INTRODUZIONE
Sono le tre e quaranta del pomeriggio.
Dalla finestra vedo gli alberi mossi dal vento
il sole attraversa i rami dei pini in movimento.
Nel verde compaiono mille striatw'e dorate.
A1erli solitari svolazzano da un ramo al! 'altro
in cerca del pasto quotidiano.
Qui, nella stanza ove il silenzio regna sovrano,
chiusi nei nostri letti bianchi
attendiamo il lento
scorrere del tempo.
(paziente in trattamento dialitico)
Uno spazio di tempo impalpabile e un'esistenza simile a numerose altre
esistenze, in quantità crescenti, legate a temi quali cronicità, tecnodipendenza,
attesa, esistenza menomata, da un lato, e a prospettive quali assistenza
umanizzata, nuova nascita, qualità di vita, dall 'altro.
Tematiche simili non esonerano nessuno degli attori sociali a ponderare,
riflettere e comprendere, tanto meno possono sottrarsi a tali processi nodali
quanti vi si trovano coinvolti istituzionalmente, intendo alludere alle strutture
socio sanitarie e agli operatori preposti.
Venendo allo specifico tema che qui interessa, nella nefropatologia, quale
patologia che preclude la strada verso un esito favorevole, il Servizio Sociale
ha il dovere di riscoprire in tulla la sua dimensione più ampia e propositiva il
ruolo di sostegno all'utente e alla famiglia attraverso modalità d'intervento
umane ed umanizzanti le Istituzioni collocate nella cornice sociale al fine di
ottenere da queste ultime ciò che attiene alla loro competenza.
Al paziente che vede collocata ad un gradino più basso, da punto di vista
dell'autosufficienza, la sua situazione di "normalità", diventa prioritario
garantire qualcosa di più della sopravvivenza e, cioè, una qualità di vita
sostenuta da corroboranti e positive motivazioni.
Si impone al Servizio Sociale la sperimentazione di nuove forme di
intervento che coinvolgano il paziente nella promozione attiva della sua salute,
unitamente alla sua famiglia e alla rete di rapporli interpersonali, fino a
raggiungere forme di home - care e community - care in grado di utilizzare
tutte le risorse disponibili, professionali e non professionali.
Accanto alle funzioni di aiuto, supporto e assiste!iza, alla luce dei
mutamenti introdotti dalla più recente legislazione, il Servizio Sociale deve
avocare a sé la funzione di promuovere l'auspicata e auspicabile "cultura del
dono" e del "prendersi cura" oltre che degli altri, come è ovvio, anche di sé e
della salvaguardia dell'integrità del proprio corpo in un atteggiamento di .
valorizzazione dell'esistente e di prevenzione rispetto a ciò che potrebbe
essere.
L'elaborato si prefigge di esaminare l'attività di un Servizio Sociale
Professionale assegnato ad una Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi e
attraverso un attento esame delle problematiche connesse alla nefropatia
crol11ca, ipotizza modalità di intervento innovative che SI discostano
dall' approccio tradizionale.
Intende peraltro dimostrare come, sebbene l'Assistente Sociale sIa
collocata al!' interno di una struttura ospedaliera con compiti ben precisi
assegnati dalla legislazione vigente, possa conciliare le esigenze connesse al
"dover fare" con un adeguato "saper essere", sempre più importante per far
fronte a realtà ad alto indice di complessità.
I punti di forza del Servizio Sociale sono "il lavoro di rete" e le risorse di
"self-help" che si giovano di impianti teorici ormai unanimemente condivisi.
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Supportato da riferimenti concettuali di natura etica, l'elaborato affronta la
problematica legata alla prevenzione a partire dalla cura di noi stessi c dal
rispetto del nostro corpo, nel tentativo di dimostrare che "investire risorse" per
formare gli operatori ha una ricaduta po sitiva sull' Azienda in termini di
migliorata assistenza visibile e quantificabile cOllle nel caso del burn-out.
Partendo dal concetto del "prendersi cura", l'indagine si ricollega alla
tematica relativa al trapianto di organi, tema di estrema attualità così soffel1o e
discusso perché, anche se normato dalla formula del "silenzio-assenzo",
introdotta dalla recente legge, la realtà più radicata del pregiudizio e delle
paure ingiu stificate, ne preclude la strada ad una piena attuazione.
La conoscenza da parte delI'Assistente Sociale del territorio e delle
informazioni "piccole" e "diffuse", nconosce a p1e:1o titolo al Servizio un
"ru olo strategico" riguardo alla circolazione delle informazioni mirate
all'educazione. alla prevenzione e alla diffil sione della cultura della donazione.
CAPITOLO 1
Caratteristiche della malattia
l.1 L'I.R.e.: Insullicienza Renate Cronica
I reni depurano il sangue da un gran numero di sostanze dalUlOse; gran
parte di esse sono il prodotto finale del metaboli smo delle proteine
"Attraverso la regolazi one dell'acqua e del sodio nell'organismo, rem
regolano la pressione arteriosa ed imp ediscono che il sangue diventi
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eccessivamente acido ed infine, tanto per citare solo le nlllzioni più impOlianti,
i reni producono un ormone, l'eritropoietina, che regola la quantità dei globuli
rossi nel sangue" .
Quando i reni non fun zionano più a dovere, il sangue non è più
sufticientemente depurato da sostanze azotate, il sodio si accumula e provoca
aumento di pressione, il fo sforo non è più eliminato, aumenta l'acidità del
sangue e si determina anemi a per mancanza di eritropoietina.
Talvolta la malattia renale è reversibile ed in tal caso, dopo un certo
periodo di tempo, la funzione di questi organi si ripristina; più comunemente,
però, le ~lalattie renali di struggono in maniera irreversibile qu esti orgaru
determinando quella condizione morbosa denominata insufficienza renale
cronica (I.R.c.).
Tn questi casi, la terapia consiste nel limitare le conseguenze che
l'organismo subisce a causa dell'accumulo di sostanze tossiche e di acidi nel
sangue (iperazotemia-acidosi), ritenzione idrica e salina nell ' organi smo
(ipertensione), accumulo di fo sforo (osteodistrofia ossea), diminuzione della
produzione di eritropoietina e della vitamina D (anemia-osteomalacia).
Le informazioni sulla malattia, seppure non costituiscano un requisito
indispensabile nel bagaglio culturale del Servizio Sociale Professionale, so no, a
mio parere, da tenere presenti nell' approccio con il paziente, con la famiglia e
con il team dialitico.
1.2 Le tecniche che consentono la sopravvivenza
Il trattamento terapeutico che consiste nell 'assumere farm aci e
"nell' attenersi scrupolosamente a restli zioni dietetiche ipoproteiche" , 2 di ve nta
I Mioli v., Neji-ologia medica, Ancona 1997, pagg. 450-5JO.
;: Ciancia M. , Captano A., Nastasi A ., C a cura di ), La dieta del paziente COn insufficienza renale
cronica, Az. Universo Policlinico - Università Federi co Il, Napoli J999.
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solo sintomatico negli stadi più avanzati di I.R.c. con la finalità di mantenere a
livelli accettabili il più a lungo possibile l'omeostasia dell'organismo.
Quando, però, la funzione renale si riduce di oltre il 10% rispetto alla
norma, Og111 teIitativo di terapia diventa inefficace e la sindrome uremica si
manifesta in tutta la sua gravità.
L'introduzione e la diffusione del trattamento sostitutivo emodialitico negli
ultimi 15 anni ha costituito una reale svolta modificando radicalmente la
progno si dei nefropatici cronici.
La prima applicazione di un rene artiflciale nell'uomo risale al 1943 ad
opera del Dr. Kolff; negli anni seguenti "si ebbe una continua evoluzione
tecnica fino all'introduzione, negli anni '60, della tecnica che permise l'inizio
della terapia periodica per il paziente cronico" 3
Innumerevoli miglioramcnti tccnici si sono susseguiti allo scopo di
garantire un trattamento sempre più sicuro ed efficace al punto da renderlo oggi
possibile anche al domicilio del paziente con il solo aiuto del partner non
medico.
L'emodialisi può essere effettuata con due metodi diversi a secondo che si
impieghi una membrana semipermeabile artificiale (rene artificiale) o naturale
(membrana peritoncale).
La dialisi "extracorporea" prevede un sistema di raccordo vasco l are; il
sangue VIene prelevato in continuità dal paziente e, attraverso opportuni
collegamenti, convogliato al rene artificiale ove subisce il processo dialitico a
contatto con il bagno dialisi ritornando poi, grazie ad altri collegamenti, alletto
venoso del paziente.
La terapia emodialitica extracorporea viene eHèttuata nell'uremico cronico
secondo alcuni schemi preordinati al fine di ottenere il massimo rendimento
con il minimo di ore dialitiche.
3 BUOllcristiani U., Di Paolo N., Tecniche Nefrologiche e Dialitiche, Eci. BIOS 1998.
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Quella che VIene definita la riabilitazione socio-ri,lbilitativa (che è il fine
ultimo di queste terapie), è ottenuta con l'effettuazione di 12-14 ore di
trattamento alla settimana, generalmente con ritmi di 3 sedute dialitiche per 4
ore ciascuna o 4 sedute per 3,5 ore.
La recente introduzione della possibilità emodialitica domiciliare prevede
un terzo schema di 5 sedute dialitiche per 3 ore ciascuna alla settimana.
Questo tipo di terapia non normalizza né l'azotemia né la creatinemia, fa
ottenere, però, un adeguato allontanamento delle scorie metaboliche da
consentire al paziente una condizione clinica molto buona.
La dialisi "peritoneale,,4 si basa sugli stessi principi fisico-chimici di quella
ext.racorporea, si avvale però del perito neo (la membrana che riveste le pareti
della cavità addominale) come membrana dializzante in quanto sito riccamente
vascolarizzato e dotato di pori che consentono iJ passaggio delle molecole.
Gli scambi vengono effettuati mediante l'introduzione, nel cavo
addominale, tramite catetere, di una soJuzione avente composizione simile al
liquido di dialisi extracorporea; \'infusione di questo liquido viene praticata
ciclicamente in quantità media di uno, due, cinque litri e il trattamento ha
un' efficacia pari al 20% di un buon dializzatore e quindi deve venire effettuato
almeno per 18 / 20 ore settimanali.
L'impiego di questa metodica risulta utile in assenza di dializzatori
extracorporei, oppure in caso di impossibilità alla creazione di un accesso
vascolare idoneo.
Alla dialisi peritoneale sono legati gravi rischi infettivi in quanto il catetere,
Sia esso temporaneo o permanente, interrompe la continuità della parete
cutanea addominale aprendo un tramite di comunicazione batterica.
Sono stati introdotti recentemente nella prassi diversi modelli di
apparecchiature automatiche e semiautomatiche per la conduzione della dialisi
4 Di Paolo N., Dialisi perilol1eale, Ed. BIOS 1997.
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che provvedono al preriscalctamento della soluzione, all'introduzione in
addome di quantità predeterminate ed all o scarico.
Esse riducono notevolmente l'inci denza di inlèzioni peritoneali e làcili tano
l'impiego "del trattamento al domicili o del paziente: CAP.D,,5 Per il
Servizio Sociale, che focalizza l'ottimizzazione dei risultati sotto il profilo
dell ' autonomia del paziente, questo miglioramento progressivo delle tecniche e
dell e attrezzature che possono essere perfino spostate nei luoghi di lavoro, è di
grande SUppOlto perché concorre a mantenere il soggetto nel suo ruolo
produttivo procurando autogratificazione con una positiva ricaduta nel contesto
familiare e re1azionale quanto ai rapporti interpersonali .
1.3 I rischi connessi ai trattamenti
I vantaggi della dialisi peritoneale, rispetto a quella extracorporea, sono
molteplici. Innanzitutto può essere eseguita ovunque e senza apparecchiature
particolari, elemento, questo, di rilevante impoltanza nel trattamento
dell'uremico cronico e del suo stato di schiavitù rispetto alla macchina come si
evince dalla letteratura esistente.
La C.AP.D. è una prassi dialiti ca molto efficace, per così dire più
"fisiologica", poiché il paziente viene dializzato durante tutte le ore del giorno,
tutti i giorni, a differenza della prass i extracorporea che si avvale di tre sedute
settimanali.
Si ritiene che la CAPD. sia palticolarmente utilizzabile in pazienti afl è tti
da diabete in quanto permette di aggiungere l'insulina nel liquido di dialisi;
tuttavia , la C.AP.D. propone anche degli svantaggi:
la necessità di cambiare il li quido di di ali si tutto il giorno e tutti i giorni ;
5 C.A.P.D .: Dialisi Peritoneale Ambuloloriale Con tinua (Continuous Ambulato ri al Peritoneal
Dìoli sys).
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