5
verso l’Altro e verso il territorio, e quanto più questo legame si dilata, tanto più il senso
d’appartenenza può giungere a comprendere l’umanità.
La psicologia, e nello specifico quella socio-ambientale, può contribuire ad
accrescere la competenza delle persone nel sostenere il territorio; il termine
“sostenibile”, originariamente riferito allo sviluppo, viene qui utilizzato per descrivere
culture e pratiche psicosociali, comportamenti individuali e pratiche comunitarie.
D’altro canto ho utilizzato il concetto di “insostenibilità” nella descrizione di un
orizzonte culturale uniforme e monocentrato, che agisce sui differenti sistemi
territoriali, sulla conoscenza delle pratiche ecologiche di una comunità e sulla
determinazione d’ingiustizia, disagio sociale e personale. L’obiettivo di questo lavoro è
quello di comprendere come la psicologia possa incontrare l’ecologia nella creazione di
sapere e di pratiche sostenibili.
Nel primo capitolo ho cercato di riprendere i nessi esistenti tra sapere ecologico,
ambiente naturale e psicologia; ho descritto concezioni di salute “ecologiche”, visioni
territoriali basate sulla cultura della Terra mater, ed approcci psicologici in linea con
tali rappresentazioni della realtà.
Nel secondo capitolo descrivo alcuni aspetti psicosociali in grado di influire sul
comportamento ecologico nonché sulle rappresentazioni culturali e normative delle
persone nei confronti della sostenibilità del territorio. La dimensione personale assume
un ruolo fondamentale nella creazione di sostenibilità, soprattutto per ciò che riguarda
l’attuazione di concrete pratiche ecologiche, la creazione di atteggiamenti e luoghi
d’azione ecologici. Si profila la necessità di accostarsi al tema della sostenibilità da una
prospettiva più ampia che includa processi collettivi, socio-culturali e strutturali.
Il terzo capitolo consente di stabilire un ponte concettuale tra la prospettiva
individuale e quella comunitaria alla sostenibilità del territorio; nella prima parte ho
preso spunto dal saggio di un noto biologo, Hardin G., dal titolo “The tragedy of
commons”, molto citato dagli economisti e dalla eco-psicologia. Egli ricostruisce il
destino delle risorse comuni (terreni, beni, sino ad includere le risorse naturali mondiali)
qualora lasciate in gestione alla comunità, in assenza di restrizioni che ne limitino l’uso.
Da questo scritto, che legittima il neo-liberismo economico e la coercizione come
6
mezzo per limitare lo sfruttamento delle risorse e la crescita demografica incontrollata,
si possono trarre riflessioni interessanti in parte già espresse dalla psicologia ambientale
e sociale, nella “teoria dei dilemmi sociali”. Tali riflessioni sottolineano la necessità di
cogliere nella comunità responsabile, nelle sue rappresentazioni e nelle pratiche
sostenibili che essa esercita sul territorio la risoluzione nonviolenta della gestione dei
territori.
Nel quarto capitolo riporto alcuni processi insostenibili legati alla violenza strutturale
ed a quella che viene definita “monocultura della mente”, attraverso il parallelismo tra
diversità culturale e biodiversità, omogeneizzazione culturale e monocoltura. Descriverò
anche alcune gravi conseguenze di questi processi così come mostra il caso dell’India,
sfociato nell’aumento di suicidi da parte dei contadini e nel drammatico ricorso al
feticidio da parte di molte donne, processi strettamente legati a forme di violenza
strutturale sul territorio. In questo ambito mi è parso importante riflettere sul ruolo
congiunto dei diritti umani e dell’ecologia nel percorso verso la sostenibilità della
salute.
L’ultimo capitolo è dedicato alle pratiche psicosociali come potenziali promotrici di
sapere ecologico nella scuola, nella gestione e pianificazione ambientale, e nella
promozione di una cittadinanza attiva; sottolineo, inoltre, il ruolo dell’ecologia nella
comprensione del sacro e del senso del limite, necessari alla trasformazione del sentire
nel “sentire ecologico”.
7
1. Territorio e salute: una visione eco-sistemica.
1.1. Il territorio come bene della comunità
Ho scelto di accostare questi termini, territorio e comunità con l’intento di
caratterizzare sin dall’inizio l’oggetto di questo lavoro in termini di mutua
interdipendenza tra i due ambiti.
Ogni territorio rimanda ad una comunità, così come le comunità di esseri viventi
definiscono territori d’ogni sorta. A Haeckel
1
dobbiamo la nozione di ecologia che
giunge a definire un nuovo campo per le scienze biologiche, quello delle relazioni tra
esseri viventi e gli ambienti in cui vivono
2
. Nel corso degli ultimi decenni il termine
ecologia ha assunto un ruolo chiave nella nostra cultura, nelle scienze naturali ed in
quelle sociali. Per ogni campo del sapere si è presentata l’esigenza di considerare
l’interdipendenza degli ambiti del pensiero, non esclusa quella tra ambiente naturale ed
esistenza umana. Tale connessione, come riprenderò più avanti, è stata presente alle
origini della concezione occidentale di salute, per poi perdersi, nel fitto bosco di
spartizioni disciplinari che sono cresciute con l’evolversi del pensiero scientifico.
L’uomo, nomade o migrante che sia, tesse necessariamente complesse relazioni con
l’ambiente che si trova a vivere. La psicologia ne ha preso atto, spingendosi ad
incontrare l’ambiente sociale, quello di comunità ed, a partire dagli anni cinquanta
facendo della relazione uomo-ambiente il proprio oggetto di studio.
A questo proposito vorrei cercare di dare una buona definizione dei concetti salienti
per il discorso, partendo dalla psicologia, delineando l’ambito della psicologia
ambientale, quello dei concetti di territorio e di comunità, ed infine anticipando l’idea di
approccio ecologico che considererò più nello specifico con il procedere del discorso.
1
Haeckel E., 1866, in Morin E., p. 9.
2
Morin E., 1980, p. 9.
8
La psicologia ambientale è nata grazie all’interesse reciproco mostrato da discipline
apparentemente distanti, come l’architettura e le scienze biologiche e naturali, e la
psicologia stessa; si è sviluppata con lo scopo di studiare i processi psicologici, il
comportamento umano ed il benessere delle persone in relazione alle caratteristiche
fisiche o socio-fisiche degli ambienti di vita quotidiana
3
. L’ interesse per il contributo
delle persone ai mutamenti sul territorio ha stimolato gli psicologi ambientali a
dedicarsi allo studio del rapporto tra gli esseri umani e gli ambienti “naturali”,
concentrandosi soprattutto nella comprensione dell’azione dovuta ai fattori psicologici
implicati nei cambiamenti degli ambienti bio-ecologici o ecosistemi
4
. Tali processi si
sviluppano da livelli più individuali, quindi più pertinenti alla psicologia ambientale e
sociale, ma anche alla filosofia, a quelli più collettivi, legati a temi socio-economici, di
diritto ed ancora psicosociali. Parlando di territorio come bene comune dei popoli, le
voci in questione si fanno multiple, ed ognuna d’importante valore; per questo vorrei
mantenere uno sguardo il più possibile poliprospettico, sostenendo l’argomento
attraverso i contributi di altre discipline, cercando al contempo di mantenere
l’attenzione al legame di queste con gli aspetti psicologici. Per definire il concetto di
territorio utilizzerò le parole di Turri E., geografo ed attualmente consulente per la
pianificazione territoriale e paesistica alla regione Lombardia: il territorio è “lo spazio
nel quale operiamo, ci identifichiamo, nel quale abbiamo i nostri legami sociali, i nostri
morti, le nostre memorie, i nostri interessi vitali, punto di partenza della nostra
conoscenza del mondo”
5
. Questa citazione mi pare mostrare la vicinanza tra la
prospettiva di Turri e quella offerta dalla psicologia di comunità. Territorio ed ambiente
spesso si confondono nei termini pur avendo una propria specificità, ma entrambi sono
realtà costruite socialmente, che indicano luoghi attraversati dallo sguardo o dal
pensiero umano. “L’uomo e le società si comportano nei confronti del territorio in cui
vivono in un duplice modo: come attori che trasformano, in senso ecologico, l’ambiente
di vita, imprimendovi il segno della propria azione, e come spettatori che sanno
3
Bonnes M., Secchiaroli G., 1992; Bonnes M., Bonaiuto M., 2002.
4
Bonnes M., Carrus G., Passafaro P., 2006, p. 12.
5
Turri E., 1998, p. 15.
9
guardare e capire il senso del loro operare sul territorio. È evidente che ove mancasse
l’uomo che sa guardare e prendere coscienza di sé come presenza e come agente
territoriale non ci sarebbe paesaggio, ma solo natura (…)”
6
. Anche l’ambiente naturale
considerato dalla psicologia ambientale, non è rappresentato da territori vergini o
selvatici, bensì da ecosistemi che comprendono le comunità che vi co-abitano e che
interagiscono con essi. Ciò implica anche la necessità di considerare che “i fattori alla
base dei diversi processi e cambiamenti biologico-fisici che avvengono negli
ecosistemi, o ambienti, risiedono sempre più spesso nell’azione umana (…) e ancor di
più nelle ragioni che orientano e guidano le azioni umane”
7
. Il territorio diviene bene
comune per le comunità quando si accompagna ad una cultura che lo tuteli, una cultura
che “cresce in seno ad un’economia che protegge la vita"
8
. Tale cultura esprime un
profondo legame con la terra e con le specificità di un luogo, comprese le pratiche locali
che caratterizzano una comunità. Il rapporto tra territorio come bene comune e culture
economiche è ben espresso da Vandana Shiva
9
, fisica indiana e ricercatrice nell’ambito
della scienza, della tecnologia e della politica ambientale. Shiva ha fondato in India
diversi istituti di ricerca ed organismi volti alla protezione della diversità e delle culture
locali, connettendo questioni quali la conservazione delle sementi locali e della
biodiversità con i valori di cooperazione e solidarietà (sui quali si fondano le “culture
che valorizzano la vita”
10
), con i diritti collettivi e la convivenza pacifica tra i popoli.
Essa prende in considerazione il concetto di Identità nelle culture che valorizzano la
vita, fondandole sulla compresenza di molte Identità; la nostra identità terrena è data al
contempo dalle esperienze quotidiane della realtà in cui viviamo e “dalla globalità delle
pratiche che ci correlano al resto del mondo”
11
. I beni comuni sono “risorse condivise,
amministrate e utilizzate dalla comunità”; questo concetto riflette anche quello proprio
della psicologia sociale, di comunità competente e partecipante. Tale prospettiva
considera la comunità in quanto in possesso di conoscenze e risorse necessarie per lo
6
Turri E., 1998, p. 13.
7
Bonnes M., Carrus G., Passafaro P., p. 14.
8
Shiva V., 2005, p. 14.
9
Shiva V., 1997; Shiva V., 2000; Shiva V., 2005.
10
Shiva V., 2005, p. 14.
11
Ibidem, p. 14.
10
sviluppo del proprio ambiente di vita; il ruolo degli psicologi in quest’ambito è di
coordinare gli sforzi e promuovere tali risorse al fine di favorire l’emergere di comunità
competenti. La direzione è quella di una cittadinanza fondata sulla “dialettica dell’ in-
contro, dove per un verso l’essere con (in) e per l’altro verso l’essere contro
definiscono il trovarsi insieme, ovvero l’appartenere ad un medesimo territorio, relativo
non tanto ai perimetri di uno spazio geografico, quanto a quelli dell’orizzonte
simbolico”
12
. Il territorio si fa bene comune nel momento in cui è condiviso e tutelato
dalle persone che vi appartengono, nonché dalle culture economiche che lo
comprendono
13
; l’economia di mercato, liberalizzata e globale, devia le risorse delle
economie della natura e di quelle locali. Questo genera conflitti per il controllo delle
risorse naturali ed una configurazione ecologicamente, politicamente e socialmente
instabile. Il continente Africano, ad esempio, “deve gran parte dei suoi squilibri
ecologici alla massiccia introduzione di colture destinate ai mercati esteri che sono
ecologicamente insostenibili
14
.
La nozione di sviluppo sostenibile è stata formalizzata dalle Nazioni Unite con la
“Conferenza di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo”, assumendo un prospettiva
multidisciplinare ed interdisciplinare tra le scienze ecologiche, incluse quelle sociali ed
umane. Il rapporto definisce lo sviluppo sostenibile come un diritto da realizzare in
modo da soddisfare con equità le esigenze di sviluppo ed ambiente delle generazioni
presenti e future
15
. Tale diritto, come viene successivamente discusso, non è uno stato
predeterminato, bensì un processo di cambiamento in cui l’utilizzo di risorse, di
investimenti ed i cambiamenti istituzionalizzati siano compatibili anche con i bisogni
futuri
16
. Numerose sono le critiche avanzate in direzione del concetto di “sviluppo
sostenibile”; secondo Latouche
17
i due termini appaiono come un ossimoro, in quanto la
12
Zamperini A., 2005, p. 43.
13
Economia ed ecologia hanno la stessa radice: entrambe derivano dal termine greco Oikos, che indica la
casa, l’habitat.
14
Shiva V., 2005, p. 63.
15
U. N., 1992.
16
Bonnes M., Carrus G., Passafaro P., 2006, p. 15.
17
Latouche S., in www. decrescita.it.
11
società della crescita non è né sostenibile, né auspicabile ed il rispetto ecologico è
incompatibile con la tendenza infinita a tecnicizzare lo sfruttamento, limitato, dei
territori. È questa una contraddizione emblematica della necessità di fermarsi a
guardare, di farsi spettatori, di ciò che sta accadendo, soprattutto a livello culturale, nei
processi socio-economici che gravano sulle scelte politiche mondiali. Nel tentativo di
uscire da quest’antinomia, parlerò piuttosto di sostenibilità ambientale, culturale, di
pensiero, ma farò lo stesso riferimento ai principi espressi dalla Conferenza di Rio, che
hanno ispirato la ricerca eco-psicologica, come agli altri incontri programmatici
mondiali sulle tematiche ecologiche. La comunità svolge un ruolo primario in direzione
della sostenibilità, quindi “lo scioglimento di una comunità, con conseguente perdita dei
valori connessi ai diritti di condivisione della proprietà e alle responsabilità collettive,
facilita il degrado delle risorse comuni”
18
. Per concludere questa rassegna di concetti
vorrei brevemente accennare a quello che più mette in connessione gli ambiti appena
citati, ovvero l’approccio ecologico-sistemico. Il punto di vista ecologico “consiste nel
percepire ogni fenomeno autonomo (auto-organizzatore, auto-produttore, auto-
determinato, etc.) nella sua relazione con l’ambiente”
19
. Il pensiero ecologizzato rifiuta
l’isolamento dell’“oggetto” e la sua riduzione, per abbracciare un punto di vista
ecologico e sistemico nella spiegazione di tutto ciò che vive, e “quindi anche della
società, dell’uomo, della mente, delle idee, della conoscenza”
20
. Più avanti descriverò
come un pensiero “ecologizzato” costituisca un buon punto d’osservazione delle
pratiche sociali nel territorio.
18
Shiva V., 2005, p. 61.
19
Morin E., 1980, p. 107.
20
Ibidem, p. 120.
12
1.2. L’ecologia umana nelle tradizioni culturali.
La relazione fitta che il territorio intrattiene con la comunità, e viceversa, conduce
ad una riflessione sugli aspetti legati alla salute ed al benessere delle persone, sotto
questa stessa luce. Le pratiche di salute s’innescano in contesti dipendenti dalle realtà
territoriali. Il territorio in questione si mostra triplice; da una parte costituisce il luogo
nel quale si muovono le istituzioni deputate alla prevenzione ed alla tutela della salute,
ad esempio, nel contesto italiano, le unità socio-sanitarie o la rete dei servizi di salute
mentale. Dall’altra, il territorio come risorsa ambientale e paesaggistica, incluse le
proprie pratiche locali. Infine il territorio che intrattiene con gli uomini legami profondi,
rispetto ad aspetti di costruzione del se, connessione emotiva, archetipi e rituali,
memorie collettive ed individuali. Tali differenti visioni del territorio sono tutte
necessarie per la comprensione della complessità del costrutto di salute. Solo così si
può evitare di smarrire significati importanti per un incontro il più possibile olistico e
completo con tali questioni.
L’integrazione nell’approccio alla salute si ritrova in particolar modo nella tradizione
della medicina ippocratica, che costituisce il luogo della fondazione della scienza
medica occidentale, nonché in alcune culture tradizionali, in particolare nella medicina
cinese classica
21
. Nell’antichità greca la guarigione era considerata come essenzialmente
spirituale. Nel corso del tempo essa fu attribuita a molte divinità, tra le quali una delle
più antiche fu Igea associata al simbolismo dei serpenti
22
. Le ondate barbariche
successive imposero alla Grecia religione e cultura di tipo patriarcale, sovvertendo
quindi l’importanza di una dea femminile come Igea; Il dio della guarigione dominante
divenne Asclepio, ed Igea sua figlia
23
. Attorno al bastone di Asclepio stavano i serpenti
intrecciati che giunsero alla modernità quale simbolo della farmacopea occidentale. Igea
ebbe anche una sorella, Panacea, ed entrambe erano raffigurate ed associate ad
Asclepio, finendo per rappresentare i due aspetti delle arti della guarigione:
21
Capra F., 1982, p. 258
22
Ibidem.
23
Ibidem.
13
rispettivamente, la prevenzione e la terapia. I medici che praticavano il culto di Asclepio
(Asclepiadi) coltivavano, attraverso precisi rituali, una terapia onirica radicata
empiricamente. Allo stesso tempo, però, non si trovavano in competizione con i cultori
di Panacea; “Igea (“salute”) si occupava della conservazione della salute,
personificando la consapevolezza del fatto che la gente sarà sana se vivrà secondo
saggezza. Panacea, specializzata nella conoscenza dei rimedi, derivò dalle piante o dalla
terra”
24
. La tradizione associata ad Ippocrate, nasce proprio dai medici Asclepiadi laici.
Alla radice della medicina ippocratica sta la convinzione che la malattia sia causata da
fenomeni naturali, e non da forze sovrannaturali come si volle sino a quel momento.
Tali fenomeni possono essere studiati scientificamente; vi si può influire attraverso il
processo terapeutico e con una saggia conduzione della propria vita, abbracciando sia
l’aspetto di diagnosi e terapia che quello della prevenzione
25
. Tra gli scritti del Corpus
Ippocratico, di particolare interesse per intendere il rapporto tra medicina e mondo
naturale, è rilevante l’opera “Dell’aria, delle acque, dei luoghi”
26
, nel quale descrive
come il benessere degli individui sia legato a quello dell’ambiente, svelando la relazione
tra mutamenti nella qualità dell’aria, dell’acqua, del cibo, della topografia del territorio,
e la comparsa della malattia. In questi scritti, Ippocrate rivela quanto sia essenziale la
comprensione degli effetti ambientali nell’arte del medico. Alla luce di ciò che accade
oggi, delle imponenti trasformazioni che agiamo su quegli stessi fattori (qualità
dell’aria, del suolo, del territorio, e delle acque) possiamo leggere lo svilupparsi di
molte delle malattie del nostro tempo. Nello sviluppo del cancro, ad esempio, ogni
influenza nociva dell’ambiente investe l’organismo nel suo complesso, compresi lo
stato psicologico ed il contesto culturale e sociale che influisce sulla persona. Non è
lecito, quindi, attribuirne la causa scatenante unicamente all’esposizione di elementi
cancerogeni. L’aspetto di interrelazione tra corpo, mente ed ambiente, avviato dalla
medicina ippocratica, è stato poi trascurato con l’avvento della scienza cartesiana; “la
salute, secondo gli scritti ippocratici, richiede uno stato di equilibrio fra le influenze
24
Capra F., 1982, p. 258.
25
Capra F., 1982, p. 259.
26
Lanata G. ( a cura di), 1961.
14
ambientali, i modi di vita, e i vari componenti della natura umana. Questi componenti
sono descritti in termini di “umori” e “passioni” che devono essere in equilibrio tra
loro”
27
. Capra
28
stabilisce poi un ponte di continuità tra i temi della medicina
ippocratica ed il modo in cui gli stessi furono sviluppati in Cina, pur in un contesto
culturale differente. La medicina cinese classica, infatti, è legata alla nascita alle
tradizioni sciamaniche, al taoismo ed al confucianesimo. Seguendo i concetti di yin e
yang, l’universo naturale e sociale si trova in equilibrio dinamico tra i due poli; anche
l’organismo umano è un microcosmo costituito sia da elementi yin sia elementi yang. I
rapporti tra le cose e tra gli eventi sono di natura sincronica. Questa concezione
comprende inoltre il sistema Wa Hsing (i cinque elementi o fasi evolutive) costitutivo
dei concetti associati al legno, al fuoco, alla terra, al metallo ed all’acqua, che
rappresentano qualità che mutano e si succedono in ordine ciclico. Questi elementi
corrispondono a qualsiasi fenomeno presente nell’universo; i concetti di yin e di yang, e
le cinque fasi consentono di rappresentare il mondo in un sistema complesso fortemente
interconnesso. Ogni parte viene riferita al tutto, e a sua volta lo contiene. Così
l’organismo è concepito in relazione a tutte le cose, in uno stato dinamico di equilibrio,
dal quale si entra e si esce di continuo. Sia la buona che la cattiva salute sono
naturalmente parte di questo equilibrio; in tale processo svolge un ruolo fondamentale il
paziente stesso e la cura nel rispettare particolari misure preventive per il mantenimento
del proprio equilibrio con l’ambiente. Tuttavia, sempre secondo Capra
29
, il sistema
medico cinese può essere ritenuto olistico in quanto considera l’organismo umano come
totalità dinamica interdipendente, ma trascura nella pratica terapeutica,
l’interdipendenza tra organismo ed ambiente, cosa che invece è descritta dai testi
classici. Egli auspica un nuovo modello di sanità che integri misure psicologiche e
sociali nel nostro sistema di cura sanitaria, incorporando qualche aspetto tipico della
tradizione orientale, come la valorizzazione della conoscenza soggettiva e
dell’intuizione; inoltre, “ nella nostra società un approccio veramente olistico dovrà
27
Capra F., 1982, p. 259.
28
Capra F., 1982, p. 261.
29
Capra F., 1982, p. 264-265
15
invece riconoscere che l’ambiente creato dal nostro sistema economico e sociale,
fondato sulla visione del mondo frammentata e riduzionistica del cartesianesimo, è
diventato una tra le minacce più gravi alla nostra salute. Un approccio ecologico alla
sanità avrà senso perciò solo se condurrà a mutamenti profondi nella nostra tecnologia e
nelle nostre strutture sociali ed economiche”
30
. La visione sistemica degli organismi
viventi sembrerebbe la base ideale per questo approccio alla salute. Tale visione è
profondamente ecologica dal momento che non considera il mondo in termini
meccanicistici, piuttosto come sistema vivente i cui fenomeni sono tra loro collegati ed
interdipendenti.
Un mutamento che operi a livello delle tecnologie più rispettose del territorio, e a
livello delle strutture sociali è promosso anche dal pensiero di Gandhi, che abbraccia i
fenomeni di sfruttamento delle risorse della natura, lo sviluppo di conflitti ed il
livellamento delle pratiche tradizionali attraverso azioni costruttive basate sulla non-
violenza e la cooperazione. Le sue concezioni creative di swadeshi (difesa delle
comunità locali), swaraj (autogoverno democratico), sarvodaja (inclusione) attraverso
la partecipazione delle comunità locali sono perfettamente in linea con i recenti principi
della sostenibilità ed eco-sistemico
31
.
Desidero aprire qui un parallelismo tra la riflessione eco-sistemica e le concezioni
della vita proprie della cultura dei nativi americani, attraverso l’opera di Callicott
32
,
filosofo che ha condotto uno studio sistematico del patrimonio di narrazioni orali
proprie della cultura amerindiana. Egli è partito dal presupposto che il profondo rispetto
per ogni vivente appartenga all’intera comunità, e non piuttosto al pensiero di saggi
anziani isolati. Gli indicatori di questa saggezza dovrebbero quindi essere incorporati
nel linguaggio della comunità. Nelle differenti culture amerindiane è sempre presente
una “metafisica della natura”, che indurrebbe a coltivare un atteggiamento reverenziale
per le molteplici forme del mondo naturale specifico dell’ambiente circostante
33
.
30
Capra F., 1982, p. 266.
31
Shiva V., 2006, p. 108.
32
Callicot J. B., 1989, in Mortari L., 1998, p. 27.
33
Ibidem.
16
Le sue tesi hanno trovato conferma nel lavoro di altri studiosi che descrivono come
anche nel rapporto con le pratiche agricole viga un grande rispetto per il benessere di
tutte le forme di vita; nella cosmogonia Sioux “tutte le cose sono unite le une alle altre
attraverso profondi legami che le fanno membri di una stessa famiglia, poiché nate da
uno stesso padre, il cielo, e da una stessa madre, la terra
34
. La percezione dei confini
della propria comunità si allarga alla natura, in una sorta di dilatazione ontologica che
conduce a concepire il benessere come interconnesso con quello d’ogni altra forma di
esistenza. Tale concezione ha delle conseguenze etiche; “l’etica della terra
semplicemente allarga i confini della comunità per includere il suolo, le acque, le piante
e gli animali, o nel suo insieme la terra
35
.
Gli aborigeni australiani possedevano un’“etica della terra” che è espressa da un
grande repertorio di miti e rituali, tramandati sino ad oggi. Il ponte che unifica l’uomo
con la natura è costituito dal canto, che è una “creazione simbolica che dischiude e
inventa un senso, un destino, un progetto”
36
.
Attraverso il canto l’uomo australiano si congiunge alla terra, e la proprietà si lega al
mito, alla nascita: “(…) nessuno era senza terra, poiché tutti gli uomini e le donne
ereditavano in proprietà esclusiva un pezzo del canto dell’antenato e la striscia di terra
su cui passava
37
”, mantenendo vitale la relazione con essa. La cultura dei nativi
incorporava aspetti propri di un’etica che oggi potremmo definire ecologica, senza che
questi fossero mai stati necessariamente organizzati in codici normativi, ma
permanendo a livello di valori. La psicologia sociale attribuisce una forte valenza di
guida all’azione di norme e valori condivisi, e ritengo che un lavoro su questi aspetti
possa costituire uno dei campi d’intervento della psicologia nella salvaguardia
ambientale, cosa che sosterrò più articolatamente nel capitolo conclusivo. Ho scelto qui
di riportare altre concezioni culturali con la consapevolezza che non sempre sia lecito
attingere da “luoghi” a cui non apparteniamo calandoli in un contesto tanto lontano.
34
Mortari L., 1998, p. 28.
35
Leopold A., 1970, p. 239, in Mortari L., 1998, p. 29.
36
Scarpelli M., in Liotta E., 2005, p. 352.
37
Chatwin B., 1987, p. 81.
17
Credo, però, in questo sentire comune che tanto ho richiamato nel discorso, e penso
anche, che, l’incontro con la multiculturalità possa aprire le nostre visioni del mondo ad
inaspettati scenari possibili, e fornire così significativi contribuiti all’elaborazione di
nuove strategie d’incontro con gli altri, e con il territorio.