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INTRODUZIONE
Lázaro o Lazarillo, pícaro, buscavidas, ganapán e bellaco sono questi alcuni dei
tanti termini impiegati per delineare i tratti, a volte sfuggenti, di uno dei protagonisti
indiscussi di un certo tipo di produzione letteraria, meglio nota come novela
picaresca. Sebbene di origini più remote, la figura del pícaro fiorisce agli albori
del XVI secolo nell’ambito della letteratura spagnola per poi affermarsi nella
produzione letteraria del secolo successivo. Il sorgere spontaneo di questo genere
narrativo è stato spesso accostato allo sviluppo di un certo tipo di criminalità, che
si diffuse in molti paesi dell’Europa occidentale agli inizi dell’età moderna.
Truffatori, mendicanti, vagabondi, uomini provenienti dalla malavita dei bassifondi,
tutti questi divengono oggetto di interesse sia per un certo tipo di produzione
letteraria minore o, comunque, di radice popolare, sia, come nel caso spagnolo, di
una produzione letteraria autoctona e tipicamente ispanica. Personaggio di rilievo
o solo mera figura che suscita il riso e lo sberleffo, il pícaro si erge in quanto
simbolo di un certo tipo di hispanidad, divenendo espressione significativa di una
vita spregiudicata e sovversiva. Tuttavia l’abbondanza terminologica impiegata per
delineare il profilo del pícaro ci pone sin da subito dinanzi alla difficoltà di
tracciarne un profilo ben articolato. Si tratta, infatti, di un termine alquanto
sfuggente e complesso, ricco di sfumature ed accezioni di significato, ma che in
ogni caso, seppur a grandi linee, richiama il tratto essenziale di tutti i pícaros: la
vita al margine della società.
Per riprendere un termine di Claudio Guillén, il pícaro sceglie di divenire un half-
outsider
1
ovvero un uomo che decide di compromettere se stesso e di vivere ‹‹[…]
on the razor's edge between vagabondage and delinquency››
2
. Come suggerisce lo
1
C.Guillén, Toward a definition of the Picaresque, Essay 3 in Literature as System: Essays toward
the theory of literary history, Princeton, Princeton University Press, 1971, p.80.
2
“ […] Now, a pícaro, the hero chooses to compromise and live on the razor's edge between
7
stesso studioso, il pícaro è una sorta di vagabondo, per lo più un giovane che, a
costo di “buscarse la vida” e di soddisfare primariamente bisogni fisiologici, è
disposto a condurre un’esistenza spregiudicata, per non dire criminale, ai margini
di una società che non accoglie di certo uomini “liberi”. Vita criminale e
vagabondaggio sono, dunque, i punti cardini del profilo picaresco. Tuttavia la scelta
di vivere ai confini della marginalità sociale non è soltanto dettata dalla necessità
di sopprimere i morsi della fame. Nella maggior parte dei casi, infatti, le andanzas
del pícaro sono determinate dal bisogno di rinnegare le proprie vili origini o, meglio,
quel marchio di miseria che contraddistingue il suo entourage familiare,
costringendolo a compiere una serie di peregrinazioni inevitabilmente fallimentari.
Unici strumenti a sua disposizione saranno l’astuzia e l’ingegno, che il nostro eroe,
nel corso delle sue disavventure, affinerà sempre più, anche a costo di sovvertire le
convenzioni di una società a sua volta altrettanto corrotta e ingiusta.
Madri alcahuetas o, comunque, donne di facili costumi dedite alle arti magiche e
padri ladroni, il più delle volte rufianes e truhanes, dediti anch'essi alle più vili leggi
della malavita, sono generalmente coloro che crescono questi giovani furfanti. In
altri casi, anzi il più delle volte, si tratta anche di trovatelli, hijos de la piedra
3
, che,
raccolti dai portoni delle chiese dinanzi alle quali erano stati abbandonati, venivano
cresciuti e educati a una vita sregolata, dedita al furto e al vagabondaggio. Sulla
soglia dell'adolescenza il pícaro abbandona il nucleo familiare in cerca di un “buen
puerto”
4
ovvero di una carriera che possa aprirgli una prospettiva economica e di
vagabondage and delinquency. [...]He becomes, what I would like to call, a “half-outsider” […]
“. Ibidem.
3
Consultando il Diccionario de Autoridades, per “piedra” s’intende anche: “se llama en algunas
partes el lugar o sitio destinado para poner los niños expósitos. Díxose assí, porque regularmente es
una piedra, con una concavidad o hueco donde lo meten: y por este motivo los llaman niños de la
piedra.” cfr. Diccionario de Autoridades de la Real Academia Española, 1726-1739, Tomo V (1737).
4
Cfr. La Vida de Lazarillo de Tormes y de sus fortunas y adversidades, autor desconocido, edición
de Burgos, imprimida por Juan de Junta, 1554. (con interpolaciones de la edición de Alcalá,
1554), p.3. Nel prologo, in cui Lazarillo anticipa di raccontare in prima persona i fatti della sua
vita, spiega al suo anonimo corrispondente( una certa V .M, entità in absentia che conferisce
veridicità al relato), come sia riuscito ad arrivare, nonostante le avversità del destino e lo
svantaggio del suo vile estado, a un “buen puerto” ovvero a una condizione favorevole e di
grande prosperità (sebbene girino delle voci circa una presunta tresca amorosa tra il suo “amo”,
un arciprete di San Salvador, e la sua “criada”, nonché sposa di Lázaro). Il “buen puerto” diviene,
dunque, l’emblema dell’apparente riscatto da una vita misera e priva di prosperità, pur
coincidendo con la rinuncia totale al proprio onore.
8
benessere al fine di riscattare il suo infamante estado. Per fare questo, il pícaro
inizia la sua ascesa sociale, prestando servizio presso vari amos, in cambio della
loro protezione e del loro sostentamento economico. Tale premessa è fondamentale
per sondare dettagliatamente i motivi e i temi ripercorsi dal género picaresco. Il
Lazarillo de Tormes (1554), in quanto iniziatore e padre indiscusso della saga
picaresca, ha senz’altro dato il via al paradigma del genere, poi consolidatosi solo
alla fine del XVI secolo attraverso il Guzmán de Alfarache (1599) di Mateo
Alemán
5
, altra opera che segna una tappa decisiva nello sviluppo della tipologia
narrativa del genere, seguendo la linea tradizionale già tracciata dall’anonimo
cinquecentesco. Tuttavia, fatte le dovute eccezioni per un altro caposaldo del filone
picaresco, il Buscón (1626)
6
di Francisco de Quevedo y Villegas, è nel secolo
successivo che si assisterebbe ad un progressivo impoverimento delle principali
linee di composizione del modello, decretandone, quindi, un lento svuotamento
della forma e dei contenuti interni.
La maggior parte dei critici sostiene, infatti, che nel secolo XVII si assisterebbe ad
un inesorabile processo di declino, che avrebbe dato vita soltanto a continuazioni o
a mere riproduzioni sterili di opere non degne, comunque, di andare sotto l’etichetta
di “picaresco”.
In effetti stabilire con nettezza i confini di un genere letterario è da sempre questione
spinosa e fuorviante. Infatti, qualsiasi opera letteraria potrebbe presentare, per sua
natura, strutture e forme di per sé ibride o comunque imprevedibili e, quindi,
attribuibili o corrispondenti solo in parte ad un certo tipo di modello letterario. Il
caso del genere picaresco rientra perfettamente all’interno di questo dibattito.
Fatta tale premessa, di primaria importanza è risolvere, anche se solo in parte, cosa
s’intenda per romanzo picaresco e quali siano, quindi, quei principi di composizione
atti a poterlo distinguere da altri modelli letterari. Fondamentale, in questo senso, è
il saggio composto da Claudio Guillén Toward a Definition of the Picaresque
contenuto in Literature as System: Essays toward the theory of literary history
5
M. Alemán, La primera parte de Guzmán de Alfarache, Madrid, Várez de Castro, 1599.
6
F. de Quevedo, Historia de la vida del Buscón, llamado don Pablos, ejemplo de vagamundos y
espejo de tacaños, Saragoza, Pedro Verges, 1626.
9
(1971), che non si accontenta di fornire una piena definizione di “picaresco”, ma,
piuttosto, mira verso un approccio critico attraverso il quale indagare le forme e i
motivi essenziali del genere, demarcando una linea continuativa delle opere più
rappresentative di questo.
Innanzitutto, secondo Guillén, occorre distinguere tra un gruppo di romanzi che
rientrano nella piena definizione del termine picaresco stricto sensu, in quanto
iniziatrici di un canone letterario tipicamente ispanico e altre, invece, che solo in
parte o comunque in senso ampio possono essere considerate picarescas.
Iniziatrici di una tradizione che si protrarrà fino alla metà del XVII secolo (con la
pubblicazione del Estabanillo Gonzalez
7
del 1646, opera che ne decreta la fine
ufficiale) sono La vida de Lazarillo de Tormes (1554) e La primera parte de la vida
del pícaro Guzmán de Alfarache (1599): il primo, senza dubbio, costituisce “the
primitive of the form”
8
, in quanto modello archetipico della tradizione, mentre il
secondo diviene modello esemplare di imitazione letteraria per i decenni successivi.
Nonostante entrambe costituiscano il cuore pulsante della tradizione picaresca, ciò
non implica che esse siano generatrici di norme fisse e statiche. Come già
sottolineato, definire con esattezza i confini di un genere è al contempo impresa
ardua e restrittiva: il genere di per sé costituisce solo una linea guida generale che
segue alcune norme e schemi ideali di composizione, che si prestano, tuttavia, a
eventuali variazioni nel corso del tempo. Partendo da una prospettiva che abbraccia
ampiamente il variegato scenario letterario del tempo, il critico ritiene fondamentale
stabilire quali siano quei tratti peculiari e ricorrenti, che ci permettono di distinguere
opere che rientrano a pieno regime all’interno della produzione furfantesca da opere
che, invece, lo sono in parte, sia perché da un lato ripropongono creativamente
alcuni motivi tipici del genere, sia perché dall’altro si prestano ad un’ imitazione
meccanica e sterile di certi schemi.
Per approssimarci a una definizione più accurata del termine, occorre innanzitutto
stabilire gli aspetti determinanti del pícaro e in quale tipo di prosa si colloca la sua
7
La vida y hechos de Estebanillo González, hombre de buen humor, compuesta por él mismo, de
autor desconocido, Amberes, Viuda de Juan Cnobbart, 1646.
8
Guillén, Literature as System, cit., p.73.
10
figura.
Sebbene l’eroe picaresco emerga e si distingua all’interno della letteratura aurea
spagnola, è chiaro che esso alluderebbe a una serie di figure di criminali, ladri,
furfanti e mendicanti che hanno costituito, per riprendere un termine di W.F.
Chandler, le cosiddette “anatomie dei vagabondi”
9
ovvero tipi letterari che figurano
nella galleria dei miserabili e meno abbienti. Questo dimostra quanto sia eterogenea
la figura letteraria del furfante picaresco.
Inizialmente si parte dal girovago o wanderer, archetipo del cavaliere errante, il
quale affonda le sue più remote radici all’interno della cultura greco-romana
rappresentata dall’epopea omerica. Ad esso si aggiunge un altro personaggio,
ripreso e già diffusosi all’interno della commedia latina e di certa produzione
folclorica francese e tedesca
10
, quello del buffone, dello sciocco o trickster, figura
emblematica dei jest-books o libri di facezie, che si diffonde nell’Inghilterra dei
Tudor e degli Stuart, riadattandosi al modello della “letteratura buffonesca”
tedesca,
11
che ha Eulenspiegel o Till Eulenspiegel come suo modello più
rappresentativo. Tuttavia il tipo del trickster, inteso come il buffone che compie
burle giocose e beffarde, ma anche come il finto sempliciotto che inscena falsa
ingenuità per vivere a spese di altri, risulta alquanto riduttivo per essere accostato
9
Chandler W.F., Romances of Roguery; an episode in the history of the novel, New York, The
Macmillan Company, 1899, op. cit. in ivi., p.76. Guillén richiama lo studio di Chandler come una
delle indagini più accurate in merito all’argomento. Con l’espressione “anatomies of roguery”,
Chandler richiama tutte quelle figure di emarginati provenienti dallo squallido mondo della miseria
e dei bassifondi della società, trattate e approfondite all’interno di una vasta produzione bibliografica
del tempo.
10
Guillén sostiene “[…] The jester or fool is an important person in Renaissance art and life; he is
related to Latin Comedy and Le Roman Renart, the Italian novella and the Germanic Schwänke,
Eulenspiegel and Rabelais […]”. Ivi, p.75.
11
B. Geremek, La stirpe di Caino. L’immagine dei vagabondi e dei poveri nelle letterature europee
dal XV al XVII secolo, a cura di F.M. Cataluccio, Il Saggiatore, Milano, 1988, pp.27, 41.
Lo studio di Geremek è essenziale per comprendere a pieno le cause che hanno determinato il
diffondersi del pauperismo in quanto fenomeno di massa e di come questo abbia influito su gran
parte della produzione letteraria europea sin dagli albori dell’età moderna. I “jest-books”
rappresentano in parte questo fenomeno, in quanto si tratta di collezioni anonime incentrate sulle
“jests” o meglio sulle burle, compiute per lo più da un “roguish hero”, che riprende in parte il profilo
del pícaro spagnolo. Questi tipi di composizioni più simili nel linguaggio alle riviste quotidiane del
tempo che a dei veri e proprio libri avevano la “letteratura buffonesca” tedesca come loro principale
modello di riferimento. Rappresentativa di quest’ultima fu senz’altro l’Eulenspiegel, opera
probabilmente stampata verso la seconda metà del XV secolo, ma della quale si conoscono soltanto
le edizioni cinquecentesche. Tradotta in inglese intorno al 1548, Eulenspiegel coincide con la locale
produzione dei “jest-books” inglesi e, successivamente, con le versioni spagnole del filone picaresco.
11
alla figura ben più complessa del pícaro. Infine ultimo personaggio è l’have-not,
colui che si configura come bisognoso e mendicante, anch’egli presente nella
storica galleria della miseria. Se da un lato l’eroe picaresco condivide con queste
figure i tratti tipici dell’ingegnosa astuzia, la propensione al furto e l’ambiente
emarginato della criminalità, dall’altro se ne discosta in quanto figura di per sé più
complessa: wanderer, have-not e trickster si delineano, talvolta, come tipi letterari
comici, per lo più funzionali al riso beffardo e alla burla, mancando di quella vena
amaramente critica, di cui, al contrario il pícaro è portatore. Il furfante spagnolo,
infatti, si allontana in parte da tutta quella schiera di vagabondi e criminali che
figurano nella vasta produzione bibliografica delle anatomies of roguery francesi,
tedesche, inglesi e italiane. Di questa schiera, basti pensare al tedesco Liber
Vagatorum: Der Bettler Orden (1510); alla saggistica dei conny-catching inglesi, di
cui Robert Greene è l’esponente più rappresentativo; alle biografie dei criminali e
ai trattati sulla dura vita in prigione dei galeotti, come il The Bellman of London
(1608) di Thomas Dekker; ma anche ai seicenteschi slang-books francesi e, infine,
a Il Vagabondo (1621) di Rafaele Frianoro, pseudonimo del domenicano Giacinto
Nobili
12
.
Per quanto riguarda la Spagna, la letteratura picaresca si sostituisce sin da subito
alla saggistica delle anatomie, fatta eccezione per la Relación de la cárcel de Sevilla
di Cristóbal Chaves, composto intorno al 1548, e alla Desordenada codicia de
bienes ajenos (1619) di Carlos García.
Nel primo caso lo scritto di Chaves approfondisce nel dettaglio il linguaggio
specifico utilizzato dai malviventi e criminali spagnoli, meglio noto come léxico de
germanía, mentre Carlos García si occupa di esplorare il variegato mondo dei
furfanti, in particolare dei ladri, e di come essi si classifichino e si distinguano in
base alla tipologia dei furti compiuti. Si tratta di un’opera che segue fedelmente il
modello delle anatomie francesi, dal momento che fu composta e pubblicata in
Francia.
Ma il tipo letterario del pícaro si sviluppa all’interno di una produzione tipicamente
12
Guillén, Literature as System, cit., pp.76-77.
12
ispanica, alquanto diversa rispetto a quella affermatasi nel resto d’Europa e,
appunto, conosciuta come letteratura dei vagabondi. Trattati di prigione, conny-
cathing, jest-books e biografie varie incentrate sulla vita dei criminali dedicano
ampio spazio all’atto criminale, soffermandosi sulle gesta e gli espedienti vari che
compie il furfante per raggirare la società. Tuttavia, come sostiene Guillèn, manca
all’interno di questa produzione l’interazione conflittuale tra l’eroe, in quanto
singolo individuo che cresce e apprende la sua lezione di vita, e il suo contesto
sociale. Infatti la picardía non delinea il semplice furfante che, con sfrontato
atteggiamento cinico e beffardo, raggira le norme e i buoni costumi, vivendo a spese
di altri. La dedizione al furto e la scelta di intraprendere un percorso di vita
anticonvenzionale non sono sufficienti per completare il profilo del pícaro
spagnolo
13
.
Il romanzo picaresco, al contrario, non si propone di delineare un personaggio
indipendente e slegato dal suo milieu, bensì mostra quanto questo sia indispensabile
per giustificarne l’inevitabile destino di reietto e la conseguente sua scelta di
assumere un roguish behavior
14
.
La riflessione di Guillén verte proprio su questo concetto: ‹‹[…] the pícaro is not
an indipendent hero who may be studied in vacuo […]››
15
, sostiene lo studioso,
bensì è un individuo pienamente compromesso, sin dalla sua nascita, da un
determinato entorno storico, economico e sociale, dentro il quale si immerge e con
il quale, crescendo, intesse trame sempre più intricate e conflittuali. La fitta rete di
disavventure che costellano la vita del pícaro divengono tappe obbligate di crescita
personale: solo attraverso il conflitto con l’ambiente l’eroe del mondo picaresco
“escarmenta” o meglio apprende le dure leggi della vita, riuscendo a sviluppare
come sua unica arma di difesa un ingegno superiore ad altri, per lo più aguzzato dai
morsi della fame. Nondimeno ingegno, miseria e inganno non sono le sole
componenti del furfante spagnolo, costretto a compiere astuti escamotages per
13
Cfr. in ibidem.
14
Guillén sottolinea quanto il contesto sociale influisca sul percorso di vita che il pícaro intraprende:
“[…] For the “unfortunate traveler” soon learns that there is no material survival outside of society,
and no real refuge- no pastoral paradise-beyond it. […] This is where the solution of “roguish
behavior” is preferred. […]”. Ivi, p.80.
15
Ivi, p.77.
13
sopravvivere a una società che gli resiste duramente. Dietro il suo errare narrato in
prima persona e filtrato dalla voce del “pícaro-narratore” si cela in realtà una ben
più profonda critica di satira sociale, che tende a smascherare i vizi e l’immoralità
deviante che contraddistingue il variegato mondo dell’umanità e delle sue classi
sociali e, in particolare, soprattutto, della società spagnola post-rinascimentale.
La forma pseudo-autobiografica, come nota acutamente Guillén, è ben più di una
semplice scelta formale: essa scaturisce dall’esigenza di raccontare la realtà dalla
prospettiva di un personaggio che parte già sconfitto e che è costretto, per forze di
cause maggiori, a intraprendere un percorso che lo porta a rompere i legami col suo
contesto originario di infamia. Il pícaro sperimenta, in quanto essere isolato e reietto,
il fardello della solitudine e del disonore, cercando il suo posto in un mondo che da
parte sua lo respinge. Per questo la sua figura si lega indissolubilmente alla ricerca
costante di nuove mete per poi scoprire, ma solo più tardi, che il mondo può agire
“like a cruel stepfather”
16
, un patrigno crudele e portatore di valori tutt’altro che
virtuosi.
Nel mondo del pícaro non esiste alcun rifugio ideale o idilliaco, che possa
proteggerlo dalle crudeli percosse del mondo esterno: egli, privo di protezione, si
espone indifeso a una realtà governata da leggi materiali, da bassi impulsi di
sopravvivenza che lo accompagnano in un iter disonorevole e infamante. La scelta
attiva, eppur inevitabile, di un roguish behavior è indispensabile per sopravvivere:
da qui ritorniamo alla definizione dapprima attribuita come tratto essenziale al
furfante ispanico ovvero quella che questo sia un half-outsider che vive sulla soglia
del vagabondaggio e della delinquenza.
A partire da qui scaturisce l’esigenza del racconto in prima persona, espediente che
permea la prosa, l’azione e l’atmosfera delle opere di questo genere di un’amara
sensibilità peculiarmente picaresca e ispanica. Proprio la tecnica in prima persona
della forma autobiografica conferisce autenticità a un protagonista che, come già
detto, racconta la storia della sua vida non da una posizione privilegiata, bensì già
compromessa dalla sua stessa condizione di emarginato. Il suo essere pregiudicato
16
Ivi, p.80.
14
implica da un lato la volontà di sentirsi parte integrante di una società e dall’altro
di vedersi inevitabilmente rifiutato, in quanto essere isolato. Si tratta, secondo
Guillén, dell’insanabile dissidio tra “homo interior”, radicalmente estraniato dal suo
contesto sociale, e “homo exterior”
17
, che spinge l’eroe picaresco ad assumere
consapevolmente un determinato ruolo all’interno della società adulta.
È evidente quanto la forma autobiografica sia funzionale alle esigenze espressive
del pícaro, che si trova ad oscillare tra la necessità di assumere uno status sociale
conforme alle convenzioni e l’esigenza di crescita personale e interiore in quanto
singolo individuo.
Il mondo viene così ridotto a un’unica prospettiva di conoscenza parziale, eppure
necessaria per imprimere veridicità al racconto auto-diegetico, che si innalza come
modello di autobiografia esemplare. L’amara lezione che il pícaro apprende dai
suoi oppressori non solo costituisce il cuore pulsante dell’esperienza diretta, ma
diviene necessario strumento di riflessione e indagine morale sulla variegata
complessità della vida humana e degli uomini che la compongono.
Attraverso il movimento, l’eroe accresce, abbandonato e sconfitto, la sua
esperienza di vita, addentrandosi all’interno di un processo critico di costante
scoperta. Il suo sguardo ci restituisce gli scandali di una società anch’essa corrotta,
sulla quale riflette e dalla quale, in quanto half-outsider e padrone della sua stessa
vita, trae le conclusioni
18
. La società umana diviene, così, materiale utile di
conoscenza, crescita, esperienza, ma, soprattutto, scuola di vita, dalla quale trarre
esempio. Spesso il pícaro viene iniziato alla vita attraverso il suo primo amo, come
avviene al Lazarillo dell’anonimo cinquecentesco, al quale il ciego, spietato e
scaltro vecchio, ma anche gran maestro di vita, impartisce, tramite spietati colpi di
astuzia e raggiri, “avisos para vivir”, in quanto ‹‹[…] el moço del ciego un punto
17
“[…] The first person technique is profoundly relevant, besides, because our hero, as we have
seen, is an “half-outsider”. This amounts to a considerable split between what was once called the
“inner man” and “outer man”. Sometimes it is the homo interior who is radically estranged from his
fellow men, while the homo exterior acts and appears to conform. […]”. Cfr. in ivi, p. 81.
18
Interessante ancora una volta è quanto afferma Guillén proprio su questo aspetto: “[…] The pícaro
as an “ongoing” philosopher, as a costant discoverer and rediscoverer, experimenter and doubter
where every little value or norm is concerned, never ceases to learn. Each person or action is for him
a possible “example”. […]”. Ivi, p.82.