IX
linguaggio comunicativamente efficace (Caselli, Volterra, 1999), la
condivisione di regole di convivenza (Pontecorvo, 1984) si possono
considerare a buon diritto tra le direttrici più importanti del processo di
socializzazione. Genitori e insegnanti assistono a questo lento e graduale
sviluppo, motivo di piacevoli sorprese, ma anche in alcuni casi di
deludenti e frustranti attese. Ogni essere umano, in modo del tutto
particolare chi è nella fase evolutiva, corre il continuo rischio di
imboccare strade antitetiche, poiché nella fase formativa non si ha una
reale possibilità di effettuare opzioni coscienti e libere. È proprio durante
gli anni della scuola dell’obbligo che il bambino entra in contatto più
significativamente con il gruppo dei pari e anche con gli insegnanti, che
rappresentano una nuova figura educativa alla quale il bambino si dovrà
adattare. Il contatto con il gruppo dei pari assume dunque una grande
rilevanza proprio per il nascere non solo dei primi tentativi di
“emancipazione” del ragazzo dalla famiglia, ma anche per l’instaurarsi di
legami amicali. Osservando bambini che si incontrano regolarmente al
nido, Howes (1983) ha dimostrato che per alcuni di essi forme di proto-
amicizia si manifestano addirittura a due anni.
Il presente lavoro si compone di due parti: la prima, è volta allo studio
della personalità attraverso le diverse teorie che hanno tentato di darne
una definizione e una spiegazione. Da un panorama generale, si passa
gradualmente a uno più ristretto, che focalizza l’attenzione al periodo
dell’età evolutiva, momento di grandi cambiamenti e ricerca di una
preziosa stabilità che sarà conquistata pienamente con l’età adulta. Nella
seconda parte viene presentata la ricerca. Il nostro scopo è quello di
confrontare, la descrizione della personalità dei bambini da parte dei
genitori e dei figli, con l’intento di valutare come, la percezione dei
X
genitori sulla personalità dei figli, possa influenzare il giudizio dei figli
stessi.
Lo strumento testistico da noi scelto è stato il Big Five Questionnaire for
Children (Bfq-c), un test di personalità standardizzato per la fascia d’età
compresa tra gli 8 e i 14 anni elaborato da C.Barbaranelli, G.V.Caprara e
A.Rabasca (1998). Uno strumento tutto italiano tra i più adatti in ambito
scolastico per rilevare la personalità dell’alunno e che prevede una forma
per l’eterovalutazione da parte dei genitori o insegnanti. Infine vengono
illustrati e commentati i risultati.
1
PRIMA PARTE: LO STUDIO DELLA PERSONALITÀ
IN ETÀ EVOLUTIVA
CAPITOLO 1: LA PSICOLOGIA DELL’ETÀ
EVOLUTIVA
1.1 INTRODUZIONE
La psicologia dell’età evolutiva è lo studio dei notevoli cambiamenti del
comportamento che si verificano quando gli individui crescono. Questi
cambiamenti si verificano fin dai primi momenti di vita e continuano fino
all’età adulta. In generale la psicologia dell’età evolutiva ha due scopi
indipendenti: il primo è quello di descrivere quali sono gli sviluppi, il
secondo è quello di scoprire le cause delle differenze evolutive. Per
scoprire un cambiamento evolutivo, gli psicologi devono confrontare le
persone ad età diverse. Ci sono due modi abbastanza diversi di farlo: il
metodo longitudinale e quello trasversale. Gli studi longitudinali seguono
le stesse persone nel tempo e tracciano il modo in cui il loro
comportamento cambia con la crescita. Uno studio longitudinale è quello
in cui un gruppo di bambini viene osservato prima di andare a scuola e
poi ancora parecchie volte durante i loro anni di scuola. Tuttavia gli studi
longitudinali richiedono tempi molto lunghi e comportano dei limiti e per
tale ragione ve ne sono pochi. La maggior parte delle informazioni sullo
sviluppo dei bambini deriva dall’altro approccio, la ricerca trasversale.
Gli studi trasversali si occupano di persone diverse in gruppi di età
2
diversi. Nonostante le informazioni vengono ottenute molto rapidamente
anche questi presentano dei limiti. Sono tanti i metodi usati nello studio
dell’età evolutiva. L’osservazione è il metodo più antico e il più provato
in psicologia dell’età evolutiva. La prima tra le principali intuizioni
sull’argomento derivò dai cosiddetti “diari dei bambini” in cui i genitori
riportavano i progressi dei loro bambini durante i primi anni. Il più noto
di questi è il meticoloso resoconto scritto da Darwin (1877) per uno dei
suoi bambini. Quando la psicologia si sviluppò nei primi anni di questo
secolo, le persone iniziarono a produrre studi osservativi sui bambini più
grandi che non erano i loro. Il metodo fu usato per studiare sia lo
sviluppo intellettivo che quello emotivo ed è probabile che molti studi
sulla psicologia dell’infanzia fossero di tipo osservativi sino agli inizi
della II guerra mondiale. Il metodo fu meno usato però dopo il 1945, in
parte a causa della crescente popolarità del metodo sperimentale, ma in
parte anche perché sembrava esserci una generale imprecisione nei
resoconti delle osservazioni. Il problema era centrato principalmente
sulla mancanza di criteri oggettivi. Se uno psicologo riportava le sue
osservazioni, diciamo, sul comportamento aggressivo, sembrava che non
ci fosse un controllo per accertare che il suo uso del termine
corrispondesse all’uso fattone da un’altra persona. Il problema dei criteri
oggettivi fu raccolto dagli “etologi dell’infanzia” negli anni 60’. La loro
risposta, che adottava i metodi usati per studiare gli animali nei loro
ambienti naturali, fu di non fare assunzioni su categorie vaste, come
l’aggressività, ma di registrare pezzi di comportamento più piccoli e
oggettivamente definiti, come i movimenti particolari del braccio o del
viso. Una volta registrati, si può, usando procedure statistiche piuttosto
complesse, vedere in che modo questi atti particolari siano associati.
Sebbene il primo resoconto sistematico sui cambiamenti evolutivi fosse
3
osservativo, il metodo che instaurò alla fine il soggetto come una entità
separata fu indubbiamente il test psicometrico. Questo lo dobbiamo
all’eminente psicologo dell’infanzia Alfred Binet (1911), a cui fu
commissionato di produrre un test di intelligenza efficiente. Oggi, il
metodo sperimentale domina la psicologia infantile. Fino agli anni ’50 la
concezione dominante nell’indagine dei processi di sviluppo era quella
che da un lato, prestava importanza alle determinanti sociali, dall’altro
riponeva fiducia nella consistenza della personalità e nella mancanza di
grandi cambiamenti dopo i primi anni di vita. Nella concezione
psicoanalitica freudiana e nei successivi sviluppi (psicoanalisi dell’Io,
psicoanalisi delle relazioni oggettuali, teoria dell’attaccamento di
Bowlby), l’enfasi è sempre stata posta sul ruolo delle precoci relazioni
effettive e sugli effetti quasi irreversibili della separazione e della
frustrazione nello sviluppo della personalità. Anche in ambito
psicoanalitico sia coloro che vedevano lo sviluppo come una graduale
costruzione, sia quelli che sostenevano una maturazione progressiva di
comportamenti, ponevano tuttavia l’importanza sul ruolo determinante
delle esperienze precoci e sulla loro relativa stabilità futura. Queste
prospettive sono gradualmente cambiate grazie all’acquisizione di una
casistica clinica maggiore, al moltiplicarsi delle ricerche sui diversi
processi e stadi evolutivi ed agli sviluppi della genetica. Oggi possiamo
ritenere che le persone cambiano nel corso dello sviluppo e che l’impatto
delle precoci esperienze può avere effetti a lungo termine diversi in
relazione alle successive esperienze di vita. “Nella nuova concezione
della personalità, fondata soprattutto sull’interazionismo dinamico, tutte
le fasi dello sviluppo riflettono un complesso di continuità e
discontinuità, che inducono a guardare ad esso come ad un flusso di
transazioni e possibilità (Caprara e Gennaro 1994)”. Quindi, solamente
4
l’indagine sull’intero arco di vita può svelare le varie transazioni, le
continue negoziazioni che scandiscono le vicende della personalità
individuali, oltre al peso da assegnare alle diverse influenze genetiche e
ambientali. “La personalità è una costruzione che si dispiega lungo tutto
il corso della vita (Hampson, 1982)”.
Gli aspetti fondamentali della personalità dei ragazzi subiscono,
specialmente nel periodo della scuola dell’obbligo, modificazioni lente e
graduali che contribuiranno alla formazione della loro personalità. Questi
cambiamenti possono produrre evoluzioni poco armoniche dello
sviluppo, non necessariamente di grave entità. Ma pare interessante
chiedersi quali sono gli aspetti che influenzano questo processo di
maturazione. Un’impressionante quantità di dati sostiene che molti dei
tratti fondamentali della personalità hanno una notevole componente
genetica (Attili, 1993), anche se sono influenzati in misura diversa
dall’ereditarietà. Gran parte dei comportamenti per i quali differiamo gli
uni dagli altri sono necessariamente modellati, nel corso della vita, da
fattori di natura genetica, ma un ruolo fondamentale è giocato anche
dall’ambiente (Branconi, 1972) in cui questi fattori ereditari possono
esprimersi. I geni e l’ambiente sono forze di uguale importanza, che
interagiscono dando luogo alle più disparate dinamiche evolutive. I geni
esistono sempre entro un’ambiente, senza il quale non possono operare,
dal momento che, sulle loro modalità di funzionamento, intervengono
sempre le caratteristiche del contesto. Ad ogni modo, i tipi di influsso che
l’ambiente può esercitare sono resi possibili e, al tempo stesso limitati,
dalle specifiche caratteristiche degli individui. Le interazioni genotipo-
ambiente rendono possibili diversi esiti evolutivi, ma la varietà dei
risultati è vincolata dalle pecurialità del genoma e da quelle del contesto
di vita: per esprimere questo concetto, alcuni autori hanno adottato il
5
termine plasticità relativa del comportamento umano (Ford e Lerner,
1992). Esso si riferisce al fatto che la gamma di percorsi di potenziale
sviluppo è grande per ciascuno individuo, considerata la varietà di
combinazioni tra fattori ereditari e ambientali che si fondono nel singolo.
Le differenze tra gli individui sono notevoli proprio a causa della
plasticità relativa, per questo non esisteranno mai due persone con la
medesima fusione tra fattori genetici e ambientali. Focalizzando
l’attenzione sul contesto, dove trova espressione la nostra componente
ereditaria, possiamo affermare che un ruolo determinante sembra essere
giocato soprattutto dalla famiglia che, di solito, è il primo ambiente con il
quale il bambino torna in contatto. Questo punto di vista è pienamente
condiviso, soprattutto dalla teoria psicoanalitica. Tuttavia, studi effettuati
su gemelli monozigoti, hanno messo in evidenza (Dunn e Plomin, 1990)
che, ciò che riveste un ruolo determinante sulla formazione della
personalità, sia l’ambiente familiare unico, “non condiviso”, vissuto e
sperimentato dai bambini all’interno della stessa famiglia. Oltre
all’ambiente ristretto del nucleo familiare, anche quelli al di fuori di esso,
come la scuola e il gruppo dei pari, influenzano lo sviluppo della
personalità.
6
1.2 PRICIPALI TEORIE SULLO SVILUPPO DELLA
PERSONALITÀ IN ETÀ EVOLUTIVA
Molti sono i fattori che influenzano lo sviluppo della personalità:
culturali, di classe sociale, familiari, di relazione e genetici. Nessuna
delle teorie che saranno analizzate riesce a tenere adeguatamente in
considerazione tutti i molteplici aspetti che determinano la crescita e lo
sviluppo. I sostenitori delle teorie dei tratti hanno portato avanti la
ricerca sul modo in cui, nelle diverse età della vita, l’ereditarietà e
l’ambiente influenzano lo sviluppo della personalità. I teorici
dell’apprendimento tendono a trascurare l’impatto dei fattori biologici.
La teoria psicoanalitica presta attenzione al ruolo dei fattori biologici e
ambientali nello sviluppo della personalità, ma si ferma ad un livello
speculativo. Le differenze sostanziali appaiono relativamente a due
problemi che riguardano il processo di sviluppo: il primo, riguarda
l’utilità del concetto di stadio di sviluppo e il secondo, l’importanza delle
esperienze primarie per il successivo sviluppo della personalità. La teoria
dei tratti ritiene prioritari l’ereditarietà e l’ambiente non condiviso e si
discosta dalla psicoanalisi per l’importanza attribuita alle esperienze
compiute al di fuori dell’ambiente familiare. La teoria cognitivo-sociale
critica il concetto di stadi di sviluppo e l’ipotesi che conferisce, ai primi
anni di vita, un’importanza fondamentale nella strutturazione della
personalità. Gli esponenti di tale teoria, sottolineano la possibilità che le
diverse parti della personalità si sviluppino in modi differenti e che si
possa attuare un cambiamento dovuto alle esperienze accumulate in
successivi periodi di sviluppo. La teoria psicoanalitica accorda grande
importanza ai primi anni, sottolineando l’impatto dell’esperienza
7
nell’ambito della famiglia e al concetto di stadi di sviluppo, che
sembrano susseguirsi in un ordine ben preciso per ogni individuo.
1.2.1 Teorie dei tratti
In generale, i ricercatori dei tratti hanno concentrato il loro lavoro sulla
personalità adulta, tuttavia non mancano riferimenti inerenti allo sviluppo
dei diversi tratti. Eysenck (1967) e Cattell (1955) mettono in evidenza
l’aspetto genetico, ereditario, delle proprietà stabili della personalità.
Negli anni recenti, un’impressionante quantità di dati, confermano il
punto di vista secondo cui, molti dei tratti importanti degli individui
hanno una sostanziale componente genetica (Tellegen, 1988; Loehlin,
1992; Plomin, 1994). Al tempo stesso, i diversi tratti sono influenzati
dall’ereditarietà in diversa misura. Un altro aspetto interessante di questa
prospettiva, è l’impegno volto a determinare quali influenze ambientali
sono importanti per lo sviluppo della personalità. L’ipotesi più ovvia,
porterebbe ad attribuire all’ambiente familiare un ruolo decisivo, ma
studi sui gemelli sono giunti alla conclusione che i bambini che vivono
all’interno della stessa famiglia, non condividono affatto lo stesso
ambiente. Per quanto i fattori di un ambiente familiare siano importanti
nello sviluppo della personalità, questi fattori sono vissuti in modo
diverso dai bambini che crescono nella stessa famiglia. L’ipotesi è che sia
molto più significativo l’ambiente familiare “unico” vissuto da ogni
bambino per il suo successivo sviluppo. Un altro ruolo importante va
attribuito anche alle esperienze che sono fatte al di fuori della famiglia,
che concorrono a modellare ciò che è ereditario, nella costruzione della
personalità. Quindi, potremo chiudere affermando che, i geni influenzano
la personalità non solo attraverso la costituzione biologica di una
8
persona, ma anche attraverso il modo in cui la persona seleziona,
modifica e crea gli ambienti con i quali entra in contatto. Gori Savellini e
Morino Abbele (1984) hanno condotto una ricerca sulle relazioni
esistenti tra l’atteggiamento depressivo e i tratti di personalità nei
preadolescenti, confermando il ruolo di questi ultimi nel determinare una
visione del mondo e del tempo che è causa, non solo effetto, di risposte di
tipo depressivo. Questo studio conferma l’incidenza dei tratti di
personalità sulle tante configurazioni comportamentali che il soggetto
può mettere in atto.
1.2.2 Le teorie cognitivo-sociali
Le teorie cognitivo-sociali sostengono che, molti dei comportamenti che
sono messi in atto dagli individui, siano frutto, sia dell’esperienza diretta,
sia di un apprendimento attraverso l’osservazione degli altri. Quindi, il
bambino costruisce le basi della propria personalità imitando e
rimodellando su se stesso il comportamento altrui. In questa prospettiva,
è importante sottolineare il ruolo delle ricompense e delle punizioni
affinché un certo tipo di comportamento sia acquisito oppure estinto: un
modello di comportamento nuovo, complesso, può essere appreso anche
senza bisogno di rinforzi, ma affinché questo sia messo in atto deve
essere premiato. I bambini, quindi, dispongono di molteplici modelli e
possono imparare sia dai genitori, dai fratelli, dagli insegnanti e dai
coetanei (Caprara e Pastorelli, 1993) sia dalla loro esperienza diretta,
selezionando attivamente quali modelli osservare e cercare di emulare.
Attraverso questi meccanismi, i bambini acquisiscono importanti
caratteristiche della personalità quali le competenze, le aspettative, le
convinzioni e gli standard di comportamento socialmente accettati. E’
9
importante che la teoria cognitivo-sociale è antitetica a concezioni che
stabiliscono stadi fissi di sviluppo e tipi generali di personalità. Secondo
Bandura e Mischel (1973), lo sviluppo personale permette di affinare
capacità e competenze in aree particolari e in specifici contesti. In tale
concezione è fondamentale la possibilità di discriminare tra situazioni e
di regolare la flessibilità del comportamento secondo gli obiettivi interni
e le richieste poste dall’ambiente nel quale la persona si struttura.
Importante risulta quindi, sia il ruolo attribuito alla famiglia, ma anche
alla scuola che appare il luogo dove il bambino si trova a confrontarsi
continuamente con i pari, ad instaurare i primi legami amicali e a provare
sentimenti nuovi e importanti ai fini di una crescita equilibrata. Il
rapporto e il confronto con i pari permette all’adolescente di esplorare
nuovi spazi e di valutare in modo autonomo, al di là del confronto con gli
adulti, il proprio comportamento e le proprie scelte. Le relazioni amicali
offrono all’adolescente molteplici opportunità per conoscere strategie che
gli altri usano per affrontare problemi simili ai propri. Il gruppo dei
coetanei impone certe obbligazioni e certe norme ed esercita un’influenza
sul comportamento di ogni membro, in rapporto alle norme sociali, tale
influenza può essere positiva o negativa. Le modalità (i processi) in base
alle quali un gruppo esercita una influenza negativa non differiscono da
quelle in base a cui giunge ad una positiva. In sintesi dunque, sono
molteplici i fattori che oltre alla socializzazione verso i valori familiari,
possono contribuire alla costruzione della personalità dell’adolescente
particolarmente rilevanti appaiono l’esperienza scolastica e
l’appartenenza a differenti gruppi di coetanei nella vita extrascolastica.
10
1.2.3 Le teorie di ispirazione psicoanalitica
La psicoanalisi ha grandemente contribuito all’individuazione ed alla
definizione degli elementi che costituiscono il profilo dell’identità e dei
fattori che intervengono nel processo della sua costruzione. E’
interessante notare come ciò sia avvenuto senza che il termine identità
fosse usato se non con assoluta rarità, se si prescinde dal lavoro di
Erikson e Jacobson (1950). Il termine identità compare infatti nell’opera
di Freud solo nel capitolo VII de “L’interpretazione dei sogni” (1899)
dove è usato nella forma di “identità di percezione” e di “identità di
pensiero” in riferimento alla sua concezione dell’esperienza di
soddisfacimento. In psicoanalisi si preferisce parlare di personalità
oppure, talvolta, di carattere. Lo studio delle tappe evolutive nella
costruzione della personalità rappresenta dunque il contributo della
psicoanalisi al tema dell’identità. Come è noto, i contributi psicoanalitici
alla conoscenza del normale funzionamento della psiche, sono derivati
dal lavoro clinico con i pazienti e, dopo Freud, anche dalla osservazione
diretta dei bambini normali, cosa che lo stesso Freud aveva peraltro
incoraggiato a fare. Oltre al lavoro clinico di Freud e degli altri
psicoanalisti della cosiddetta prima generazione, lo studio della
personalità è grandemente debitore alla psicologia psicoanalitica dello
sviluppo. Con questo termine si intendono raggruppare tutti i contributi
concettuali, siano essi derivati dall’esperienza clinica o dall’osservazione
diretta, che la psicoanalisi ha fornito riguardo allo studio dello sviluppo
della personalità. Sono molti i contributi elaborati dai vari autori ma, al di
là della loro diversità, ciò che li accomuna è l’enfasi posta sul ruolo
fondamentale delle precoci relazioni affettive e sugli effetti quasi
irreversibili della separazione e della frustrazione nello sviluppo della
11
personalità. Secondo il modello epigenetico della libido (sviluppato da
Freud e mai abbandonato dai suoi allievi), il comportamento e gli
interessi del bambino sono espressione della maturazione della libido
(energia dell’istinto sessuale la cui produzione, aumento, distribuzione
ecc. determina i fenomeni psicologici) che investe successivamente parti
del corpo e il soggetto sperimenta diversi modi di gratificazione. Si
susseguirebbero così una fase orale (primo anno), prima passiva e poi
ambivalente e sadica; una fase anale (fino a 2-3 anni), prima retentiva e
poi espulsiva; una fase fallica che si conclude quando il bambino,
superato il complesso di Edipo, entra nella latenza (5-7 anni). La fase
edipica la cui dinamica plasmerà sia l’identità di genere del soggetto sia,
più in generale, il primo stabile profilo di personalità. Per una sintetica,
ma esauriente ed affidabile descrizione della fase edipica seguiremo
quanto dice Charles Brenner (1955): “ le nostre conoscenze sul
complesso edipico si sono sviluppate in questo modo: Freud scopri’,
piuttosto presto, che nella vita psichica inconsia dei suoi pazienti
nevrotici era regolarmente presente qualche fantasia di incesto col
genitore del sesso opposto, accompagnata da violenti sentimenti di
gelosia e ira nei confronti del genitore dello stesso sesso. Per l’analogia
fra tali fantasie e la leggenda greca di Edipo >… ≅ Freud chiamo’ questa
costellazione con il nome di complesso di Edipo (Freud 1899) . Nel corso
dei primi dieci o quindici anni di questo secolo ci si rese ben conto che il
complesso di Edipo non era soltanto una caratteristica della vita inconscia
dei nevrotici, ma era presente anche nelle persone completamente
normali”. Al termine della travagliata fase edipica viene a definirsi
dunque, in maniera stabile, l’identità sessuale. Questa sarà posta
nuovamente al centro del conflitto evolutivo al momento
dell’adolescenza. La fase edipica produce però anche un’altra
12
conseguenza rilevante per la strutturazione della personalità e per la
definizione dell’identità: la formazione del “ Super-Io”. Esso costituisce
una delle tre istanze psichiche, essendo le altre l’Es e l’Io, che Freud ha
postulato nell’ipotesi strutturale dell’apparato psichico. Margaret Mahler
(1952) ipotizzò il modello della monade o narcisistico- simbiotico
utilizzando i concetti freudiani di simbiosi e narcisismo. Le fasi descritte
sono quella autistica (il primo mese di vita in cui il bambino, come una
monade, è chiuso ad ogni contatto con il mondo esterno), quella
simbiotica di fusione onnipotente con la madre, che dura fino a 7-8 mesi
ed infine quella di separazione-individuazione, suddivisa in sottofasi,
dura fino a tre anni. Il susseguirsi di queste fasi, concerne un’impronte
indelebile sulla futura personalità adulta. Molto più attuale è la
descrizione di Bowlby (1969; 1973) di una fase di attaccamento alla
madre (il cui apice è raggiunto tra i 18 e i 30 mesi), cui seguono poi la
separazione e la perdita che si esprimono attraverso l’angoscia, l’attesa
del ritorno, il distacco dalla madre. Il tipo di attaccamento che il bambino
instaurerà con la madre, o con chi si prende cura di lui, diverrà il
prototipo delle sue relazioni future e del suo senso di sicurezza e stabilità.
Nella ricerca, le teorie di ispirazione psicoanalitica prediligono l’utilizzo
delle tecniche proiettive. Kohn (2002) ha condotto uno studio volto
all’identificazione della depressione in bambini aggressivi utilizzando
questo tipo di tecniche.