IKEA, IL DESIGN SCANDINAVO
“Tutti vorrebbero per la propria casa oggetti di buon design. Sono cose che utilizziamo
quotidianamente per tutta la vita, ci si aspetta quindi che siano, per quanto possibile,
utili e belle. Al momento nessuno sa progettare articoli casalinghi meglio degli
scandinavi” scrisse nel 1954 Leslie Cheek jr. del museo d’arte di Richmond, negli stati
Uniti, responsabile della mostra itinerante “Design in Scandinavia” che riscosse
all’epoca un enorme successo.
L’impostazione democratica della Scandinavia nasce dall’aspirazione a migliorare la
qualità di vita delle persone sfruttando le tecnologie opportune ad un prezzo
abbordabile ed è una peculiarità storica - espressa in decenni di indipendenza politica
e materiale – che ha portato necessariamente l’attenzione sugli oggetti della vita
quotidiana e sulla abitazione privata come punto focale della società. Questa visione
particolare del mondo è divenuta un linguaggio universalmente comprensibile del
design scandinavo che ha accomunato Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia
nonostante tutte le differenze tra le rispettive culture e tradizioni nell’uso dei materiali.
LA SVEZIA
La Svezia tardò parecchio a diventare nazione e la sua storia nel ventesimo secolo
viene definita come la storia di un miracolo economico. I primi svedesi di cui si sente
parlare in Europa sono mercanti e guerrieri che si spingono verso est e verso sud,
percorrendo i fiumi russi alla volta di Costantinopoli. Commerciavano giada, pellicce e
vendevano le loro capacità come guerrieri. La guardia imperiale di Costantinopoli era
formata esclusivamente da mercenari svedesi, i variaghi. Questi uomini che venivano
dal Nord, percorrendo gigantesche distanze, erano chiamati dalle popolazioni slave
rus. Anche da questo si capisce che l’apporto svedese alla cultura europea fu più che
incursioni, sacchi e massacri.
Insieme al commercio circolavano le idee, si irrobustivano le società, si creavano le
basi da cui poi nacque lo stato russo. Nel 1523 Gustavo Vasa divenne il primo re
svedese, ottenendo con le armi l’indipendenza dalla Danimarca. Nel corso del ‘500 il
paese fu continuamente coinvolto in guerre con il suo aggressivo vicino scandinavo ma
gli impegni europei della Danimarca e lo squilibrio demografico tra i due vicini
alterarono la bilancia di potere.
Nel corso della guerra dei trent’anni la Danimarca, sconfitta, perse il suo status di
potenza regionale. L’esercito svedese, che aveva umiliato tutti gli avversari in molte
battaglie, ottenne per il suo paese un’importanza grandemente superiore alle effettive
potenzialità nazionali. La Svezia controllava ormai interi principati tedeschi e tutto il
Baltico.
Ma le ruote della storia continuavano a girare. Ai primi del ‘700 la Svezia entrò in
guerra con un nuovo nemico, la Russia di Pietro il Grande. La guerra ebbe esito
disastroso, con l’esercito annientato e lo stesso re Carlo XII ferito e costretto alla fuga
in Turchia.
La Svezia perse tutti i possedimenti oltre il Baltico. Il paese, privo delle basi
economiche e demografiche necessarie, non sarebbe comunque stato in grado di
sostenere indefinitamente l’espansione del ‘600. Già la guerra dei trent’anni, pur
vittoriosa, aveva provocato una catastrofe demografica, parzialmente mascherata
dall’immigrazione e dall’espansione territoriale.
Alla fine del ‘700 la Svezia, pur ricchissima di materie prime, era un paese povero, con
un notevole flusso di emigrati diretti negli Stati Uniti.
Gli albori della Rivoluzione Industriale videro la Svezia seguire un percorso simile alla
Germania: spopolamento delle campagne, emigrazione massiccia (oltre un milione e
mezzo di svedesi abbandonarono il loro paese), sviluppo della socialdemocrazia. Negli
anni trenta, il premier socialdemocratico Per Albin Hansson, con tipico pragmatismo
scandinavo, abbandonò le basi dogmatiche del suo partito per realizzare un ambizioso
programma sociale ed economico: un sistema previdenziale innovativo, basato su una
tassazione progressiva del reddito.
L’obiettivo era la creazione di un sistema economico e sociale in cui a chiunque,
indipendentemente dalle sue origini e dalle sue basi economiche, fosse assicurato uno
standard minimo di sicurezza sociale. Lo slogan marxista "a ciascuno secondo i suoi
bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità" veniva portato avanti da un sistema che
voleva, e riuscì, a mantenersi democratico.
Il sistema decollò realmente dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando lo
sfruttamento delle risorse settentrionali generò ricchezza e prosperità diffusa. Questo
sistema è stato alla base di una straordinaria quanto silenziosa rivoluzione sociale: il
74% delle donne lavora - contro il 79% degli uomini - ed è la percentuale più alta al
mondo. Il settore pubblico e i sussidi hanno consentito alle donne di non dover
scegliere tra famiglia e lavoro, ma di poter liberamente realizzarsi, con successo, nella
vita privata e nella società.
Recentemente questo sistema ha cominciato ad indebolirsi, a causa di una forte
immigrazione e di una crisi economica generata dalla globalizzazione del mercato. Uno
dei punti deboli del sistema economico svedese è dato certamente dall’enorme peso
del sistema pubblico, che assorbe buona parte della forza lavoro e delle risorse statali.
Il settore pubblico, grazie ai servizi che eroga, genera sicuramente benessere e qualità
della vita. Ma non produce, anzi, assorbe la ricchezza e le risorse economiche
necessarie al paese per competere nel mercato globale.
La Svezia è comunque, a differenza di altri paesi ben meno attenti al settore sociale,
fortemente consapevole del valore determinante della ricerca e dell’innovazione. Il
futuro della Svezia nel mercato globale, come del resto delle altre nazioni occidentali,
si giocherà sulla qualità dei servizi, sulle nuove tecnologie, sulla capacità di creare
qualcosa di nuovo e di restare sempre in movimento.
Con i suoi nove milioni di abitanti la Svezia è un mercato troppo piccolo per poter
alimentare da solo la propria industria. L’attenzione alle esportazioni, e le facilitazioni
alle imprese in tal senso, sono sempre state al centro dell’attenzione dei vari governi
svedesi.
Favorita dal carattere dei propri cittadini, dall’abbondanza di materie prime,
dall’assenza di scontri sociali, la Svezia è pienamente parte del sistema economico
mondiale. Nel periodo della Guerra Fredda il paese, anche se con un’ economia
basata sul mercato, manteneva un settore pubblico ed un controllo statale sul settore
privato certamente superiore a quello di Europa occidentale e Stati Uniti.
Quasi ogni famiglia svedese, se risale all’indietro di tre - quattro generazioni, trova un
passato contadino: dimostrazione palese di come questo paese così moderno e
avanzato coltiva le sue radici in una società contadina ricca di valori solidi e semplici.
Questo passato, in cui le famiglie lavoravano assieme per sopravvivere agli inverni ed
alle periodiche carestie, in cui la ricchezza era sconosciuta ed in cui le massime virtù
erano diligenza, onestà, modestia, fa ancora parte del corredo culturale svedese e una
dimostrazione concreta in fatti e cifre è IKEA. L’ordinarietà è per lo svedese un pregio,
sia essa attribuita ad un impiegato che a un membro della famiglia reale, e la Svezia
difende con orgoglio le sue scelte economiche e sociali a metà strada tra capitalismo e
comunismo.
Nelle classifiche dell’ONU sullo sviluppo umano, che prendono in considerazioni
centinaia di parametri economici, sanitari, politici, la Svezia risulta al secondo posto! (Al
primo c’e’ la Norvegia).
I nove milioni di abitanti della Svezia vivono in un paese di 450.000 chilometri quadrati
(una volta e mezzo l’Italia). Di essi oltre il 90% vive nella parte meridionale del paese.
Le regioni del Nord coperte di foreste sono praticamente deserte a parte rare cittadine
ma gli svedesi sono orgogliosi della bellezza naturale del loro paese. La Svezia
insieme agli altri paesi scandinavi contiene le ultime terre selvagge d’Europa e oltre la
metà del territorio nazionale è costituito da foreste, gli ultimi resti dei boschi primordiali
che un tempo coprivano tutta l’Europa. Il nord del paese ha fornito, con le sue risorse
di minerali, legname ed energia idroelettrica, il volano dello sviluppo industriale nel
secolo scorso. Consapevoli del valore unico di questa risorsa, gli svedesi hanno
concepito un’efficiente legislazione per la protezione dell’ambiente.
Per tre mesi all’anno una gloriosa estate invade il paese. A nord la luce non tramonta
mai, piante ed animali approfittano del calore e del cibo abbondante per riprodursi e
diffondersi. A partire da settembre, buio e freddo scendono sul paese. Gli inverni del
Nord con il loro assordante silenzio, la notte senza fine, le temperature che scendono a
livelli che non consentono la vita sono durissimi: questo spiega perfettamente la scarsa
densità abitativa di quelle zone.
La tenacia e l’inventiva degli svedesi ma anche il loro grande spirito pratico e la loro
capacità di cavarsela da soli sono stati forgiati in quei climi ostili.
La Svezia è un affascinante miscela di vecchio e di nuovo. Di esperimenti sociali, di
ricchezza diffusa, di tecnologia all’avanguardia prodotta da un popolo orgoglioso della
propria storia e del proprio passato. Un popolo di cui noi non condividiamo la cultura, e
la cui formula non possiamo ripetere, ma i cui successi costituiscono comunque un
modello ed un esempio per l’Europa.
1890 – 1925 : LE ORIGINI DEL DESIGN SCANDINAVO
Fino a tardo XIX secolo tutti i paesi nordici vivevano ancora prevalentemente di
agricoltura. Tra le popolazioni dei villaggi la povertà rappresentava la norma.
L’industrializzazione si metteva in moto lentamente ed era un fenomeno che
interessava soltanto limitate enclave. La sua diffusione si accompagnava inoltre a crisi
sociali, disoccupazione e mancanza di alloggi. Diecimila gli svedesi che emigrarono in
America. Nel 1897 i visitatori dell’esposizione di Stoccolma poterono ammirare le
ultime innovazioni in campo di segherie, filatoi e ferrovie. L’iniziativa era ospitata nello
stesso edificio in cui si era tenuto il vernissage del ciclo Ett Hem che significa “A casa”
e che dava un’immagine diametralmente opposta rispetto all’età delle macchine. Le
sue rappresentazioni erano state curate da Carl Larsson. L’artista svedese aveva
dipinto quadretti familiari, scene piene di calore ambientate nella casa di campagna a
Dalarna. Il libro divenne in poco tempo un best-seller a livello mondiale. Proponeva “un
modello per chi voglia sistemare in modo carino la propria casa” come scriveva
Larsson nel testo di accompagnamento ai disegni. All’epoca erano in gran voga anche
in Scandinavia i pesanti mobili prodotti in serie. Al contrario le stanze di casa Larsson
apparivano insolitamente vuote. I pochi mobili erano di origine eterogenea e tra gli altri
c’erano anche semplici pezzi in stile contadino di cui alcuni progettati personalmente
dai due coniugi e in particolare dalla moglie Karin. Era un modello antitetico rispetto
alla mania di ostentazione borghese.
I coniugi Larsson erano abbonati alla rivista The Studio che da portavoce del
movimento inglese Arts & Crafts propagandava i pregi della semplicità e della qualità
artigianale, trovando grande risonanza nei circoli artistici scandinavi. La fattoria dei
Larsson era una versione in chiave svedese di tale tendenza, un frammento di design
funzionale immerso nel verde della campagna, una nuova concezione che grazie ai
delicati disegni Ett Hem sarebbe rimasta profondamente impressa nella coscienza
popolare.
Nel 1997 il Victoria & Albert Museum di Londra ospitò una retrospettiva su Larsson,
definendo lui e la moglie come i “creatori dello stile svedese” e sponsor dell’iniziativa fu
proprio IKEA.
Quando la Norvegia rivendicò la propria indipendenza nel 1905 si giunse ad un passo
dalla guerra ma ormai l’età dell’impero di Svezia e Danimarca, così come lo status
della Finlandia e Norvegia erano giunti al capolinea. In questa fase di innovazioni
accompagnata da un’atmosfera fin de siècle, da senso di fastidio per la civilizzazione
e da ardente patriottismo, artisti e intellettuali cercavano una guida nella storia
preindustriale. Da qui nacque il movimento del nazionalismo romantico che in
Scandinavia come nel resto d’Europa, si accompagnava al mito della grandezza
passata. Nacquero allora numerosi musei storici come lo Skansen, nei pressi di
Stoccolma, il primo museo del mondo all’aperto, o l’Ateneum di Helsinki, primo museo
della Finlandia al quale era annessa una scuola per l’artigianato artistico, culla del
design finnico.
Il movimento si organizzò in associazioni quali l’Associazione per l’artigianato
finlandese e l’Unione per il lavoro domestico svedese che documentavano la
tradizione delle tecniche artigiane in tutto il paese. Con il primato dell’artigianato
artistico furono messi in primo piano i materiali naturali e gli accessori per la casa, gli
ingredienti principe della cultura scandinava per gli interni caratterizzata dal gusto per
un caldo nido familiare senz’altro in rapporto con l’estremo vigore del clima e per
questo definita dal critico Ulf Hard af Segerstadt “design invernale”. La vita in
campagna e i paesaggi incontaminati di Svezia e Finlandia offrivano rifugio alle anime
cittadine ferite, una terra protetta per la nostalgia nazionalistica.
Non è un caso dunque che in occasione dell’Esposizione internazionale di Parigi, nel
1900, suscitasse interesse la Finlandia (allora ancora granducato della Russia). Anche
altri scandinavi fecero parlare di sé ma l’attrazione principale fu senza dubbio il
padiglione finlandese che già di per sé venne apprezzato come un capolavoro
d’artigianato. I progetti del tempio al nazionalismo romantico erano firmati da Eliel
Saariner, mentre alla sua realizzazione avevano collaborato il ceramista anglo-belga
Alfred Finch, il pittore italo-svedese Luois Sparre e Gallen-Kallela.
Lo stile scandinavo muove i primi passi insieme alla conquista della coscienza
nazionale ed è per questo che rimase sempre saldamente ancorato nelle coscienze e
acquisì una posizione insolitamente alta nella scala di valori di tutta la popolazione
scandinava. C’è da dire però che in ognuno di questi paesi il design manifestò tratti
nazionali peculiari. In Danimarca ad esempio, con Copenaghen, città portuale e
mercantile, fiorì ben presto il gusto per l’esotico. Le sue industrie di porcellane
indulgevano all’orientalismo. Già allora le industrie d’arte danesi ospitavano laboratori
sperimentali che lasciavano mano libera agli artisti, un sistema esemplare che solo più
tardi sarebbe stato accolto in altri paesi scandinavi.
I fuochi accesi dal nazionalismo romantico si spensero nel giro di breve tempo.
L’artigianato artistico, pur rimanendo tema di roventi discussioni aveva però un
significato economico irrilevante perché gran parte della popolazione non poteva
permettersi i suoi prodotti. In quegli anni la Svezia appariva in grave difficoltà.
Soprannominata la Cenerentola d’Europa, si ritrovò ad offrire condizioni abitative
catastrofiche. La Svensk Form, la più antica associazione artigianale del mondo,
accolse il programma dell’equivalente associazione tedesca, il Deutscher Werkbund,
che si batteva per un’ “estetica della macchina” consona ai tempi. Seguendo l’esempio
tedesco anche in Svezia venne aperto un ufficio che facesse da tramite tra gli artisti e
le fabbriche. Alla mostra di arredamento “Hemutstallningen” organizzata a Stoccolma
nel 1917 nel tentativo di tradurne in pratica i principi teorici parteciparono giovani e
promettenti designer come Gunnar Asplund e Carl Malmsten. L’esposizione segnò
l’esordio di un nuovo design popolare e funzionalista orientato alla creazione di prodotti
poco complicati e adatti alla produzione industriale. L’obiettivo comune era soprattutto
quello di mirare alla semplicità, ma dietro questo principio si nascondevano concezioni
radicalmente diverse: c’era chi lo intendeva come ritorno all’universo di forme del
mondo contadino, chi seguiva gli influssi del nuovo design tedesco e chi soprattutto in
Svezia e Danimarca manifestava una chiara predilezione per un’estetica classicistica.
In Svezia l’impero borghese- contadino di età gustaviana rimase il substrato
imprescindibile di ogni corrente artistica fin nel cuore del XX secolo e fu proprio lo
storicismo delle creazioni svedesi sobrio e addirittura quasi povero ad assicurare loro
improvvisa fama mondiale in occasione dell’Exposition des Art Decoratifs di Parigi del
1925. Qui piovvero ordinazioni commerciali e medaglie non però per i begli oggetti di
uso quotidiano ma bensì per gli articoli più stravaganti e lussuosi. Il plauso maggiore
toccò ai costosi cristalli di Orrefors che piacquero per lo stile decorativo collocabile
grosso modo tra Botticelli e Matisse oltre che per l’evidente virtuosismo artigianale. Il
redattore della rivista inglese Architectural Review definì il fenomeno coniandolo con il
termine “Swedish Grace”. Questo stile dava grande peso ai dettagli sia nel design che
in architettura e delineava una salda collaborazione tra architetti e designer e artigiani
ed artisti del legno, del vetro, dei tessuti e dei metalli. Elemento determinante del
design scandinavo rimaneva in ogni caso una predilizione per le proporzioni classiche
armoniche. Tale preferenza, unita in positivo e in negativo ad una notevole
testardaggine contraddistingueva per esempio il danese Johan Rohde che, come il
connazionale Poul Henningsen esponeva le proprie opere anche a Parigi. Questi due
artisti incarnavano la contrapposizione tra artigianato di altissimo livello e l’imminente
design industriale.
1925 – 1940: IL MODERNISMO SCANDINAVO, KAARE KLINT E IL
FUNZIONALISMO DANESE
Per molti aspetti l’architettura e il design dei paesi scandinavi hanno matrici e destino
simili a quelli degli altri centri europei poiché rientrano pur con le loro particolarità, nel
cosiddetto “Movimento Moderno” di cui tipici sono il desiderio condiviso di modernità ed
innovazione subito dopo i disastri causati dalla Prima guerra mondiale. D’altra parte
invece sembrano seguire un processo e perseguire degli obiettivi sensibilmente diversi
da esso. I principali fattori della loro diversità possono considerarsi il non aver assunto
come referente la “macchina”, il non aver seguito la mimesi formale-concettuale della
realtà industriale così come avevano fatto i razionalisti e segnatamente Le Corbusier,
la mancata frattura tra artigianato e industria, la volontà di non smentire la propria
tradizione ma piuttosto quella di continuarla e l’uso prevalente di alcuni materiali specie
il legno di cui avevano grande abbondanza. Ma al contrario di come potrebbe essere
spontaneo sostenere, la componente “progetto” del design scandinavo non si
esaurisce nella tecnologia del legno. Questa gioca un ruolo evidentemente primario
nella determinazione del prodotto sia in fase ideativa che esecutiva, ma l’interesse per
il legno precede la stessa lavorazione e va ricercato a partire dalla originaria morfologia
del materiale, da una proprietà cioè che precede la sua tecnica di conformazione;
analogamente uno stesso interesse va ricercato nell’idea di forma che precede la
fabbricazione di ogni oggetto quale che sia il suo materiale. In particolare nel campo
del design di oggetti gli scandinavi non seguono la logica per cui un’unitaria
metodologia informava tutti i settori merceologici e, pur producendo, specie nei tempi
più recenti, significative prove in vari campi, ne hanno di fatto privilegiato uno. In altre
parole hanno rivendicato al design degli oggetti domestici, dal mobile al suppellettile,
un posto a parte nel più vasto orizzonte del disegno industriale; non solo, ma hanno
assunto come referente dei loro progetti la natura, della quale, grazie alla macchina e
alla stessa mano dell’artigianato, hanno scoperto la morfologia più inedita e segreta.
Un esempio sono le lampade di Aalto , oggetti che, muniti di schermi e diffusori,
tendono a fondere la luce artificiale con la naturale luminosità nordica, oppure le
produzioni di Wirkkala che, non disdegnando di guardare all’antica produzione della
Lapponia, scopre tutte le venature del legno, e in base ad esse ricava la forma di un
vassoio nata appunto come organico processo di linee stratificate; oppure leviga un