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normativa considera questi stati psicologici, occupandosi
dell’ignoranza, relativamente alla legge penale, per stabilire la sua
irrilevanza ai fini della punibilità (art. 5 c.p. ); e dell’errore sul fatto
costitutivo del reato e sulla norma extrapenale, quando cagiona un
errore sul fatto, per escluderne la punibilità (art. 47, ult. com., c.p.).
Anche il dubbio è uno stato psicologico che implica una relazione tra
il soggetto ed una determinata realtà, ma in questo caso il soggetto è
incerto sulla verità di due o più rappresentazioni: egli si rappresenta
l’esatta realtà insieme a quella erronea, ma non sa quale delle due sia
vera. Possiamo dire che lo stato di dubbio si pone tra la conoscenza
positiva ed univoca e l’ignoranza o errore. Quale la rilevanza
normativa di tale stato, in assenza di una disposizione che ad esso si
riferisca? La risposta, come vedremo in seguito, è stata data, come
direttiva di massima, dal giudice delle leggi nella “storica” sentenza
n. 364/88 per poi essere puntualizzata ed approfondita dalla
dottrina
1
.
1
Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976, p. 516; Mucciarelli, Errore e
dubbio dopo la sentenza della Corte Costituzionale 364/1988, R.i.d.p.p., 1996, p.244 ss.
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Per sgombrare il campo da incertezze e per poter
successivamente focalizzare la nostra attenzione su quel particolare
tipo di errore che è l’errore sul precetto, è opportuno individuare la
differenza tra errore sul fatto ed errore di diritto. Versa in errore di
fatto il soggetto che non ha consapevolezza, ovvero ha una falsa
conoscenza, di alcuni dati della realtà naturalistica di cui ha una
percezione sensoria distorta o che non percepisce affatto. Per quello
che a noi interessa, il fatto in questione deve essere previsto dalla
legge come reato: ecco quindi che questo tipo di errore esclude la
punibilità, sempre che il soggetto non sia punibile ad altro titolo, e
quindi se, come prevede il 1° comma dell’art.47, il fatto non sia
previsto dalla legge come delitto colposo (poiché ovviamente l’errore
esclude il dolo, infatti, a norma dell’art.42 c.p., affinchè possa
ritenersi il soggetto aver agito con dolo è necessario che egli abbia
coscienza e volontà della propria condotta e che preveda e voglia
l’evento).
Dato che nella nozione di fatto possono essere compresi solo gli
elementi essenziali, “l’errore di cui al 1° com. dell’art.47 deve cadere
7
dunque o sulla condotta tipica o sull’evento tipico”
2
. Prima
dell’entrata in vigore della legge n.19/90, era stabilita la irrilevanza
dell’errore sulle circostanze e sulle condizioni di punibilità del
reato(elementi estranei alla fattispecie tipica). Il nuovo art.59 ne
prevede, limitatamente alle circostanze aggravanti, la conoscenza o,
almeno, la ignoranza colpevole. Per quel che riguarda l’errore sui
c.d. presupposti del fatto, attesa la mancanza di una previsione
legislativa, la soluzione offerta dalla dottrina è orientata per
affermarne la rilevanza almeno ai fini dell’esclusione del dolo.
Ultima questione relativa agli elementi estranei al fatto tipico, non
risolta dal legislatore normativamente, è quella che riguarda il nesso
causale tra la propria azione e l’evento. Per ciò che concerne i reati a
forma libera si afferma che tale errore non ha rilievo poiché, nel caso
in cui l’evento prodotto sia comunque quello che si intendeva
cagionare, non ha alcuna importanza che il fatto sia stato determinato
da una diversa serie causale. Ciò trova puntuale riscontro nella
generale irrilevanza delle concause e nella disciplina prevista dagli
2
Contento, Corso di diritto penale, vol. II, Laterza, Bari, 2000, p. 186.
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artt. 82 e 83 c.p. Sicuramente così non è per i reati a forma vincolata
nei quali si esige che l’evento scaturisca direttamente da un certo tipo
di fattori causali, e non da altri.
Ma, a parte l’errore che cade sugli elementi non essenziali del
fatto, che comunque non incidono sulla portata e sull’autonomia
dell’art.47c.p., errore rilevante è quello che deriva da ignoranza o da
falsa conoscenza di alcuni dati della realtà naturalistica (di cui
abbiamo parlato) ma anche, e soprattutto, quello che deriva dalla non
conoscenza del significato della condotta illecita, nel caso in cui è
necessario formulare un giudizio su realtà che non esistono in natura.
E se quest’ultimo non coincide con il giudizio dato dall’ordinamento,
il soggetto versa in errore sugli elementi normativi del fatto (dei
quali ci occuperemo successivamente). Esempio: nel reato che
punisce la diffusione di notizie “false” e “tendenziose”, il soggetto
non sarà punibile se egli, nonostante la consapevolezza di diffondere
determinate notizie, non sappia che le stesse, per ignoranza o perché
convinto che non abbiano i caratteri richiesti dalla norma, alla
stregua dell’ordinamento, siano invece false o tendenziose.
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L’errore sul fatto di reato, rilevante ai sensi dell’art.47c.p., è solo
l’errore essenziale, quello, per intenderci, che esclude il dolo: l’errore
in forza del quale si supponga una situazione di fatto non
riconducibile alla fattispecie delittuosa obiettivamente realizzata,
l’errore che incide su uno dei termini(fatto qualificato o norma
qualificante) del giudizio di antigiuridicità penale.
Fin qui l’errore di fatto, ma l’istituto che desta particolari
problemi interpretativi e di applicazione, solo parzialmente risolti
dalla più attenta dottrina prima e dalla citata sentenza della Corte
Costituzionale poi, è l’errore di diritto di cui agli artt.5 e 47, ult.
com., c.p. Versa in errore di diritto colui il quale ignora l’esistenza
della norma o la interpreta in maniera difforme dal suo significato
acquisito a livello di ordinamento (ammesso che una norma sia
interpretabile in maniera univoca). L’art.5c.p., nella sua
formulazione originaria, testualmente recita: “nessuno può invocare a
propria scusa l’ignoranza della legge penale”, con ciò stabilendo il
principio della assoluta inescusabilità di questo particolare errore di
diritto.
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L’art.5 considera l’ignoranza della legge penale riferendosi alla
mancata conoscenza del carattere illecito di un determinato
comportamento; ciò che rileva quindi, non è la conoscenza della
legge “tout court”, ma il carattere di illiceità (antigiuridicità)
desumibile dalla stessa legge penale. In altre parole, il soggetto deve
necessariamente sapere (“presunzione assoluta di conoscenza” prima
della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale
dell’art.5c.p.) qual’ è il precetto posto dalla legge penale e dovrà, di
conseguenza, conformare il suo comportamento alla particolare
volontà positiva, nel caso in cui la legge pone un obbligo, ovvero
negativa, nel caso in cui la legge pone un divieto, della stessa norma,
che collega alla violazione del precetto una sanzione di natura
penale.
D’altro canto è possibile che elementi di antigiuridicità, i quali in
alcuni casi concorrono a formare il precetto penale (come vedremo di
qui a poco), siano stabiliti da una legge diversa dalla legge penale; in
questo caso il legislatore, all’art.47 ult. com., così stabilisce:”
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L’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità,
quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”. Qui
la regola posta dal legislatore è di segno contrario a quella
dell’art.5c.p.: l’errore su una norma extrapenale è sempre scusabile
quando si risolve in un errore sul fatto.
Poiché l’errore, in questo caso, preclude al soggetto la comprensione
del significato (dato che la norma extrapenale serve a qualificare, a
far meglio comprendere) del fatto di reato. Allo stesso modo, e a
maggior ragione, è scusabile l’errore quando preclude al soggetto,
oltre che la comprensione, anche la stessa percezione del fatto nelle
sue componenti prettamente naturalistiche. Abbiamo così individuato
due tipologie di errori: l’errore sul precetto, irrilevante ai sensi
dell’originario art.5c.p.; l’errore sul fatto (errore di fatto “sul fatto”,
art.47 1°com.; errore di diritto “sul fatto”, art.47ult. com.) rilevante ai
sensi dell’art.47c.p.
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2. Rapporto tra l’art.5 e l’art.47, ultimo comma, del Codice
Penale.
Il problema che deriva dalla disciplina codicistica dell’errore sul
precetto è, prima facie, quello di distinguere la disposizione
extrapenale operante nel proprio ambito normativo da quella che può
avere effetti o ai sensi dell’ult.com. dell’art.47 o ai sensi dell’art.5.
Nulla questio nel caso di una norma penale incriminatrice che da sola
è sufficiente a qualificare il fatto come illecito. Il problema si pone
particolarmente per quelle norme penali la cui applicazione a
situazioni concrete implica un riferimento ad altre disposizioni di
natura non penali. In tali ipotesi, molto frequenti, la disposizione
richiamata ha una sua funzione primaria che non è di carattere
penalistico, ma in virtù del richiamo la stessa concorre a determinare
l’ambito di applicazione della norma penale incriminatrice. Quando
la disposizione così richiamata mantiene una sua autonomia; e
quando, invece, ed in che modo è rilevante in sede penale? Il
problema impostato in sede di teoria generale non può essere utile al
nostro scopo poiché ci dice semplicemente quali sono i modi di
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integrazione fra due settori dell’ordinamento (rinvio recettizio, rinvio
formale, presupposizione); esso acquista un senso da un punto di
vista interno di uno specifico settore (penale, nel nostro caso) ed in
funzione di specifici problemi di interpretazione ed applicazione di
norme positive. Quindi “a seconda dei casi la norma richiamata potrà
conservare nella sfera dell’ordinamento richiamante la sua originaria
natura, ovvero acquistare il valore di mero fatto giuridico o
addirittura di precetto”
3
. Non vi è, in buona sostanza, alcun modo di
distinguere la norma extrapenale che si “incorpora” nella legge
penale, che diventa parte essenziale del precetto poichè qualifica il
fatto di reato, da quella che invece tale funzione di qualificazione
non deve assumere. La norma richiamata, in quanto extrapenale,
mantiene sempre una sua autonomia all’interno del proprio,
originario ordinamento; ma, in particolari e positive circostanze,
poiché esplica un effetto di qualificazione di una fattispecie penale,
diventa elemento determinante di quest’ultima fino a quando esplica,
per l’appunto, tale effetto.
3
Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, cit., p. 194
14
Detto questo, si pone un ulteriore e decisivo problema: stabilire
quando l’errore su una norma extrapenale si risolve in un errore sul
fatto, tale da essere scusato ai fini della esclusione della punibilità; e
quando invece determina un errore sulla legge penale, diventando in
questo modo inescusabile anch’esso. Per rendere più chiara la figura
dell’errore ex art.47ult.com. ed il suo collegamento con l’art.5,
facciamo due esempi
4
: Tizio trova casualmente per strada un oggetto,
e se ne appropria considerandolo una “res nullius”(oggetto senza
alcun proprietario) anziché una “res inventa”(oggetto smarrito); se
egli fosse consapevole “dell’altruità” della cosa trovata, la questione
non si porrebbe poiché il soggetto saprebbe di tenere un
comportamento illecito e non potrebbe nemmeno invocare
l’ignoranza, essendo inescusabile, della norma che incrimina il reato
di furto. Caio trova lo stesso oggetto, con le stesse modalità di luogo
e di tempo, ma è a conoscenza del fatto che l’oggetto, anziché essere
immediatamente occupabile perché nullius, è stato smarrito dal suo
proprietario.
4
Contento, Corso di diritto penale, cit., p. 193
15
Nel primo degli esempi descritti il soggetto incorre in errore su una
norma extrapenale, la norma civilistica che sancisce la differenza tra
cose di nessuno e cose smarrite (nel primo caso l’oggetto è
immediatamente occupabile, nel secondo caso egli “deve restituirlo
al proprietario e, se non lo conosce, deve consegnarlo al sindaco”,
così come prevede l’art.927c.c.); errore questo che, a sua volta,
cagiona un errore sul fatto del reato di appropriazione di cose
smarrite.
Nel secondo dei due esempi il soggetto incorre pur sempre in errore
su norma extrapenale (art927c.c); ma, questa volta, lo stesso cagiona
un errore sulla legge penale (art.647c.p) che incrimina proprio colui
che si appropria di cose smarrite senza seguire le prescrizioni della
legge civile.
In quest’ultimo esempio la norma penale recepisce, ed attrae al
proprio precetto, il contenuto della legge civile. In definitiva, se
l’errore su una legge diversa dalla legge penale si risolve in un errore
sul fatto di reato (senza che concorra a determinare il precetto della
norma penale incriminatrice), la punibilità, ai sensi dell’ult.com.
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dell’art.47c.p, è esclusa; viceversa, se la norma incriminatrice
recepisce, direttamente o indirettamente, il contenuto di una norma
extrapenale (che serve a qualificare il fatto e che, per ciò stesso,
diventa elemento determinante del precetto), l’errore su quest’ultima
non può che avere i caratteri dell’irrilevanza, dell’inescusabilità
propri dell’errore sulla legge penale ai sensi dell’art.5 c.p.
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CAPITOLO II:
IGNORANTIA LEGIS SCUSABILE E PRINCIPIO DI
COLPEVOLEZZA
Sommario: 1. Dalla inescusabilità assoluta alla inescusabilità
relativa: la “storica” sentenza n.364/88 della Corte Costituzionale ed
il “restaurato” principio di colpevolezza. 2. Criteri per determinare
l’inevitabilità dell’errore sul precetto penale. 3. Riflessi interpretativi
sull’art.47, ultimo comma, c.p. e sullo “stato di dubbio”.
1. Dalla inescusabilità assoluta alla inescusabilità relativa: la
“storica” sentenza n.364/88 della Corte Costituzionale ed il
“restaurato” principio di colpevolezza.
Il principio dell’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale
è un principio di costruzione romanistica che ha imperniato di sé
diversi ordinamenti ed è passato indenne al vaglio di una storia
secolare.