4
L’introduzione di tale legge fu l’inizio di una sostanziale ascesa verso il
decentramento dei poteri e delle responsabilità. In primis con la legge
833/78, le Province, hanno perso le competenze nel settore, le
quali investiranno così i Comuni, le Regioni e lo Stato stesso. Ci fu
il superamento del disegno della legge n. 833/78, con il riordino del
1992/1993, che comportò l’estromissione degli Enti locali
dall’organizzazione della sanità pubblica e l’attribuzione alle Regioni
delle funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza
sanitaria ed ospedaliera (ex art. 2 del decreto legislativo n. 502 del
1992, come modificato dal decreto legislativo n. 517 del 1993,
coerentemente a quanto disposto nell’art. 117 della Costituzione allora
vigente). Ecco che nel 1998/1999 assistiamo alla razionalizzazione del
SSN, che si concretizza nella “regionalizzazione” della sfera sanitaria
accompagnata ad un riequilibrio delle competenze ed al reingresso
nell’ambito delle rilevanti funzioni istituzionali dei Comuni
1
.
Lo stesso si può dire riguardo al fenomeno di “domanda federalista” (o
meglio, regionalista) che ha investito, in generale, l’ordinamento
territoriale della Repubblica negli ultimi anni della nostra vita politico-
istituzionale, e che vede appunto le Regioni come i destinatari principali
dei progetti di riforma, con ricadute evidenti e specifiche nel settore
dell’assistenza sanitaria, da sempre uno dei più esposti al processo di
1
Cfr. Randelli L., Introduzione a “La razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale:
novità e prospettive, in “Sanità Pubblica”, 1999, n.2 pag. 159, .
5
redistribuzione e decentramento delle funzioni istituzionali. La fase, che
va dalle riforme “Bassanini” sino alla riforma del titolo V, parte seconda,
della Costituzione,(1998-2001), non è che l’ultimo atto di questa ricerca
costante, dell’assetto e degli equilibri organizzativi che concorrono ad
assicurare, nel nostro Paese, il diritto alla salute
2
. Alla luce di tali eventi,
esporrò in questo capitolo un quadro completo delle possibili evoluzioni
che hanno portato all’attuale struttura del SSN ed in particolare il nuovo
ruolo delle regioni in tale settore.
2
Cfr. Rapporti tra Ministero della Sanità, Regioni ed Agenzia per i servizi sanitari nella legge
delega per la razionalizzazione del SSN: prime riflessioni generali, in “Sanità pubblica”, 1999,
n.2, pag 197 di G. Carpani.
6
CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA ITALIANA DELLE ASL
1. L’istituzione del SSN
3
L’approvazione della legge n. 833 del 23 dicembre 1978
4
, istitutiva del
Servizio sanitario nazionale, ha costituito uno degli eventi politico-sociali
più rilevanti di questi ultimi anni. Con tale legge l'Italia è passata da un
sistema sanitario mutualistico
5
, il quale non offriva adeguate garanzie di
assistenza a tutti i cittadini, al Sistema sanitario nazionale basato sui
principi dell’universalità del servizio, dell’uguaglianza delle prestazioni,
3
Dal sito www.archivioceradi.luiss.it : Riflessioni sulla riforma del Servizio Sanitario, 1999, di
Pia Maria Funari.
4
Ai sensi dell’art. 1, comma 3, della L. 833/1978 il Servizio Sanitario nazionale è costituito dal
“ complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinate alla promozione,
al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza
distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo le modalità che assicurino
l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del Servizio. L’attuazione del Servizio sanitario
nazionale compete allo Stato, alle Regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la
partecipazione dei cittadini”. L’orientamento delle successive normative di riforma sanitaria –
D.Lgs. 502/1992 e D.Lgs. 229/1999- alla regionalizzazione dell’organizzazione del Servizio
Sanitario, dapprima accennato con D.Lgs. 502/1992, ha trovato consacrazione nel D.Lgs.
229/1999 che, senza abrogare la previsione dell’art. 1 comma 3 della L. 833/1978, definisce il
Servizio Sanitario Nazionale, quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei
Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti ed istituzioni di rilievo
nazionale. Cfr. Sangiuliano R., La riforma sanitaria ter, Esselibri, Napoli, 1999
5
L’istituzione del SSN ha consentito la sostituzione di un’organizzazione estremamente
frammentaria, che prevedeva una disorganica attribuzioni di competenze fra enti ed organismi
diversi, con un sistema coordinato in maniera organica. Il legislatore nell’ottica della legge n.
833/78, aveva messo in evidenza alcuni limiti del vecchio sistema:
• L’assenza di collegamenti tra assistenza ambulatoriale, domiciliare e ospedaliera, con
duplicazione di interventi e dispendio di risorse umane e materiali;
• La frammentazione del sistema assistenziale in più sottosistemi per quanti erano gli
enti mutualistici, con conseguente diversità qualitativa e quantitativa delle
prestazioni erogabili agli assistiti;
• Il mancato rilievo conferito al momento della prevenzione rispetto a quello della cura;
• La carenza delle cure riabilitative.
Cfr. Mapelli V., Il sistema sanitario italiano 1999, Il Mulino, Bologna, pag. 219
7
del decentramento delle funzioni nelle Unità sanitarie locali e sulla
preminenza della programmazione sanitaria al livello sia nazionale che
regionale. L’istituzione del SSN è stato fondamentale nel momento in
cui vi è stata la consapevolezza di dover tutelare la salute come “un
diritto fondamentale dell’individuo”; l’importante riforma sanitaria del ‘78,
anche se mai attuata compiutamente, ha comunque posto le basi per
garantire l’accesso alle cure sanitarie a tutti i cittadini, a livelli uniformi di
assistenza su tutto il territorio valorizzando la prevenzione oltre la cura
e la riabilitazione
6
.
Il servizio sanitario nazionale è stato così costituito e rappresentato dal
complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività
destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute
6
I principi fondamentali su cui si ispira l’organizzazione del SSN sono:
• Il principio dell’universalità degli utenti: l’assistenza sanitaria, è garantita a tutti
coloro (persone fisiche) che risiedono o dimorano nel territorio della Repubblica,
siano essi cittadini o stranieri ed apolidi;
• Il principio dell’uguaglianza : Il SSN si esplica a favore di tutta la popolazione senza
distinzione di condizioni individuali o sociali. Ciò comporta, come precisato più volte
dalla Corte costituzionale, che il legislatore possa dettare regole differenti per
situazioni differenti sempre però che la diversità sia giustificata da presupposti logici
ed oggettivi ovvero che sia la legge a riconoscerla;
•
Il principio della globalità degli interventi: Il SSN assicura il collegamento ed il
coordinamento con le attività e con gli interventi di tutti gli altri organi, centri,
istituzioni e servizi, che svolgono attività comunque incidenti sullo stato di salute
degli individui e della collettività. Ne deriva una maggiore varietà delle prestazioni
erogabili che non coincidono esclusivamente con quelle curative, preventive e
riabilitative potendo identificarsi con attività che anche indirettamente incidono sulla
salute pubblica (tutela della salute mentale, tutela dall’inquinamento, igiene degli
alimenti e delle bevande etc…);
•
Il principio della partecipazione democratica dei cittadini/utenti : la
partecipazione è
intesa, nell’ottica del legislatore, come controllo sulla funzionalità delle strutture
sanitarie. Tale principio è rimasto, di fatto, inattuato fino alla normativa delegata
(D.Lgs. 502/1992).
Crf ., Mapelli V., op. cit , 1999 pag. 221.
8
fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni
individuali o sociali, e, secondo modalità che assicurino l'eguaglianza
dei cittadini nei confronti del servizio. L'attuazione del servizio sanitario
nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali,
garantendo in tal modo la partecipazione dei cittadini (art. 1, comma 3
della L. 833/1978). Nel servizio sanitario nazionale è assicurato il
collegamento ed il coordinamento con le attività e con gli interventi di
tutti gli altri organi, centri, istituzioni e servizi, che svolgono nel settore
sociale attività comunque incidenti sullo stato di salute degli individui e
della collettività.
Il modello istituzionale definito nella legge n. 833/1978, ha definito un
assetto organizzativo basato su tre livelli di governo: Stato, Regioni, ed
Enti Locali ognuno dei quali, caratterizzato per il fatto di essere dotato
di una accentuata “autonomia politico-istituzionale”. Questa tripartizione
di poteri, ha previsto inizialmente, che la gestione del SSN fosse
accentrata in capo allo Stato, il quale aveva potere in fase di
programmazione sanitaria nazionale, coordinamento dell’intero sistema
e un ruolo centrale nella definizione dei meccanismi di finanziamento
del sistema stesso. Alle Regioni la legge n. 833/1978 assegnava
compiti di programmazione regionale e di governo e coordinamento
delle singole strutture di offerta dei servizi sanitari operanti sul territorio
regionale (le Unità Sanitarie Locali). Alle istituzioni locali (Comuni e
9
Associazioni di Comuni), infine, erano assegnate funzioni
amministrative e operative legate alla produzione ed alla erogazione dei
servizi sanitari. Tale attività era assegnata alle Unità Sanitarie Locali
definite “strutture operative dei Comuni, singoli o associati, e delle
Comunità montane”
7
.
Possiamo concludere che nell’ambito della programmazione economica
nazionale, lo Stato, con il concorso delle regioni, determinava gli
obiettivi della programmazione sanitaria nazionale ed, in sede di
approvazione del piano sanitario nazionale, fissava i livelli delle
prestazioni sanitarie che dovevano essere, comunque, garantite a tutti i
cittadini. In questo modo, lo Stato manteneva un’autonomia decisionale
decentrando solo alcune funzioni alle regioni ed alle province, dove per
le regioni il potere è stato limitato all’esercizio delle funzioni legislative
in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera nel rispetto dei principi
fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato ed all’esercizio delle funzioni
amministrative proprie o loro delegate.
Il SSN, sin dal principio, si è concretizzato con la presenza di una rete
completa di unità sanitarie locali sull’intero territorio nazionale, le quali
sono i soggetti incaricati all’erogazione dei servizi sanitari pubblici. Il
problema che è stato riscontrato nella legge in commento, è stata la
7
Cfr. Rea M., Le aziende sanitarie pubbliche, 1998, Giappichelli editore, pag. 13-14.
10
palese genericità della definizione nell’attribuire un ruolo determinato a
tali strutture
8
accentuata anche dalla particolare composizione della loro
struttura interna
9
.
8
Nella legge n. 833/1978 (art. 15), la USL veniva definita una “struttura operativa di comuni ,
singoli o associati e delle comunità montane”. Più in particolare, secondo la definizione fornita
dal secondo comma dell’art. 10 della medesima legge, essa risultava essere individuata nel
“complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei Comuni, singoli o associati, e delle
Comunità montane i quali in un ambito territoriale determinato assolvono ai compiti del
Servizio sanitario nazionale”.
Tale genericità ha determinato non pochi problemi per la precisa identificazione del ruolo
assegnato alle USL, nell’ambito del SSN.
Cft. Rea M., op. cit. , 1998, Giappichelli editore, pag. 15-14.
La complessità che si è riscontrata a livello istituzionale ha, riguardato:
¾ Le difficoltà connesse alla impossibilità di riconoscere alle USL una personalità
giuridica propria (ad esempio di verificavano problemi di titolarità del patrimonio
assegnato alle USL dai Comuni per consentire lo svolgimento dell’attività loro
riservata);
¾ La necessità di dover fare riferimento a realtà operative e, soprattutto, amministrative
estremamente differenti tra di loro (USL sub-comunali nei grandi comuni, USL
comunali nei comuni di medio-piccole dimensioni, USL di associazioni di comuni per
le realtà comunali di piccole e piccolissime dimensioni);
¾ Il difficile rapporto politico e istituzionale tra la USL e il comune che spesso è
sfociato in conflitti di ruolo e di attribuzioni e, di conseguenza, in ritardi decisionali e
operativi.
Cft. Borgonovi E. Il SSN: caratteristiche strutturali e funzionali, 1988, pag 479-480 ( a cura
del Cergas).
9
L’organizzazione interna delle USL, inizialmente, era così strutturata:
¾ Organo decisionale politica: costituito dalla Assemblea generale costituita dal
Consiglio comunale o dalla Assemblea generale dell’Associazione dei Comuni o della
Comunità montana di cui la USL è espressione. Tale situazione ha determinato
rilevanti problemi di confusione in merito alla responsabilità politica delle scelte
effettuate.
¾ Organo amministrativo o di governo: rappresentato dal Comitato di Gestione,
risultava composto secondo modalità che determinavano fortissimi elementi di
ambiguità istituzionale rispetto ai corrispondenti organi politici comunali o sovra-
comunali (i membri erano eletti dal Consiglio comunale o dall’Assemblea sovra-
comunale di riferimento e scelti anche al di fuori delle rispettive assemblee elettive).
¾ Organo di controllo: rappresentato dal Collegio dei Revisori, istituito e regolato con la
legge n. 181/1982 , al quale erano assegnate funzioni connesse alla verifica della
situazione economico-finanziaria delle USL.
Ctf. Mulazzani M., Le unità sanitarie locali. Lineamenti economico-aziendali, Cedam 1990,
pag. 19 e segg.; Fortunati V., Gli strumenti tecnico-contabili per la programmazione e il
controllo nelle unità sanitarie locali, Clueb, pag 14 e segg.
11
Questo sistema pur avendo rappresentato una valida alternativa al
sistema mutualistico, ha evidenziato anche una serie di problematiche
in relazione alle quali non ha fornito una risposta risolutiva. Infatti, lo
sviluppo tecnologico, il maggiore benessere ed il progressivo
invecchiamento della popolazione italiana hanno portato ad un aumento
della richiesta di prestazioni sanitarie sempre più ampie e qualificate ed
al consequenziale aumento delle spese sanitarie, ciò, dunque, ha
spinto tutte le democrazie occidentali verso un ripensamento dei
meccanismi propri dello Stato Sociale, e, in Italia, a tal fine, si è
intervenuti con un riordino della materia sanitaria attraverso i decreti
legislativi degli anni 1992 e 1993.
12
1.1. Il riordino del Servizio sanitario nazionale: D.lgs 502/92 e D.lgs 517/93
( c.d. riforma-bis)
10
.
L’esigenza di un intervento di riordino complessivo del sistema
sanitario, ha trovato affermazione nella legge 23 ottobre 1992, n. 421
con la quale il Parlamento ha delegato il Governo ad emanare alcuni
decreti legislativi atti a riordinare quattro importanti comparti dell’attività
della P.A. tra i quali oltre alla previdenza, al pubblico impiego e alla
finanza territoriale, anche l’attività di assistenza sanitaria pubblica. In
base a tale delega si è avuta l’emanazione del D.Lgs. 30 dicembre
1992, n. 502. Detto decreto rappresenta l’atto finale al quale si è giunti
a seguito di un lungo dibattito e di numerose proposte avanzate dalle
parti sociali. Proprio in considerazione dell’importanza di tale dibattito,
la legge stessa aveva previsto (all’art. 1, quarto comma) la possibilità di
intervenire nuovamente sul testo iniziale per operare delle modifiche.
Tale possibilità è stato in effetti utilizzata dal legislatore delegato, il
quale, con un nuovo D.Lgs. emanato il 7 dicembre 1993, n. 517 ha
apportato numerosi correttivi al testo iniziale
11
.
Con l’emanazione dei D.Lgs. 502/92 in seguito modificato con il D.Lgs.
517/93 sono state realizzate modifiche in materia di gestione ed
organizzazione della sanità pubblica, riconosciuti come i nodi cruciali
10
Dal sito www.archivioceradi.luiss.it : Riflessioni sulla riforma del Servizio Sanitario, 1999,
di Pia Maria Funari.
11
Cft. Rea M., op. cit., 1998, pag. 20.
13
del sistema sanitario, ossia conferendo alle regioni il potere di
esprimersi in tali materie le quali si articolano su due livelli: quello
regionale e quello locale.
Il Sistema sanitario si caratterizzava come un sistema pubblico a
partecipazione obbligatoria, finanziato con denaro pubblico e soggetto
ad un vincolo di bilancio predeterminato. Nello stesso tempo, esso
rappresentava il primo tentativo di passare ad un sistema di tipo
contrattualistico, in cui, l'ente pubblico si limitava solamente alla
determinazione dei bisogni generali ed alla successiva ricerca dei
fornitori in grado di erogarli. La libertà di scelta del luogo di cura e del
soggetto erogatore delle prestazioni nonché il principio della
competizione nell'erogazione dei servizi sanitari, iniziarono ad entrare
nella normativa nazionale, in principio, con i decreti di riordino 502/92 e
517/93; ed in seguito, con la legge finanziaria del 1994 (art. 6, c. 7,
legge 23.12.1994 n.724) e con il D.P.C.M. 19 maggio 1995 (schema
generale di riferimento della "Carta dei servizi pubblici sanitari”
12
).
I principali settori investiti dai decreti di riordino furono i seguenti:
12
Nell’intento di promuovere un concreto miglioramento gestionale del SSN, nonché della
quantità delle prestazioni erogate ai cittadini, è stata emanata la Carta dei servizi sanitari in
attuazione della L. 273/1995. Tale sistema gestionale prevedeva che ciascuna struttura
erogatrice di servizi sanitari (aziende USL e aziende ospedaliere) partendo dal dato reale
(quantità della domanda, numero degli utenti natura delle prestazioni offerte) doveva elaborare
un proprio decalogo operativo adattando alla specificità i principi-guida emergenti dalla Carta
dei servizi sanitari in qualità di documento programmatico.
Cfr. Dal sito www.archivioceradi.luiss.it : Riflessioni sulla riforma del Servizio Sanitario,
1999, di Pia Maria Funari
14
1) gli ordinamenti: ci fu una redistribuzione di compiti e funzioni operate
fra i diversi livelli di governo del SSN. La tripartizione che era stata
inizialmente compiuta ( Stato, Regioni, Comuni), divenne di fatto una
bipartizione che vide protagonisti del nuovo sistema lo Stato e,
soprattutto, le Regioni. Ai Comuni residuarono funzioni del tutto
secondarie e comunque fortemente ridimensionate rispetto al passato.
In particolare allo Stato spettava la pianificazione nazionale e il compito
di stabilire gli obiettivi fondamentali, i livelli di assistenza da assicurare e
i conseguenti relativi finanziamenti; alle Regioni, invece, spettavano le
funzioni legislative ed amministrative, nonché l'emanazione dei piani
sanitari regionali che attuino il piano nazionale; nel rapporto tra Comuni
e USL è stato eliminato un rilevante aspetto che in passato legava le
due istituzioni, ovvero la mancata previsione all’interno della USL di un
organo politico, direttamente rappresentativo della collettività locale
assistita. Inoltre la decisione di riconoscere alle USL una personalità
giuridica elimina completamente quei vincoli che in passato facevano
dell’USL solo una struttura operativa del Comune. Nel nuovo modello
istituzionale il sindaco, ha conservato un ruolo, di natura
prevalentemente consultiva, finalizzato a far corrispondere l’assistenza
prestata alle effettive esigenze sanitarie della popolazione.
2) le prestazioni sanitarie: si definivano le linee-guida dei rapporti per
l'erogazione delle prestazioni assistenziali;
15
3) il finanziamento: veniva prevista la regionalizzazione dei contributi
sanitari e si introduceva il sistema del finanziamento a tariffe
predeterminate per prestazioni. I criteri di articolazione del sistema
tariffario (contenuti nel decreto ministeriale 15 aprile 1994 emanato in
attuazione dell'articolo 8 del decreto 502/92) erano i seguenti:
- lo Stato determinava i criteri generali per la fissazione delle tariffe;
- le Regioni stabilivano le tariffe sulla base del costo standard di
produzione;
- le aziende USL contrattavano con i produttori le migliori condizioni di
fornitura.
Le prestazioni ospedaliere venivano misurate non più in giornate di
degenza ma in "episodi" di ricovero, determinandosi a priori una tariffa
forfetaria.
4) la partecipazione e la tutela dei diritti dei cittadini: era prevista
l'adozione di indici di qualità dei servizi e il loro controllo da parte delle
regioni. Rimaneva fermo, tuttavia, un potere di vigilanza generale da
parte del Ministero della sanità.
5) il personale: veniva riformata la disciplina della dirigenza sanitaria,
articolata su due livelli: il primo, al quale si accedeva attraverso i
concorsi pubblici; il secondo, dove la scelta del personale avveniva su
singoli incarichi.
16
L’adeguamento delle regioni ai decreti legislativi nn. 502/92 e 517/93
non è stato un processo privo di difficoltà, infatti tale adeguamento
richiedeva numerosi adempimenti, sia governativi che regionali. La
questione del riparto delle competenze tra lo Stato e le regioni tra l'altro,
diede luogo ad accese discussioni, riguardo alla legittimità
costituzionale di alcune disposizioni del decreto legislativo n. 502/92.
Tale disputa portò all'intervento della Corte Costituzionale (sentenza n.
355/93) che accolse alcune problematiche sollevate dalle regioni, poi
risolte dal successivo decreto legislativo n. 517/93. Le regioni che si
mossero inizialmente per adeguarsi a tali riforme, furono quelle già
orientate, con maggiore attenzione, alle funzioni di governo, piuttosto
che garantirsi una semplice funzione amministrativa. Si trattò di quelle
regioni che avevano lavorato in base ad una programmazione e per
obiettivi e che si sono poste il problema di valorizzare la funzione
locale. Con tale riforma si è arrivati anche ad una ridefinizione delle
vecchie USL in Aziende sanitarie locali, dotandole di piena autonomia
di gestione e responsabilità amministrativa con l’obbligo di pareggio dei
bilanci, la quale si realizzò solo verso la fine del 1994, comportando
numerose decretazioni d'urgenza per prorogare l'efficacia della
normativa preesistente.
La difficoltà di adeguamento immediato delle Regioni alle riforme in
materia sanitaria, ed alla necessità di intervenire continuamente con
17
decreti d’urgenza, ha reso difficile il processo di riordino del Servizio
Sanitario, il quale all’inizio della XII legislatura era solo agli inizi. Gli
interventi normativi realizzati in questo periodo ebbero soprattutto lo
scopo di correggere gli squilibri del sistema e di ottenere un
risanamento economico generale. In sostanza, essi furono diretti ad
ottenere l'immediato effetto del contenimento della spesa sanitaria , ed
è in tale ottica che vanno lette anche tutte le manovre finanziarie degli
ultimi anni. Di conseguenza i risultati non sempre soddisfacenti e la
generale mancanza di organicità del sistema sanitario hanno fatto
sorgere l'esigenza di una ulteriore razionalizzazione della materia
sanitaria.
Inizialmente, tale esigenza ha trovato voce all'interno del processo di
riordino del sistema di Welfare state
13
che il Governo ha assunto tra i
suoi obiettivi e successivamente è stata oggetto di una compiuta analisi
da parte della c.d. "Commissione Onofri", in merito alle compatibilità
macroeconomiche della spesa sociale, e nella Prima relazione sullo
stato sanitario del paese (1996) che metteva in luce le incongruenze
esistenti.
13
L’espressione inglese Welfare state è tradotta in italiano con stato sociale o stato del
benessere o stato assistenziale. Essa allude al carattere che gli stati democratici hanno
progressivamente assunto a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo; esso consiste sia nel
riconoscimento del diritto di ogni cittadino a un livello di reddito minimo garantito, alla salute,
all’istruzione, all’abitazione, sia in un attivo intervento economico diretto a sostenere una
crescita altrimenti impossibile.