INTRODUZIONE
L’avvento del XV sec. fu foriero di importanti innovazioni sul piano della cultura, delle arti
e di tutti gli aspetti del sapere umano, e fin dal suo esordio tese ad affermarsi come un’epoca
di profondi mutamenti soprattutto in forza di una “rinascita” delle potenzialità creative ed
espressive dell’uomo. Tale cosiddetta “rinascita” era concepita in contrapposizione all’epoca
precedente, il Medioevo, percepita da molti umanisti come un’ “età di mezzo”
1
(nell’accezione spregiativa di una sorta di intervallo, di pausa tra due periodi di vera arte, di
grande cultura e civiltà).
La teoria umanistica della pittura nacque infatti nel Quattrocento come conseguenza della
riscoperta di un legame profondissimo con le origini antiche e classiche.
Le novità apportate in campo artistico e culturale da questo secolo possono essere
considerate il naturale proseguimento e approfondimento di ricerche e acquisizioni che
videro la luce con l’affermarsi del movimento storico e filosofico dell’Umanesimo. Tuttavia,
solo nel contesto rinnovato di un approccio anche eminentemente scientifico, razionale ed
empirico alle arti, queste ricerche ed acquisizioni trovarono una perfetta maturazione, per
informare la prospettiva occidentale sull’arte in età moderna.
Un punto di vista umanistico sull’arte della pittura, conseguente alla nascita di un interesse
innanzitutto scientifico applicato all’indagine sulla natura e sull’uomo, vide la luce proprio
in questo contesto di grande rivalutazione dell’uomo, delle arti, come delle forme e dello
spirito dell’età antica: quello di Leon Battista Alberti (1404-1472) che, con il suo “Della
pittura”
2
, avrebbe influenzato generazioni di artisti.
Egli è stato considerato l’uomo che, prima di Leonardo da Vinci, forse più di ogni altro,
seppe incarnare con la sua personalità colta e portata a vasti, diversi e innumerevoli
interessi
3
, i valori dell’Umanesimo, e interpretarli per dar vita ad una nuova concezione del
fare artistico che avrebbe come fondamento proprio una “rinascenza” innanzitutto filosofica
dell’uomo.
1
Flavio Biondo. Le decadi storiche dell’impero romano. Traduzione di Achille Crespi. Forlì,1963; Theodor
Ernst Mommsen. Petrarch’s conception of the “Dark Ages”. “Speculum” 17.2.pril, 1942 n.2, pp. 226-242;
Giorgio Vasari. Proemio alle Vite de’ più eccellenti pittori,scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’
tempi nostri, Firenze,1568 ( Biblioteca delle fonti storico-artistiche Signum Scuola Normale Superiore di Pisa),
pp 9-10.
2
Lo studio è stato condotto sull’edizione del 2006 tratta dal sito web: “fonti-sa.sns.it” (“La biblioteca Signum
delle fonti storico-artistiche”, Scuola Normale Superiore di Pisa).
3
Leonardo Domenici. L’uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti a Firenze tra ragione e bellezza.
Catalogo della mostra. Firenze,2006,pp 1; Cristina Acidini Luchinat. Rinascimento. Leon Battista Alberti nella
città ideale. Il Sole-24. Domenica 26 marzo 2006, p. 35.
1
Tuttavia, prima di addentrarci nel vivo di questa teoria della pittura come fu concepita dal
grande umanista, la prima parte della presente ricerca sarà volta ad illustrare
preliminarmente le caratteristiche generali di quel contesto in cui essa si sviluppò: la
Firenze del ‘400, luogo dove la riscoperta dei classici pose effettivamente l’opportunità di
un processo di acculturazione reciproca tra sperimentalismo artistico (ars) e facoltà poetico-
immaginative (ingenium).
Poi, con la seconda e più specifica parte, attraverso una attenta analisi di questo importante
trattato sulla pittura del Quattrocento umanistico, si cercherà di mettere in luce un punto
sostanziale del dibattito artistico di quegli anni: la rivalutazione della figura del pittore, non
più semplice esecutore tecnico ma uomo dotto, avente in sé proprio la capacità di conciliare
e rivendicare alla propria esperienza, sull’esempio antico, razionalità nell’ espressione delle
proprie abilità tecnico-imitative (ars) e idealità e bellezza come qualità legate invece
all’espressione di un ingegno (ingenium) costantemente affinato sulla conoscenza letteraria
dei tempi antichi. Da qui, la rivalutazione della stessa arte della pittura, non più mera arte
meccanica ma scienza dell’umana condizione e nuova ars poetica ideale, meritevole, per
Alberti, di essere accostata alla più alta e nobile tra le arti umane dell’antichità, la poesia
4
.
Via via la stessa analisi del trattato evidenzierà come alla base di questo rapporto pittura-
poesia non c’era altro che la stessa ristabilita unione tra ars (arte) e ingenium (ingegno). Il
pittore sarebbe venuto ad acquisire, nella percezione teorica dell’ età moderna, una sempre
maggiore dignità, legata al riconoscimento, non più solo delle sue abilità imitative, ma anche
della sua capacità di esprimere le stesse attraverso una facoltà squisitamente intellettuale:
un’immaginazione poetica in grado di superare la mimesi razionalistica per dare
un’immagine ideale della natura e dell’uomo.
Conciliazione degli opposti, dunque, nella prospettiva teorica dell’uomo del Rinascimento
Alberti
5
: imitazione della natura e concezione idealistica della bellezza nell’armonia di
forme e contenuti, a dare espressione, nell’ epoca che prima di ogni altra rivalutò in modo
nuovo l’uomo, ad una pittura incentrata su una rappresentazione insieme razionale e ideale
della gesta umane.
4
Rensselaer W. Lee. Ut pictura poesis. La teoria umanistica della pittura. Firenze, 1974.
5
L’uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti a Firenze tra ragione e bellezza. Firenze, 2006.
2
L’ UMANESIMO RINASCIMENTALE
E
LEON BATTISTA ALBERTI
(Parte prima)
3
Capitolo I
Contesto storico-culturale
1. Per una definizione dell’età
Dalla lettura di diversi studi sull’argomento emergerebbe chiaro come il punto di vista
albertiano sull’arte della pittura possa essere considerato proprio del costituirsi di una
stagione di fervida attività culturale e artistica volta alla riscoperta del mondo classico
antico
1
.
A suddetta stagione ci si riferisce in genere con il termine di Umanesimo rinascimentale:
periodo che, individuato dagli storici tra i primissimi anni del Quattrocento e il secondo
ventennio del XVI secolo, secondo la testimonianza di Paul Oskar Kristeller, portò il culto
per l’antichità ben oltre i nostri confini nazionali: dall’Italia, e in particolare da Firenze, esso
si sarebbe sviluppato per irradiare tutta l’Europa
2
, segnando l’inizio del mondo moderno.
Interessante da questo punto di vista mi appare una frase, riportata tra l’altro dallo studioso,
dell’umanista tedesco Martin Brenninger che così lodava gli umanisti italiani:
1
Robert Weiss. La scoperta dell’antichità classica nel Rinascimento. Padova, 1989; Carolina De Falco.
Dall’Umanesimo allo sperimentalismo del linguaggio classico. Napoli, 2003; Michael Baxandall. Giotto e gli
umanisti. Milano, 1994, pp. 23-76; Edward D. R. Wright. Il De pictura di Leon battista Alberti e i suoi lettori.
Firenze, 2010; Rinaldo Rinaldi. Umanesimo e Rinascimento. Torino, 1993; Luca Boschetto. Leon Battista
Alberti e Firenze. Biografia, storia, letteratura. Firenze, 2000; Salvatore Settis. Futuro del classico. Torino,
2004; Eugenio Garin. L’Umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento. Milano, 1994; Garin.
Medioevo e Rinascimento. Studi e ricerche. Milano, 2005; Garin. La cultura del Rinascimento. Milano, 2006;
Garin. La cultura filosofica del Rinascimento italiano. Ricerche e documenti. Milano, 2001.
2
Paul Oskar Kristeller. Concetti rinascimentali dell’uomo e altri saggi. Firenze, 1978, pp. 137-163. Lo
studioso presenta in questo volume un interessante saggio dal titolo “La diffusione in Europa dell’Umanesimo
italiano”, dove indica a motivo fondamentale della centralità italiana per lo sviluppo europeo dell’Umanesimo
la riscoperta, proprio in territorio italiano, dello studio di autori greci e latini dell’antichità classica. Individua
poi i canali di diffusione attraverso cui questo sapere antico, dall’Italia, si sarebbe divulgato in Europa:
innanzitutto quello che egli definisce “lo scambio di persone”, ovvero la circolazione in Italia di stranieri, molti
dei quali vi giungevano con l’esplicito scopo di dedicarsi agli studia humanitatis, o, al contrario, la
permamenza di studiosi italiani al servizio di principi stranieri; la corrispondenza degli umanisti ( per esempio
caso singolare citato da Kristeller è quello delle lettere di Petrarca a corrispondenti stranieri- e d’altra parte egli
avrebbe passato gran parte della sua vita in Francia- oppure quello, viceversa, di corrispondenti italiani nelle
lettere di Erasmo da Rotterdam- vedi sull’argomento anche: Paul Oskar Kristeller. Two Unpublished Letters to
Erasmus, “Renaissance News” 16, 1961, pp. 6-14) ma poi soprattutto i libri; secondo lo studioso, infatti, nelle
biblioteche straniere sarebbero conservati moltissimi manoscritti di umanisti italiani; per ultimi, ma non meno
importanti canali di diffusione, lo studioso individua: la scrittura umanistica italiana ( comprendente caratteri
latini introdotti nel XV secolo a sovvertire la scrittura gotica) e l’invenzione della stampa.
4
“Petrarca, Bruni, Guarino, Valla e Poggio sono fioriti recentemente fra gli italiani e hanno fatto
rivivere attraverso i loro sforzi la lingua latina che era quasi perita. Sarebbe un delitto allontanarsi
dall’esempio di uomini tanto grandi e famosi”
3
.
Il termine Umanesimo viene, secondo quanto afferma, tra gli altri, Baxandall, da studia
humanitatis o humanae litterae
4
cioè da discipline che fin dai tempi antichi erano deputate a
promuovere la dignità dell’uomo, ad esaltare le virtù umane e a formare uomini completi
secondo l’ideale armonico della classicità: abili nell’esercizio pratico delle arti (ars
5
) quanto
colti e idealmente formati nell’intelletto (ingenium
6
), dunque ecletticamente sapienti. Il
termine Umanesimo sarebbe perciò strettamente connesso con la “rinascita”, in età moderna,
degli studi antichi (grammatica ovvero lingua latina
7
; retorica; poesia; storia e filosofia
morale
8
) approfonditi sui classici latini e greci riscoperti e valorizzati rispetto ad uno stato di
generale abbandono ed oblìo degli stessi, imputato dai nuovi intellettuali all’età precedente,
il Medioevo.
In linea più generale, ma non meno importante, il termine Umanesimo è perciò utilizzato a
contrassegnare l’inizio di un nuovo modo di concepire l’uomo, il suo rapporto con il mondo
circostante e con le arti, rispetto a quello dominante nel Medioevo
9
. Essendo associato
all’idea di una “rinascenza” dell’uomo in termini di forte antitesi all’epoca medievale, va da
3
Ivi, p. 162; la frase di Brenninger sarebbe stata tratta da un manoscritto latino conservato in Austria:
“Franciscus Petrarcha, Leonardus Aretinus; Guarinus Forenensis, Lau. Vallensis, Poigius Florentinus qui iam
noviter apus Ytaros claruerunt et latinam linguam que pene interierat sua opera studio industria reviviscere
facerunt. Nephas igitur putandum est discendere ab usu virorum tam insignium tamque preclarorum”
(Martinus Brenninger. De conficiendis epistolis. Seitenstetten, cod. 178, f. 23v-24).
4
Baxandall. Giotto, cit., p. 23; Augusto Campana. The origin of the Word Humanist, “Journal of the Warburg
and Courtauld Institutes”, IX, 1946, pp. 60-73; Paul Oskar Kristeller . Renaissance Thought: The Classic,
Scholastic and Humanist Strains. New York, 1961, pp. 110-111 e 160; Giuseppe Billanovich. Auctorista,
humanista, orator , “Rivista di cultura classica e medioevale”, VII, I, 1965, pp. 143-163; Kristeller. Concetti
rinascimentali, cit., Firenze, 1978.
5
Baxandall. Giotto, cit., Milano,1994, pp. 38-39-40.
6
Ibidem.
7
Paul Oskar Kristeller in La filosofia del Rinascimento e la tradizione medievale ( Firenze,1978, p.92) spiega
che nel volgare toscano del tredicesimo e del quattordicesimo secolo la parola “grammatica” significava la
lingua latina.
8
L’elenco è tratto da Kristeller. Concetti rinascimentali, cit.,. Firenze, 1978, p. 138; si trova anche in
Baxandall. Giotto, cit., p. 23.
9
Kristeller. Concetti rinascimentali, cit., pp. 3-27 e 81-133. Lo studio si sofferma sul fatto che molte volte le
considerazioni degli studiosi, sulla differenza tra Medioevo e Rinascimento nel modo di concepire l’uomo,
sono state molto differenti: in genere si è sempre ritenuto che il pensiero rinascimentale avesse al suo centro
l’uomo mentre quello medievale, Dio, e sulla scorta di ciò, molti hanno perciò teso a considerare il
Rinascimento il primo gradino di uno sviluppo intellettuale che poi sarebbe sfociato nel pensiero laico
dell’Illuminismo; altri invece, con maggior simpatia per il Medioevo, avrebbero adottato la formula che “il
Rinascimento era il Medioevo senza Dio” (vedi: E. Gilson. Le idee e le lettere. Parigi, 1955, p. 192). Kristeller
si ritiene più propenso a dirci che, ad ogni modo, certamente il pensiero rinascimentale è stato più “umano” e
più laico, anche se non meno religioso, del pensiero medievale, nella misura in cui, cioè, si dimostrò più rivolto
all’uomo e ai suoi problemi.
5
sé che i nuovi intellettuali umanisti, da Francesco Petrarca
10
( 1304-1374) a Giorgio Vasari
11
(1511-1574), percepissero il tempo che li aveva preceduti come un’epoca di profonda
decadenza della cultura ed in particolare proprio degli studi umanistici
12
. Da qui la
definizione spregiativa, da loro stessi coniata, di Medioevo come “età di mezzo” per
evocarlo come un vuoto, una sorta di intervallo o di “pausa” che li separava dalla grandezza
e dalla pienezza dell’età antica e, per contrappunto, invece esaltare la loro età come un
ideale “ponte” con quella. Del resto, come sottolinea Kristeller la glorificazione dell’uomo
non fu una scoperta del Rinascimento: sarebbe stata già un motivo ricorrente nella letteratura
greca antica
13
.
Dalla riscoperta delle humanae litterae
14
venne anche la riscoperta di un uomo nuovo,
dominatore della natura, vera sintesi tra natura e idealità, ragione e bellezza, pittura e poesia.
Secondo Kristeller, infatti, gli scrittori del Rinascimento iniziarono ad usare il termine
“umanità” ( da studia humanitatis) in relazione alla consapevolezza che grammatica,
retorica, poesia, storia e filosofia morale fossero le discipline ideali a formare il vero essere
umano
15
. Il senso della contrapposizione che quest’età intese porre tra essa e l’epoca
precedente stava allora tutto nella convinzione che questa aveva ristretto il campo delle
potenzialità espressive dell’artista alla contemplazione di una verità religiosa trascendentale
che era posta come principio di autorità, al di sopra di ogni rispetto per i criteri di mimesis
10
Theodor Ernst Mommsen. Petrarch’s conception of the “Dark Ages”. Speculum 17.2. April, 1942 n.2, pp.
226-242.
11
Giorgio Vasari. Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi
nostri. Firenze, 1568 ( Biblioteca delle fonti storico-artistiche Signum Scuola Normale Superiore di Pisa ).
12
Baxandall. Giotto, cit., p. 23.
13
Kristeller. Concetti rinascimentali, cit., pp. 7- 8. Lo studioso ci informa infatti che già il pensiero classico
greco aveva al suo centro l’uomo. Cicerone, ad esempio (in Academica posteriora, I 4, 15), aveva detto che
Socrate fece scendere la filosofia dal cielo sulla terra; l’uomo e la sua eccellenza avevano poi un posto di primo
piano anche nella filosofia di Platone e Aristotele e del resto, la superiorità dell’uomo rispetto alle altre creature
era già stata indicata nella Genesi come in parecchi altri passi del Vecchio Testamento. Tuttavia, se la
tradizione cristiana medievale aveva sostenuto una dignità per l’uomo consistente nel suo essere creatura fatta
a immagine e somiglianza di Dio, il pensiero rinascimentale avrebbe invece rivalutato l’uomo soprattutto per il
suo valore di essere umano in quanto tale. Sulla discontinuità dell’età rinascimentale con il Medioevo non si
può non citare l’opera, precedente a quella dello stesso Kristeller, dello storico svizzero Jacob Burckhardt, il
primo grande interprete del Rinascimento. L’opera in questione è La civiltà del Rinascimento in Italia (1860).
Qui lo studioso sottolineava il valore della discontinuità tra le due epoche, facendo riflettere sul fatto che
mentre nel Medioevo l’uomo non aveva avuto valore se non come membro di una collettività o di un ordine
prestabilito, nel Rinascimento, invece, favorito certamente anche dalla nascita delle Signorie e dei Principati, si
sarebbe sviluppato un nuovo atteggiamento più libero e individualistico dell’uomo nei confronti della vita in
generale. Significativamente Burckhardt definiva il Medioevo “trascendentista”, “teocentrico” ed
“universalista”, mentre il Rinascimento: “umanentista”, “antropocentrico” e “particolarista”.
14
Baxandall. Giotto, cit.
15
Kristeller. Concetti rinascimentali, cit., p. 10; Kristeller. Renaissance Thought. New York, 1961, pp. 110 e
162.
6
naturalistica
16
, di proporzione, di simmetria, di razionalità contemperata ad armonia ideale,
caratteristiche già proprie dell’arte antica e classica.
Una volta configuratosi nei suoi aspetti filosofici e ideali, l’Umanesimo avrebbe condotto
allora ad una fase di straordinario sperimentalismo artistico, conseguente ai rinnovati valori
di civiltà, ordine, armonia e bellezza, noto come Rinascimento.
Se dunque il termine Umanesimo è in genere applicato al campo filosofico e letterario, per
designare soprattutto la prima metà del Quattrocento, caratterizzata da profondi mutamenti
sul piano sociale, economico, politico e, non ultimo, ideologico e culturale
17
, lo sviluppo più
16
Baxandall. Giotto, cit.; Lo stesso Alberti, come poi vedremo, attribuiva all’arte della pittura un fondamento di
natura ( in Della pittura, cit., Libro I si legge: “Vogliamo le cose esser poste da vedere …Delle cose quali non
possiamo vedere neuno nega nulla apartenersene al pittore. Solo studia il pittore fingere quel che si vede” ed
ancora: “la natura ci ha porto in mezzo le misure ove si truova non poca utilità a riconoscerle da essa”);
Acidini e Stefano Casu in L’Uomo del Rinascimento, cit., pp. 19-25 e 337 avrebbero sottolineato l’adesione del
punto di vista albertiano con quello antco legato alla mimesis naturalistica, in particolare vista la ripresa, da
parte di Alberti, del tema delle “immagini che parevano fatte per caso dalla Natura”. (vedi: Alberti. Della
pittura, cit., Libro II); Rensselaer W. Lee. Ut Pictura Poesis. La teoria umanistica della pittura. Firenze,1974,
pp. 6-8 e 13-27; Ernst Kris, Otto Kurz. La leggenda dell’artista. Torino,1989, pp. 60-87.
17
Il nuovo clima di rinnovamento culturale aveva infatti sullo sfondo anche un profondo cambiamento del
quadro politico e sociale. Come illustrato, tra gli altri, da Hans Baron (vedi: Hans Baron . Lo sfondo storico del
Rinascimento italiano, “La Rinascita”, I, 1938, pp. 63-71; Giorgio Spini. Cosimo Primo de’ Medici e la
indipendenza del Principato mediceo. Firenze, 1945), molte città italiane, già a cavallo tra Trecento e
Quattrocento, vedevano il passaggio da un ordinamento comunale ad un regime signorile, e poi, più
precisamente nel Quattrocento, al Principato. Proprio l’affermarsi di questa nuova forma politica avrebbe dato
un profondo impulso alla diffusione dei nuovi valori dell’Umanesimo nella cultura del tempo. Il principe,
infatti, rappresentante di un’oligarchia mercantile ( o patriziato) che rimpiazzava la vecchia nobiltà feudale e
terriera al potere, era espressione di un potere assoluto ed in quanto tale, dalla sua individualità e dalla “forza”
della sua persona ora dipendeva la fortuna degli Stati italiani: la sua figura avrebbe dovuto incarnare insomma
i nuovi valori decantati dal pensiero umanista. L’ambiente colto, raffinato ed elegante che circondava il
principe, la corte (sull’argomento vedi ad esempio: Piero e Urbino, Piero e le Corti rinascimentali. A cura di
Paolo Dal Poggetto. Venezia, 1992), sarebbe stato di conseguenza il luogo deputato alla nascita di un nuovo ed
inedito dialogo culturale intorno alle arti. Ormai numerose e diverse testimonianze critiche lascerebbero
chiaramente intendere come la nascita dell’Umanesimo in Italia e del clima culturale rinnovato che ne conseguì
sia da interpretare in stretta relazione con un profondo cambiamento del quadro politico e sociale: la conquista
del potere politico da parte del ceto mercantile e cittadino al posto dell’antica nobiltà feudale, più legata a
concezioni religiose arcaiche, è stata indicata come una delle cause dell’emergere di una concezione più laica e
moderna della vita così come evidenziata nelle espressioni artistiche ed intellettuali del tempo. Il concentrarsi
della ricchezza nelle mani di re e principi favoriva il mecenatismo delle corti e il loro costituirsi come luoghi
raffinati e colti dove i nuovi artisti, in stretto contatto con un potere che ora contava anche sul loro impegno,
potevano affinare ed arricchire l’esercizio della propria abilità tecnica con tutte le possibilità inventive di un
ingegno dotto sull’esempio delle testimonianze antiche, ma anche emergere, quindi, come i nuovi intellettuali
del tempo, artefici ideali in grado di racchiudere quel loro tempo così rinnovato nell’immagine di un nuovo
mondo ideale ( vedi: Lee. Ut pictura poesis, cit.; Acidini. Rinascimento, cit., p. 35). Essendo infatti coinvolti
dal signore mecenate nel clima intellettualistico della propria corte, volto alla riscoperta degli studia
humanitatis o humanae litterae, gli artisti, proprio in virtù di questa nuova ampiezza di conoscenze e interessi
culturali intorno all’arte, sarebbero giunti a rivendicare a sé la dignità non più di semplici artigiani, esecutori di
un’arte meccanica, ma di veri e propri intellettuali (vedi: Baxandall. Giotto, cit., pp. 38-39 e 40; Kristeller.
Concetti rinascimentali, cit., p. 139; Lee. Ut pictura poesis, cit.; Alberti. Della pittura (Biblioteca delle fonti
storico-artistiche. Scuola Normale Superiore di Pisa, 2006).
7
diretto di questa “rinascita” delle humanae litterae
18
sarebbe stato il costituirsi, già a partire
dai primissimi anni del secolo, del Rinascimento nelle arti
19
.
Inoltre, se è certo vero che con Rinascimento si vuol intendere lo sviluppo concreto e la
conseguenza, nella pratica artistica dell’affermarsi dell’Umanesimo come movimento
storico, culturale e di pensiero
20
, non può sfuggire, a mio avviso, una certa complementarietà
tra i due termini poiché in fondo entrambi espressivi di un unico ideale che allo stesso lasso
di tempo appartenne in modo particolare: l’uomo; la valorizzazione dell’uomo e di tutte le
sue potenzialità umane, in una nuova accezione laica portata al rifiuto di qualsiasi visione
mistica, ascetica o trascendentale della realtà che non fosse dimostrabile attraverso scienza e
tecnica. Ci si sarebbe portati così ad esplorare per la prima volta in modo nuovo lo stesso
ordine morale delle cose
21
secondo Kristeller, fino ad abbracciare un interesse positivo
(concreto) e scientifico verso il mondo naturale, per la prima volta indagato con gli
strumenti razionali di scienza e tecnica, altrettanto necessari ad un pittore (e questo sarebbe
stato lo stesso parere di Alberti) quanto l’ausilio della filosofia e della poesia
22
.
2. Gli “studia humanitatis” e il Rinascimento a Firenze
E’ ormai opinione comunemente accettata tra gli studiosi che il più significativo tra i centri
dell’Umanesimo, considerando anche la portata del rinnovamento artistico cui diede adito
questa “riscoperta” scientifica e naturalistica dell’uomo attraverso gli studia humanitatis
23
,
18
Baxandall. Giotto, cit.
19
Significativamente, infatti, è proprio Alberti, come poi vedremo, a sottolineare, nellla dedica- prefazione del
trattato, a Brunelleschi, il legame che la rinascita delle arti che intanto si sviluppava in Firenze ( e visibile
attraverso diversi capolavori, testimonianze delle coeve e innovative sperimentazioni prospettiche, per esempio
la stessa cupola di Santa Maria del Fiore del grande architetto fiorentino) avesse ad esempio l’antico, ed anzi,
si costituiva proprio attraverso una sorta di nostalgia verso di esso. Vi si legge infatti: “…qui in questa nostra
sopra l’altre ornatissima patria..compresi in molti essere a ogni lodata cosa ingegno da non posporli a qual si
sia stato antiquo e famoso in queste arti” , o ancora: “..di quei nobilissimi e meravigliosi intelletti oggi se ne
truovano di rarissimi e di poco da lodarli”.
20
Baxandall. Giotto, cit.
21
Pier Giorgio Ricci. Dizionario critico della letteratura italiana. Torino, 1973, vol. III, s.v. “Umanesimo e
Rinascimento”, pp. 538-540; Paul Oskar Kristeller. La filosofia del Rinascimento e la tradizione medievale.
Firenze, 1978, pp. 100-101; Il mondo antico nel Rinascimento: atti del V convegno internazionale di studi sul
Rinascimento. Firenze, 1958.
22
Leonardo Domenici. L’uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti a Firenze tra ragione e bellezza.
Firenze, 2006, p.1. Secondo lo studioso, proprio in Alberti, l’unione tra ars et ingenium si sarebbe rivelata nel
fatto che scienze e lettere erano in lui compenetrate, unite e non avvertite come campi antitetici, poiché
convinto che per capire l’uomo e il suo rapporto con la natura, la filosofia e la poesia erano altrettanto
necessarie quanto la scienza e la tecnica.
23
Baxandall. Giotto, cit.
8
fosse proprio Firenze
24
, città dove Alberti avrebbe composto il “Della pittura”. E’ qui,
infatti, che la nuova pittura incentrata sulla rappresentazione naturalistica e ideale delle
grandi gesta umane più mostrava, secondo quanto afferma Morolli, il legame dei nuovi
artefici con la sapienza antica intorno all’arte:
“La certezza teorematica della rappresentazione prospettica dello spazio, della realtà e concretezza
plastica dei corpi “tangibili” degli uomini raffigurati nella pittura del primo Umanesimo
masaccesco, è, ora, come investita da una claritas zenitale che scioglie ogni pesantezza cromatica,
ogni meccanicità delle vecchie composizioni: la predicazione albertiana del Della pittura ruscella
nelle opere scintillanti del maturo Ghiberti delle storie bibliche della Porta del Paradiso, negli
impaginati delle pareti del coro di Sant’Egidio dove, grazie a Domenico Veneziano e al
giovanissimo Piero della Francesca, il colore fiorentino riceve, ora, l’indicibile lievito della luce di
Apollo”
25
.
Ma soprattutto, sempre di Morolli, tra i passi più significativi di questa bellissima trattazione
sulla grandezza culturale della Firenze del primo ‘400, esemplata sulle orme dell’antico,
troviamo il seguente:
“Per le vie di Firenze iniziarono a circolare i sontuosi corteggi dei prelati e del basilèus d’Oriente,
fascinosi tanto quanto i codici, vergati negli ancora esotici caratteri greci, che i tanti studiosi
bizantini grecoparlanti qui confluiti d’ogni dove portavano nelle biblioteche cittadine, colmi dei
tesori della sapienza antica, fonti dirette, poetiche, storiografiche, scientifiche, filosofiche cui
24
Acidini. Alberti, cit., pp. 19-25; Kristeller. Concetti rinascimentali, cit., pp. 12 e 137-163; ma soprattutto
Gabriele Morolli in Firenze 1440: Roma non basta in L’Uomo del Rinascimento, cit., pp. 93-95. Oltre a
Firenze anche Roma avrebbe avuto un ruolo di grande importanza negli anni dell’Umanesimo rinascimentale.
Il mecenatismo dei papi (vedi: Francesco Benelli. La Roma di Leon Battista Alberti. Roma, 2006; Maria
Grazia Bernardini e Marco Bussagli. Il ‘400 a Roma. La rinascita delle arti da Donatello a Perugino. Milano,
2008) , saldamente formato sugli studia humanitatis (vedi a tal proposito: Baxandall. Giotto, cit., pp. 23-76),
mirava a ricostruire nella Roma del tempo la magnificenza e lo splendore della Roma antica imperiale,
affidando perciò agli artisti nuovi compiti che richiedevano da questi una conoscenza a priori dell’antico
almeno altrettanto ampia quanto era la loro abilità tecnica ed esecutiva. A tal fine ricostruttivo l’archeologia
24
,
ci dice Robert Weiss ( “La scoperta”, cit.), rivestì un ruolo importantissimo. C’era allora chi, come
Bracciolini, studiava e analizzava monumenti e iscrizioni della città antica ancora superstiti, o chi, come Leon
Battista Alberti, a lungo impegnato a stretto contatto con la committenza pontificia, si spingeva addirittura oltre
un semplice lavoro di studio e conservazione, mirando addirittura a ricostruire “una città ideale”
24
che
recuperava le stesse dimensioni e la stessa pianta dell’Urbe pagana per diversi edifici rinascimentali, nel più
schietto classicismo (sull’argomento si rimanda a: Cristina Acidini Luchinat. Rinascimento. Leon Battista nella
città ideale. Il Sole-24 Ore, Domenica 26 marzo 2006, p. 35: vi si legge che una delle grandi attrazioni della
mostra tenutasi in Palazzo Strozzi nel 2006 è stata La città ideale di Urbino con a fianco, esposto per la prima
volta, un disegno scoperto sotto la pittura grazie a delle indagini diagnostiche, che lascerebbe ipotizzare la
mano di Alberti; Gabriele Morolli (in Alberti: la triplice luce della pulchritudo. Firenze, 2010, p. 46),
riflettendo sul VII Libro del De Re Aedificatoria di Alberti, descrive in effetti quella che sarebbe stata la “città
ideale” del Rinascimento: “E sempre a proposito delle urbes degli uomini e dei praecipua ornamenta di
queste, al principio del VII Libro a tali ornamenti dedicato si dice che tutto deve risultare distribuito con
regolarità, in base ad una grata convenienza, ad una nobile bellezza e ad un opportuno vantaggio. Infatti se
viene a mancare l’ordine nulla certamente vi sarà che si dimostri agevole o attraente o onorevole”; Alberti.
De Re Aedificatoria (Biblioteca delle fonti storico-artistiche. Scuola Normale di Pisa, 2006,VII, I, 9.). Sempre
Morolli (in Ivi, p. 47) riporta un pensiero concorde a quello di Acidini (in Rinascimento, cit., p. 35): la “città
ideale” era tuttavia pensata, dicono, per la concreta, quotidiana vita ordinata degli uomini; Filippo Camerota.
Leon Battista Alberti e le scienze matematiche in L’Uomo del Rinascimento, cit., pp. 361-365).
25
Morolli. L’Uomo del Rinascimento, cit. pp. 93-95.
9
avevano attinto a suo tempo anche gli stessi Romani: e Platone cominciò a dialogare fittamente
nelle menti specialmente di quei “giovin signori” che sempre meno tempo erano necessitati a
dedicare ai traffici, e sempre più spazio trovavano nelle loro giornate da consacrare alle arti, alle
lettere, all’otium studioso”
26
.
Un singolare periodo di splendore artistico e culturale sulle orme dell’antico, dunque, nato
per impulso dei nuovi valori filosofici e ideali dell’Umanesimo ed espresso empiricamente
nell’introduzione di una conoscenza scientifica e insieme letteraria applicata alle arti.
Edward Wright, in particolare a proposito dell’opera albertiana, ha messo in luce un punto
credo fondamentale della novità che una simile opera doveva costituire proprio nel
panorama artistico della Firenze del tempo: in particolare egli ci conferma come essa
rispecchiasse una nuova necessità pedagogica molto sentita nella città in quegli anni
27
; i
nuovi intellettuali come Alberti avrebbero cioè avvertito l’esigenza di delegittimare un
sistema di apprendimento che si basava ancora, come nelle botteghe giottesche, fiorentine
del Trecento, sulla copiatura di stili altrui
28
. La nuova prospettiva umanistica applicata alle
arti avrebbe teorizzato invece la necessità non solo di far ricorso a metodi scientifici per
sollecitare agli artisti originalità creativa, ma anche di una conoscenza delle istorie letterarie
come vero e proprio modello di invenzione per i pittori. Ed è significativo come anche
questa svolta dovesse avvenire attraverso l’esempio antico: Wright ci dice infatti non solo
che la novità del trattato albertiano riprendeva una questione già aperta a suo tempo
dall’antico retore Quintiliano (35-96 d.C)
29
, ma anche che, stando ad altre fonti classiche,
26
Ibidem.
27
Wright. Il De pictura, cit., pp. 17-33-34.
28
Ibidem; scrive infatti Wright: “il De pictura..rappresentava una reazione alla prassi pedagogica del tempo,
la quale si fondava sull’imitazione della maniera di maestri di chiara fama come Giotto. Come sappiamo, i
dipinti di Giotto e della sua scuola sono tutti accomunati da una certa aria di famiglia. Tale caratteristica era
il risultato di un apprendimento basato sulla copiatura, sul ricalco e sull’imitazione delle immagini del celebre
maestro”. Questa pratica, come è lo stesso Wright a rammentarci (p. 21-22), era ben delineata nel Libro
dell’arte di Cennino Cennini (a cura di Mario Serchi. Firenze, 1991, pp. 36-37- parte I, cap. XXVII) che così
diceva: “per imparare a disegnare affatìcati e dilèttati di ritrar sempre le miglior cose che trovar puoi per
mano fatte di gran maestri…guada di pigliar sempre il migliore e quello che ha maggior fama”, ma anche
dall’umanista padovano Pier Paolo Vergerio che sosteneva: “Si deve fare come i pittori di oggi che pur
guardando certo con attenzione le immagini più famose degli altri artisti, tuttavia seguono i modelli del solo
Giotto” ( il passo è riportato da Wright. Il De pictura, cit., p. 22 ma anche da Baxandall. Giotto, cit., p. 69).
29
Wright. Il De pictura, cit., p. 18-19 e 33. Già Quintiliano, infatti, nella Institutio oratoria ( III) tirava in ballo
la pittura in rapporto alla questione dell’imitazione in opposizione all’invenzione: “è utile imitare le scoperte
ben riuscite. Ed è un principio generale della vita che desideriamo fare noi stessi quello che approviamo negli
altri. Così i pittori guardano alle opere dei loro predecessori. Ma la natura raramente ci rende simili,
l’imitazione invece spesso. Essa è insufficiente, se non altro perché è caratteristico di un’indole pigra
accontentarsi di quello che è stato già scoperto da altri. Cosa sarebbe successo ai tempi in cui non c’erano
modelli, se gli uomnini avessero creduto di non dover fare o pensare nulla a esclusione di quello che
conoscevano già?Evidentemente non si sarebbe inventato nulla…Se si fa un esame completo si osserva che
nessuna arte è rimasta nello stato in cui era quando fu inventata né si è mantenuta entro i limiti in cui si
trovava all’inizio…nulla progredisce grazie alla sola imitazione…Le qualità più importanti quali il talento,
l’inventiva, il vigore, la facilità di espressione e tutto quello che non viene trasmesso dall’arte, non sono
imitabili”.
10
per esempio il De Lingua Latina di Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C), già gli antichi
pittori Apelle e Protogene si erano distaccati dall’uso di altri loro predecessori di “imitare”
piuttosto che “inventare”
30
.
Proprio Firenze, dunque, si sarebbe attestata come il punto di partenza di un nuovo modo
razionale e insieme ideale di approcciarsi alle arti sulle orme dell’antico, e ciò grazie
innanzitutto ad una fase di fioritura politica, sociale e culturale che la città conobbe
soprattutto sotto il dominio di un grande mecenate: Cosimo de’ Medici
31
(1389-1464), il
quale fu protettore di un’importante Accademia
32
, quella neoplatonica, che, ispirata, come
suggerisce Kristeller, all’antica scuola di Platone e fondata dal grande umanista Marsilio
Ficino
33
(1433-1499), filosofo neoplatonico e traduttore in latino delle opere di Platone e
Plotino, avrebbe coinvolto nella sua prospettiva intellettualistica anche gli artisti del tempo.
Gli ideali filosofici di questa Accademia fiorentina avrebbero infatti avuto una grande e
diretta influenza sulla nuova concezione artistica. Inoltre, il primato fiorentino di questi anni
nell’elaborazione e nella diffusione dell’Umanesimo penso sia possibile ricondurlo anche ad
una linea di continuità di questa nuova concezione filosofica con il Trecento, secolo che,
tutt’altro che “buio” ed oscurantista, aveva visto, secondo quanto afferma Baxandall, la
presenza proprio in città di grandi precursori: Francesco Petrarca; Giovanni Boccaccio
(1313-1375); Coluccio Salutati (1331-1406), forse il primo grande maestro dell’Umanesimo
poiché scopritore delle Lettere ai Familiari di Cicerone (62-43 a.C); Leonardo Bruni (1374-
1444), traduttore dal greco di Platone e Aristotele e Poggio Bracciolini (1380-1459), grande
ricercatore di codici antichi per tutta Europa riconducibili a Quintiliano, Lucrezio, Cicerone,
Silio Italico e Stazio, tutti autori dell’antica latinità che furono allora riscoperti
34
.
30
Ivi, p. 19 e 20. Secondo Wright inoltre, una testimonianza importante poteva giungere anche dalla Naturalis
historia di Plinio il Vecchio (XXXIV, xix, 61) il quale vi riportava l’aneddoto secondo il quale, il pittore
Eupompo Sicione, alla richiesta di indicare il nome del predecessore di cui fosse seguace, aveva risposto,
indicando la folla, che si doveva imitare la natura e non un artista (l’aneddoto è riportato anche da Kris e Kurz.
La leggenda, cit., p. 14).
31
Acidini in Alberti (cit., p. 22 e 23), ci conferma che Firenze, intorno agli anni quaranta del XV secolo, era,
sotto Cosimo de’ Medici, una fucina artistica diffusa tale da attrarre artisti anche d’altri stati e che
probabilmente, Alberti, proprio in quegli anni, dovette essere vicino alla bottega numerosa e attiva di Filippo
Lippi, così come è possibile, dice la studiosa, che vi fosse una vicinanza, negli anni della costruzione e
decorazione della Cappella dei Magi nel Palazzo Medici di via Larga, tra Alberti e i principali artefici che vi
erano impegnati: sempre Lippi, Michelozzo e Benozzo Gozzoli; così come avrebbe avuto, Alberti, rapporti con
altri grandi della sua generazione in Firenze: fra’ Giovanni Angelico e Paolo Uccello ( appassionato, tra l’altro
di prospettiva); ma anche, più tardi, nei suoi anni da anziano, con la bottega di Andrea Verrocchio.
32
Spini. Cosimo, cit.;Baxandall. Giotto, cit.; Kristeller. Concetti rinascimentali, cit., pp. 12-27 e 126-133;
Eugenio Garin. Il pensiero italiano del Rinascimento. Firenze, 1940.
33
Marsilio Ficino. Teologia platonica. Bologna, 1965; Baxandall. Giotto, cit.; Giuseppe Toffanin. L’uomo
antico nel pensiero del Rinascimento. Bologna, 1957; Il mondo antico nel Rinascimento: atti del V convegno
internazionale di studi sul Rinascimento. Firenze, 1958; Kristeller. Concetti rinascimentali, cit., pp. 12-17.
34
Baxandall. Giotto, cit.
11