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Introduzione
Il calcio è lo sport più praticato, seguito e conosciuto nel mondo e in particolare nel
nostro paese; la passione per questa disciplina sportiva è testimoniata dal numero di
persone che la praticano, che la seguono quotidianamente, mediante le emittenti
televisive e radiofoniche, testate giornalistiche e canali telematici; che vanno allo stadio
per assistere alle partite di calcio. Il calcio e lo sport in generale sono considerati un
bene meritorio, vale a dire un bene o servizio il cui consumo è ritenuto dalla collettività
particolarmente desiderabile e meritevole quindi di tutela e di incoraggiamento da parte
del settore pubblico. L’intervento dello Stato è quindi giustificato dall’impatto positivo
che l’attività sportiva ha sul benessere psico-fisico di tutti gli individui, il che in chiave
economica, si traduce in esternalità o economie esterne. Il calcio, oggi è davvero un
elemento fondamentale della cultura contemporanea: non è solo passione, sfottò e
chiacchiere da bar, moviola e contro moviola ma società quotate, bilanci, rendiconti
finanziari, marketing, merchandising, abbonamento alle pay-tv, profit, contratti
commerciali di partnership, trasferimenti dei calciatori, contratti milionari, e cosi via,
tutti aspetti che interessano anche gli studi di economia aziendale. Il presente lavoro,
con la consapevolezza dei nostri limiti, ha l’obiettivo principale di analizzare gli aspetti
economico-aziendali delle società calcistiche, focalizzando l’attenzione sulle
particolarità del loro bilancio e sulle tecniche utilizzate di contabilità creativa finalizzate
all’evidenziazione di determinazioni quantitative di equilibrio.
Il primo capitolo analizza l’evoluzione giuridica delle società di calcio, che da semplici
associazioni sono poi diventante società di capitali, e gli aspetti caratteristici legati alla
loro formula imprenditoriale.
Nel secondo capitolo si mettono in evidenza le particolarità del bilancio delle società
calcistiche, analizzando le voci più importanti e rilevanti come i diritti pluriennali alle
prestazioni dei calciatori e la capitalizzazione dei costi del vivaio, la valutazione
economica del “parco giocatori”.
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Nel terzo capitolo, infine, si focalizza l’attenzione sulle manipolazioni di bilancio e
sull’analisi, in particolare, degli effetti derivanti dalle plusvalenze, più o meno fittizie,
sui conti annuali. L’intervento dello Stato e la riforma del sistema calcistico chiudono
l’elaborato.
1. Le società di calcio: aspetti caratteristici ed evoluzione giuridica.
Alle origini le società di calcio sono nate come club di praticanti un determinato sport,
come accade ancora oggi per molte associazioni sportive. Il membro di questi enti era
vincolato alla squadra per il fatto di essere un associato del club, relazione questa che
comportava automaticamente il tesseramento alla Federazione sportiva cui faceva capo
l’associazione. La fattispecie giuridica generalmente adottata era quella
dell’associazione non riconosciuta, regolamentata dagli art. 36,37 e 38 del Libro I del
Codice civile1. Pur non essendo una società e dunque non potendo avere finalità
lucrativa, l’associazione non riconosciuta era tuttavia lo strumento inizialmente ideale
per lo svolgimento dell’attività sportiva nelle varie discipline in quanto soggetta ad una
regolamentazione legislativa essenziale che permetteva grande libertà contrattuale agli
associati per la definizione dei principi e delle modalità dell’attività. La gestione e
l’amministrazione relativamente alle associazioni calcistiche erano però scarsamente
regolamentate, mancavano le fondamentali norme orientate alla chiarezza, alla
correttezza e alla trasparenza, anche se in origine le uscite assorbite e le entrate prodotte
dall’attività erano piuttosto modeste e contenute. Questi enti erano, infatti, normalmente
gestiti da un “mecenate” e corrispondevano alle loro esigenze di bilancio mediante un
rendiconto finanziario nel quale erano brevemente riportate le entrate e le uscite
monetarie dell’esercizio. In sostanza gli enti sportivi erano gestiti per cassa, ovvero gli
esborsi di gestione al netto dei proventi di cessione dei giocatori e dei contributi,
costituivano il cosiddetto deficit, che veniva assunto dai cosiddetti dirigenti al momento
di succedere ai cedenti. In questo modo non si prendevano in doverosa considerazione
né il patrimonio sociale né quello costituito dai giocatori al quale non veniva imputato
alcun valore contabile. Le perdite di gestione, traducendosi in ingenti esborsi da parte
dei dirigenti, andavano ad accrescere ulteriormente il deficit.
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Contenuti nel capo III,Titolo II (“Delle persone giuridiche”), del Libro I del codice civile,”Delle persone e della famiglia”. In
particolare l’associazione non riconosciuta non ha personalità giuridica e gli associati attraverso l’apporto di beni e contributi
costituiscono un cosiddetto “fondo comune”,di cui i singoli associati non possono chiedere la divisione né pretenderne la quota di
recesso finché dura l’associazione medesima. Tale fondo rappresenta un elemento di garanzia per i terzi, poiché l’art. 38, 1°
comma afferma che: “per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione di terzi possono far valere i loro
diritti sul fondo comune”; il 2° comma precisa inoltre che “delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e
solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.
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La complicata amministrazione e la mancanza di adeguate forme di controllo
dell’attività gestionale delle associazioni calcistiche cominciarono ad essere evidenti
negli anni ’60 in coincidenza di una crescente importanza economica e finanziaria
dell’attività calcistica che iniziava a mostrare le sue notevoli potenzialità in termini di
movimenti di denaro e capitali. La situazione mutò, quando, per il concorso di
molteplici fattori (storici, culturali, politici, tecnologici), l’organizzazione di
determinate discipline sportive venne ad assumere aspetti che andavano oltre i confini
originari. Da un punto di vista strettamente economico, le conseguenze di questo
mutamento furono fondamentalmente due:
ξ l’associazione sportiva era impossibilitata a compensare le spese crescenti con il
semplice contributo volontario degli associati, e pertanto si rivolgeva al mercato,
assumendo gradualmente connotati di tipo imprenditoriale.
ξ la mutazione, da fenomeno volontaristico in organizzazione d’impresa,
comportava correlativamente modifiche sostanziali in termini di struttura.
Si può dire che scompare la figura del praticante-associato e subentra quella dell’atleta
professionista, non più facente parte della compagine associativa, costituita ormai
essenzialmente da soggetti finanziatori, ma prestatore della propria opera a favore di
questa contro il pagamento di un compenso proporzionale al livello qualitativo delle
prestazioni corrisposte. Che la forma dell’associazione non fosse più adatta alle
esigenze dei sodalizi sportivi fu oggetto di studio anche da parte della F.I.G.C.
(Federazione Italiana Gioco Calcio), che dopo solo un ventennio dall’emanazione della
legge istitutiva del C.O.N.I. (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), che affermava che
le associazioni sportive non dovevano avere scopo di lucro, predispose una radicale
riforma. Tale riforma, emanata il 16 settembre 1966, ha stabilito lo scioglimento delle
vecchie associazioni iscritte ai campionati professionistici2 e la loro rinascita come
società commerciali dotate di personalità giuridica, condizione questa per ottenere
l’iscrizione ai campionati del 1966/67. A garanzia della salvaguardia dei fini sociali la
FIGC ha stabilito e imposto alle stesse società uno statuto-tipo che include, tra l’altro
l’assenza del fine di lucro, sotto qualsiasi forma. In questo modo la FIGC ha voluto
rendere possibile l’applicazione di una serie di norme, soprattutto quelle sulla
formazione e sulla pubblicità di bilancio, che avrebbero assicurato una più attenta
amministrazione, nonché la possibilità di controllo da parte delle autorità competenti. Si
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In quel periodo, la Lega Nazionale Professionisti comprendeva solo le società che partecipano ai campionati di serie A e B, che
non tardarono ad uniformarsi alle nuove regole per evitare conseguenze sfavorevoli sul piano dell’ordinamento sportivo.
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era però configurato un tipo di società per azioni3 anomalo, poiché non era consentita la
finalità lucrativa. A tal riguardo, se era generalmente riconosciuta la presenza del lucro
in senso oggettivo, cioè la possibilità di realizzare utili di esercizio, era escluso lo scopo
di lucro in senso soggettivo, del fine cioè di distribuire ai soci il lucro conseguito dalla
società. Gli utili di esercizio, inoltre, dovevano essere destinati essenzialmente al
potenziamento dell’attuazione delle finalità sportive. Le finalità cui mirava
l’imposizione ai club della forma giuridica di S.p.A., anche se anomala, non state
conseguite in maniera soddisfacente: la maggior parte delle società si trovavano in
deficit e per compensare le varie voci di costo, si provvedeva con le somme conferite
dai presidenti, dirigenti ed enti locali, ma soprattutto con le plusvalenze nette derivanti
dalla cessione del patrimonio calciatori4. Cosi si arriva a una nuova legge, la n.91 del 23
marzo 1981, con la quale il legislatore5 ha stabilito una serie di disposizioni che
dovevano risolvere definitivamente le difficoltà gestionali e di bilancio incontrate dai
club calcistici nell’esercizio della loro attività. Gli aspetti più significativi e innovatavi
di questa legge sono i seguenti6:
ξ viene espressa la definizione di sportivo professionista all’art. 27. Gli elementi
più significativi da rilevare sono i seguenti: lo strumento principale con il quale
le società acquisiscono gli atleti è stato individuato nel contratto di lavoro
subordinato8, mentre il contratto di lavoro autonomo è consentito solo in alcuni
casi specifici, e le compagini sportive non possono essere omologate, vale a dire
autorizzate a svolgere l’attività sportiva senza l’affiliazione alla federazione
sportiva nazionale riconosciuta dal CONI;
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La società per azioni è regolamentata giuridicamente nel capo V del libro V, “Delle società”, del codice civile, art. 2325-2336.
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Queste plusvalenze erano tuttavia spesso fittizie, poiché le società potevano dar luogo a scambi di calciatori senza alcun esborso
di denaro attribuendo poi alla transazione effettuata un valore maggiore rispetto al reale; in questo modo ogni società provvedeva
a registrare in contabilità le rispettive plusvalenze, ma ciò provocava il progressivo annacquamento del capitale.
5 Non si tratta quindi di una delibera della FIGC come nel 1966, ma di una vera e propria legge emanata dal Parlamento.
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A. Tanzi, Le società calcistiche – Implicazioni economiche di un gioco,Giappichelli, Torino, 1999, pag.29.
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L’art. 2 della legge n.91/1981 afferma: “Sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i
preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline
regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali,secondo le norme emanate dalla
federazioni stesse...”.
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L’art. 3 della citata legge dichiara infatti: “La prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro
subordinato, regolato dalle norme contenute nella presente legge. Essa costituisce tuttavia, oggetto di contratto di lavoro
autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva
o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che
riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento;
la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure 5 giorni ogni
mese ovvero 30 giorni in un anno”.
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le società sportive, per quanto concerne la forma sociale prescelta, possono
scegliere oltre a quella della società per azioni anche quella della società a
responsabilità limitata (s.r.l.)9;
ξ viene eliminato il vincolo sportivo, vale a dire il diritto che spettava ad una
compagine sportiva di avvalersi in modo esclusivo delle prestazioni di un
calciatore, oltre che il potere di impedire all’atleta la prestazione della propria
opera a favore di altra società;
ξ all’impresa sportiva viene riconosciuta la possibilità di creare utili (lucro
oggettivo) ma nega di poterli dividere tra i propri soci (lucro soggettivo).
ξ per limitare il periodo di insolvenza, la legge espone le società sportive a
pesantissimi controlli da parte delle federazioni, a cui si vanno ad aggiungere i
controlli previsti per tutte le società di capitali.
Il motivo fondamentale perché, nonostante gli organi societari erano obbligati a limitare
i loro impegni professionali e a rischiare capitali sulla base della sola visione ideale e
romantica dell’attività sportiva, si continuava e si continua tuttora ad investire in modo
imponente nel mondo del calcio, stava e sta nel fatto che la gestione di una società
calcistica, sia a livello nazionale che a livello locale, è uno straordinario strumento
pubblicitario per l’imprenditore e quindi l’ottenimento dei risultati sportivi non è
l’obiettivo finale, ma semplicemente lo strumento per il conseguimento di profitti in via
mediata e indiretta. Mediante i successi e le affermazioni sportive, insomma, le aziende
ottengono enormi vantaggi competitivi. La legge n.91 del 1981, ha regolamentato le
attività sportive e quelle calcistiche in particolare, per oltre 15 anni. La legge che
finalmente e definitivamente ha fatto chiarezza sulla natura delle società di calcio è il
D.L. del 17 maggio 1996 n.272. Questa legge è stata emanata in risposta alla grave crisi
economica dello sport professionistico degli anni ’80 e ’90 e ai numerosi fallimenti
delle società. Tutto questo aveva ormai sottolineato l’urgenza e la necessità di una
modifica dell’assetto giuridico allora vigente. Ad accelerare il progetto di riforma fu la
famosa “sentenza Bosman”, pronunciata nel dicembre del 1995 dalla Corte di giustizia
della Comunità Europea. Tale sentenza, che ha liberalizzato i trasferimenti degli atleti
professionisti comunitari tra i paesi membri, ha rimosso tutte le limitazioni numeriche
relative all’impiego delle imposte delle varie Federazioni Sportive Nazionali e la
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Art. 10,1° comma, legge citata, : “Possono stipulare contratti con atleti professionisti solo le società sportive costituite nella
forma di società per azione o di società a responsabilità limitata. La società a responsabilità limitata è regolamentata
giuridicamente nel Capo VII del Libro V,”Delle società”,del codice civile,art. 2462-2474.
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necessità di versamento dell’indennità di preparazione e promozione al club cedente il
giocatore comunitario. Gli aspetti più significativi del D.L. 17 maggio 1996 n.272,
denominato “spalmaperdite”, sono i seguenti10:
ξ abolizione dell’indennità di preparazione e promozione prevista dall’art. 6 della
legge n.91 1981 e viene consentito alle società sportive di ripartire tra 3 esercizi
le minusvalenze che si erano venute a creare in seguito all’azzeramento degli
indennizzi;
ξ l’obbligo di istituzione del collegio sindacale anche per tutte le società sportive
professionistiche costituite in forma di s.r.l., derogando cosi a quanto disposto
dall’art. 2477 c.c.11. A seguito di questa disposizione è stato confermato
l’obbligo di controllo della gestione amministrativa alle federazioni sportive, per
delega del CONI12, però la CO.VI.SO.C (Commissione di vigilanza sulle Società
di calcio professionistiche), si deve ora concentrare sulla verifica del solo
“equilibrio finanziario” allo scopo di garantire il regolare svolgimento dei
campionati, mentre le competenze per quanto riguarda le verifiche sulla
regolarità dei versamenti dell’Irpef o rilasciare autorizzazioni ai club che
intendono ottenere prestiti presso le banche e cosi via, sono passate, per quanto
detto prima, ai sindaci o alle società di revisione;
ξ possibilità per le federazioni sportive nazionali di fare ricorso al tribunale, in
presenza di fondato sospetto di irregolarità nell’adempimento dei doveri da parte
degli amministratori e dei sindaci, all’art 2409 c.c.13;
ξ riconoscimento finalmente del fine di lucro (quello soggettivo ed oggettivo) ai
club calcistici. Quindi le società possono partecipare degli utili conseguiti e
vedere cosi distribuito il rischio dell’investimento legato all’acquisto delle azioni
della stessa. Viene cosi abolito l’obbligo, stabilito dalla precedente legge, di
reinvestimento degli utili per le società professionistiche; l’unica restrizione
10
A. Tanzi, Le società calcistiche, opera citata, pag.35.
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L’art.2477 c.c. afferma :”L’atto costitutivo può prevedere, determinando le competenze e poteri , la nomina di un collegio
sindacale o di un revisore. La nomina del collegio sindacale è obbligatoria se il capitale sociale non è inferiore a quello minimo
stabilito per le società per azioni (che è di centoventimila euro). La nomina del collegio sindacale è altresì obbligatoria se per due
esercizi consecutivi siano stati superati due dei limiti indicati dal primo comma dell’art. 2435bis . L’obbligo cessa se, per due
esercizi consecutivi, due dei predetti limiti non vengono superati.”
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L’art. 4, 2° comma del decreto sostituisce l’art 12 della legge 23 marzo 1981, n. 91 e dichiara: “Art. 12 (Garanzia per il regolare
svolgimento dei campionati). – Al solo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, le società di cui all’art. 10
sono sottoposte, al fine di verificarne l’equilibrio finanziario, ai controlli ed ai conseguenti provvedimenti stabiliti dalle federazioni
sportive, per delega e secondo modalità e principi approvati dal CONI”.
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Il 3 comma dell’ art. 4 del decreto legge sostituisce l’art. 13 della legge n.91/1981 con il seguente: “Art. 13 (Potere di denuncia al
tribunale) – Le federazioni sportive nazionali possono procedere nei confronti delle società di cui all’art.10, alla denuncia di cui
all’art. 2409 del codice civile.