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Introduzione
Oggigiorno, la diversità della manodopera è una realtà onnipresente nei luoghi di lavoro. Questa
realtà non è nuova, ma in costante evoluzione. Le differenze possono riguardare sia l‟età, il sesso, la
professione, la mansione, l‟invalidità, l‟orientamento sessuale, la cultura o ancora l‟orientamento
associato all‟integrazione delle persone immigrate.
Una di queste diversità in forte espansione è legata all‟immigrazione. In effetti, oggi l‟Italia, con
oltre 4 millioni complessivi di cittadini immigrati, rappresenta un paese inserito in un moderno
contesto di flussi migratori e con un ruolo significativo dell‟immigrazione nell‟economia nazionale.
Di fatto, nel 2009 gli stranieri rappresentavano l‟ 8,4% delle forze lavoro, senza però considerare i
disoccupati attuali (con l‟attuale crisi economica, il tasso di disoccupazione degli stranieri si attesta
al 10% rispetto al 7,2% degli italiani. In Lombardia, 4,3% degli italiani erano disoccupati contro
10,4% di stranieri). Nello specifico, agli inizi del 2010 la presenza di stranieri in provincia di
Brescia ammontava a circa 185.000 e cioè al 15,6% della popolazione totale (Valenti, 2010) e come
vedremo più in dettaglio nel terzo capitolo di questo lavoro, la presenza straniera gioca un
importante ruolo nel tessuto industriale della provincia.
Questa breve panoramica del contesto attuale con ripercussione sul mercato del lavoro, porta
quindi a riflessioni su come gestire, sia al livello organizzativo nonché sindacale la varietà che si sta
ampliando e che non si può ignorare. Occorre quindi oggi cambiare il modo di pensare affinché
questa forza lavoro si trasformi in un potenziale, non solo per le singole aziende ma anche per la
nazione.
A questo fine, si è elaborato nel 2009 da Assolombarda, Cgil, Cisl e Uil un‟indagine
sull‟integrazione dei lavoratori immigrati a Milano, che ha evidenziato qualche azienda della
provincia che, come vedremo, elabora delle buone prassi per l‟integrazione dei lavoratori immigrati.
Da questo spunto, abbiamo cercato di individuare anche nel tessuto industriale bresciano
eventuali risultati sull‟integrazione del lavoratore immigrato. Di fatto, la manodopera immigrata è
diventata strutturale al sistema economico bresciano, non tanto per i numeri legati alla grande
industria, ma soprattutto per le piccole e medie imprese, oltre che per il settore delle attività
artigianali. Infatti, l‟immigrazione ha inserito nel bresciano sia nuovi elementi di mondializzazione
che elementi innovativi di produzione e di consumo collegati proprio inizialmente alle necessità
delle comunità immigrate per poi essere estesi a tutta la cittadinanza (ibidem, 2010).
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Da queste considerazioni, si è elaborata un‟analisi finalizzata ad individuare delle politiche oltre
che le azioni che favoriscano il grado d‟integrazione dei lavoratori immigrati nelle imprese
bresciane. A tal fine, il lavoro si articola sostanzialmente in cinque parti:
la prima, mira ad evidenziare i due versanti nella gestione della diversità, ovvero la
cultura organizzativa e gli schemi soggettivi che gli individui si costruiscono;
la seconda parte destinata a presentare le strategie e politiche del diversity management
focalizza anche la peculiarità del contesto italiano su questo tema;
la terza parte è finalizzata a studiare la dinamica delle diversità che costituiscono il
mercato del lavoro attuale, con maggiore importanza alla diversità immigrata;
la quarta parte delinea il ruolo dei sindacati nella tutela del lavoratore immigrato;
la quinta parte, riservata all‟analisi empirica, mette in rilievo gli obiettivi oltre che i
risultati delle interviste rivolte a imprenditori/responsabili del personale di sei imprese
sottoposte all‟analisi; si è chiesto anche il parere di alcuni operatori sindacali e di qualche
lavoratore immigrato;
infine, nelle conclusioni, dopo aver inquadrato la realtà del contesto in materia di
diversity management, vengono proposte azioni/interventi per un maggiore sviluppo
dell‟integrazione dei lavoratori immigrati a Brescia.
Senza entrare nei particolari che saranno ampiamente sviluppati nella parte empirica, possiamo
già anticipare che contrariamente al modello classico di diversity management nonché la ricerca
elaborata da Assolombarda, lo scenario della provincia di Brescia evidenzia che non è condizione
necessaria né sufficiente la dimensione dell‟azienda. Nemmeno la consistenza dei lavoratori in una
determinata azienda induce a intraprendere eventuali politiche di diversity management. Ciò deriva
dal fatto che alcuni percepiscono questa diversità come un obbligo, altri vi intravedono
un‟opportunità su cui è indispensabile lavorare e dedicare tempo.
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I- Il diversity management: due versanti nella gestione della diversità
L‟attuazione di un piano strategico di diversity management in un‟organizzazione, trova
maggiore efficaccia se viene fondato non solo su un make up o una rivisitazione dei sistemi di
risorse umani in essi incorporati, ma occorre tenere conto anche dei percorsi individuali soggiacenti
al tema della diversità.
In effetti, la letteratura considera come principali pilastri per l‟implementazione di adeguate
politiche di diversity managenement: la cultura organizzativa e l‟individuo che in essa ci “vive”.
Questo trova il suo fondamento negli schemi sociali, ovvero inerenti al rapporto tra organizzazione
e individuo. In quanto, si rivelano negli schemi spiragli di apertura verso ciò che non è
immediatamente riconosciuto come appartenenente e identificante.
Date queste premesse, veranno quindi appronditi in questo capitolo quelli che rappresentano i
versanti nella gestione della diversità. Nello specifico, ci focalizzeremo anzittutto sul concetto di
cultura nell‟organizzazione, sviluppandolo ampiamente nei suoi aspetti, componenti oltre che le
tipologie che si possono ricavare. Proseguiremmo il nostro filo conduttore con lo studio dell‟Io
nell‟organizzazione; in particolare ci concentreremmo sulle difficoltà soggettive che gli individui
sviluppanno nell‟accettazione della diversità.
1.1- Cultura organizzativa e diversità
Le organizzazioni moderne sono entità complesse, dinamiche e integrate con l‟ambiente. Le
interdipendenze multiple e le strette connessioni che esistono tra azienda e ambiente di riferimento
aumentano ulteriormente la complessità relazionale, e di conseguenza impattano sulla cultura
aziendale. Quest‟ultima in questo caso, deve essere aperta, adattiva e proattiva al cambiamento per
risultare capace a garantire all‟azienda condizioni di sopravvivenza di lungo periodo (Bodega,
1999).
Il concetto di cultura organizzativa non è recente. Spesso i dirigenti d‟impresa hanno cercato di
“personnalizzare” la loro azienda, caratterizzando così la specificità del loro saper fare ovvero dei
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valori nei confronti delle imprese concorrenti. In effetti, ogni azienda è caratterizzata da norme e
strutture ma è formata anche da emozioni, valori, percezioni e aspettative, ovvero possiede un
aspetto psicologico importante che influenza notevolmente l‟andamento dell‟organizzazione stessa,
aiutandola o ostacolandola nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti.
Alla luce di questa riflessione, si potrebbe dedurre che una cultura organizzativa omogenea
permette ad un istituto di demacarsi dagli altri presenti sul mercato, questo avviene attraverso una
situazione dove i menbri di un‟azienda sottoscrivono lo stesso ordine normativo. In altri termini, la
cultura organizzativa contribuisce a una visione comune di tutti dipendenti che costituiscono questa
comunità. In effetti, quest‟ultima caratterizzata da ambiente economico e sociale eterogenea, ha
bisogno di una cooptazione per potere funzionare in modo ottimale. Essa è una variabile essenziale
per spiegare il vissuto quotidiano e le scelte strategiche realizzate da un gruppo sociale. A questo
proposito, Schein (in Cifani, 2008) propone il concetto di “assunti fondamentali”, riferendosi a
risposte apprese che derivano da valori accettati e che si sono rivelate adeguate nel risolvere i
problemi che l‟azienda incontra lungo il suo cammino. Le organizzazioni tendono ad assumere
come assunti fondamentali, ovvero come stili di comportamento abituale, soluzioni contingenti che
vengono riproposte in modo automatico al momento opportuno, come un “dato per scontato”.
Potrebbero essere presenti contraddizioni e differenze sotto-culturali, come l‟età, l‟anzianità
aziendale, il sesso, la funzione svolta, ma queste distinzioni doverbbero avere maggiore rilevanza
per le persone che stanno al di fuori dell‟azienda piuttosto che al suo interno (Bodega, 1999)
Tuttavia, si nota che questo concetto si repercuote anche all‟interno delle imprese. Infatti,
l‟organizzazione è spesso considerata come zona di conflitti e di tensioni tra le varie figure
professionali.
La cultura organizzativa in concretto può quindi essere definita come un insieme di elementi
particolari che spiegano le basi di funzionamento di un‟entità specifica. In un certo senso, essa è un
sotto-gruppo della cultura nazionale e di conseguenza, come visto, un insieme di valori, di miti, di
riti, di tabou e di pratiche (segni) condivisi dalla maggior parte dei salariati (Durand, Fili, Henaulth,
2000)
Già richiamato varie volte nei paragrafi precedenti, i valori sono le preferenze collettive che si
impongono al gruppo, le credenze essenziali, le norme che definiscono il modo d‟agire e di pensare.
Più concretamente, formano la filosofia dell‟organizzazione. Esse determinano la sua linea di
condotta espressa dal regolamneto interno, la descrizione delle mansioni, oltre che il sistema di
ricompense e di sanzioni adottate. I valori stabiliscono i divieti, i tabou, i margini di libertà che non
dovrebbero essere oltrepassati.
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I miti sono le leggende, le storie associate al passato dell‟impresa. Servono a rinforzare i valori
comuni. Possono essere correlati a personnaggi che marcano o che hanno marcato nel passato la
vita dell‟impresa. Tale è il caso ad esempio del mito del fondatore o padre dell‟impresa, che
manifesta spesso nella piccola e medie imprese.
I riti sono delle pratiche che derivano da valori condivise. Il reclutamento, le reunione di lavoro,
gli incontri, l‟evaluazione del personale sono degli esempi di queste pratiche. Il processo
d‟assunzione si identifica come un rito d‟iniziazione, di passaggio alla cultura aziendale, seguito dal
processo di learning. Spesso in questi processi, si nota che le imprese cercano dei candidati
tecnicamente capaci, ma soprattutto avendo dei valori e delle aspirazioni che corrispondente alla
cultura locale. Se questa procedura contribuisce all‟integrazione dell‟individuo, essa frena
comunque lo sviluppo della cultura interna in quanto questa non è contestualizzata e non può
arrichirsi tramite un rapporto esterno.
La cultura raggruppa anche i simboli quali l‟indossare un‟uniforme o un badge che permette di
distinguere i membri dell‟organizzazione da quelli esterni ad essa. Nello specifico, il linguaggio
risulta come il simbolo più esplicito della cultura. La creazione di un linguagio comune facilita la
circolazione dell‟informazione, la comunicazione sociale e la prise di decisione. Questo linguaggio
“unico” si manisfesta non solo da un vocabolario specifico, ma anche per le formulazioni adottate,
lo stile di comunicazione oltre che i metodi di controllo.
Collegando queste considerazioni sopra svolte al concetto di diversità in azienda, Cuomo (2007)
considera lo sviluppo della cultura organizzativa come un punto di partenza per
un‟implementazione di successo di progetti di diversity management. In altre parole, favorisce
l‟accoglimento della diversità.
Numerosi studi internazzionali dimostrano ormai chiaramante come una buona politica di
gestione della diversità abbia un crescente rilievo, al giorno d‟oggi, nel consentire alle aziende
l‟ottenimento di business soddisfacenti. Di conseguenza a tal fine viene evidenziata la centralità
della cultura organizzativa e lo stretto legame cultura/performance aziendale: emerge per ogni
organizzazione la necessita di favorire al proprio interno lo sviluppo di una cultura il più possibile
orientata all‟accoglimento delle diversità. La difficoltà sta nel riuscire a comprendere quali sono gli
elementi che sostengono la performance organizzativa e quali invece possano essere esclusivamente
frutto di tradizione, di modalità cognitive condivise, ma non per questo necessariamente aggiornate.
Sempre con riferimento alla diversità, Cuomo fa riferimento ai concetti di culture:“forte” e
“debole”. La prima preme verso l‟uniformità delle aspettative e di risultati, mentre la seconda
permette in genere una maggiore esternazione delle identità individuali: se, infatti, l‟organizzazione
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non offre una forte linea guida per i comportamenti da assumere, le persone fanno affidamento alle
loro identità. Con conseguenza di quest‟ultimo, che i singoli posso mettere in atto le proprie culture.
La soluzione opportuna per le aziende intenzionate a adottare il diversity management, allora,
può essere quella di favorire al proprio interno lo sviluppo di una cultura organizzativa il più
possibile orientata verso la condivisione non nel senso di spingere un‟uniformità dei comportamenti
e quindi a un appiattimento delle singole specificità, bensì nel senso di creare una forte condivisione
dei valori essenziali, tra i quali una costante spinta in direzione dell‟accettazione della diversità, e
dunque una sorta di omogeneità nell‟apertura alla diversità.
Cox (1993) sempre nell‟ottica della diversità, classifica le varie organizzazione in tre tipologie
culturali:
Organizzazione monolitiche
Organizzazione pluriculturali
Organizzazione multiculturali
Le organizzazione monolitiche
Sono caratterizzate da un alto grado di omogeneità interna, e composta da individui che per la
cultura di riferimento appartengono alla classe dominante (ad esempio gli uomini rispetto alle donn
ecc) le donne e le minoranze etniche sono rappresente in misura minore che nelle altre cultura
organizzative: a loro vengono infatti riservati impieghi ai livelli organizzativi di bassa
specializzazione ovvero le unità operative. Le minoranze entranti devono adattarsi alle norme e alla
cultura organizzativa esistente, senza potere fare modifiche. E questo avviene perché la stabilità e
l‟omogeneità sono anzi condizioni necessarie per la sopravivvenza di tale tipologia di
organizzazione.
Oggi l‟organizzazione monolitica è poco diffusa, questo dovuto ai numerosi cambiamenti
demografici, i movimenti femministi e le iniziative di pari opportunità che hanno portato a
un‟organizzazione pluriculturale.
Le organizzazioni pluriculturali
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Presentano una maggiore eterogeneità interna, poiché caratterizzata da un ambiente che tende a
includere persone di background culturali diversi dal gruppo dominante. Inoltre fanno uso di
politiche di:
o Assunzione e promozione miranti a dare spazio a persone appartenenti a diversi gruppi
culturali; con intento unire questi ultimi in una cultura condivisa.
o Addestramento dei manager sulle questioni legate alla pari opportunità;
o Revisione dei sistemi di risarcimento al fine di garantire la riduzione delle
discriminazioni verso le minoranze.
In confronto alla prima tipologia, si deduce quindi che l‟organizzazione pluriculturale realizza un
maggiore livello di integrazione strutturale, soprattutto in contesto molto variegato come quello
attuale. Si ha un miglioramento delle opportunità di lavoro grazie all‟inclusione delle minoranze e si
genera in loro un forte senso di appartenenza e di identificazione con l‟organizzazione. Tale
tipologia di organizzazione, che prende suoi origini negli stati uniti, rappresenta la tipica grande
impresa di questi ultimi anni. In effetti si nota da parte dell imprese oggigiorno solo un
riconoscimento dell‟esistenza della diversità come fattore che incide ai fini organizzativi inoltre
questa tipologia di imprese considera la gestione della diversità come un costo supplementare da
sostenere. Di conseguenza non viene gestita la diversità: non vengono realizzati interventi in esso
se non nei casi imposti dalla legge (come ad esempio la legge 68 del 1999 sul “diritto al lavoro dei
disabili”) oppure in caso della disponibiltà di una sola tipologia di forza lavoro come accade questi
tempi.
Le organizzazioni multiculturali
Per Cox le organizzazioni che contengono persone di diversi gruppi culturali sono chiamate
organizzazioni pluriculturali, mentre considera multiculturali solo quelle che riconoscono e
valorizzano quella tale diversità. In queste ultime, le risorse umane non appartenenti ai background
tradizionali sono perfettamente integrate e sono nelle condizioni per esprimere al meglio il proprio
potenziale. In effetti, tali organizzazioni hanno superato le imperfezioni dell‟organizzazione
pluriculturale (che attuano strategie unicamente reattive), caraterizzandosi per un alto livello di
pluralismo, una perfetta integrazione sia della struttura ad ogni livello, sia dei networks informali,
l‟assenza di pregiudizi e discriminazioni, un maggior livello di identificazione organizzativa e un
basso livello di conflitti intergruppo grazie a una gestione proattiva delle diversità.
L‟organizzazione che riesce ad attuare tali condizioni è in grado di creare un ambiente in cui il
valore della diversità è pienamente realizzato.
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Tuttavia, nonostante i cambiamenti (in vari livelli) avvenuti questi ultimi anni, si nota la
presenza ancora di alcune imprese pluriculturali (nel senso del termine attribuito da Cox).
Atteggiamento che potrebbe trovare suo significato da una carrenza di simbiosi tra la cultura interna
e i soggetti concernenti.
Di seguito, verrà quindi presentato come affontare strategicamente e progettualmente il tema
della diversità in organizzazione. Diffati, dimostreremmo quanto l‟attuazione delle politiche di
diversity management ha senso manageriale se esiste prima di tutto una disponibilità soggettiva ad
accettare gradi di diversità nella propria cultura.
1.2- Difficoltà soggettiva nell’accettazione della diversità
In un quadro monolitico di cultura aziendale caratterizzato dall‟integrazione, il cambiamento
culturale secondo Schein, si realizza come un processo a tre stadi (Schein,1968, 1985). Nel primo,
gli individui (e le organizzazioni) sperimentano uno stadio di disgelo che si manisfesta da una
forma di presa di coscienza del diverso nasce quindi l‟ambiguità del non conosciuto. Operazione di
grande rilevanza secondo Schein in quanto porta alla consapevolezza. Nel secondo stadio avviene il
cambiamento. Quest‟ultimo si manifesta dall‟apprendimento di nuovi comportamenti e relativi
significati. Il terzo stadio, chiamato di “ricongelamento”, l‟ambiguità è di nuovo negata e il nuovo
modo di comportarsi, di interpretare diventa internalizzato, in altre parole avviene tutto sommato un
processo di individuazione, acquisizione, inserimento e condivisione delle culture. In questo
modello, Schein dimostra quanto il ruolo di leader assume una posizione rilevante nella
realizzazione del cambiamento. In effetti, Nel considerare l‟unicità della cultura, la funzione
essenziale di leader è precipuamente quella di gestire il significato del cambiamento nelle
organizzazioni. (Bodega, 1999).
Quello che si intende sottolineare è che il cambiamento culturale di un‟organizzazione è
strettamente legato al cambiamento soggettivo del modo di leggere e interpretare la realtà e quindi
dalla capacità di rivedere la propria cultura di riferimento come allo stesso tempo potrebbe
assumere piuttosto una funzione di differenziazione. In ogni caso, qualunque sforzo e tentativo di
analizzare, cambiare e gestire una cultura richiede l‟isolamento di queste culture distintive (Ibidem,
1999).