2
Anche i numeri della responsabilità sociale sembrano essere cresciuti in modo
esponenziale: in Europa il 68% delle grandi aziende sembra redigere regolarmente il
bilancio sociale
1
; in Italia il 75% delle imprese ha realizzato attività di marketing
sociale
2
; sempre in Italia le aziende certificate SA8000 si sono duplicate negli ultimi
due anni.
Ma soffermiamoci sul significato del termine “responsabilità sociale delle imprese”. La
Commissione Europea la definisce come la “decisione volontaria di contribuire al
progresso della società e alla tutela dell’ambiente, integrando preoccupazioni sociali
ed ecologiche nelle operazioni aziendali e nelle interazioni con gli stakeholders”
3
.
Secondo l’approccio economico, agire in modo socialmente responsabile significa
massimizzare il valore, tenendo conto degli effetti indotti sui propri stakeholders (o
portatori d’interesse), potenziando gli asset intangibili (la reputazione, il dialogo, la
trasparenza), riducendo le esternalità negative (inquinamento, disequilibri, ecc.) e
valorizzando quelle positive (occupazione, supporto allo sviluppo socio-economico,
ecc.).
La responsabilità sociale d’impresa presuppone il riconoscimento da parte
dell’organizzazione di essere un attore chiave del contesto in cui opera, verso il quale
la stessa si adopera non solo per garantire una gestione eticamente corretta, ma
anche e soprattutto per assumere un ruolo attivo di promozione del benessere sociale
in termini di coesione sociale, welfare, rispetto dei diritti umani lungo tutta la filiera di
fornitura.
A questo proposito l’accountability, ossia il processo di rendicontazione rispetto a
valori dichiarati ed impegni assunti, diventa un elemento chiave per l’impresa nella
sua relazione con gli stakeholders come processo di trasparenza, dialogo ed apertura
ad una logica multistakeholders.
Il bilancio sociale è lo strumento che evidenzia l’impatto sociale che un’organizzazione
produce sulla collettività di riferimento e su alcuni gruppi sociali in particolare. In
generale rappresenta uno strumento di gestione della fiducia dei vari interlocutori di
riferimento (clienti, istituzioni, forze economiche, forze sociali, enti proprietari,
cittadini, ecc.) e dà conto del perseguimento degli obiettivi e delle azioni compiute in
coerenza con la missione.
1
Fonte: Price Waterhouse Cooper, 2002.
2
Fonte: Ipsos-Explorer, 2002.
3
Libro Verde, 2001.
3
Esso affianca e completa il bilancio economico nel valutare e rendicontare gli aspetti
non monetizzabili della performance dell’impresa. Storicamente il bilancio sociale
nasce alla fine degli anni ’70 come strumento di comunicazione delle imprese verso i
propri pubblici di riferimento più sensibili. Una volta strutturato e consolidato lo
strumento ha iniziato ad assumere una funzione di tipo strategico, supportando
l’impresa con la declinazione della propria missione e dei propri obiettivi nella
definizione dell’identità aziendale e dei piani di medio periodo. L’ultimo “passo” del
bilancio sociale è quello in cui diventa, all’interno dell’organizzazione, strumento di
governance, di definizione di ruoli, regole e responsabilità. In questo processo
evolutivo, sia da un punto di vista meramente storico, sia organizzativo, l’enfasi sul
bilancio sociale si sposta dall’output prodotto al processo percorso per realizzarlo. Un
processo che deve, quindi, essere interno all’organizzazione, coinvolgendo tutte le
funzioni aziendali in una logica di integrazione interfunzionale, guidato
all’individuazione degli aspetti caratteristici e alla definizione di un sistema di
monitoraggio completo che adotti nel tempo anche impegni di preventivo.
Un buon processo di redazione si articola in tre fasi: dalla definizione e condivisione
dei valori e dei principi nella politica di responsabilità sociale dell’azienda, alla
descrizione dei processi in atto e delle pratiche realizzate, alla valutazione delle
performance dell’organizzazione.
Ciascuna di queste fasi è fondamentale per facilitare la comprensibilità di impegni ed
azioni, per strutturare le informazioni in modo che risultino evidenti per i lettori i
miglioramenti fatti dalle imprese, per rafforzare l’affidabilità delle informazioni fornite
e facilitare pratiche di benchmarking tra aziende, settori, comparti.
Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza che il modo in cui le imprese
producono fa la differenza in un contesto di depauperamento delle risorse ambientali,
sociali ed economiche, e che la sostenibilità è diventato il termine di valutazione
principale per imprese e pubbliche amministrazioni che vogliono assumere un
comportamento socialmente responsabile.
The World Commission on Environment & Development definisce nel 1987 la
sostenibilità come “la capacità di assicurare il soddisfacimento delle necessità del
presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i
loro stessi bisogni”, che si concretizza per le imprese nell’adozione, nei processi
decisionali, di una logica che garantisca al contempo efficienza economica, tutela
ambientale ed attenzione alle conseguenze sociali. Questo è possibile solo attraverso
4
un processo strutturato di coinvolgimento degli stakeholders non solo in merito di
valutazione, ma soprattutto di decisione e di produzione e distribuzione del valore
prodotto.
Questo lavoro si propone di far luce sullo sviluppo del tema della responsabilità
sociale e del bilancio sociale, come suo strumento di comunicazione e diffusione, ma
anche di gestione e controllo interno e quindi come potente strumento manageriale.
Nel primo capitolo si parlerà del concetto di responsabilità sociale, cercando di capire,
facendo riferimento alla teoria degli stakeholders, come le aspettative esterne
influiscano sull’attività delle imprese.
Nel secondo affronteremo l’importanza di comunicare, oltre che attuare i
comportamenti sociali dell’impresa, nella consapevolezza che il bilancio sociale non è
l’unico strumento a disposizione dell’impresa per comunicare la propria responsabilità,
ma è il solo che prova ad analizzare l’intera performance sociale dell’impresa stessa.
Nel terzo verranno presentati alcuni significativi modelli e strumenti di
rendicontazione sociale. In particolare si parlerà del Social Accountability 8000, che si
occupa del rapporto tra l’impresa e i suoi fornitori, garantendo e certificando il
rispetto dei diritti essenziali connessi al lavoro, dell’AccountAbility 1000, standard di
processo che stabilisce i principi e le fasi necessarie per aumentare la qualità del
processo di contabilità e rendicontazione della responsabilità sociale, della Global
Reporting Initiative, che fornisce le linee guida per la redazione dei bilanci di
sostenibilità e del Gruppo di Studio per la statuizione dei principi di redazione del
Bilancio Sociale (GBS), che si pone come principale riferimento, a livello nazionale,
per la redazione del bilancio sociale.
Infine, nel quarto capitolo verranno analizzati e confrontati, sulla base del modello
GBS, i bilanci sociali di ACEA, ETI e Poste Italiane, al fine di dare una dimostrazione di
come la responsabilità sociale e il bilancio sociale possano essere implementati nella
realtà operativa di un’azienda.
5
CAPITOLO I
LA RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA E LA TEORIA DEGLI
STAKEHOLDERS
SOMMARIO: 1.1 Economicità e socialità dell’azienda – 1.2 Socialità, sviluppo sostenibile e responsabilità
sociale – 1.3 Il contesto economico–sociale – 1.4 Oggetto della responsabilità sociale d’impresa –
1.5 Differenti visioni del concetto di responsabilità sociale – 1.6 La politica comunitaria e nazionale –
1.7 Dalla responsabilità sociale d’impresa alla rendicontazione sociale
1.1 Economicità e socialità dell’azienda
Prima di iniziare ogni riflessione, è utile sottolineare il concetto che l’impresa è in
primo luogo un istituto economico e il suo principale obiettivo è quello di generare
profitto. Essa è però inserita in una comunità economico-sociale da cui è influenzata e
sulla quale esercita influenza, sia offrendo beni e servizi necessari a soddisfare i
bisogni umani, sia ponendosi come centro di attrazione di lavoro e capitale. Nella sua
gestione sono quindi riscontrabili i tratti sia dell’economicità, che della socialità.
Una definizione sintetica e chiara dei due concetti è quella del Prof. Onida: «Parliamo
di economicità per significare la conformità a convenienza economica, cioè a
convenienza giudicata e misurata in termini di beni economici > … ≅. Per socialità
intendiamo la conformità al “bene comune”: il quale – si badi – non è soltanto
“benessere comune”, sebbene il benessere (economico) comune sia condizione
fondamentale del bene comune umano»
4
.
Il rapporto tra economicità e socialità è una questione delicata che può essere
articolata in due punti:
4
P.Onida, Economicità, socialità ed efficienza nell’amministrazione d’impresa, in “Rivista Italiana di Ragioneria”, n.3/4,
1961.
6
1) il concetto di socialità, cioè la creazione di benessere comune, non sempre
coincide con quello di economicità, in quanto l’attività dell’impresa può produrre
anche effetti di segno negativo. L’ impresa, operando nel sistema sociale, deve
tenere conto degli effetti che produce, in quanto dagli attori che operano in
questo sistema dipende la sua legittimazione. Il compito dei dirigenti d’azienda è
principalmente quello di cercare di mantenere livelli accettabili di socialità, senza
danneggiare l’economicità.
La condizione essenziale dell’economicità è l’equilibrio economico medio, ossia
l’autosufficienza economica dell’impresa : i ricavi devono essere superiori ai costi
dei fattori produttivi acquisiti sul mercato. In mancanza di un equilibrio economico
durevole nel tempo, l’impresa non può sopravvivere e quindi svolgere la sua
funzione sociale.
L’equilibrio costi-ricavi può essere valutato in due differenti situazioni
5
:
a) quella di breve periodo, dove l’equilibrio è fortemente auspicabile, ma
comunque non sempre strettamente necessario: situazioni negative possono
essere determinate dalla sottoposizione dell’azienda a pressioni e tensioni
volontarie, al fine di ottenere un miglioramento dell’economicità, così come
situazioni in cui l’equilibrio è favorevole possono nascondere al loro interno
pericolose tendenze involutive;
b) quella di lungo periodo, in cui diversamente, in quanto l’equilibrio economico
deve esistere come condizione essenziale per la vita e la vitalità dell’azienda.
Possono esservi fasi positive, altre meno favorevoli, ma l’importante è che resti la
prospettiva di convenienza; senza questa prospettiva l’impresa non ha senso di
esistere.
Anche la ricerca di una maggiore socialità deve tenere conto dei vincoli di natura
economica e, quindi, se l’azienda, per aumentare la propria legittimazione sociale
e infine il proprio grado di economicità, può tollerare equilibri negativi, deve
comunque operare in una prospettiva di equilibrio nel lungo periodo.
Tornando al rapporto tra i due concetti di economicità e socialità, si sottolinea che
l’azienda, nello svolgere la propria attività economica, svolge anche un ruolo
sociale, apportando un contributo allo sviluppo del sistema economico e del
sistema sociale. Ciò, ovviamente, non significa che gli obiettivi della società
5
R.Corticelli, L’azienda :economia e socialità, in “Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale”,
gennaio/febbraio, 1995.
7
coincidano con quelli dell’azienda, ma ipotizza solo un continuo comporsi degli
interessi dell’uno e dell’altra.
Se questa affermazione è oggi universalmente riconosciuta, così non era fino ad
alcuni anni fa, quando erano in molti a sostenere la coincidenza tra funzione
economica e sociale dell’impresa e si pensava che anche quest’ultima consistesse
nella produzione di un più elevato risultato economico
6
: infatti anche l’indicatore
che riassumeva entrambe le funzioni era individuato nel reddito di esercizio.
L’evoluzione delle imprese, dell’economia e della società ha fatto in modo che
cambiassero anche le aspettative nei confronti dell’impresa. Mentre in passato si
pensava che il perseguimento degli obiettivi economici fosse sufficiente
all’impresa, che si poneva come centro produttore di ricchezza e di posti di lavoro,
per assolvere la sua funzione sociale, il miglioramento continuo delle condizioni di
vita dei contadini ha fatto in modo che questi ultimi diventassero più sensibili a
questioni di ordine ambientale ed etico-sociale, aumentando le proprie aspettative
nei confronti dell’impresa. Soprattutto ci si è resi conto che il risultato economico
poteva essere realizzato anche a discapito di interessi di singoli e di gruppi e
talora anche a discapito dell’intera società.
Un’impresa deve quindi cercare un giusto equilibrio tra le due dimensioni, tenendo
conto che se essa risulta orientata esclusivamente all’economicità trascurando gli
effetti e, soprattutto, le diseconomie prodotte dalla sua attività, rischia di essere
delegittimata agli occhi della società civile, compromettendo la sua stessa
esistenza nel sistema socio-economico; per contro, un orientamento
eccessivamente orientato alla socialità può far perdere di vista gli obiettivi
economici dai quali dipende la sua sopravvivenza.
2) Il secondo nodo riguarda come e fino a che punto un’impresa può contribuire al
benessere comune senza compromettere la sua natura di istituto economico. Se
quindi le è richiesta una maggiore responsabilità nei confronti della società, come
si manifesta quest’ultima e a chi l’impresa deve rendere conto delle sue azioni?
6
“Del resto, il progresso dell’economia di mercato e della tecnica, che impone massicci investimenti di capitale nella
produzione tende ad avvicinare sempre più la produttività particolare dell’azienda alla produttività economico-sociale
ed al più largo bene comune che i criteri di socialità dovrebbero promuovere. La via del profitto, almeno a lungo
termine, tende a coincidere con quella della più larga produzione, dei bassi prezzi, dei più alti salari, e, in genere,
della distribuzione che meglio diffonde il benessere e consente più nobili condizione di vita alle masse umane”,
P.Onida, Economicità, socialità ed efficienza nell’amministrazione d’impresa, in “Rivista Italiana di Ragioneria”, n.3/4,
1961.
8
Queste domande trovano, in parte, una risposta nel concetto di stakeholder
7
, che
permette di individuare quali sono i soggetti detentori di interessi, non solo di
natura economica, nei confronti dell’impresa.
Alla luce del concetto di stakeholder si può sostenere che, se l’economicità si
manifesta nella ricerca dell’equilibrio di lungo periodo tra costi e ricavi, la socialità
nella gestione dell’impresa può essere rilevata in tutti quegli sforzi che tendono a
far convergere, naturalmente, non in modo coercitivo, gli interessi degli
stakeholders con quelli dell’impresa stessa e questo avviene soddisfacendo,
quando possibile, le loro istanze.
Ruolo economico e funzione sociale dell’impresa non devono più essere visti come
elementi contrapposti, piuttosto devono essere gli uni funzionali agli altri. In tal
modo essa riuscirà nel lungo periodo a perseguire meglio i propri obiettivi
economici e sarà legittimata socialmente.
7
Vedere approfondimenti nel par.1.5.3
9
1.2 Socialità, sviluppo sostenibile e responsabilità sociale
Il concetto di socialità può essere collegato a quello di responsabilità sociale, tema
che a sua volta si inserisce nel più vasto ambito del concetto di sviluppo sostenibile,
venuto ormai alla ribalta anche tra l’opinione pubblica.
I problemi etici relativi allo sviluppo hanno assunto un’importanza fondamentale con
riguardo alla sua sostenibilità.
Il concetto di sviluppo sostenibile è molto vasto e comprende varie problematiche,
quali la crescita demografica, il degrado ambientale, la crescita del reddito, nonché il
ruolo delle istituzioni a livello nazionale ed internazionale. Nello spiegare cosa si
intende per sviluppo sostenibile, procediamo per gradi e introduciamo, innanzitutto, il
concetto di sostenibilità.
Si definisce sostenibile la gestione di una risorsa se, nota la sua capacità di
riproduzione, non si eccede nel suo sfruttamento oltre una determinata soglia.
Estendere i concetti relativi alla sostenibilità da singole risorse naturali all’intero
sistema economico è stato un passaggio cruciale e non privo di contraddizioni.
L’espressione “sviluppo sostenibile”
8
è diventata molto popolare sul finire degli anni
‘80. Nel 1987 infatti è stato pubblicato il Rapporto Brundtland elaborato nell’ambito
delle Nazioni Unite, al cui interno viene data un’importante definizione di sviluppo
sostenibile: "Lo sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni delle generazioni presenti,
senza compromettere le possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri
bisogni". Da un punto di vista economico, tale definizione è stata totalmente
disattesa, tanto che si è finito per parlare di crisi ambientale come crisi economica.
Ciò significa che è necessario allargare la nozione di benessere e di sviluppo
economico sino a ricomprendere il valore ambientale
9
.
L’impresa che favorisce la sostenibilità si garantisce una maggiore sopravvivenza e
sviluppo nel lungo periodo e può sfruttare i vantaggi della eco-efficienza ai fini della
sua competitività.
Lo sviluppo sostenibile, in ogni caso, rappresenta l'unica soluzione realistica di fronte
al notevole aggravarsi dei problemi ambientali e all'evidenza della crisi del rapporto
8
Sullo sviluppo sostenibile è stata inserita un’apposita norma all’art.109 L.388/2000 (legge finanziaria per il 2001).
9
«La valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente (la cosiddetta valutazione ambientale
strategica, Vas) è stata introdotta in ambito comunitario. Con l’entrata in vigore della direttiva 2001/42/CE è stato
introdotto un concetto altamente innovativo per la valutazione dell’uso e dello sfruttamento del territorio, poiché la
Vas deve precedere l’approvazione legislativa della pianificazione. E’ dunque cosa ben diversa e assai più ampia
rispetto alla Valutazione d’impatto ambientale (Via) che riguarda solo singole categorie di opere e che non rientrano in
nessuna pianificazione nazionale effettuata a monte» - Il sole 24 ore del 22/08/2001, pag.15
10
tra sviluppo e limitatezza delle risorse che hanno caratterizzato in particolare questi
ultimi decenni.
La sostenibilità influisce sull'immagine di un'impresa, sulla percezione che gli
stakeholders nel loro insieme ne hanno, sugli utili conseguibili e sull'apprezzamento
del mercato nei confronti del titolo azionario. Essere sostenibili rappresenta un fattore
competitivo e quindi un potenziale vantaggio: vuol dire per esempio mettersi al riparo
da possibili azioni di contestazione e al limite di boicottaggio; ridurre l'influenza
negativa che sulla propria attività può esercitare una crisi energetica; ricoprire un
ruolo complessivamente più positivo all'interno della collettività e vederselo
riconosciuto. Specie in un'ottica di medio e lungo periodo, quindi, le aziende
sostenibili e i loro titoli azionari presentano minori rischi rispetto ad aziende poco o
non sostenibili; sul breve e brevissimo periodo, invece, i benefici effetti di tali pratiche
sono probabilmente meno evidenti e monetizzabili. Le aziende che si distinguono per
la loro eticità sono solitamente portate ad esempio (casi di "best practice") e prese a
modello dalle altre; queste best practice devono rispondere a requisiti di misurabilità,
innovatività, riproducibilità, sostenibilità, proprio perché dovranno poter servire da
standard di riferimento per le altre imprese che vorranno impegnarsi eticamente.
La responsabilità sociale dell’impresa va ben oltre il semplice problema di come le
imprese dovrebbero essere coinvolte nella vita delle loro comunità. Si tratta di
abbandonare l’idea errata che gli obiettivi sociali, ambientali ed economici sono
inevitabilmente in conflitto. L’impresa e la società sono inscindibilmente legate e le
azioni dell’una avranno sempre effetti sull’altra.
La Corporate Social Responsibility (CSR) riguarda il modo in cui i diversi obiettivi
possono lavorare insieme e sostenersi reciprocamente.
Esiste una consapevolezza sempre maggiore che le imprese dovrebbero essere
coinvolte nella vita delle loro comunità, ma questa non è una strada a senso unico. Le
imprese, il volontariato, il settore pubblico ed altre organizzazioni devono essere
consapevoli dell’impatto che hanno sulla loro comunità
10
: dai residenti locali della
porta accanto, ad una fabbrica, ai lavoratori dell’altra parte del mondo, tutti devono
essere presi nella dovuta considerazione.
Inoltre le attività della CSR possono aiutare ad interessare il personale più capace e
fortemente motivato – in particolare i giovani – e costruire il valore del marchio e una
maggiore fedeltà dei clienti.
10
Qui si tratta di comunità nell’accezione più ampia.
11
La ricerca ha dimostrato che i consumatori stanno diventando sempre più consapevoli
di questi temi. Questo crea rischi ed opportunità per le imprese, con chiari benefici
fino alla base, per quelle imprese che possono rispondere in modo efficace.
Ma la CSR è più di un semplice aumento del profitto; può anche aiutare a motivare il
personale e a contribuire ad una buona reputazione tra una vasta gamma di parti
interessate, non solo di consumatori.
E’ stato criticato il fatto che la CSR possa essere usata come una cortina fumogena
delle Pubbliche Relazioni, affinché le imprese vi si nascondano dietro, ma questo tipo
di comportamento non rappresenta il vero spirito della CSR e la prova sperimentale
della condotta socialmente responsabile sarà data dall’impatto sul popolo reale nelle
situazioni reali.
L’interesse suscitato dalle tematiche della responsabilità sociale d’impresa si sta
diffondendo ad ogni livello: non si registrano significative differenze tra grandi e
piccole imprese, tra industria e servizi, come dimostra chiaramente il ricorso alla
certificazione di qualità, sociale ed ambientale. Semmai, c’è una diversa scala di
priorità nelle diverse aree, a causa dei contesti e dei bisogni differenti.
La responsabilità sociale dell’impresa può affrontare alcune delle sfide più
impegnative che ci troviamo di fronte come società; può colmare divisioni e ridare
vita alle comunità che si trovano in difficoltà.
Si sta dibattendo sulla misura in cui i Governi dovrebbero essere coinvolti nella CSR e
sul valore di regolamentare le attività socialmente responsabili. Esistono buoni
argomenti a sostegno e contro la regolamentazione, ma non si può rendere
obbligatoria una virtù e d’altra parte un intervento eccessivo potrebbe solo soffocare.
Nondimeno, esiste un ruolo per il giusto tipo di regolamentazione: una
regolamentazione intelligente e ben concepita può permettere ed incoraggiare attività
socialmente responsabili.
Trovare il giusto equilibrio tra approccio volontario e normativa è solo una parte di
quello che i Governi possono fare. Essi devono avere come obiettivo quello che tutte
le organizzazioni, nel settore pubblico e privato, tengano conto dell’impatto
economico, sociale ed ambientale che hanno su tutte le loro comunità, e questo a
livello locale, regionale, nazionale ed internazionale. Inoltre essi dovranno aiutare a
trasformare la CSR dall’essere vista come un’ “aggiunta”, all’essere una parte centrale
delle strategie industriali.
12
1.3 Il contesto economico - sociale
Negli ultimi anni i fenomeni di internazionalizzazione e globalizzazione dei mercati
11
hanno portato le economie ad intensificare gli scambi e a competere in aree più vaste
rispetto alle consuete realtà nazionali, nonché al confronto tra realtà diverse con
riferimento ai sistemi giuridici e, di conseguenza, al concetto di etica.
Pertanto, in un contesto così internazionalizzato, un’azienda deve confrontarsi con
differenti “sistemi di valori” e scegliere a quali pressioni rispondere: diviene essenziale
predisporre una “gerarchia delle etiche” da osservare e rispettare.
Ad esempio, una grande impresa americana, che produca in stabilimenti in India dove
si fa ricorso al lavoro minorile, può apparire sulle cronache economiche di tutto il
mondo per il suo comportamento “non etico” e pertanto essere “costretta” a
chiudere gli stabilimenti. Le reazioni a tale decisione saranno sicuramente diverse:
negli Stati Uniti il “ripensamento etico” sarà valutato positivamente, mentre in India,
dove è perfettamente normale e legale servirsi di lavoro minorile, l’opinione pubblica
giudicherà “non etico” l’aver privato le famiglie dell’unica fonte di reddito che,
sebbene basata sul lavoro di minori, aveva come unica alternativa quella della fame e
della prostituzione o ancora della microcriminalità.
Questo esempio è certamente utile a comprendere le ragioni delle aziende, che in
genere decidono sulla base di pressioni che vengono dai loro “ambienti di
riferimento”. In altri termini, nel più ampio panorama degli stakeholders, si assegna
particolare importanza alle pressioni di chi può, con i propri comportamenti,
influenzare e compromettere la gestione aziendale (figura 1.1).
11
Si definisce “internazionalizzazione” la crescente apertura e l’integrazione delle economie, i cui mercati, però, sono
rimasti prevalentemente contenuti nell’ambito delle frontiere dei singoli Stati. La “globalizzazione” è, invece, il
processo attraverso il quale si ha un allargamento dell’orizzonte dell’attività economica a livello planetario.
13
Figura 1.1 - L’identificazione degli stakeholders chiave e delle aree di interesse
deve tenere conto dei mutamenti di interesse e influenza nel tempo
In tal modo si recupera anche il valore dei contesti locali di riferimento, all’interno dei
quali diventa vitale saper riconoscere tutti i reali e potenziali portatori di interessi,
curando il rapporto con ognuno di essi.
I comportamenti etici, quindi, finiscono per impattare pesantemente sulle scelte
organizzative. Appare evidente che l’etica condiziona l’economia di un’azienda e
costituisce un elemento di valutazione in più, sia in sede di programmazione
strategica, sia ai fini di un corretto posizionamento nel mercato.
Da tale osservazione si evince l’esistenza di un rapporto piuttosto stretto tra
globalizzazione, etica e mercati finanziari, rapporto che si articola in più punti:
ξ In un contesto di apertura internazionale, i modelli gestionali di un paese si
confrontano con altri e, dovendo stabilire delle priorità, le imprese adottano i
valori etici del contesto in cui la “pressione” può provocare maggiori danni alla
gestione;
ξ Esiste una concorrenza tra norme e regolamenti di vari paesi. Le imprese sono
sensibili ai vantaggi o agli svantaggi competitivi che le differenti legislazioni
possono generare. In ogni caso, le imprese prediligono contesti di normazione
poco estesa, dove lo spazio per l’interpretazione dell’etica è maggiore;
14
ξ Il comportamento etico delle imprese va contestualizzato, non solo rispetto ai
paesi, ma anche e soprattutto rispetto alle norme che regolano la vita economica
e sociale di quel paese;
ξ Gli analisti finanziari tendono a pesare, non solo le performance finanziarie
delle imprese, ma anche le performance etiche.
Nella società dell’informazione e della comunicazione, quindi, l’etica dell’impresa
paga, sia nei confronti dell’opinione pubblica e dei consumatori, sia nei confronti di
tutti i portatori di interessi, compresi gli investitori. L’etica diventa elemento ispiratore
del business ed è anche per questo motivo che va rendicontata, raccontata e
comunicata.
Lo scenario attuale determina la necessità di inserire tutto ciò all’interno di un disegno
unico, coinvolgendo tutti gli attori nel sistema socio-economico di appartenenza.
Sistema diventa la parola chiave. Gli attuali contesti economici sono frutto di
complesse reti di relazioni ed interessi, dove l’insieme non corrisponde alla somma
delle singole parti, ma assume un valore suo proprio.
Oggi la responsabilità sociale d’impresa deve diventare una vera missione, un modo
di essere e di agire nel perseguimento dei reali obiettivi di mercato; deve essere parte
integrante della strategia di sviluppo di un’azienda, alla quale spetta il compito di
mostrare coerenza e responsabilità in tutti i campi della propria attività. Pertanto
l’impresa non deve limitare il suo ruolo al raggiungimento del profitto per i propri
azionisti, ma deve completarsi condividendo e partecipando direttamente al progresso
economico e sociale del Paese.
15
1.4 L’oggetto della responsabilità sociale d’impresa
I primi tentativi di identificazione della responsabilità sociale risalgono alla prima
guerra mondiale, ma è solamente a partire dagli anni ’50 negli Stati Uniti che inizia a
diffondersi un vero e proprio dibattito sull’argomento, dibattito che verrà ripreso negli
anni successivi in tutta l’Europa occidentale
12
.
Una prima definizione del termine è stata proposta da Bowen, nel 1953, e ancora
oggi può essere considerata in parte valida: “la responsabilità sociale è il dovere degli
uomini d’affari di perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni, di seguire
quelle linee d’azione che sono desiderabili in funzione degli obiettivi e dei valori
riconosciuti dalla società”
13
.
L’Italia, per diversi motivi, è in netto ritardo nella percezione della problematica. La
grande crisi degli anni ’70 si è tradotta in una grave situazione di incertezza
economica e politica che ha coinvolto le aziende italiane. Tali aziende, riuscendo a
malapena ad ottenere la quadratura del bilancio economico, non avevano i mezzi
necessari per condurre riflessioni e studi rivolti all’innovazione dei sistemi di gestione.
Verso la fine degli anni ‘70, negli Stati Uniti, il dibattito era concentrato sul seguente
interrogativo: la responsabilità sociale è una moda passeggera oppure l’inizio di un
fondamentale cambiamento di direzione aziendale?
Alcuni grandi economisti hanno cercato di opporsi a questa nuova visione e, a
riguardo, le parole dell’economista Milton Friedman sono molto chiare: “Ci sono poche
cose così pericolose per le fondamenta della nostra libera società, quanto l’accettare,
da parte dei dirigenti aziendali, il concetto di responsabilità sociale, piuttosto che il
servire nel miglior modo possibile gli interessi degli azionisti della loro impresa”
14
.
Sulla scia delle parole di Friedman altri studiosi hanno mosso critiche sull’importanza
della responsabilità sociale:
ξ L’obiettivo dell’impresa è economico e non sociale: secondo la dottrina
economica classica, un’impresa può definirsi socialmente responsabile quando si
occupa solamente dei propri interessi economici, lasciando le rimanenti attività ad
istituti ed ordinamenti non economici;
12
F. Vermiglio, Il bilancio sociale nel quadro evolutivo del sistema d’impresa, Grafo Editore, Messina, 1984.
13
H. Bowen, Social Responsibility of the Businessman, Harper, New York, 1953.
14
M. Friedman, Capitalism and Freedom, Chicago University Press, 1962.