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l’introduzione alla riforma Visco, gli obiettivi della riforma stessa e le
regioni “ teoriche “ della sua introduzione nell’economia italiana:
vengono presentati gli obiettivi della riforma: IRAP e DIT , diverse tra
loro nei presupposti, hanno finalità, se non simili, quanto meno “
complementari” e sinergici e sono volte al raggiungimento di un comune
obiettivo. Tale riforma introduce profonde modifiche strutturali nel
sistema tributario vigente, attuando un decentramento di prelievo dallo
stato alle regioni, alle quali, almeno in teoria, come si dirà, viene
riconosciuta una maggiore autonomia finanziaria per lo svolgimento
delle loro politiche di bilancio.
All’analisi del bilancio di esercizio, nei suoi aspetti civilistici e fiscali, e
all’introduzione degli aspetti e delle finalità della riforma, segue, nella
seconda parte del lavoro, l’esame delle imposte gravanti sulle società di
capitali, confrontando la vecchia normativa composta da IRPEG e ILOR,
e nuova normativa introdotta dalla riforma, che comprende anche l’IRAP
e la DIT. La descrizione delle imposte si basa segnalandone gli aspetti
fondamentali, quali presupposto e periodo di imposta, soggetti passivi,
base imponibile e così via. Alla fine di questa seconda parte, viene
presentato un breve capitolo sulla dichiarazione dei redditi, senza andare
in dettagli tecnici che trascendono il fine di questo lavoro.
E la terza infine, considera la riforma nel suo complesso, considerando le
aspettative dei fautori della riforma, gli errori di calcolo e di previsione,
lo scostamento fra gli obiettivi sperati e i risultati realmente raggiunti, gli
effetti della riforma sulle decisioni di investimento delle imprese, e sulla
loro struttura finanziaria. Naturalmente ci si basa ancora una volta sulla
discussione dei bilanci delle società di capitale per prevenire eventuali
aumenti nel rischio di credito. Anche se dalla relazione governativa si
evince che l’applicazione di IRPEG+ IRAP porta ad una tassazione di
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circa 12 punti in meno rispetto alla normativa precedente, la correttezza
di questo calcolo non è condivisa dalla categoria dei dottori
commercialisti e dei ragionieri, nonché dagli stessi imprenditori, che
sottolineano come l’IRAP non possa essere semplicemente sommata
all’IRPEG poiché le due imposte hanno basi imponibili differenti. Infatti
la base imponibile IRAP è data dalla differenza tra Valori e Costi della
produzione, sottolineando però l’indeducibilità di alcune voci dei costi
tra le quali i costi del personale e degli oneri finanziari, penalizzando,
con l’esclusione di queste voci, le imprese che hanno acceso
finanziamenti con terzi e che hanno alle loro dipendenze molto
personale. Per quanto riguarda gli effetti sulla struttura finanziaria delle
imprese, l’obiettivo è quello di diminuire la discriminazione di
trattamento fiscale che favorisce l’indebitamento rispetto
all’autofinanziamento e al capitale di rischio: viene segnalato un
importante fine generale della riforma che è quello di raggiungere un
maggior ricorso al capitale di rischio portando le imprese a
patrimonializzarsi, con un incentivo alla quotazione in borsa che
potrebbe contribuire alla crescita del mercato azionario nazionale.
Vengono messe in luce le critiche alla riforma, per esempio per la misura
del coefficiente di remunerazione ordinario della DIT, giudicato troppo
basso per poter invogliare l’incremento del capitale di rischio a fronte di
una minima agevolazione , o per le difficoltà nel calcolo della base
imponibile dell’IRAP, o per gli effetti sul costo del lavoro.
Alla fine del lavoro si cercherà di dare una risposta ai quesiti più
importanti: che effetto ha avuto e può avere la nuova tassazione
sull’economia italiana nel suo complesso dal momento che il problema
economico più grave che la nuova Europa deve affrontare è quello di
ridurre il tasso di disoccupazione? A questo proposito verranno
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presentati anche gli effetti della riforma sul costo dei fattori produttivi,
soprattutto appunto nel costo del lavoro.
Alla fine si cercheranno di trarre alcune conclusioni che rispecchiano le
opinioni, non sempre concordi, di enti istituzionali e associazioni di
categoria. Il tentativo di questo lavoro cerca di anticipare le opinioni
della commissione parlamentare dei trenta, che da un anno
dall’introduzione dell’imposta, è in procinto di tirare le somme.
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PARTE PRIMA:
BILANCIO E REDDITO DI IMPRESA NELLA
GESTIONE AZIENDALE
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1) Bilancio di impresa.
1.1) Disposizioni legislative e bilancio: i principi contabili.
Per la redazione del bilancio di esercizio si tiene conto dei principi
contabili suddivisi in:
In un sistema dall’economia avanzata, esiste una organica e analitica
disciplina giuridica del procedimento di formazione del bilancio di
impresa , che, redatto al termine del periodo amministrativo, è il
documento che visualizza la situazione patrimoniale, finanziaria,
economica dell’azienda. La disciplina del bilancio , riformata dal decreto
legislativo n. 127 del 9 aprile 1991, in recepimento della 4’ direttiva
comunitaria del 25-7-1978, è contenuta negli articoli 2423 e seguenti del
codice civile. Questi articoli, sono collocati all’interno delle disposizioni
che regolano il funzionamento delle SPA, e pertanto ad esse sono riferiti.
Queste norme, sono applicabili anche alle SAPA(art. 2464), alle
Principi fondamentali
(art.2423 c.c.)
Principi generali
(regole di redazione del bilancio)
(art.2423 bis c.c.)
Principi applicati
Regole formali regole sostanziali
(art.2424-2425 bis c.c) (art.2426 c.c.)
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SRL(art.2491), alle Società cooperative(art. 2516), alle mutue
assicurazioni(art. 2547).
L’art. 2217 del codice civile, prescrive che le società di persone e le
imprese individuali, devono rispettare le norme relative al bilancio di
esercizio, soltanto per la parte relativa ai criteri di valutazione: questi
soggetti sono pertanto esclusi dal rispetto della normativa relativa alla
struttura formale, della rappresentazione del bilancio, struttura che deve
comunque essere conformata ai corretti principi fissati dalla tecnica
contabile. Per società che operano in particolari settori di attività, il
bilancio di esercizio non deve essere redatto nel rispetto delle
disposizioni previste dal decreto legislativo 127/91, ma in base a regole
specifiche. Si sta parlando di banche, e di società finanziarie, che
redigono il bilancio sulla base delle disposizioni dettate dal decreto
legislativo n.87 del 27-1-1992.
1.11) Contenuto del bilancio.
Il codice civile regolamenta la redazione del bilancio d’esercizio,
fissando in modo rigoroso i prospetti che lo compongono, contenuto e
criteri di valutazione. Nell’art.2423, in 4 capoversi, è fissata la clausola
generale per la redazione del bilancio.
I) Primo capoverso: esso recita: “ gli amministratori devono
redigere il bilancio di esercizio composto di stato patrimoniale,
conto economico, nota integrativa.” Le tre parti formano un unico
documento, corredato alla fine dalla relazione sulla gestione. Lo
stato patrimoniale, secondo l’art.2424 del codice civile, redatto a
sezioni contrapposte si suddivide in nei sottosistemi di attività e
passività, la cui somma algebrica da il patrimonio netto. Lo stato
patrimoniale, raffigura mediante dei sistemi di valore, la ricchezza
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a disposizione dell’azienda in un dato istante, per lo svolgimento
dell’attività di gestione. In altre parole, questa parte del bilancio
evidenzia il patrimonio esistente alla fine del periodo
amministrativo, come risulta dai criteri di valutazione: viene
redatto a sezioni divise in base ad uno schema a struttura
obbligatoria. Il conto economico regolato dall’art.2425, redatto in
forma scalare, con valori classificati secondo la loro natura, indica
i componenti positivi e negativi di reddito che vengono imputati
all’esercizio secondo i principi di competenza economica. La
somma algebrica di tali componenti di reddito da il risultato
economico d’esercizio. La nota integrativa secondo l’art.2427, è
l’elemento del bilancio di non derivazione contabile, ed è redatta
con linguaggio discorsivo , non con termini “quantitativi”. Essa ha
una funzione descrittiva, illustrando alcuni aspetti delle voci di
stato patrimoniale e di conto economico, e funzione informativa,
in quanto alcune notizie non possono essere fornite dal linguaggio
quantitativo dei valori. I tre elementi, pur con compiti distinti e
specifici, sono tuttavia complementari.
II) Secondo capoverso. Il secondo capoverso indica il fine generale
del bilancio, il quale deve essere redatto con chiarezza, e deve
rispecchiare in modo veritiero e corretto situazione patrimoniale e
finanziaria della società e risultato economico di esercizio. I
requisiti di chiarezza, verità e correttezza sono ricondotti al
principio di “intellegibilità “ del bilancio che riguarda sia le
valutazioni, sia le modalità di rappresentazione dei valori: i valori
del bilancio possono essere elaborati con tecniche appropriate e
queste consentono la determinazione degli indici di bilancio, per
l’analisi di bilancio.
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III) Terzo capoverso. Il terzo capoverso recita: “ Se le informazioni
richieste da specifiche disposizioni fiscali non sono sufficienti a
dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire
informazioni complementari necessarie a tale scopo. Questo per
garantire una migliore intellegibilità del bilancio.
IV) Quarto capoverso. Il quarto capoverso ribatte sull’importanza
della rappresentazione veritiera e corretta che è una condizione
irrinunciabile. Infatti esso prescrive:” se in casi eccezionali
l’applicazione di una disposizione è incompatibile con una
rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve
essere applicata e la nota integrativa, deve motivare la deroga e
indicare l’influenza sulla rappresentazione della situazione
patrimoniale, finanziaria e sul risultato economico dell’esercizio.
Il bilancio d’esercizio delle società di capitali è soggetto all’obbligo di
pubblicazione, è portato a conoscenza di terzi e costituisce lo strumento
principale di comunicazione dei risultati conseguiti a cui sono interessati
non solo i portatori di capitale proprio, ma anche gli altri finanziatori, il
personale dipendente, i clienti, i fornitori, l’amministrazione pubblica, i
sindacati, le associazioni, gli studiosi.
L’art. 2435- bis del codice civile, per le società di minori dimensioni,
prevede per queste la possibilità di redigere il bilancio in forma
abbreviata. Una società è considerata di minori dimensioni quando per
due anni consecutivi, non supera due dei seguenti limiti: 4700 milioni di
totale attivo; 9500 milioni di ricavi; 50 dipendenti.
1.12 I postulati del bilancio: principi fondamentali di redazione.
Il bilancio, in base a quanto disposto dall’art. 2423 del codice civile,
come accennato nel discorso appena trattato, deve essere redatto con
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chiarezza e precisione e deve rappresentare in modo veritiero e corretto
la situazione patrimoniale e finanziaria dell’azienda e il risultato
economico dell’esercizio.
L’aggettivo “veritiero”, indica come esigenza di applicare correttamente
i principi contabili nello effettuare stime e congetture, e non come
pretesa di ottenere una verità oggettiva , la quale è impossibile da
ottenere, poiché patrimonio e reddito sono influenzati da valori stimati e
congetturati( si pensi al valore attribuito alle rimanenze, ai fondi rischi
ed oneri, agli ammortamenti).
La forma del bilancio non è libera, perciò, devono essere rispettati gli
schemi previsti dal codice civile: bisogna quindi seguire l’ordine di
esposizione previsto dal legislatore e alle singole voci devono essere
assegnati con esattezza gli importi corrispondenti. Mentre è possibile
aggiungere ulteriori suddivisioni alle voci esistenti, vige il divieto
generale di raggruppare voci e di eliminare alcuni degli schemi di
bilancio. Però bisogna dire che è possibile raggruppare voci quando i
relativi valori sono scarsamente significativi, o quando il
raggruppamento aumenta la chiarezza espositiva.
1.13 I principi di redazione.
Nell’ambito del processo che si conclude materialmente con la redazione
del bilancio di esercizio, ma che comprende come fase preliminare e
indispensabile la redazione dell’inventario, delle scritture di
assestamento, e della situazione contabile finale, devono essere osservati
i principi generali di redazione, che sono dettati e approfonditi dalla
prassi contabile( attraverso le associazioni di esperti), e dalla
interpretazione diretta o indiretta della legge. Questi principi generali,
sono riportati nel documento 1 e nel documento 11 della Commissione
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interprofessionale per la statuizione dei principi contabili, di cui 5, dal 2
al 6, sono previsti dall'’rt.2423-bis del codice civile. Questi sono:
1) neutralità e imnparzialità;
2) continuità( going concern);
3) prudenza;
4) competenza;
5) valutazione separata delle voci di bilancio;
6) costanza;
7) periodicità;
8) utilità;
9) comparabilità;
10) omogeneità;
11) preminenza della sostanza sulla forma;
12) significatività o rilevanza;
13) il costo come criterio base per la valutazione del bilancio di
esercizio;
14) la conformità del procedimento di formazione a corretti principi
contabili;
15) adeguta informativa supplementare;
16) verificabilità dell’informazione.
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Tra questi vengono esposti e spiegati, perché più importanti e per evitare
di dilungarsi troppo o perdersi nei dettagli, i seguenti:
- Continuità e prudenza: la continuità presiede alla configurazione dei
valori del bilancio ordinario, cioè di esercizio; se non si considerasse
questo principio, si hanno i bilanci straordinari, come per esempio quelli
di liquidazione. Il bilancio di esercizio è un sistema di modelli,
configurato per conoscere il reddito e il correlato capitale. La continuità
della gestione costituisce la condizione di esistenza dell’azienda stessa;
le condizioni di esistenza sono soddisfatte quando la stessa, mediante
l’attività di gestione, è in grado di : I) soddisfare le aspettative dei
partecipanti all’intrapresa economica come conferenti di capitale e
prestatori di lavoro; II) mantenere un grado di sufficiente economicità,
cioè conservare l’equilibrio economico della gestione , vale a dire la
capacità dell’impresa di conseguire in una prospettiva quanto meno di
meno periodo, ricavi superiori ai costi di esercizio, per consentire una
remunerazione congrua per il capitale di rischio; III) mantenere
l’equilibrio monetario della gestione per far fronte al pagamento delle
obbligazioni assunte.
Il principio della continuità della gestione, deve essere considerato a due
differenti livelli: I) controllo delle possibilità di normale funzionamento
dell’impresa, con esclusione dell’ipotesi di liquidazione o di altre che
comportino la cessazione dell’attività di gestione tipica; II) prospettiva
dei programmi di gestione per la valutazione dei fattori di produzione
destinati a partecipare a tale programmata attività.
Per quanto invece riguarda il concetto di prudenza, nella determinazione
dei valori di bilancio, alla fine del periodo amministrativo, occorre
includere fra i valori di esercizio, i margini negativi o perdite anche se
non sono ancora stati realizzati, mentre i margini positivi , cioè utili o
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profitti, possono essere attribuiti all’esercizio solo se realizzati. Si
definisce realizzato un costo quando è definitivamente quantificato con
un prezzo di acquisto, mentre un ricavo è realizzato quando è
definitivamente quantificato con un prezzo di vendita. Quando si ritiene
possibile ottenere un margine sulle vendite, la valutazione al costo segue
il principio di prudenza. Se al contrario si reputa che i previsti futuri
ricavi non siano in grado di conseguire tale margine, il principio di
prudenza vuole che nell’esercizio siano imputati i componenti negativi di
reddito connessi alle necessarie svalutazioni. Il requisito della
realizzazione, ha convenzionalmente acquisito un valore normativo : il
reddito di esercizio può essere rilevato nel bilancio solo quando i ricavi
sono realizzati con evidenza verificabile e la loro determinazione è
oggettiva, in quanto misurata al prezzo di vendita formatosi nello
scambio. Il principio di prudenza è condizionato dal postulato della
rappresentazione vera e corretta, che ne orienta l’applicazione
impedendone ogni deroga; il postulato in questo caso, prevale sul
principio. Le partecipazioni possono essere valutate, anziché al costo di
acquisizione, al valore corrispondente alla frazione posseduta dal
patrimonio netto della società partecipata, risultante dall’ultimo bilancio.
Quando il valore così determinato è superiore al costo di acquisizione, il
carattere assiomatico e inderogabile della norma indicata dall’art.2423,
prevale su quella dell’art.2423- bis. Una analoga situazione si verifica
nella valutazione delle commesse pluriennali: nella fase di esecuzione di
tali commesse, la loro valutazione può essere eseguita anziché sulla base
del loro costo, tenendo conto dei “corrispettivi” contrattuali maturati in
base ad una “ragionevole certezza.
- Compatibilità: in base a questo principio, i criteri di valutazione, non
possono essere modificati da un esercizio all’altro; poiché a seconda dei
criteri di valutazione utilizzati si ottengono risultati diversi, per rendere i
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documenti fra loro confrontabile nel tempo, è indispensabile applicare
criteri costanti di valutazione, in modo che i bilanci siano coerenti e
omogenei. Qualora l’esigenza di rappresentare in modo veritiero e
corretto il patrimonio e il reddito di esercizio richieda di cambiare i
criteri di valutazione, deve essere specificato l'effetto che la modifica
comporta sul risultato d’esercizio, e sulla determinazione del patrimonio
di funzionamento.
- Competenza: Il punto d dell’art.31 della quarta direttiva, afferma che “si
deve tenere conto degli oneri e dei proventi relativi all’esercizio al quale
i conti si riferiscono, senza considerare la data del pagamento o
dell’incasso della suddetta spesa e dei suddetti proventi; la competenza
economica prevale su quella temporale . Per la corretta determinazione
del reddito si configura l’esercizio, inteso dalla teoria economico-
aziendale come un’unità economica relativa, riducendo i componenti
positivi e negativi di reddito ad un’unità, relativa quest’ultima al periodo
amministrativo che da nome all’esercizio stesso. La composizione ad
unità dei componenti di reddito, si basa sul principio di correlazione tra
costi e ricavi e per fare ciò, occorre osservare lo svolgimento dei processi
produttivi. I costi sostenuti durante un periodo amministrativo possono
essere economicamente correlabili ai ricavi che si realizzeranno
totalmente o parzialmente nei periodi amministrativi futuri. In questo
caso i costi, che sul sistema dei valori raffigurano fattori di produzione
destinati a partecipare ai processi produttivi di più esercizi, sono
considerati quote alla determinazione dei redditi degli esercizi futuri.
Parimente i ricavi sono considerati elementi passivi del capitale di
bilancio ed imputati ai fondi di rischio o ai fondi o ai fondi costi futuri
come i risconti. Per meglio comprendere il principio della competenza
economica dei componenti di reddito, determinabile solo con il principio
della correlazione fra costi e ricavi, bisogna ricordare che i costi sono
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sostenuti per l’acquisizione dei fattori necessari allo svolgimento dei
processi produttivi. Da questi si ottengono le produzioni e quindi i ricavi
sono la conseguenza delle vendite di tali produzioni.
- Prudenza : Questo principio combina il principio di prudenza con quello
di competenza. Secondo il punto bb) dell’art. 31 della quarta direttiva, si
ha che “ occorre tenere conto di tutti i rischi prevedibili e di eventuali
perdite che traggono origine nel corso dell’esercizio o di un esercizio
anteriore , anche se tali rischi o perdite siano soltanto alla data di
chiusura del bilancio e la data della sua compilazione. Per il generale
principio di prudenza tutti i componenti negativi di reddito, anche se alla
data di riferimento del bilancio sono solo potenziali, (presentano cioè
solo il rischio di manifestarsi) devono essere riflessi nel bilancio di
esercizio, mentre i componenti positivi, devono essere rilevati solo se
sono stati realizzati. Il principio di competenza che integra e rafforza
quello di prudenza, vuole che i componenti negativi di reddito relativi
all’esercizio, siano rilevati nel bilancio anche se “ conosciuti alla
chiusura di questo”. Quindi, le operazioni riguardanti la redazione
dell’inventario, le scritture di assestamento, e del bilancio in generale,
comportano un lasso di tempo che va oltre la data di chiusura
dell’esercizio, convenzionalmente il 31-12: se durante questo lasso di
tempo, si viene a conoscenza di perdite riguardanti operazioni ancora in
corso a fine esercizio, bisogna considerarle.
- Divieto di compensazione: questo criterio, è connesso al secondo
comma dell’art.2423, che inizia affermando che il “bilancio di
esercizio, deve essere redatto con chiarezza”; quindi, come si legge, il
divieto di compensazione di elementi dell’attivo e del passivo, deriva
appunto dal requisito della chiarezza.