Capitolo 1 
2  
di produzione/erogazione, la natura dello scambio e il fine 
dell‟azienda. 
E poi, a seguire, su come tali caratteristiche abbiano o no trovato 
riferimento nel processo di cambiamento avviato, e ancora in atto, 
nell‟ordinamento e nelle funzioni degli enti locali. 
1.2 L’azienda pubblica 
1.2.1 Il soggetto economico pubblico 
In generale, il soggetto economico è la persona o il gruppo di per-
sone che hanno il potere di prendere le decisioni più importanti per il 
funzionamento dell‟azienda e comunque di condizionarne la gestio-
ne2. L‟azienda, inoltre, è definita pubblica3 quando il soggetto econo-
mico che ne sta in capo è una persona giuridica pubblica.  
Nel caso specifico degli enti locali i cittadini, attraverso il voto, le-
gittimano e delegano il potere di agire agli amministratori eletti e al 
management pubblico che acquisiscono, per tale via derivata, la quali-
fica di soggetto economico4. Ecco quindi emergere la particolarità del 
modo in cui, in forme del tutto diverse rispetto alle aziende private, 
sono individuate le persone fisiche cui è affidato il potere volitivo e, 
nello stesso tempo, la specificità del legame tra la dimensione politica 
e i caratteri aziendali. Negli enti locali è possibile, infatti, distinguere e 
porre in capo agli organi politici elettivi (Consigli, Giunta), la sfera 
“imprenditoriale”, ovvero la capacità di definire gli indirizzi di fondo 
della gestione, la scelta degli obiettivi strategici in relazione ai bisogni 
da soddisfare. Risulta, invece, attribuibile all‟alta direzione la compe-
                                                 
2
 «Il soggetto economico è costituito dalla persona reale o dalle persone reali che dominano con la lo-
ro volontà il governo dell‟azienda» (AMADUZZI A., L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rileva-
zioni, cit., pag. 73, corsivo nel testo dell‟autore). Sulla stessa lunghezza d‟onda si pone Onida: «Il 
soggetto economico costituisce l‟organo dell‟amministrazione e, precisamente, l‟organo nel quale 
si accentra o al quale fa capo di fatto, il supremo potere volitivo». (ONIDA P., Economia d’azienda, 
Utet, Torino, 1980, p. 21). 
3
 «Particolarmente si intendono così gli enti pubblici tradizionali, cioè Stato, Provincia, Comune e 
Regione». (ANSELMI L., Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, Giappichelli, Torino, 2003, 
pag. 39) 
4
 «Nell‟ente pubblico economico, soggetto giuridico è l‟ente stesso, mentre soggetto economico è 
la collettività che, in definitiva, gestisce l‟ente attraverso i suoi rappresentanti». (GIUSEPPONI K., 
L’azienda. Il soggetto economico e il soggetto giuridico , in Marchi L. (a cura di), Introduzione all’economia a-
ziendale. Il sistema delle operazioni e le condizioni di equilibrio aziendale, Giappichelli, Torino, 2006, sesta 
edizione). 
I caratteri aziendali degli enti locali 
 
 3 
tenza “manageriale”, vale a dire la capacità e la tecnica di tradurre gli 
obiettivi in gestione e risultati5. 
Un‟altra specificità che ha preso campo nell‟ultimo decennio è la 
logica di gruppo e di rete, che tende sempre più ad affermarsi anche 
nella gestione dei servizi pubblici locali. Difatti, con la riforma 
dell‟ordinamento degli anni „906, i Comuni e gli altri enti locali, attra-
verso la costituzione di società per azioni, di consorzi e di aziende 
sotto altre forme societarie o associative, hanno colto l‟opportunità e i 
vantaggi di gestioni privatistiche di alcune attività istituzionali. Si va 
configurando dunque sempre più l’ente locale come Holding, in virtù sia 
dello scorporo di alcuni servizi pubblici dalle aziende tradizionali 
(Comuni, Province), sia della partecipazione pubblica in imprese pri-
vate che gestiscono infrastrutture essenziali allo sviluppo dei territori 
locali: aeroporti, interporti, consorzi di sviluppo.  
La forma assunta dal processo di “aziendalizzazione” in corso nel-
la gestione dei servizi tende, dunque, ad affermare sempre di più la di-
stinzione fra il potere d‟indirizzo e di controllo in capo al soggetto 
economico da quello della gestione affidato al management pubblico. 
1.2.2 L’azienda pubblica: un sistema aperto 
La dottrina economico-aziendale da sempre ha qualificato l’azienda 
come sistema7, cioè un‟organizzazione economica stabile di persone, be-
ni e operazioni coordinate fra loro finalizzate allo scambio, luogo pe-
culiare della produzione, della distribuzione e del consumo. Non solo, 
ma nel tempo ne è stato sottolineato sempre più il carattere di apertu-
ra e dinamicità.8 L‟azienda, dunque, come sistema aperto, in virtù delle 
relazioni che stabilisce con i mercati di acquisizione, di sbocco e con 
                                                 
5
 Bertini, a riguardo, osserva: «“Imprenditorialità” e “managerialità” esprimono, dunque, due di-
stinti e imprescindibili aspetti della moderna realtà soggettiva dell‟azienda; anime diverse in co-
stante rapporto dialettico e in continua evoluzione tra loro, espressioni distinte di un unico e in-
dissolubile modo di essere». (BERTINI U., Scritti di politica aziendale, Giappichelli, Torino, 1991, p. 
31). 
6
 Legge 8 giugno 1990, n.142 “Ordinamento delle autonomie locali”. 
7
 «La vita economica dell‟azienda presenta, in generale, un ordine complesso…I singoli fatti non 
hanno vita in sé ma solo nel sistema delle relazioni spaziali e temporali che li regge; essi hanno 
bensì una propria individualità e mutano senza posa, ma la loro funzione e la loro efficacia non si 
esplicano che nell‟anzidetto sistema, entro il quale essi partecipano della vita del tutto e nel quale, 
in un certo senso, permangono, in quanto i nuovi fatti ad essi si addentellano ed in essi trovano 
condizioni prossime o remote della loro esistenza e del loro modo di essere».(ONIDA P., Le disci-
pline economico aziendali. Oggetto e metodo, Giuffrè, Milano 1951, p. 223. 
8
 Cfr. FERRARIS FRANCESCHI R., Sul problema della teoria nell’economia aziendale, in AA.VV., Saggi di 
economia aziendale per Lino Azzimi, Giuffrè, Milano, 1987. 
Capitolo 1 
4  
l‟ambiente esterno dal quale trae vincoli e opportunità9. Ma anche 
come sistema dinamico, in grado di mutare in continuazione, in perenne 
evoluzione per adattarsi ai cambiamenti che avvengono nel mercato, 
nell‟ambiente o nel suo interno. 
Tali connotazioni, nel passato per lo più riferite alle aziende priva-
te, appaiono oggi attribuibili anche alle aziende pubbliche10. La distin-
zione tra aziende produttrici di beni, per lo più le imprese, e aziende 
erogatrici di servizi pubblici, tipicamente quelle pubbliche, appare 
sempre più sfumata. Da una parte, infatti, la componente di servizi e 
di valore pubblico inglobata nei beni oggetto della produzione risulta 
essere oggi sempre maggiore, soprattutto nelle imprese più avanzate. 
Dall‟altra parte, le aziende pubbliche non si occupano più solo o sol-
tanto dei servizi pubblici ritenuti “essenziali” (difesa, ordine, istruzio-
ne, sanità, lavori pubblici, ecc.), ma hanno esteso la loro titolarità 
d‟intervento anche in un ambito più vasto.  
Nella tendenza all‟espansione dei servizi pubblici, gestiti diretta-
mente o indirettamente attraverso aziende controllate dagli enti locali, 
convivono quindi in capo allo stesso soggetto economico pubblico sia 
le tradizionali funzioni di distribuzione ed erogazione sia quelle di 
produzione del servizio11. Si può dunque affermare, anche per le a-
ziende pubbliche, che la produzione, la distribuzione, il consumo e 
l‟erogazione possono presentarsi ed essere gestite attraverso la formu-
la aziendale. 
E‟ inoltre possibile riconoscere come i Comuni, e gli enti locali in 
genere, costituiscano un sistema aperto, sia dal punto di vista istitu-
zionale, in quanto gli amministratori sono eletti dai cittadini, sia sotto 
l‟aspetto funzionale, perché è del tutto evidente la ricaduta sociale ed 
economica della loro attività di produzione/erogazione sul territorio. 
                                                 
9
 Cfr. BERTINI U., Il sistema d’azienda. Schema di analisi, Giappichelli, Torino, 1990. 
10
 Cfr: GIANNESSI E., Interpretazioni del concetto di azienda pubblica, in AA.VV., Saggi di Economia A-
ziendale e sociale in memoria di Gino Zappa, Vol II, Giuffrè, Milano, 1961; HINNA L., MENEGUZZO 
M., MUSSARI R., DECASTRI M., Economia delle aziende pubbliche, McGraw-Hill, Milano, 2006. 
11
 «Attività produttive ed erogative si svolgono contemporaneamente nella stessa formula azienda-
le, anche perché il concetto di servizio è profondamente cambiato: tradizionalmente legato in pre-
valenza ad un concetto pubblico, si è talmente espanso da comprendere in sé tutte quelle esigenze 
che, in precedenza, venivano considerate diverse dall‟attività di stretta produzione di beni». (AN-
SELMI L., Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, cit., p. 43). 
I caratteri aziendali degli enti locali 
 
 5 
1.2.3 L’attività di scambio e il fine aziendale 
L‟attività di produzione/erogazione di servizi non preclude inoltre 
che possa intravedersi un’attività di scambio anche nell‟azienda pubblica. 
La peculiarità dello scambio sta nella corresponsione di un corrispet-
tivo per il bene acquisito o la prestazione ricevuta. Non sfugge 
all‟osservazione che ai cittadini venga richiesta una contropartita mo-
netaria, ancorché non ad integrale copertura per i servizi resi, e quindi 
che il “prezzo politico”12 del corrispettivo richiesto, inteso come parte 
dei costi globalmente sostenuti, qualifica comunque lo scambio. 
La dottrina classica rileva delle differenze tra aziende di produzio-
ne ed aziende di erogazione anche rispetto al fine aziendale. Si è già 
osservato che la distinzione non può essere ancora del tutto sostenuta 
se consideriamo per le prime il fine di produrre e, per le seconde, 
quello di amministrare consumi, risparmi, decidere investimenti. Ma 
già Amaduzzi poneva il problema di non poter ritenere corretta nean-
che la distinzione presupponendo come fine il lucro13. La principale 
discriminazione, infatti, veniva originariamente posta tra il fine delle 
imprese, la massimizzazione del profitto, e le non-imprese, tout court 
aziende, le quali avrebbero dovuto perseguire esclusivamente il soddi-
sfacimento dei bisogni umani. Così facendo, già veniva introdotta una 
contrapposizione tra imprese, economiche nel fine e nel mezzo, e 
non-imprese, economiche nel mezzo, ma non nel fine. Giannessi, dal 
suo canto, opponeva a tale affermazione l‟impossibilità di prevedere 
fini diversi e alternativi per uno stesso fenomeno, l‟azienda nella sua 
unitarietà14.  
Prendendo in esame il soddisfacimento dei bisogni umani nella sua 
più ampia accezione, è chiaro come esso non possa caratterizzare e-
clusivamente l‟azienda di erogazione, ma anche istituzioni e associa-
zioni (politiche, culturali, sportive, sociali, ecc.) non riconducibili alla 
sfera aziendale. Così come, del resto e all‟opposto, la ricerca 
dell‟economicità non può essere considerata alternativa al soddisfaci-
mento dei bisogni umani.  
                                                 
12
 Relativamente ai prezzi politici si veda: PASSAPONTI B., I prezzi politici nei servizi di pubblica utilità, 
SEU, Pisa, 1984. 
13
 «Non è corretto infatti credere che la produzione si prefigga necessariamente il lucro, nella sua 
forma finale di profitto, né che l‟azienda di erogazione si proponga di non conseguire un “avanzo 
economico”, che è una rendita netta». (AMADUZZI A., Sull’economia delle aziende pubbliche di erogazio-
ne, Giappichelli, Torino, 1965, p. 2). 
14
 Cfr. GIANNESSI E., Aziende di produzione originaria, cit.  
Capitolo 1 
6  
Anche nelle imprese, infatti, è possibile individuare un fine sociale. 
Se si concorda sul fatto che l‟obiettivo principale dell‟impresa è la 
produzione di valore, e quindi della ricchezza, altrettanto va sottoline-
ato come questa abbia una forte valenza sociale, non potendosi, infat-
ti, distribuire ricchezza se non la sì crea.15 Si può quindi concludere su 
questo aspetto con Anselmi: «..il fine del soddisfacimento dei bisogni 
umani, per tradizione considerato collegato esclusivamente alle azien-
de di erogazione, in realtà appartiene anche alle aziende di produzio-
ne, dal momento che esse, come abbiamo visto, hanno lo scopo fon-
damentale di produrre ricchezza, presupposto necessario per realizza-
re il soddisfacimento dei bisogni umani»16. 
Per quanto attiene l‟altro aspetto, la “massimizzazione del reddi-
to”, va rilevato come tale obiettivo abbia natura probabilistica e per le 
imprese non è sempre di facile determinazione quantitativa. Intanto, 
va detto che i principi che presiedono alla formazione dei bilanci di 
periodo non rendono agevole la scissione del reddito dal capitale in 
formazione. D‟altro canto il soggetto economico è interessato alla 
massimizzazione dell‟economicità della gestione nel lungo periodo, e 
solo alla fine della vita dell‟azienda la misura dell‟incremento del capi-
tale prodotto nell‟intera esistenza può identificare la ricchezza finale 
prodotta. La visione del soggetto economico, rispetto ad altri investi-
tori di minoranza, è quindi di natura strabica, avendo il precipuo inte-
resse di garantire le condizioni economiche di crescita e sviluppo 
dell‟azienda, e di privilegiare la durabilità economica rispetto alla mas-
simizzazione dei profitti di periodo.  
In definitiva, verrebbe da rilevare una sorta di sovrapposizione tra 
lo strumento del soggetto economico, l’azienda, e il fine perseguito, il 
conseguimento dell‟equilibrio economico a valere nel tempo: come dire che 
l‟azienda ha per fine sé stessa.17 
Il fine dell‟equilibrio economico durevole, tuttavia, non vale solo 
per le “imprese”. Al pari di queste, anche l‟azienda Comune-Ente lo-
                                                 
15
 Cfr. SARACENO P., Il fine di lucro nelle aziende pubbliche di produzione, in AA.VV, Saggi di economia a-
ziendale e sociale in memoria di G. Zappa, Vol. III, Giuffrè, Milano, 1961. 
16
 ANSELMI L., Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, cit., pag. 48 
17
 «A nostro sommesso parere il fine dell‟azienda, in quanto istituzione al servizio del soggetto e-
conomico per il perseguimento delle finalità “personali” di esso “soggetto”, non può che essere 
l‟equilibrio del sistema medesimo in tutti i suoi molteplici aspetti, ma ricondotto al comune de-
nominatore economico. Si può pertanto arrivare alla conclusione di Galbraith quando afferma che 
il fine dell‟azienda “…è sé stessa”.» (BERTINI U., Il sistema d’azienda. Schema di analisi, cit. p. 44). In 
merito alla nozione di equilibrio aziendale, tra gli altri, si veda anche: BRANCIARI S., I sistemi di con-
trollo nella piccola impresa, Giappichelli, Torino,  1996, pagg. 59-97. 
I caratteri aziendali degli enti locali 
 
 7 
cale esiste e può continuare ad esistere se permangono nel tempo le 
condizioni di equilibrio tra ricchezza consumata e ricchezza prodotta. 
Anche per essa, in ultima analisi, il fine è dato dal raggiungimento di 
un equilibrio economico che consenta l‟accrescimento della ricchezza 
per i cittadini attraverso la produzione e la distribuzione di alcuni ser-
vizi18. E questo tenendo conto della particolarità per la quale le risorse 
a disposizione le derivano o da atti di scambio con i cittadini per i 
servizi resi, o da trasferimenti provenienti dalla collettività nel suo 
complesso a titolo di ridistribuzione delle risorse fiscali prelevate dallo 
Stato e dalle Regioni. 
1.3 Economicità ed equilibrio aziendale negli enti locali 
Il concetto di economicità nelle aziende si offre a diverse interpre-
tazioni e definizioni19 che si muovono da due posizioni estreme: come 
condizione di equilibrio aziendale e come successo nel perseguimento delle 
finalità istituzionali.  La prima posizione ne sottolinea la capacità di fun-
zionamento, di durare nel tempo in modo autonomo con le risorse che a 
vario titolo riesce a procurarsi, senza interferenti sostegni da soggetti 
esterni che hanno altre finalità. La seconda evidenzia, invece, la capa-
cità di cogliere le finalità per cui l‟azienda è stata istituita e funziona.  
Se nelle imprese le condizioni di equilibrio aziendale e le misure 
del successo aziendale, sostanzialmente di ordine economico, posso-
no sovrapporsi e trovare espressione sintetica nel reddito di periodo, 
lo stesso non può dirsi per le aziende diverse dalle imprese, e tra que-
ste gli enti locali. In queste ultime, infatti, non sempre risulta agevole 
determinare la misura del raggiungimento delle finalità istituzionali 
                                                 
18
 Lo stretto rapporto tra finalità istituzionali di qualsiasi azienda e durabilità è sostenuta anche da 
SÒSTERO U., L’economicità delle aziende. Rappresentazione e valutazione delle performance e dell’equilibrio nelle 
imprese, nelle aziende non profit e nelle aziende pubbliche, Giuffrè, Milano, 2003, pag. XIII: «Ciascun tipo 
di azienda persegue delle finalità istituzionali (di ordine sociale, etico, morale, filantropico, politico, 
culturale, sportivo ricreativo, economico, ecc.), che per quanto possano essere diverse, richiedono 
comunque che l‟azienda stessa possa durare nel tempo in un ambiente mutevole e svolgere la sua a-
zione in modo relativamente autonomo». (corsivo dell‟autore) 
19
 Cfr.: AIROLDI G., BRUNETTI G, CODA V., Economia aziendale, cit., Cap. IX; CASSANDRO P.E., 
Sul concetto di “economicità” aziendale, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, mag-
gio-giugno 1980; CAVALIERI E., L’economicità e le condizioni di equilibrio del sistema d’impresa, in CAVA-
LIERI E. (a cura di), Economia Aziendale, Giappichelli, Torino, 2000; PAOLINI A., Le condizioni di 
equilibrio aziendale, in Marchi L. (a cura di), Introduzione all’economia aziendale. Il sistema delle operazioni e 
le condizioni di equilibrio aziendale, Giappichelli, Torino, 2006, Sesta Edizione; ZANGRANDI A. Eco-
nomicità delle aziende non profit: per promuoverne lo sviluppo, in ZANGRANDI (a cura di), Aziende non profit. 
Le condizioni di sviluppo, EGEA, Milano 2000. 
Capitolo 1 
8  
(sociali, morali, culturali, ecc.) per loro stessa natura non misurabili 
dai soli indicatori economici e finanziari. Appare pertanto opportuno 
considerare separatamente le condizioni che consentono all‟azienda di 
durare nel tempo e la capacità di perseguire i fini istituzionali. In que-
sto senso, il modello interpretativo proposto da Sòstero risulta utile a 
qualificare l‟economicità come la «capacità dell‟azienda di perdurare 
massimizzando l‟utilità delle risorse impiegate e dipende congiunta-
mente dalle performance aziendali e dal rispetto delle condizioni di 
equilibrio che consentono il funzionamento dell‟azienda».20 
L‟articolazione permette di considerare e misurare separatamente i di-
versi elementi, ma rimane tuttavia il fatto che solo il conseguimento 
congiunto dei risultati di efficacia ed efficienza e il rispetto degli equi-
libri aziendali permette di perseguire l‟economicità nella sua accezione 
più ampia. 
Tavola 1.1 - Gli elementi dell’economicità aziendale 
EQUILIBRIO
PERFORMANCE
Effic ienza Efficacia
Equilibr io 
economico
Equilibr io 
patr imoniale
Equilibr io 
finanziar io
Equilibr io monetar io
ECONOMICITA'
 
Fonte: tratta da SÒSTERO U., L’economicità delle aziende, cit., pag. 196. 
 
 
                                                 
20
 SÒSTERO U., L’economicità delle aziende, cit. pag. 4 
I caratteri aziendali degli enti locali 
 
 9 
1.3.1 Le performance aziendali: efficacia ed efficienza 
Le due componenti delle performance aziendali che influiscono 
nella formazione dell‟equilibrio economico sono l’efficacia e l‟efficienza. 
In senso tecnico, sotto il profilo economico-aziendale, per efficacia 
s‟intende la capacità di cogliere un obiettivo prefissato, cioè 
l‟attitudine di un‟organizzazione ad ottimizzare i risultati degli output 
della gestione. La loro misurazione non è sempre di facile determina-
zione, perché possono essere oggetto di valutazione diversi aspetti o 
caratteri non riconducibili a elementi economici (costi/ricavi), come 
ad esempio il livello del servizio erogato, che richiedono talvolta la 
costruzione di specifici indicatori fisici o qualitativi.   
Nel caso degli enti locali, in particolare, il grado di raggiungimento 
dell‟efficacia va posto in relazione al conseguimento delle loro finalità 
aziendali.  E‟ infatti evidente che, pur in un contesto di utilizzo otti-
male delle risorse disponibili e di mantenimento dell‟equilibrio azien-
dale, non si può affermare di essere stati efficaci nella propria attività 
se sono stati prodotti e/o erogati beni e servizi non richiesti dalla col-
lettività amministrata. Ranalli distingue inoltre l‟efficacia economica 
dall‟efficacia sociale.21 Difatti, per le imprese i prezzi di mercato offrono 
la misura dell‟utilità attribuita dai clienti al prodotto/servizio offerto, e 
quindi il risultato economico di periodo può costituire un indicatore 
dell‟efficacia generale o economica. Così non è per le aziende pubbli-
che: non essendo, in questo caso, il mercato il campo d‟azione degli 
enti locali, risulta di obiettiva difficoltà individuare il valore segnaleti-
co del prezzo/utilità come misura sintetica del successo aziendale. 
Ecco allora che, pur tenendo conto della difficoltà nel definire la do-
manda potenziale, gli obiettivi programmatici e le modalità di rileva-
zione dei risultati, l‟efficacia sociale dell‟attività di un Comune può es-
sere espressa, in ultima analisi, dal grado di soddisfacimento dei biso-
gni della collettività amministrata.  
L‟altro elemento da valutare è l‟efficienza, vale a dire l‟attitudine 
dell‟azienda ad ottimizzare la quantità di risorse (input) occorrente per 
                                                 
21
 «L‟efficacia dell‟attività dell‟impresa si estrinseca nell‟attitudine della medesima a cogliere soddi-
sfacenti gradi di “efficienza generale” o – come preferiamo dire – di  “efficacia economica”, la 
quale consiste nella sua capacità di raggiungere adeguati livelli di produttività economica. In talune 
imprese, come quelle pubbliche e cooperative, i cui fini istituzionali si estrinsecano spesso in o-
biettivi di natura sociale, macroeconomica e mutualistica, è necessario che l‟azione aziendale sia 
sviluppata in modo da soddisfare, contemperandole opportunamente, sia le esigenze di efficacia 
economica che quelle di efficacia sociale, macroeconomica e mutualistica». (CAVALIERI E., RA-
NALLI F., Appunti di economia aziendale. Attività aziendale e processi produttivi, I vol., Kappa, Roma, 
1994, pag. 108).  
Capitolo 1 
10  
produrre una determinata quantità di beni o servizi(output).22 A diffe-
renza dell‟efficacia, il grado d‟efficienza può essere misurato dal rap-
porto tra risorse consumate e risultati ottenuti.  
L‟efficienza complessiva può essere distinta in efficienza tecnica ed efficien-
za economica o gestionale.23 La prima dipende dall‟ottimale uso e combi-
nazione dei fattori produttivi impiegati e può trovare espressione nel 
rapporto tra quantità fisiche di input immessi e output realizzati. La 
seconda, invece, attiene alla minimizzazione dei costi per unità di 
prodotto e per questo, a differenza della prima, normalmente può es-
sere misurata dal rapporto tra costi complessivamente sostenuti e 
quantità totali ottenute.  
L’efficienza tecnica è funzione dello sviluppo delle conoscenze e delle 
tecnologie, e come tale influenza l‟efficienza complessiva, poiché, con 
l‟aumento della produttività, è plausibile attendersi una diminuzione 
dei costi unitari dei prodotti/servizi.   
L’efficienza economica, invece, ha una relazione più diretta e stringen-
te con l‟efficienza complessiva. In questo caso, il rapporto tra i costi 
delle risorse impiegate e le unità di prodotti/servizi realizzati è chia-
ramente di natura matematica.  
Nel processo di produzione/erogazione dei servizi negli enti locali 
può darsi, infine, un‟ulteriore distinzione fra efficienza programmata e effi-
cienza realizzata.24 Partendo dallo strumento di programmazione prin-
cipe, il bilancio di previsione, passando attraverso il PEG25 fino 
all‟accertamento del consuntivo, la fig. 2 individua un percorso di os-
servazione dell‟intero processo. Intanto è posta una distinzione tra at-
tività e risultati. La differenza tra le due consiste nel fatto che le attivi-
                                                 
22
 Cfr. BRUSA L., Sistemi manageriali di programmazione e controllo, Giuffrè, Milano, 2000. Parla invece 
di efficienza esterna ed efficienza interna CASELLI L, L’impresa pubblica nell’economia di mercato, Giuffrè, 
Milano, 1970, pag. 96. 
23
 «Un‟impresa che realizzi i massimi rendimenti possibili con gli impianti e i macchinari a disposi-
zione, può darsi che abbia raggiunto rendimenti di piena efficienza con quei mezzi, ma non i ren-
dimenti economici possibili, se con impianti e macchinari più moderni, concretamente acquisibili 
e convenientemente utilizzabili, potesse ottenere rendimenti più elevati, tali da ridurre fortemente 
i costi di produzione».(ONIDA P., Economia d’azienda, cit. pag. 76). 
24
 SÒSTERO U., L’economicità delle aziende, cit., pag. 193 
25
 Il Piano esecutivo di gestione rappresenta, nell'ambito del procedimento di programmazione 
dell'ente locale, una delle novità più rilevanti introdotte nell'ordinamento finanziario e contabile: 
l'art. 169 del TUEL, riprendendo l'art. 11 del D.Lgs. 77/95, stabilisce che sulla base del Bilancio di 
previsione annuale, deliberato dal consiglio, l'organo esecutivo definisce prima dell'esercizio fi-
nanziario il Piano esecutivo di gestione, determinando gli obiettivi di gestione ed affidando gli 
stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi.  
 
 
I caratteri aziendali degli enti locali 
 
 11 
tà considerano le azioni messe in campo per raggiungere determinate 
finalità, i risultati indicano ciò che si è ottenuto.  Il processo di pro-
grammazione/controllo consente, poi, di misurare 
l‟allineamento/scarto tra l‟efficienza programmata e quella realizzata e 
la valutazione dell’efficacia in termini di differenza tra gli output attesi o de-
siderati e gli output conseguiti o effettivi. 
Tavola 1.2 - Efficienza ed efficacia negli enti locali 
 PREVISIONE CONSUNTIVO
Risorse previste
Risorse 
utilizzate
Attività 
programmate
Attività       
svolte
Risultati 
programmati
Risultati 
conseguiti
PEG
Efficienza 
programmata
Efficienza 
realizzata
Efficacia 
 
         
Fonte: nostra elaborazione da REBORA G., Un decennio di riforme, Guerini, Milano, 1999. 
 
Infine, circa la relazione tra i due aspetti della performance azien-
dale, pur essendo evidente il loro legame, si può affermare che 
l’efficienza non è sempre condizione per il raggiungimento dell’efficacia. In parti-
colare, per quanto riguarda gli enti locali, uno scarso grado 
d‟efficienza - inteso come spreco di risorse - in un quadro di disponi-
bilità abbondante può consentire il raggiungimento di particolari o-
biettivi (efficacia parziale), ma nello stesso tempo incidere negativa-
mente nel perseguimento dell‟efficacia complessiva. E‟ chiaro, infatti, 
come in questo modo siano sottratte risorse utili al soddisfacimento 
di altri bisogni. Di contro, si può essere pure efficienti, e quindi fare 
un uso estremamente corretto e razionale degli input, ma non efficaci, 
a causa di risorse non adeguate, o perché utilizzate in attività non pertinenti. 
Nella prima fattispecie (risorse non adeguate) può rientrare il caso in 
Capitolo 1 
12  
cui il costo orario per assistenza domiciliare di un Comune sia, a pari-
tà di qualità erogata, il più basso dell‟intera regione, ma le risorse 
complessivamente assegnate consentono di assistere solo 70 anziani 
su 100 richieste.  Il secondo caso può verificarsi quando si appalta alle 
migliori condizioni di rapporto qualità/prezzo una particolare attività 
di animazione, sempre a favore degli anziani, che non trova però un 
adeguato riscontro di partecipazione. 
1.3.2 Le condizioni di equilibrio aziendale 
Il rispetto di alcune condizioni di equilibrio aziendale rappresenta-
no per l‟azienda una necessità assoluta per continuare a perseguire nel 
tempo le proprie finalità istituzionali e operare in autonomia. Possono 
distinguersi diversi tipi di equilibrio: economico, patrimoniale, finan-
ziario e monetario.  
L‟equilibrio economico va valutato in un ampio orizzonte tempo-
rale. Può anche non verificarsi in alcuni periodi e, di conseguenza, 
l‟equazione economica26 non è soddisfatta nel breve termine, ma la 
tendenza dinamica «è, o dovrebbe essere, quella del suo ripristino verso 
equilibri successivi, conservativi e/o migliorativi rispetto ai preceden-
ti».
27
 Ne consegue che uno squilibrio temporaneo non mette in peri-
colo l‟autonomia e la capacità dell‟azienda di perdurare nel tempo, co-
sì come una situazione di equilibrio nel breve periodo può essere do-
vuta a situazioni favorevoli momentanee, il cui futuro verificarsi non è 
dato con certezza.28  
Per il nostro lavoro, rispetto all‟equilibrio economico generale, che alcu-
ni autori valutano come l‟insieme dell‟equilibrio economico e patri-
moniale, altri anche di quello finanziario e monetario,29 prenderemo 
in maggiore considerazione l‟equilibrio economico in senso stretto.  
                                                 
26
 L‟equazione economica rappresenta una formalizzazione matematica delle condizioni di equili-
brio economico: ΣC + r = ΣR, cioè la sommatoria dei costi sostenuti cui va aggiunto il reddito, 
uguale alla sommatoria dei ricavi conseguiti. 
27
 PAOLINI A., Le condizioni di equilibrio aziendale, cit. pag. 369. 
28
 «La durata dell‟intervallo entro cui l‟equilibrio economico può mancare…è da intendere in sen-
so relativo, cioè con riferimento alla situazione dell‟azienda e dell‟ambiente, inoltre, all‟intensità 
del rapporto sfavorevole tra costi e ricavi;…il rapporto positivo tra ricavi e costi, pur esistendo in 
un dato momento o intervallo, di per sé non garantisce la vita dell‟azienda nel tempo». (CORTI-
CELLI R., La crescita dell’azienda. Armonie e disarmonie di gestione, Giuffrè, Milano, 1979, pagg. 89-91). 
29
 Cfr. TESSITORE A., Il profilo aziendale delle Organizzazioni Non-Profit, in Rivista Italiana di Ragioneria e 
di economia aziendale, gennaio-febbraio 1997. 
I caratteri aziendali degli enti locali 
 
 13 
Nelle aziende pubbliche, soprattutto sotto il profilo della prove-
nienza delle risorse economiche e finanziarie30, l‟equilibrio economico 
in senso stretto va visto come capacità dell’azienda di ripristinare le risorse 
che consuma nello svolgimento della propria attività. Difatti, a fronte 
di costi sostenuti per la produzione di beni e servizi a favore dei citta-
dini, e dei trasferimenti a terzi finalizzati per lo svolgimento di attività 
cui si attribuisce valenza di pubblica utilità, il ripristino delle risorse si 
realizza, soprattutto, con la possibilità di richiedere e imporre tributi e 
di ricevere, da enti di livello superiore, devoluzioni finalizzate. 
Quest‟ultime, in particolare per gli enti locali, provengono dalle Re-
gioni e  dallo Stato, ma anche da organismi sopranazionali.31  
In definitiva, l‟equilibrio economico delle aziende pubbliche si ba-
sa sulla capacità di programmazione ed utilizzo delle risorse che, per 
una larga parte, originano dall‟imposizione diretta o indiretta di tribu-
ti, e per il resto da contributi richiesti ai cittadini per i servizi erogati a 
domanda individuale. Ne consegue che il sacrificio richiesto ai cittadi-
ni tramite la fiscalità generale o locale non è sempre correlato all‟utilità 
percepita, sia perché le tariffe per i servizi erogati non riflettono il co-
sto di produzione effettivamente sostenuto, sia perché il soggetto pas-
sivo fiscale e l‟utilizzatore del servizio a volte non coincidono.32 
Dato che negli enti locali, a differenza dalle imprese, come rilevato 
in precedenza, il ripristino delle risorse non viene assicurato dalla ces-
sione dei beni e dei servizi, non sempre e necessariamente una mag-
giore efficienza si traduce in un miglioramento delle condizioni di e-
quilibrio.  Ritornando all‟esempio dell‟assistenza per gli anziani, una 
riduzione dei costi per assistenza pro-capite, tenendo fermi gli stan-
dard di qualità, influenza positivamente l‟equilibrio economico a pari-
tà di domande soddisfatte. Diversa sarebbe la conclusione se il ri-
sparmio di risorse consumate fosse destinato al soddisfacimento della 
domanda inevasa o all‟ampliamento del servizio. 
Generalmente, nelle analisi di bilancio, le condizioni di equilibrio pa-
trimoniale fanno riferimento alla composizione degli impieghi e delle 
fonti per verificarne la loro correlazione temporale rispetto alle sca-
denze. Se, invece, si considera l‟equilibrio patrimoniale come sottosi-
                                                 
30
 Nelle aziende pubbliche e non profit, a maggior ragione negli enti locali, i corrispettivi dei beni 
e servizi, quando non sono ceduti gratuitamente, non sono sicuramente remunerativi dei costi so-
stenuti, e l‟equilibrio viene assicurato da altre entrate, come contributi, proventi patrimoniali, tra-
sferimenti. 
31
 Cfr. SÒSTERO U., L’economicità delle aziende, cit., pagg. 40-44. 
32
 BORGONOVI E., Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, cit., pag. 125. 
Capitolo 1 
14  
stema dell‟equilibrio finanziario33, negli enti locali è possibile conno-
tarlo come  la capacità dell‟azienda ad accumulare e mantenere un 
ammontare di ricchezza ritenuto congruo in relazione agli investimen-
ti necessari per lo svolgimento delle sue attività istituzionali. In questo 
quadro, le caratteristiche dei soggetti che apportano patrimonio, i vin-
coli che gravano su di esso e la sua rappresentazione, costituiscono gli 
elementi che maggiormente influenzano l‟equilibrio patrimoniale nelle 
aziende pubbliche.  
Circa il primo aspetto, la dipendenza delle aziende pubbliche dai 
trasferimenti da enti sovraordinati caratterizza in larghissima parte 
l‟origine del loro patrimonio. Altra fonte tipica, dal peso residuale, è 
costituita dai lasciti e dalle donazioni. Non vi sono, invece, particolari 
vincoli di legge a salvaguardia del patrimonio. Tuttavia, nei casi previ-
sti dalla legge, per gli enti locali è possibile che si verifichi la dichiara-
zione di dissesto finanziario, che ricorre quando «l‟ente non può ga-
rantire l‟assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero 
esistono nei confronti dell‟ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi 
cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui 
all‟articolo 193, nonché con le modalità di cui all‟articolo 194 per le 
fattispecie ivi previste».34  
Per quanto riguarda la rappresentazione del patrimonio netto, pur 
avendo introdotto in alcuni casi schemi di bilancio che prevedono la 
redazione del conto economico e del conto del patrimonio, la mag-
gior parte delle aziende pubbliche fa ancora uso della contabilità fi-
nanziaria come sistema di rilevazione. Ne consegue che al termine di 
ogni periodo il patrimonio netto è rilevato come differenza indistinta 
tra attività e passività, ricorrendo preliminarmente ad accorgimenti e-
xtracontabili per la determinazione di alcune poste non finanziarie. 
Solo gli enti locali rappresentano il patrimonio netto articolandolo in 
due parti: il netto da beni demaniali, compensandone i valori con i 
debiti che gravano su di essi, e il netto patrimoniale.35   
                                                 
33
 Cfr. PISONI P., Le caratteristiche del sistema azienda, in AA.VV., Lezioni di Economia Aziendale, Giap-
pichelli, Torino, 1996.   
34
 Art. 244 del Testo Unico delle leggi sull‟ordinamento degli Enti Locali, Decreto Legislativo 18 
Agosto 2000, n. 267. L‟istituto del dissesto finanziario è stato introdotto per la prima volta 
nell‟ordinamento giuridico italiano con l‟articolo 25 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, conver-
tito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144 e dall‟articolo 21 del decreto-legge 18 
gennaio 1993. Attualmente la normativa sul dissesto finanziario è stata trasfusa nel titolo VIII del-
la parte II dell‟Ordinamento finanziario e contabile del Testo Unico richiamato. 
35
 Lo schema del conto del patrimonio è definito dall‟art. 1 del DPR 194/96.  
I caratteri aziendali degli enti locali 
 
 15 
Un opportuno bilanciamento tra le fonti di finanziamento e gli 
impieghi, in economia aziendale definisce l’equilibrio finanziario. Può 
essere osservato con riferimento a un momento definito della vita 
dell‟azienda, e allora viene inteso come strutturale. Si parla, invece, di 
equilibrio dinamico se viene valutata l‟attitudine dell‟azienda a reperire 
nel tempo fonti di finanziamento idonee, sia per qualità e quantità, a 
far fronte al fabbisogno generato dalle operazioni di gestione e dagli 
investimenti sul patrimonio36.  
L‟equilibrio monetario esprime la capacità dell‟azienda a far fronte nel 
tempo agli impegni di pagamento. A differenza dell‟equilibrio econo-
mico, il mantenimento delle condizioni di equilibrio monetario non 
deve mai venire meno. Diversamente, «si creerebbe una paralisi 
dell‟azienda anche quando l‟equilibrio economico è verificato ed e-
sprime piene condizioni di economicità».37   
Negli enti locali l‟aspetto finanziario è quello  principale nella rile-
vazione dei fatti aziendali. La contabilità finanziaria, a differenza delle 
imprese, prevede inizialmente la redazione obbligatoria di preventivi 
con funzione autorizzativa ex ante, sia nel reperimento delle fonti, sia 
nell‟allocazione delle risorse38. In momenti successivi, invece, la rile-
vazione dei valori finanziari prevede una prima fase di accertamento o 
di impegno (a seconda se sorge il diritto o l‟obbligo a riscuotere o ver-
sare una somma), e una seconda con la quale si rileva l‟entrata o 
l‟uscita monetaria.  
Si può quindi affermare che, se ben utilizzata, la contabilità finan-
ziaria degli enti locali è potenzialmente in grado di fornire il continuo 
monitoraggio dell‟equilibrio finanziario e monetario. Inoltre, grazie 
anche alla struttura per capitoli dei preventivi e dei consuntivi, può 
mettere a disposizione informazioni molto analitiche relative alla 
composizione delle entrate, delle spese, e alla correlazione dei movi-
menti in entrata e in uscita.39 
                                                 
36
 Cfr. SOSTERO U., BUTTIGNON F., Il modello economico finanziario. Introduzione alla costruzione e analisi 
di bilancio, al calcolo matematico e alla valutazione dell’impresa, Giuffrè, Milano, 2002, par. 2.5 
37
 PAOLINI A., Le condizioni di equilibrio aziendale, cit. pag. 394. 
38
 «Mentre nell‟impresa il sistema di rilevazione nasce e si sviluppa come sistema di osservazione e 
di rappresentazione dei risultati di gestione,…nelle amministrazioni pubbliche il sistema di rileva-
zione nasce e si sviluppa come strumento “autorizzativo” con finalità primaria di definire gli “spa-
zi  operativi” entro cui si può svolgere l‟azione degli organi di amministrazione». (BORGONOVI E., 
Gli strumenti informativo-contabili per le decisioni nella pubblica amministrazione, in AA.VV., Strumenti infor-
mativo-contabili per le decisioni aziendali, CLUEB, Bologna, 1988, pag. 178). 
39
 BORGONOVI E., Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, cit., pag. 363.