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INTRODUZIONE
1. Cenni storici sulla pensione pubblica in
Italia
E’ estremamente complesso ricostruire il percorso che ha
compiuto il sistema previdenziale italiano nell’arco di 143
anni di storia, attraverso varie epoche e mutevoli
condizioni, le quali hanno contribuito, ognuna a suo
modo, alla situazione che attualmente ci troviamo ad
affrontare.
Dal 1864-65, quando il Regno d’Italia recepì la
legislazione piemontese sulle pensioni ai dipendenti civili
e militari dello Stato, il sistema previdenziale italiano ha
subito molti cambiamenti.
Di seguito sono riportate le date principali che permettono
di ricostruire la storiografia del sistema previdenziale in
Italia
1
:
1898: nasce per i dipendenti privati la
“cassa nazionale di previdenza per l’invalidità
e la vecchiaia degli operai”, strutturata a
capitalizzazione;
1919: s’introduce l’obbligatorietà
dell’assicurazione d’invalidità, vecchiaia e
disoccupazione per tutti i lavoratori dipendenti
1
R. Cesari, Tfr e fondi pensione, Il Mulino, Bologna, 2007,
p. 24-27
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privati, operai e impiegati. I contributi versati
vengono investiti in titolo di stato e immobili,
e alla conclusione del periodo lavorativo
vengono versati al lavoratore i corrispettivi di
tali contributi;
1924: viene istituita per i soli impiegati
l’indennità di licenziamento (contro il rischio
di disoccupazione), che nel 1942 sarà
trasformata in indennità d’anzianità spettante a
tutti i lavoratori in funzione degli anni di
servizio e dell’ultima retribuzione, dal 1966
per tutte le cause di cessazione, comprese le
dimissioni volontarie e il pensionamento. Nel
1982 diventerà il TFR;
1933-35: la cassa nazionale viene
riorganizzata e denominata INPS e vengono
introdotti gli assegni familiari per figli a carico,
necessari per la riduzione degli orari di lavoro
e per incentivare lo sviluppo demografico;
1939: viene inserita la pensione di
reversibilità a favore dei superstiti
dell’assicurato o pensionato e viene diminuita
a 60 per gli uomini e a 55 per le donne l’età per
la pensione;
1943: viene stabilito un maggior onere a
carico dei datori di lavoro a causa
dell’aumento dei contributi pensionistici;
1945: a seguito dell’inflazione bellica e
della conseguente perdita di potere d’acquisto
delle pensioni viene deciso il passaggio del
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sistema a capitalizzazione a quello a
ripartizione; il sistema a capitalizzazione
rimane solo per i contributi base;
1952: le pensioni vengono maggiorate di
una tredicesima mensilità;
1957-1966: l’assicurazione obbligatoria per
invalidità e vecchiaia viene estesa ai lavoratori
autonomi (agricoltori, artigiani, commercianti
etc.) con istituzione presso l’INPS di gestioni
speciali accanto al Fondo pensione lavoratori
dipendenti. Per ogni categoria di liberi
professionisti iscritti agli albi è istituita una
specifica Cassa o Ente previdenziale;
1965: viene introdotta la “pensione
sociale”, ossia un trattamento pensionistico
minimo per tutti i lavoratori e la “pensione di
anzianità” connessa al versamento di 35 anni
di contributi, indipendentemente dall’età del
lavoratore;
1968-69: la pensione viene commisurata
alla retribuzione percepita nell’ultimo triennio;
la “pensione sociale” viene estesa a tutti i
cittadini con almeno 65 anni e con redditi
limitati; il regime a capitalizzazione viene
definitivamente abolito a favore del regime a
ripartizione;
1975-76: la pensione viene agganciata ai
salari dell’industria e portata fino ad un
massimo dell’80% della retribuzione media del
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triennio più favorevole degli ultimi 10 anni di
lavoro;
1981: viene proposta su vasta scala
l’istituto del pensionamento destinato ai
lavoratori meno giovani, licenziati a causa di
crisi industriali e ristrutturazioni;
1989: vengono accorpati in un’unica
gestione INPS tutte le forme previdenziali
temporanee diverse dalla pensione (
disoccupazione, cassa integrazione, tubercolosi
etc.);
1990: viene riformato il sistema
pensionistico dei lavoratori autonomi, fissando
il contributo al 12% del reddito IRPEF
(Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) e
commisurando la pensione agli anni di
contribuzione fino al massimo dell80% del
reddito, come per i lavoratori dipendenti.
2. Il sistema previdenziale italiano nel
dopoguerra
Il sistema previdenziale italiano ha conosciuto un notevole
cambiamento negli anni successivi alla II guerra
mondiale, dovuto soprattutto al graduale passaggio dal
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regime a capitalizzazione al regime a ripartizione
2
,
quest’ultimo istituito in qualità di regime da affiancare a
quello già in vigore e rapidamente passato ad essere
dominante.
In entrambi i casi si realizzava una redistribuzione del
reddito, soltanto che le modalità erano diverse in quanto:
- nel regime a capitalizzazione si ha una
redistribuzione temporale del reddito, poiché il
lavoratore risparmia da giovane per poter poi
spendere quanto accantonato in età anziana;
- nel regime a ripartizione la redistribuzione
avviene tra generazioni diverse in quanto i
giovani mantengono, attraverso i loro
contributi, la popolazione anziana in cambio
della “promessa”, da parte dello Stato, di
ricevere un trattamento analogo, quando
avranno raggiunto l’età pensionabile.
Apparentemente, il sistema a ripartizione aveva
certamente apportato benefici al mondo previdenziale
italiano, ma gli effetti scaturiti dall’adozione di questo
regime non erano prevedibili, a causa di variabili mutevoli
non pronosticabili.
2
Il sistema a ripartizione è stato adottato dalla maggior parte
degli Stati coinvolti nel conflitto mondiale, in quanto ritenuto più
conveniente dal punto di vista finanziario.
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3. Crisi del regime a ripartizione e
relative cause
Il sistema previdenziale, negli anni ’70, si configurava
come un sistema di sicurezza sociale misto, tale da
garantire una pensione minima a tutti i cittadini, finanziata
in parte con i contributi dei lavoratori e per la restante da
un cospicuo intervento dello Stato.
I tre fattori che hanno messo in crisi il sistema
previdenziale e reso insostenibile il livello di garanzie
offerto sono:
l’evoluzione demografica;
il mercato del lavoro;
il disavanzo pubblico.
I processi demografici richiedono, nella maggior parte dei
casi, molti decenni se non secoli ed è attraverso di loro
che è possibile cogliere i mutamenti della società. Nel
caso dell’Italia, due sono i fenomeni rilevanti che hanno
portato a creare scompensi nel sistema previdenziale
ossia:
- l’allungamento della vita media, dovuto al
migliorato tenore di vita imputabile al “boom”
economico del dopoguerra, ai progressi
realizzati dalla medicina nonché alle più
idonee condizioni igienico-sanitarie;
- il calo della natalità, legato al passaggio
dalla società agricola alla società industriale,
alla progressiva emancipazione della donna e
agli sviluppi della contraccezione.
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Altro fattore che ha contribuito alla crisi è dato
dall’evoluzione del mercato del lavoro che, a causa di
licenziamenti, cassa integrazione e prepensionamenti, ha
visto ridursi il numero di lavoratori dipendenti, principale
base di finanziamento della previdenza sociale. Ciò si
evince anche dal rapporto tra anziani e occupati che è
passato dal 24% del 1960 all’attuale 50%
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e che è
destinato ancora a crescere, fino a raggiungere nel 2020
soglie vicine al 100%. Il calo degli occupati è stato in
parte controbilanciato dall’aumento della produttività del
lavoro, anche se quest’ultima è servita solo ad attutire gli
effetti della crescita dei trattamenti pensionistici
conosciuta tra gli anni ’70 e ’80. L’ultimo fattore che ha
contribuito all’acuirsi della crisi è stato la crescita
vertiginosa del disavanzo pubblico, dovuta
sostanzialmente alla sciagurata “generosità” pensionistica
portata avanti dallo Stato. Nell’arco di 30 anni la spesa per
la previdenza pubblica è cresciuta incessantemente,
rappresentando nel 1960 il 5% del PIL e toccando negli
anni, percentuali sempre più elevate fino ad arrivare al
12,8% nel 1990. Il rapporto tra prestazioni previdenziali e
contributi è salito da un valore vicino al 100%
4
(1976) ad
un valore del 135% (1986). In definitiva, il disavanzo
pubblico è cresciuto in rapporto al PIL, in 30 anni, dal
135% del 1960 al 388% del 1990. L’adesione al Trattato
di Maastricht sull’Unione Europea ha reso necessario e
doveroso l’intervento dello Stato al fine di rientrare nei
3
R. Cesari, op. cit., pag. 34
4
R. Cesari, op. cit., pag. 35
10
parametri stabiliti dal trattato, comportando così un
pesante ridimensionamento del sistema previdenziale
italiano. Il processo per l’adozione della moneta unica,
quindi, ha concorso in maniera determinante per
l’attivazione di quel processo riformativo che ha, di fatto,
ridisegnato la previdenza italiana di fine millennio.
4. Il processo di riforme e la nascita dei
fondi pensione
Per limitare il disavanzo posto in evidenza dai numeri in
riguardo alla sua crescita esponenziale si è avvertita
l’esigenza e la necessità di intervenire, anche
profondamente, per porre freno all’aumento del disavanzo
pubblico e comunque assicurare ai lavoratori, al cessare
della loro capacità lavorativa, un’adeguata pensione. Per
raggiungere quest’obiettivo si è reso imprescindibile
dover adeguare il sistema pensionistico italiano, fino a
quel momento troppo “generoso”, ai sistemi vigenti negli
altri maggiori paesi europei.
Il primo problema affrontato è stata la scissione tra
assistenza e previdenza sociale con la legge n°88 del
1989, con la quale si è posto a carico dello Stato una quota
delle prestazioni sociali prima gravanti interamente
sull’INPS. Successivamente, nel 1992, arrivò la cosiddetta
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“legge Amato”
5
che, insieme ad altri laboriosi interventi
successivi
6
, realizzò importanti modifiche al sistema
previdenziale tra le quali:
- l’innalzamento dell’età pensionabile a 65
anni per gli uomini e a 60 per le donne;
- l’aumento del minimo contributivo a 20
anni di contribuzione effettiva;
- il calcolo della retribuzione pensionabile
come media delle retribuzioni percepite
durante l’intero arco della vita lavorativa.
Venne, inoltre, adeguata l’aliquota contributiva e
modificato il sistema di indicizzazione delle pensioni.
Così facendo, si è ottenuto una sostanziale riduzione
dell’aliquota di equilibrio
7
fino ad avvicinarla il più
possibile a quella contributiva. Il legislatore, consapevole
che la riforma proponeva di realizzare una previdenza
giusta, tenendo sempre d’occhio il vincolo di sostenibilità,
ritenne necessario integrare la normativa previdenziale
con la costituzione di una forma pensionistica
complementare a quella pubblica, avente le caratteristiche
di volontarietà e della capitalizzazione individuale. Con il
decreto legislativo n°124 del 21 aprile 1993 furono
5
Legge 421 del 23 ottobre 1992 “ Delega al Governo per la
razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di
pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”.
6
D. lgs n. 124 del 21 aprile 1993 “Disciplina delle forme
pensionistiche complementari, a norma dell’art. 3, comma 1, lettera
v), della L. 23 ottobre 1992, n. 421”
7
L’aliquota di equilibrio è quanto i lavoratori attivi e i loro
datori di lavoro dovrebbero pagare per fare si che le entrate dell’ Inps
per contributi siano pari alle uscite per le pensioni.
12
disciplinate le forme pensionistiche complementari e
nacquero i fondi pensione. L’iter “riformante” conobbe
successivamente altre due tappe importanti prima della
fine del secolo: la riforma Dini
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e quella Prodi
9
che ebbero
come fine principale il completamento del sistema
previdenziale italiano. Ulteriore intervento legislativo da
annoverare è la legge Maroni
10
, la quale ha apportato altre
notevoli modifiche, tra cui quella riguardante il TFR. Con
la legge del 27/12/2006, ovvero la legge finanziaria 2007,
si è anticipato il prodursi degli effetti del d.lgs. 252/2005
al 1 gennaio 2007. Precedentemente con il testo originale
del decreto, il lavoratore aveva la sola possibilità di
dichiarare la propria volontà a lasciare in azienda il TFR
per evitare che quella risorsa venisse a mancare
all’impresa. In seguito, con l’emanazione della modifica,
si prevede che dal 1 luglio 2007, anche qualora il
lavoratore avesse deciso di lasciare il proprio TFR in
azienda, esso sarebbe stato in ogni caso sottratto alla
disponibilità della stessa al fine di finanziare il “fondo per
l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato
dei TFR” costituito presso l’INPS. La legge finanziaria
del 2007 ha introdotto, inoltre, ulteriori cambiamenti
quali:
estensione ai lavoratori a progetto e agli
apprendisti dell’indennità giornaliera di
malattia;
8
Legge n. 135 dell’ 8 agosto 1995.
9
Legge n. 449 del 27 dicembre 1997.
10
Legge n. 243 del 23 agosto 2004.
13
incremento dell’aliquota contributiva per il
calcolo delle prestazioni pensionistiche per
tutti gli iscritti alla gestione separata presso
l’INPS.
14
1. I FONDI PENSIONE
1.1 Definizione e relativa normativa fiscale
I fondi pensione sono degli strumenti generati dalla
contrattazione collettiva di lavoro nati con lo scopo di
garantire più elevati livelli di copertura previdenziale ai
lavoratori e per dilatare le opportunità di trasferimento
intertemporale dei consumi a disposizione dei
risparmiatori; ciò è possibile attraverso una politica di
investimento delle proprie risorse. Ogni fondo deve essere
in grado di cumulare a scadenza una ricchezza che sia
capace di consentire il mantenimento dello standard di
consumi durante l’attività lavorativa.
In particolare, i fondi pensione sono degli enti presso cui
sia il lavoratore che l’azienda si impegnano a versare un
contributo periodico, successivamente investito
professionalmente sul mercato finanziario fino al
momento del pensionamento, al fine di garantire
prestazioni pensionistiche complementari aggiuntive a
quelle erogate dagli enti pubblici obbligatori.
I fondi pensione sono ormai una realtà consolidata in
paesi come la Gran Bretagna, l’Olanda e gli USA in cui le
pensioni pubbliche anche in passato erano molto più
esigue rispetto a quelle italiane. In Italia, invece, i fondi
pensione non hanno ancora avuto un grande sviluppo,
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probabilmente perché finora la copertura del sistema
previdenziale pubblico è stata più che buona, e perché i
fondi privati non sono a capitale garantito, in particolare
in caso di fallimento del fondo stesso, o delle imprese
private in cui ha investito il capitale raccolto. In caso di
fallimento del datore di lavoro, il TFR è l'unica voce della
retribuzione garantita: presso l'INPS esiste un fondo di
solidarietà nazionale fra le imprese che interviene a pagare
il TFR, in linea di capitale e interessi maturati, ai
dipendenti di aziende che non possono onorare gli
impegni contratti.
I fondi pensione sono disciplinati dal d. lgs. n. 124/1993
emanato dall’esecutivo sulla base della delega
11
contenuta
all’interno della legge n. 421/1992. Il decreto “disciplina
le forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti
pensionistici complementari del sistema obbligatorio
pubblico, al fine di assicurare più elevati livelli di
copertura previdenziale”
12
. All’interno del decreto vi è
una parte dedicata alla disciplina fiscale; la quale si
applica, però, solo a quelle forme di previdenza
complementare istituite nel rispetto di alcuni requisiti,
quali:
presenza di una fonte istituzionale
collettiva di natura contrattuale;
assunzione di una predeterminata forma
giuridica;
11
“Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione
delle discipline in materia di sanità, pubblico impiego, previdenza e
finanza territoriale”
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Articolo 1 del d. lgs. 124/1993