspetti teorici,
mentre la terza analizza un caso aziendale.
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La prima parte esamina, in un quadro generale di riforma, i cambiamenti che hanno
investito il settore pubblico negli ultimi decenni, e ribadisce la necessità crescente delle
aziende di sperimentare strumenti di contabilità aggiuntivi con i quali esse possono
dimostrare la loro efficienza e affidabilità.
E’ stata anche dedicata una particolare attenzione agli stakeholder ovvero quei soggetti
che hanno interessi in gioco nell’azienda, e incentrata un’analisi sulle relazioni, di reciproca
influenza, tra l’azienda e i suoi destinatari. Solo attraverso il coinvolgimento di tutti i
portatori di interessi dell’azienda è possibile riscontrare un miglioramento nelle relazioni e
nella qualità sociale.
Tre sono i capitoli che compongono la seconda parte dell’elaborato e riguardano le
origini del Bilancio Sociale negli Enti Locali, dove sono presentate le linee guida GBS
(capitolo 2); la costruzione del documento (capitolo 3) e nel capitolo quarto si analizzano le
modalità per cui è stato realizzato, ossia come strumento di garanzia della socialità pubblica,
come strumento di governance, come miglioramento delle capacità strategico-organizzative e
come occasione per un recupero di significato del lavoro pubblico.
Nel capitolo secondo il modello GBS da cui siamo partiti è utile per capire come il
bilancio si deve articolare, ma chiaramente deve essere riadattato per il settore pubblico,
dove si dovranno enunciare identità dell’ente, valori di riferimento e situazione economico-
finanziaria (grazie alla connessione con gli altri documenti contabili che devono essere
redatti).
Ma il punto fondamentale è la definizione del valore aggiunto, un termine e un
concetto che non fanno parte della tradizione amministrativa pubblica. In riferimento si è
cercato di dare un significato a questa espressione, ponendola in collegamento con le
attività che vengono poste in essere per soddisfare i bisogni dei cittadini.
Nel terzo capitolo si può comprendere come il punto nodale che porta alla
realizzazione del documento è da ricercare nella logica d’elaborazione dello stesso,
rappresentato da quella “catena di senso”, come asserisce qualche autore, che avvia il
processo di rendicontazione. Anche se viene più volte affermato che l’ente ha
discrezionalità nella scelta delle modalità di rendicontazione: nei settori da scegliere e negli
stakeholder da considerare.
L’ultima parte dell’elaborato dedica una necessaria osservazione al contesto empirico
rappresentato dal nostro Paese, che ha indotto, tuttavia, a prendere atto della ancora
primitiva diffusione dello strumento.
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Ma nonostante questo, il capitolo quinto, riporta l’analisi di un’esperienza “sul campo”
significativa in tema di Bilancio Sociale, prendendo in esame un ente locale di medie
dimensioni qual è il Comune di Jesolo.
Viene spiegato, infatti, in che modo esso ha saputo mettersi in gioco, intraprendere una
strada “innovativa” di autovalutazione del proprio operato, a partire dalla redazione interna
come punto di forza dell’amministrazione.
Riguardo al caso esaminato s’illustra il processo che ha portato alla redazione del
Bilancio Sociale, si approfondiscono le caratteristiche e i tratti distintivi del documento e i
risultati raggiunti dall’ente.
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CAPITOLO 1:
LA RENDICONTAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
1.1 I processi di riforma del settore pubblico
I principali paesi ad economia avanzata sono stati interessati negli ultimi decenni da
profondi processi di riforma del settore statale, e più in generale dalla ricerca di nuovi
equilibri tra iniziativa pubblica e privata per il miglioramento del benessere dei cittadini.
E’ possibile individuare, pur nella diversità degli approcci e con disallineamenti
temporali da un territorio all’altro, una prima fase di trasformazione, riconducibile al
cosiddetto New Public Management. Non esiste in letteratura una definizione sul
significato e contenuto dell’espressione NMP sopra citata, che di volta in volta, è impiegata
sia per designare genericamente processi di “modernizzazione delle AP” che per indicare
specifici approcci di riforma che traggono ispirazione da teorie e filoni di studio diversi
(Marcon, 1999).
I paesi anglosassoni (Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti) sono stati i
primi ad intraprendere la via del cambiamento, mentre l’Italia ha avviato il cosiddetto
processo di “aziendalizzazione” delle AP (Anselmi 1995:2ss; Marcon 1999; Borgonovi
1996) all’inizio degli anni ‘90. Tale evoluzione si è concretizzata in una serie di mutamenti
(tabella 1.1) che hanno coinvolto tutti i livelli di governo della variegata tipologia di enti
pubblici, ispirandosi ad una valorizzazione del loro aspetto “aziendale”, ad una
riconsiderazione delle problematiche di rilevazione, organizzazione, gestione degli stessi e al
graduale inserimento di logiche competitive nel settore pubblico.
“Il fil rouge” di questi cambiamenti è la definizione di un processo e di canali, atti a
rendere partecipi i cittadini alla vita amministrativa degli enti, vale a dire a ricevere risposta
alle questioni da loro poste.
L’avvio delle riforme è stato segnato dalla legge n. 142/1990 sull’ordinamento delle
autonomie locali (ora diventato D.Lgs. n. 267/2000, Testo Unico delle leggi
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sull’ordinamento degli enti locali) dove è ribadito il diritto dei cittadini di accedere, in
generale, alle informazioni di cui è in possesso l’amministrazione, che può essere esercitato
sia individualmente sia in associazione secondo le modalità dettate dal regolamento.
Questa norma apre la strada ad un rapporto diverso tra amministrazione e cittadino,
poiché in capo a quest’ultimo si vengono a creare un fascio di diritti nuovi che lo pongono
come soggetto fortemente “interessato” alla vita dell’amministrazione.
Sempre nello stesso anno il disegno della riforma dell’ordinamento amministrativo si
arricchisce di un nuovo tassello, la legge n. 241/1990 ricordata come legge sulla
trasparenza. Nel capo terzo sono contenute le norme che concernono la partecipazione al
procedimento amministrativo, con gli obblighi dell’amministrazione a mettere in atto
comportamenti di garanzia, che salvaguardano la tutela del diritto di essere informati di un
procedimento e di poter accedere agli atti. Il capo quarto affronta il tema della
semplificazione amministrativa, e regola istituti come la conferenza dei servizi e
l’autocertificazione; quindi anche con questa legge è ribadito il medesimo concetto: il
cittadino deve poter partecipare e conoscere gli atti e i comportamenti che
l’amministrazione pone in essere e che lo interessano.
Nel ‘93 con il decreto legislativo n. 29 relativo “alle norme per la razionalizzazione delle
AP” viene esteso il concetto cardine dei rapporti con il pubblico, infatti, l’art. 11 riprende la
questione della trasparenza amministrativa, e l’art. 12 istituisce l’Ufficio relazioni con il
pubblico (URP) come strumento per l’attuazione della legge n. 241.
Nel ’97 la legge delega n. 59 ha conferito nuove funzioni e compiti alle regioni e agli
enti locali al fine di riformare la pubblica amministrazione.
E’ poi stata attuata la delega nei decreti legislativi n. 80/1998 e n. 286/1999 i cui punti
fondamentali sono:
– L’erogazione dei servizi pubblici nazionali e locali con modalità che promuovono il
miglioramento della qualità e assicurano la tutela degli utenti e la loro partecipazione
alle inerenti procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi;
– Il perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità predisponendo
periodiche verifiche per valutare se i programmi attuati abbiano raggiunto lo scopo;
– La garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, anche
attraverso l’istituzione di apposite strutture per l’informazione ai cittadini;
– L’attività di valutazione e controllo strategico finalizzata a verificare l’effettiva
valutazione delle scelte contenute nelle direttive e negli altri atti di indirizzo politico.
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