2
Intendiamo con questo termine un qualsiasi scritto di carattere
epigrafico (in genere di dimensioni ridotte, pregnante, e avente
carattere di introduzione o allusione più o meno marcata a quanto
segue), posto solitamente all’inizio di uno scritto in prosa subito
sotto il titolo o sul frontespizio.
Partendo dunque dalla caratterizzazione delle diverse funzioni del
‘motto’ dal punto di vista della storia letteraria (funzione poetica,
metatestuale, espressiva, referenziale ecc.), si passerà a esaminarne
la funzione in testi musicali schumanniani.
In particolare il capitolo dedicato alla fenomenologia del motto
musicale, verrà ritagliato su esempi della letteratura pianistica o di
elementi teorico-estetici della poetica di Schumann che legittimino e
documentino la definizione di “motto musicale”; nel caso specifico,
si dimostrerà come Schumann abbia posto il motto in stretta
relazione con una idea musicale (cellula ritmico-motivica, abbozzo
di tema ecc.) che si reitera all’interno di una stessa composizione, o
addirittura in composizioni lontane nel tempo e sotto spoglie che la
rendono più o meno riconoscibile.
Si passerà quindi ad individuare il nesso intertestuale che fa del
motto un referente significativo (e significante) per tentare di
chiarire la fitta rete di citazioni e autocitazioni che, come è noto, si
dirama nella produzione pianistica e liederistica di Schumann
connotandone l’intero suo universo compositivo.
Verrà abbozzato contestualmente alla organica caratterizzazione
della Mottosammlung, uno spettro esemplificativo delle letture
schumanniane con l’obiettivo di inquadrare il variegato mondo di
influenze letterario-filosofiche del compositore.
3
Il capitolo terzo è dedicato dunque agli usi concreti dei motti
letterari, tra i quali spicca quello all’interno di rubriche e inserti
della Neue Zeitschrift für Musik, rivista fondata e diretta da
Schumann per dieci anni e il cui primo numero fu dato alle stampe il
3 aprile 1834 ponendo le basi della moderna critica musicale.
4
Capitolo 1
PER UNA FENOMENOLOGIA DEL MOTTO
LETTERARIO
“Ein Roman ist ein Leben als Buch.
Jedes Leben hat ein Motto, einen Titel, einen Verleger,
eine Einleitung, Text , Noten, etc. oder kann es haben”
Novalis
In quanto collocato in uno spazio semantico (parzialmente) libero, il
motto costituisce un elemento paratestuale di difficile definizione, la
cui ricorrenza sin dai tempi delle letterature della classicità, ne fa
ancora oggi un oggetto meritevole di indagine sistematica.
Paradossalmente, l’etimo restituisce quasi l’esatto opposto del senso
comunemente associato al termine motto: “detto scherzoso o
pungente […] o ancora frase breve e concettosa, spesso però
riportata con valore simbolico su uno stemma […] massima,
sentenza”
1
; la parola viene dal latino volgare muttīre verbo il cui
significato proprio è “mormorare, borbottare”. Destino o casualità
ha voluto che il termine penetrasse nel lessico tedesco già nel XVIII
secolo come corrispettivo italiano del latino mǔttu(m): in tedesco
Muckser, suono appena udibile, parola solo accennata ecc.
2
La fase
del volgare rimanda a sua volta al latino classico mūtu(m), voce di
origine onomatopeica che sta per l’italiano “muto” e che, ancora una
1
Dizionario Garzanti della lingua italiana. Garzanti editore 1988, pag. 1206-1207
2
Duden. Das Herkunftswörterbuch der deutschen Sprache. 3. völlig neu bearbeitete und erweiterte
Auflage. Hrsg. von der Dudenredaktion. Dudenverlag, Mannheim-Leipzig-Wien-Zürich 2001, pag.
541
5
volta paradossalmente, ha dato vita alle voci corradicali mot
(=parola) del francese, “mottetto” dell’italiano e così via.
Nella sua forma più comune, il motto si presenta come citazione,
meno spesso di autocitazione , vale a dire come “frammento”
estrapolato da un diverso e altro testo, e riportato in un’opera
propria con l’obiettivo di suscitare nel lettore associazioni, dubbi o
interrogativi che il testo è chiamato a chiarificare. In questo senso il
motto si presenta come Text-Insel di cui è necessario indagare
l’esatta collocazione e funzione semantica (diremmo già semantico-
poetica, per non perdere di vista lo scopo di questa trattazione) nel
più vasto “continente testuale”.
3
Tra le più elementari funzioni del motto, vi sarebbe quella primaria
di preparare il pubblico ad un determinato tipo di lettura attraverso
un preciso incanalamento del “modo di sentire”
4
(in questo senso
sono di gran lunga più pregnanti i composti tedeschi Stimmungslage
e Empfindungs- o Gefühlsgehalt, piuttosto che le parafrasi italiane)
che il motto di per sé dovrebbe incoraggiare, prefigurando così il
carattere di quanto segue.
5
A questa funzione essenziale, si assomma subito dopo quella
“anticipativa” di alcune informazioni o ancora quella “contrastiva”
rispetto al contenuto del testo cui il motto è anteposto.
3
Terminologia, esempi addotti tratti dalla letteratura e funzioni semantiche attribuite al motto sono qui
ripresi da una recente organica trattazione sul motto nella letteratura tedesca dal Barocco al Novecento,
e cioè Antosen, Jan Erik, Text-Inseln. Studien zum Motto in der deutschen Literatur vom 17. bis 20.
Jahrhundert, Königshausen & Neumann, Würzburg 1998
4
Cfr. Antosen, op. cit. pag. 12-13. Qui Antosen propone in grandi linee i più significativi contributi di
ricerca sull’uso e sulle funzioni del motto nelle principali storie letterarie europee, facendo prima di
tutto riferimento a Böhm per la letteratura inglese. Cfr. Böhm, Rudolf, Das Motto in der englischen
Literatur des 19. Jahrhunderts, Fink, München 1975
5
Sia pur nella generalità di quanto sinora esposto l’idea del motto come “prefigurazione di un
carattere” sembra essere immediatamente trasportabile al testo musicale schumanniano dove, come
vedremo nell’ultimo capitolo, la suggestione letteraria espressa dal motto prefigura un qualche aspetto
del discorso musicale incipiente.
6
Un filone di ricerca ha per altro messo in evidenza il carattere
“decorativo” del motto, sulla scorta di esempi tratti dalla lirica
romantica francese in cui si utilizza l’artificio retorico dell’ ornatus.
6
Interessante a questo proposito è la maniera con cui la lingua
francese esprime la vicinanza del motto al titolo, essendo in uso il
termine épigraphe più che quello di “motto”, nel significato traslato
di intitolazione prima ancora che iscrizione funeraria (funzione che
normalmente intende l’italiano “epigrafe”).
Per il suo carattere paratestuale, il motto oscilla tra i poli della
indipendenza formale e dell’appartenenza al testo, sebbene la
complessità delle sue funzioni espressive sia definibile soltanto in
relazione al “co-testo” in cui si trova, essendo il motto sempre e
comunque al servizio di quest’ultimo. Tutto ciò è riassunto nella
definizione proposta da Genette di “paratesto”, termine il cui
prefisso allude alla oscillazione fra autonomia e dipendenza, e allo
stesso tempo connota il motto come oggetto testuale aggiuntivo (non
nel senso di accessorio) rispetto al corpo testuale vero e proprio.
7
Le origini del motto
8
affondano non nella letteratura ma
nell’araldica e nell’emblematica, e rimandano all’esercizio
cavalleresco tardo-medievale della “divisa” (dal fr. devise, da cui il
tedesco Devise, nello stesso significato), e più in là a quello dell’
“impresa” o dell’ “emblema”.
9
Per “divisa” si intendeva infatti una
6
Questo aspetto è, tra gli altri, oggetto dello studio specifico dedicato alla lirica francese d’epoca
romantica da Krista Segermann, Das Motto in der Lyrik. Funktion und Form der “épigraphe” vor
Gedichten der französischen Romantik sowie der nachromantischen Zeit, Fink, München 1977
(=Bochumer Arbeiten zur Sprach- und Literaturwissenschaft 12).
7
Cfr. Genette, Gérard, Paratexte. Das Buch vom Beiwerk des Buches. Aus dem Französischen von
Dieter Hornig, Campus, Frankfurt / New York 1992
8
Il profilo cronologico qui esposto è ripreso dallo studio di Walther Rehm, Mottostudien.
Kierkegaards Motti, in, Späte Studien. Francke Verlag, Bern / München 1964, pag. 215-223, cui più
avanti si farà riferimento per i significati assunti dal motto nelle mani del maggiore filosofo-mottista,
Kierkegaard.
9
Dizionario Garzanti della lingua italiana, op. cit., pag. 592
7
frase allegorica o simbolica spesso con carattere proverbiale,
didascalico o ammonitorio, il cui effetto era assicurato
dall’associazione con un’immagine all’interno di uno stesso stemma
spesso portato a mo’ di araldo in imprese belliche o in cerimoniali o
occasioni ufficiali. L’uso della divisa cavalleresco-principesca si
sposta verso la fine del Quattrocento dalla Francia in Italia, e perde
il legame con l’immagine allegorica, conservando il carattere
esclusivamente verbale di massima, aforisma, scritto conciso e
pregnante.
Bisogna accennare ad un altro filone di carattere spiccatamente
letterario-religioso, e cioè a quello umanistico-rinascimentale che
identificava il motto con l’esclusiva citazione delle autorità
classiche e/o del repertorio biblico.
Se ancora nel Seicento il motto presenta talora carattere di arabesco
giocoso e alla moda, un secolo più tardi Goethe gli attribuisce un
significato di gran lunga più profondo che rimanda al valore
didascalico delle divise cavalleresche:
“Die Wahlsprüche deuten auf das, was man nicht hat, wonach
man strebt. Man stellt sich solches wie billig immer vor Augen
[...]”
10
dato confermato in maniera più drastica e pungente nei sarcastici
Xenien, pubblicati durante gli anni della collaborazione con
Schiller.
11
10
Goethe, J. W. von, Maxime und Reflexionen, Hecker Verlag, Weimar 1907
11
Cfr. Deutsche Literaturgeschichte, 6. verbesserte und erweiterte Auflage, Verlag J. B. Metzler,
Stuttgart-Weimar 2001, pag. 195
8
Il carattere di citazione che sempre più lo contraddistingue, fa del
motto nel XVIII sec. una petite poésie, prefigurazione di una
evoluzione che ne accresce dimensioni e problematicità. Esattamente
come era avvenuto nella divisa, anche nel nuovo motto si riflettono
gusto, inclinazioni, mondo di valori, gratitudine e coscienza della
tradizione di chi lo sceglie e ne fa uno strumento poetico o, più
prosasticamente, mezzo di ‘presa sul pubblico’. In ogni caso, testo e
motto risultano indissolubilmente legati, si rispecchiano e si
legittimano l’uno attraverso l’altro, spesso per contrasto ed
ironicamente.
Il Romanticismo elabora quasi una sorta di piccola “teoria del
motto”, espressione che ha una sua legittimità se solo si pensa agli
innumerevoli scritti dei fratelli Schlegel e di Novalis denominati
espressamente Frammenti, e al fatto che il “frammento” stesso
venisse fuori dalla riflessione estetico-letteraria dei poeti di Jena
addirittura come “forma” dalle notevoli possibilità espressive.
12
La classificazione delle più essenziali funzioni del motto fa
riferimento al modello elaborato da Roman Jakobson per la
comunicazione linguistica, modello poi ripreso da Antosen sulla
base della definizione di motto come “specifico segno paratestuale”
per il quale possono essere valevoli gli stessi fattori che entrano in
gioco nel processo comunicativo.
13
Sulla base di questo, distinguiamo le seguenti funzioni: poetische
Funktion (= funzione poetica), metasprachliche Funktion (= funzione
metalinguistica), phatische Funktion (=funzione pàtica),
12
A proposito di questo si rimanda al paragrafo successivo, dedicato espressamente all’estetica del
frammento e ai suoi massimi rappresentanti F. Schlegel e Novalis.
13
Qui Antosen fa esplicito riferimento a Roman Jakobson, Linguistik und Poetik, in (ders.), Poetik.
Ausgewählte Aufsätze 1921-1971. Hrsg. von Elmar Holenstein und Tarcisius Schelbert, Frankfurt-
Suhrkamp 1979
9
Ausdrucksfunktion (=funzione espressiva), Appellfunktion (=funzione
d’appello al lettore) ed infine Referenzfunktion (=funzione
referenziale).
Con la formula di funzione poetica si fa riferimento, secondo la
terminologia di Antosen-Jakobson, alla mera forma ricorrente di
motto come citazione di un altro autore, con ruolo di connotato
poetico.
Nel Seicento, ad esempio, si utilizzano nella letteratura tedesca
esclusivamente motti ripresi da scrittori classici quali Orazio, Tacito
e Seneca, come dimostra il seguente esempio di motto oraziano
anteposto da Martin Opitz nel 1624 al suo Buch von der Deutschen
Poeterey:
“Horatius ad Pisones: Descriptos servare vices, operumque
colores. Cur ego si nequeo, ignoroque, Poeta salutor? Cur
nescire, pudens prave, quam malo discere?”
La letteratura sette-ottocentesca è poi quella che, per eccellenza,
identifica il motto con la citazione. Goethe, per esempio, ne utilizza
perlopiù in scritti di carattere autobiografico come il Viaggio in Italia
(nella cui edizione definitiva del 1829 il motto anonimo latino “Et in
Arcadia ego” fu eliminato) oppure scientifico. Kleist, Tieck e
Hoffmann non si servirono mai di motti, mentre Chamisso e Heine
possono essere considerati i primi poeti tedeschi a servirsi
regolarmente di citazioni dai loro contemporanei. Nel Novecento,
infine, il motto come mera citazione, ricompare con una certa
sistematicità solo in Nietzsche.
10
La sua funzione metalinguistica (“metatestualità”) fu definita da
Jakobson come riflessione per mezzo del linguaggio verbale sull’atto
linguistico stesso.
14
Tale interpretazione metatestuale è rintracciabile
nel seguente motto anteposto da Herder allo scritto giovanile
Kritische Wälder sul cui frontespizio si osserva l’immagine della
testa di Socrate ed al di sotto di essa la scritta:
“Leser, wie gefall ich dir?
Leser, wie gefällst du mir?”
Il doppio interrogativo - un epigramma ripreso dal decimo libro dei
Sinngedichten di Logau - delinea il ripiegamento del motto su se
stesso come paratesto. Sul piano metatestuale la domanda “Wie
gefällst du mir?” non è altro che un’esternazione della citazione
senza dimora, oscillante fra la sua origine e la sua esatta
collocazione. Il motto appare così isolato nel testo, come “isola”
appunto, subordinato ed allo stesso tempo escluso dal più vasto
“continente” semantico.
L’aggettivo “pàtico” riferito alla successiva funzione, afferisce
invece alla possibilità del motto di farsi istanza di mediazione diretta
fra testo e pubblico; per dirla con Jakobson “mezzo della genesi,
della conservazione e della fine del processo comunicativo”.
15
Quando lo sguardo del lettore incontra il motto, il contatto con
l’opera letteraria ha già avuto luogo, e ancor prima del motto un altro
elemento paratestuale ha attirato l’attenzione di chi si appresta a
leggere, il titolo. Si sviluppano così immediatamente, per
14
“Ein Sprechen über das Sprechen […]”. Cfr. Antosen, op. cit., pag. 42
15
Cfr. ibid. pag. 50
11
associazione o per contrasto, determinate aspettative: chi prende tra
le mani Wilhelm Meisters Lehrjahre di Goethe si aspetta che il testo
in questione tratti delle vicissitudini e delle peripezie vissute da un
giovane di nome Wilhelm Meister durante i suoi anni di
apprendistato. Immediatamente subito dopo il titolo, un motto
potrebbe catturare ancor più la curiosità del lettore invitandolo e/o
seducendolo attraverso diversi artifici.
16
Si rifletta a tal proposito sul
motto anteposto da Lessing al suo Nathan der Weise:
“Introite, nam et heic Dii sunt.”
(Apud Gellium)
dove l’invito ad entrare nel tempio è esplicita metafora dell’invito
alla lettura stessa. In alcuni casi, la presa di contatto col pubblico può
restringersi a dedica ad una persona in particolare, fondendosi spesso
Widmung e Motto in un’unica intestazione, come nel trattato di
Schiller Über Anmut und Würde:
An Carl von Dalberg in Erfurth
“Was du siehest, edler Geist, bist du selbst”
(Milton)
Al complesso di sue possibili funzioni espressive, si riferiscono poi
diverse attitudini del motto, come ad esempio quella di farsi
16
Il discorso già di per sé complesso sulle aspettative del lettore di un’opera letteraria di fronte alla
pagina scritta, subito dopo la decifrazione del titolo ma prima dell’atto vero e proprio di lettura del
testo, si complica a maggior ragione se trasportato sul piano del testo musicale. Si pensi alle aspettative
(o diremmo meno pretenziosamente ragionevoli attese) di chi apre la prima pagina dei
Davidsbündlertänze op.6 di Schumann e senza chiara cognizione della poetica schumanniana tenta di
decifrare il senso di un titolo come Danze dei fratelli della Lega di Davide per poi metterlo in relazione
con la serie di danze pianistiche che segue. Tutto questo senza parlare poi del motto anteposto alla
parte musicale vera e propria. Su questo aspetto si ritornerà specificamente nell’ultimo capitolo.