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degli istituti nazionali ed internazionali di statistica, descrivendo anche le
principali esperienze di contabilità ambientale sperimentate negli ultimi anni.
La seconda parte (capitolo 4), riguarda la nostra proposta di bilancio
ambientale con la dettagliata descrizione delle fasi di cui si compone e degli
strumenti ideati.
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C a p i t o l o 1
CONTABILITÁ AMBIENTALE E SVILUPPO
SOSTENIBILE. ORIGINE E STORIA
1.1. Contabilità Ambientale e Sviluppo Sostenibile
Lo sviluppo e la diffusione di sistemi di contabilità ambientale vanno di pari
passo con l’attenzione crescente verso politiche e obiettivi di sviluppo
sostenibile.
La contabilità ambientale serve infatti a:
Descrivere lo stato dell’ambiente e le interazioni che intercorrono tra
attività umane e natura
Quantificare gli impatti ambientali delle attività umane
Monitorare i progressi di politiche e strategie
Tutto questo per migliorare la qualità dell’informazione ambientale e facilitare
l’integrazione delle considerazioni ambientali nei processi decisionali, una
condizione sine qua non per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile.
Per comprendere appieno gli scopi e l’utilità della contabilità ambientale è
dunque necessario rispondere innanzi tutto ad alcune domande fondamentali
quali:
Cosa si intende per sviluppo sostenibile?
Perché dovremmo avere lo sviluppo sostenibile come obiettivo?
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Come si traduce in pratica lo sviluppo sostenibile?
1.2. Una definizione di sviluppo sostenibile
La Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo (1987) ha definito lo
sviluppo sostenibile come uno “sviluppo che soddisfa i bisogni del presente
senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i
propri”.
In passato, per la soddisfazione dei bisogni umani si è puntato sull’economia
più che sullo sviluppo, ovvero ci si è affidati alla crescita economica come
unico mezzo per accrescere il benessere umano. Al giorno d’oggi è chiaro che
il benessere umano non è determinato solo dalla quantità di beni che possiamo
acquistare ma anche dalla qualità della vita che conduciamo. Lo sviluppo
sostenibile riguarda appunto il miglioramento della qualità della vita, ovvero la
creazione di condizioni, che durino nel tempo, in cui le persone possano
sfruttare al massimo il loro potenziale e valorizzare la propria esistenza in
accordo con i loro bisogni ed interessi.
1.3. Perché lo sviluppo sostenibile
Per passare dalla filosofia alla pratica: non è meglio poter mangiare sano oltre
che tanto? Non è meglio poter avere accesso a spazi verdi tutto l’anno nelle
proprie città piuttosto che solo quando si va in vacanza? Non sarebbe bello
poter contare sul fatto che i nostri figli e nipoti respireranno aria pulita?
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Forse per qualcuno queste ragioni potrebbero non essere sufficienti a
giustificare gli sforzi e i cambiamenti di rotta che vengono richiesti alla nostra
società per perseguire e raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. In
questo caso è importante sottolineare come la necessità di sostituire obiettivi di
mera crescita economica con obiettivi di sviluppo sostenibile derivi anche dal
fatto che la crescita economica e lo sviluppo della società moderna hanno
portato con loro una serie di problemi che mettono ora a repentaglio le
possibilità di sviluppo future. Ciò è accaduto perché spesso è stata ignorata la
vera natura del rapporto tra uomo e ambiente. E’ necessario infatti riconoscere
ed accettare il fatto che l’uomo dipende dall’ambiente in cui vive e non può
pertanto cambiarlo a suo piacimento fino ad alterarne gli equilibri
fondamentali. Tale dipendenza è resa più esplicita dai limiti che la natura
impone alle attività umane.
In pratica, l’ambiente svolge tre funzioni fondamentali per l’economia e in
generale il sostentamento dell’uomo:
1) fornisce all’uomo le risorse naturali che quest’ultimo utilizza come
motore di ogni sua attività;
2) riceve ed assimila gli scarti che risultano dalle attività umane;
3) garantisce la sopravvivenza del genere umano fornendo allo stesso
spazio vitale e spazio per le attività ricreative.
Queste funzioni sono però limitate. Le risorse naturali non sono di per sé
presenti in quantità infinite e il loro eccessivo sfruttamento insieme
all’impoverimento causato dal degrado ambientale ne velocizzano
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l’esaurimento. A ciò va aggiunto che la richiesta per tali risorse andrà
aumentando con l’aumento della popolazione globale. Inoltre, la capacità di
carico (carrying capacity) della Terra, ovvero il livello di popolazione e di
attività umane che il pianeta è in grado di sostenere, è limitata.
Questo vuol dire che qualsiasi territorio ha una capacità di carico limitata per le
popolazioni che vi abitano e per le sostanze che vi vengono immesse.
Prendere la via dello sviluppo sostenibile vuol dire dunque rispettare i limiti
naturali al fine di garantire che vengano preservate le risorse necessarie allo
svolgimento delle attività umane nel presente e nel futuro.
1.4 Lo sviluppo sostenibile in pratica
Lo sviluppo sostenibile implica l’adozione di strategie e politiche basate su un
approccio pluridimensionale che porti all’integrazione di considerazioni ed
obiettivi di carattere economico, ambientale e sociale. Linee-direttive di tali
strategie sono:
il rispetto dei limiti fisici e biologici dell’ambiente,
la riduzione dell’uso e consumo delle risorse naturali,
l’aumento dell’efficienza con cui le risorse vengono utilizzate,
la riduzione degli impatti ambientali delle attività umane,
il miglioramento della qualità dei prodotti che produciamo e
consumiamo,
il miglioramento della gestione delle nostre attività.
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Questo processo di integrazione non può che essere facilitato dalla
condivisione degli obiettivi da parte di attori sociali ed istituzionali e dalla
creazione di un ampio consenso intorno agli stessi. In quest’ottica assumono un
ruolo fondamentale il coinvolgimento e la partecipazione del pubblico nei
processi decisionali. Se tutti i soggetti interessati dalle strategie di sviluppo
sostenibile vengono coinvolti nella progettazione ed attuazione delle stesse,
non solo è più probabile che tali strategie vengano accettate e viste dagli stessi
come un’opportunità piuttosto che un’imposizione, ma è anche più facile che
tutte le istanze di rilievo vengano messe in luce e prese in considerazione.
1.5 Dal globale al locale
Lo sviluppo sostenibile pone degli obiettivi globali da perseguire a livello
locale. La qualità ambientale a livello globale è infatti determinata da attività
che vengono svolte a livello locale, così come strumenti e politiche volti al
raggiungimento di uno stesso obiettivo possono risultare più o meno adatti ed
efficaci a seconda del luogo dove vengono utilizzati ed implementati. Inoltre,
per risolvere davvero un problema, bisogna conoscerne ed affrontarne le cause
e anche queste ultime, come le soluzioni possono variare da un posto all’altro.
Prendiamo ad esempio il problema dei cambiamenti climatici. Obiettivo
globale è quello di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra per stabilizzarne
la concentrazione in atmosfera a livelli non dannosi per l’uomo e le altre specie
viventi. Tuttavia, in ogni stato, regione o città, le emissioni di gas ad effetto
serra possono essere causate in proporzione maggiore o minore dalle diverse
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attività umane e quindi varieranno anche gli interventi per la riduzione delle
emissioni. Ad esempio, se in una determinata regione, il contributo maggiore
alle emissioni di gas serra provenisse dalla produzione di energia, sarebbe
opportuno incrementare l’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia; se invece la
causa principale del problema fossero i trasporti, sarebbe bene ridurre l’uso
delle auto private ad incoraggiare l’uso del trasporto pubblico.
1.6 Il ruolo della contabilità ambientale
Il problema della misurabilità della sostenibilità e della rendicontazione dei
progressi in questa direzione di una collettività ha posto e pone tuttora
numerosi interrogativi, sia metodologici sia operativi. Da un lato infatti si
percepisce l’esigenza di disporre di metodologie che “guidino” le scelte e le
decisioni di sviluppo, ma dall’altro non esistono metodologie consolidate che
possano fornire una base da cui partire per lo sviluppo di strumenti da tarare
sulle specifiche realtà. Rendere sostenibile lo sviluppo implica adottare
strategie, politiche e comportamenti che si basino su una visione allargata che
integra obiettivi e finalità di carattere economico, sociale e ambientale. “Ogni
comunità locale deve essere libera di declinare il generale concetto dello
sviluppo sostenibile alla propria realtà avendo comunque come riferimento
concettuale alcuni principi guida che possano aiutare a dare un senso
operativo allo sviluppo sostenibile” (Daly, 2001). Parlare di sviluppo
sostenibile implica doversi confrontare con:
rispetto dei limiti fisici e biologici dell’ambiente;
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riduzione dell’uso e del consumo di risorse naturali rinnovabili;
aumento dell’efficienza con cui le risorse, in particolare quelle non
rinnovabili, vengono utilizzate;
riduzione degli impatti prodotti dalle attività antropiche;
miglioramento della gestione delle variabili critiche per lo sviluppo
sostenibile.
A questi concetti corrispondono altrettante esigenze, in primis, informative e di
monitoraggio infatti:
se i limiti naturali vanno rispettati, occorre, per quanto possibile,
conoscerli;
se dobbiamo ridurre il consumo delle risorse naturali, dobbiamo sapere
quante ne stiamo consumando ora e quante ne potremo/dovremo
consumare in futuro;
se vogliamo preservare il patrimonio naturale, è necessario attribuire
allo stesso un valore adeguato;
se dobbiamo ridurre gli impatti ambientali in termini di rifiuti ed
emissioni dobbiamo conoscere i punti d’origine di tali impatti;
se il pubblico deve essere coinvolto nel processo decisionale, deve
prima essere adeguatamente informato;
se vogliamo valutare i progressi realizzati verso il raggiungimento di
obiettivi di sostenibilità, dobbiamo essere in possesso degli strumenti
adeguati.
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Il ruolo della contabilità ambientale è proprio quello di colmare le lacune
informative e supportare nell’attuazione di politiche, strategie e azioni per
lo sviluppo sostenibile.
La contabilità ambientale può essere adottata sia da imprese sia da enti locali
ed è stata applicata su diverse scale territoriali: nazionale, regionale,
provinciale e comunale. Essa cerca di fondare metodologicamente e
operativamente l’azione verso lo sviluppo sostenibile attraverso:
a) la definizione di ciò che una comunità locale si prefigge di raggiungere
in termini di sostenibilità nel breve, medio e lungo periodo;
b) la formalizzazione di un vero e proprio piano d’azione;
c) la valutazione delle risorse necessarie all’attuazione del piano d’azione;
d) il monitoraggio della spesa e dei risultati raggiunti.
La contabilità ambientale offre agli enti locali la possibilità di gestire
efficacemente la spesa ambientale di propria competenza non limitandosi a
reagire all’ambiente, ma cercando di intervenire dove le dinamiche ambientali,
le possibilità di effettivo intervento e le priorità di sviluppo sostenibile lo
richiedono.
1.7. Contabilità ambientale: origine e storia
I primi tentativi di definire un sistema di contabilità ambientale pubblica sono
stati stimolati dal dibattito internazionale e hanno avuto come oggetto e livello
di riferimento il Paese nel suo complesso; negli anni si è assistito, però, ad uno
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spostamento spontaneo del focus della contabilità ambientale dal livello
nazionale a livelli via via sempre più diffusi sul territorio.
1.8. Le radici dello strumento, l’insufficienza della contabilità nazionale
La contabilità ambientale pubblica è nata dalla consapevolezza
dell’inadeguatezza delle misure tradizionali di rilevazione della ricchezza, in
primis, il PIL (Prodotto Interno Lordo), a descrivere il benessere di una
nazione.
La contabilità nazionale costituisce un utile strumento per la misurazione di
performance economiche e per delineare le linee guida della politica
economica di un Paese. La contabilità nazionale si può dire quindi che traduce
nel linguaggio economico il comportamento dei soggetti collettivi (famiglie,
imprese, settore pubblico, settore estero) che entrano:
a) nel processo di produzione della ricchezza;
b) nel processo di distribuzione del potere d’acquisto sulla ricchezza
prodotta;
c) nel processo di finanziamento degli investimenti.
Le principali variabili macroeconomiche sono infatti il Prodotto interno Lordo
– PIL, il Prodotto Interno Netto – PIN, Prodotto Nazionale Lordo – PNL, il
Prodotto Nazionale Netto – PNN, gli investimenti, i consumi, le importazioni e
così via.
Esse forniscono una piena descrizione della domanda e dell’offerta aggregata,
permettono di indirizzare le politiche di stabilizzazione e permettono raffronti
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tra differenti nazioni in termini di ricchezza prodotta nel periodo oggetto di
osservazione; tuttavia esse mal si prestano a fornire gli adeguati segnali per un
Paese che volesse sviluppare un’analisi delle politiche economiche di lungo
periodo e che, soprattutto, volesse guardare alla loro sostenibilità economica,
ambientale e sociale.
Da ciò derivano le numerose critiche che, negli anni sono state mosse alla
contabilità nazionale; Tra cui (Daly, 2001) “La contabilità nazionale tende a
rilevare esclusivamente le transazioni operate sul mercato procedendo perciò
ad una misurazione dei soli flussi di beni e servizi che possano essere tradotti
in puri termini monetari. E proprio a questo orientamento, sostanzialmente
privilegiato nel Sistema dei Conti Nazionali, è riconducibile la convinzione che
le variabili e gli indicatori macro-economici non siano in grado di esprimere
adeguatamente il livello reale di benessere di una nazione, né tantomeno di
descrivere in alcun modo le relazioni che intercorrono tra il sistema
economico e l’ambiente, attribuendo un valore economico per esempio alle
funzioni di supporto da questo svolte”.
Le motivazioni secondo cui la contabilità nazionale non si è occupata dei beni
ambientali sono da ricondurre principalmente all’assenza di mercati in cui tali
beni sono scambiati e quindi all’assenza di una transazione monetaria sulla
base della quale valutarli ovvero, in presenza di un mercato, all’inadeguatezza
dei prezzi a cui tali beni sono scambiati.
Nel primo caso ci si riferisce a tutte quelle risorse naturali definibili come beni
collettivi per i quali è difficile attribuire ad alcuno il diritto di proprietà. Nel
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secondo caso ci riferisce invece alle risorse non rinnovabili che, pur avendo un
mercato di scambio, sono vendute ad un prezzo incapace di riflettere l’interesse
delle generazioni future ad avere la medesima disponibilità sia quantitativa che
qualitativa di quelle risorse.
Ulteriori critiche mosse agli indicatori macroeconomici riguardano poi le spese
ambientali difensive, ossia quelle spese che non creano nuova ricchezza ma
sono finalizzare esclusivamente a mantenere uno stato ambientale o a
ripristinarlo. A tal proposito, ancora Daly nel 2001: “Il PNN sopravvaluta il
prodotto netto disponibile per il consumo, dal momento che include molte
spese difensive considerandole come prodotti finali anziché come costi
intermedi di produzione”.
Difatti queste, nel calcolo del PIL, entrano come prodotti finali portando a una
sopravvalutazione della ricchezza di una nazione. Il paradosso è che il PIL
aumenta se una disastro naturale trasforma ed impoverisce un territorio e il
governo interviene con risorse per riparare i danni. “In Nigeria il PIL ha
registrato un aumento spettacolare nell’anno in cui sono state tagliate e
vendute grandi aree di foreste. Il bilancio di un Comune segna un aumento di
entrate se si realizza l’urbanizzazione di un territorio agricolo” (Daly, 2001).
Per poter produrre quindi un sistema che possa fornire i giusti segnali ai
decisori politici sono necessarie le seguenti correzioni al sistema convenzionale
dei conti:
a) attribuire un valore alle risorse naturali in quanto risorse scarse;
b) valutare gli effetti delle politiche economiche sul patrimonio naturale;