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Scopo del lavoro
La presente Tesi di Laurea ha come oggetto lo studio idrogeologico della Città di
Roma nella sua porzione nord orientale, ovvero il settore della città posto in riva sinistra
del Fiume Tevere,
indicativamente compreso tra la
s.s. Salaria, la s.s. Casilina e Il
Grande Raccordo Anulare.
In questo settore urbano
rientra la Riserva Naturale
VALLE DELL’ANIENE, la cui
gestione è affidata a ROMA
NATURA, Ente Regionale per
la Gestione delle Aree Protette
del Comune di Roma. In seguito
alla partecipazione al bando di
concorso per il conferimento di borse di studio per Tesi di Laurea svolte in
collaborazione con questo Ente, il lavoro ha mirato inoltre a dare un contributo alle
conoscenze idrogeologiche specificatamente all’Area Umida della Cervelletta, settore di
detta Riserva Naturale posto in riva sinistra dell’Aniene e compreso tra il tratto urbano
dell’autostrada A24 e via di Tor Cervara.
La gran parte del territorio in esame si
colloca in pieno bacino del Fiume Aniene
nel suo tratto finale, in quei pochi
chilometri che precedono la sua
confluenza nel Tevere. Sebbene questo
settore della città sia relativamente
giovane, è caratterizzato da
un’urbanizzazione intensa e in
continua crescita che, tranne alcuni casi
singolari, poco lascia comprendere della
natura del sottosuolo, che purtroppo risulta spesso completamente sganciata
dall’ambiente idrogeologico.
Figura 2 Area Umida della Cervelletta
Figura 1 Area Tesi di Laurea
N
N
1Km
1 Km
2
Dove non vi è urbanizzazione è spesso presente un intenso sfruttamento del
territorio e delle sue risorse che nei casi peggiori degenera in degrado e abbandono.
In vaste aree il reticolo idrografico riportato da vecchie carte è del tutto scomparso,
sia perché “semplicemente” interrato dalle coltri dei riporti, sia perché inglobato dal
reticolo fognario che ripercorre esattamente, o in parte, le stesse direttrici naturali di
deflusso.
Tutto ciò ha contribuito a modificare in maniera sostanziale dal dopoguerra ad oggi il
naturale assetto idrogeologico dell’intero territorio comunale.
A causa di questa evidente difficoltà di un rilevamento tradizionale delle litologie la
maggior parte degli studi e delle correlazioni stratigrafiche sono stati effettuati
archiviando ed analizzando più di “1050” stratigrafie reperite da fonti bibliografiche e
archivi di liberi professionisti, enti pubblici e privati.
Per quanto riguarda l’idrogeologia, lo studio è stato riferito alle misure di pozzi,
sorgenti e portata in alveo effettuate “ad hoc” per questa Tesi di Laurea; essi sono stati
correlati e confrontati con dati e misure precedenti reperiti da fonti bibliografiche e
archivi di liberi professionisti, enti pubblici e privati.
Obbiettivo finale di questa Tesi di Laurea è quello di produrre una cartografia
idrogeologica di dettaglio con rilevamento in scala 1:10.000 attraverso l’analisi della
circolazione idrica nelle diverse litologie, profili geologici sull’area indagata e carte
descrittive dei parametri qualitativi delle acque in foro e superficiali.
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1. INQUADRAMENTO GEOLOGICO
Prodotti del vulcanismo sabatino nei pressi dell’area di Settebagni
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1.1 Cenni dei caratteri strutturali e vulcano tettonici dell’area Laziale
La Città di Roma sorge tra due settori ad evoluzione paleotettonica e neotettonica
differente. Nei pressi dell’Urbe infatti convergono le strutture dell’Appennino umbro-
marchigiano e quelle della piattaforma laziale-abbruzzese, separate un tempo da una
fascia di transizione dalla
scarpata al bacino, larga
qualche km, probabilmente
legata alla presenza di un
lineamento strutturale
profondo. Si tratterebbe, in
sostanza, di una
discontinuità strutturale che
può essersi iniziata a definire
nelle fasi ancestrali
dell’evoluzione geodinamica
della Tetide, manifestandosi
in una serie di elementi
paleotettonici allineati,
attualmente individuabili
attraverso elementi di
carattere prevalentemente
sedimentologico, validi per
l’individuazione di una discontinuità ad andamento N-S, ma insufficienti per una
definizione cinematica e generalmente strutturale.
L’individuazione dei due domini paleogeografici risale al Lias inferiore, durante le
fasi iniziali dell’evoluzione geodinamica del bacino tetideo. Un insieme di elementi
strutturali avrebbe controllato il collasso della porzione occidentale della
piattaforma durante il Lias inferiore. S’individua così un allineamento di uno slope
liassico riconoscibile con la continua presenza di depositi sedimentari caratteristici
comprendenti megabrecce, flussotorbiditi e successioni rimaneggiate del passaggio
piattaforma-bacino, identificato dagli autori come linea “Ancona-Anzio” (Castella-RIN
Figura 3 Schema sintetico strutturale della costa laziale. Da memorie della
Carta Geologica d’Italia Vol L, La Geologia di Roma il Centro Storico.
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el al.1978) più per motivi convenzionali che per una reale continuità di elementi
geologici riconosciuti.
Pochi chilometri ad oriente della posizione ipotetica di detta discontinuità si
sviluppa la linea “Olevano-Antrodoco” (Parotto & Praturlon, 1975; Parotto, 1980;
Cipollari & Cosentino, 1991; Cosentino & Parotto, 1991; Corrado & Parotto, 1994), un
elemento strutturale più recente di maggiore evidenza e continuità identificato come
thrusting fuori sequenza dell’unità del bacino occidentale su quelle della piattaforma
laziale-abbruzzese, evolutosi dal Tortoniano superiore al Pliocene inferiore. Sul terreno
tale elemento è riconoscibile in continuità lungo una fascia ad andamento meridiano la
cui emergenza orientale appare pressoché continua dall’abitato di Olevano Romano a
quello di Antrodoco, dando vita così ad un motivo strutturale riconoscibile sia sulla base
dei caratteri sedimentologico e stratigrafici, che strutturali (Salvini & Vittori, 1982).
Appena qualche chilometro a occidente di tale fascia di accavallamento, con
orientamento non dissimile dal precedente, si riconosce una zona di taglio con evidenti
tracce di un movimento
trascorrente destro evoluto
dal Pliocene inferiore sino al
Pleistocene superiore che
però è ancora in fase di
studio.
Sulla base di dati
strutturali ed idrogeologici,
inoltre, è stato proposto che la
zona N-S trascorrente, estesa
dalla Sabina alla Campagna
romana, possa costituire il
riflesso superficiale di una
discontinuità crostale
(Faccenna et al.1994).
La fascia costiera laziale, e
marginalmente l’area
romana, risultano
chiaramente influenzate da
queste direttrici tettoniche
Figura 4 Distribuzione dei principali distretti e complessi vulcanici del
Lazio. 1: Rocce del basamento metamorfosato; 2: Sedimenti della
piattaforma laziale –abruzzese; 3: Sedimenti del bacino pelagico
Umbro-Marchigiano; 4: Sedimenti alloctoni del complesso Ligure e
Subligure; 5: Sedimenti alloctoni flyshoidi; 6: Sedimenti sabbioso-
argilloso-ghiaiosi neoautoctoni; 7: Distretti vulcanici a chimismo da
acido a intermedio; 8: Distretti vulcanici a carattere da potassico ad
altamente potassico. (da De Rita,1998, Il Vulcanismo, in Guida
Geologica del Lazio)
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“Appenniniche”, “Antiappenniniche” e “Meridiane”. L’assottigliamento crostale
(spessore minore di 25km; Wigger, 1984), l’elevato flusso di calore (50-120 mW/m
2
;
Mongelli & Zito, 1991) e l’intensa attività vulcanica sono altre caratteristiche
direttamente collegate alle precedenti, che designano morfotettonicamente l’area
romana come la zona di transizione tra la fascia rilevata della catena appeninica e il
bacino subsidente tirrenico. Di conseguenza in questa zona sono stati registrati gli effetti
della sovraimposizione della tettonica estensionale sulla precedente compressiva.
Il vulcanismo del Lazio sviluppatosi a partire dalla fine del Pliocene è parte della
Provincia vulcanica tosco-laziale impostatasi in una fascia strutturalmente depressa (il
cosiddetto Graben Principale) parallela alla costa tirrenica; l’area è compresa tra il
settore più elevato della catena appenninica e le zone costiere, al margine del bacino del
Tirreno caratterizzato da una crosta di tipo oceanico di età pliocenica. Le rocce
vulcaniche della provincia laziale possono essere raggruppate in diverse serie
comprendenti rocce da acide ad intermedie e rocce potassiche. Al primo gruppo
appartengono termini di natura ibrida tra componenti di origine crostale e mantellica; al
secondo gruppo, invece, appartengono rocce ad alto contenuto in K, potassiche,
lamproitiche, kamafugitiche e a composizione media tra lamproitiche e potassiche.
Nel Lazio il vulcanismo ha originato una serie di distretti vulcanici a prevalente
attività esplosiva subaerea, che si alternano con strutture ora centrali ora areali; da Nord:
il Distretto Vulcanico Vulsino, quello Cimino-Vicano, quello Sabatino con associato il
Distretto Tolfa-Ceriti-Manziana, ed infine il Distretto Vulcanico dei Colli Albani a Sud
di Roma a cui si associa quello delle Isole Ponziane settentrionali. I distretti vulcanici di
Tolfa-Ceriti-Manziana, dei Cimini e delle Isole Ponziane settentrionali sono
caratterizzati dalla presenza di rocce da intermedie ad acide di natura ibrida ed hanno
età più antica (tra circa 2 e 1 Ma) rispetto agli altri distretti, che sono caratterizzati,
invece, dalla presenza di rocce appartenenti alla serie potassica e/o ad alto contenuto in
potassio la cui attività è compresa tra 0,8 Ma e l’attuale. I primi hanno dato origine
essenzialmente a lave per lo più in domi e ad ingnimbriti. Nelle isole di Ponza e
Palmarola il vulcanismo si è sviluppato in ambiente sottomarino evolvendo nell’isola di
Ponza a subaereo, comprendendo anche fenomenologie di tipo idromagmatico. I
distretti più giovani, con rocce della serie potassica e/o ad alto contenuto in K, mostrano
tutti un elevato grado di esplosività ed hanno eruttato in prevalenza colate piroclastiche,
prodotti di ricaduta ed idromagmatiti, con effusioni laviche decisamente subordinate.
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Considerata la zona in studio nella presente Tesi di Laurea, si sono voluti descrivere
più nel dettaglio i caratteri dei distretti vulcanici che con i loro prodotti ne hanno
profondamente influenzato la geologia.
1.1.1 Il Distretto Vulcanico Sabatino
Il Distretto
Vulcanico Sabatino
inizia la sua attività
più di 600.000 anni
fa,
contemporaneamen
te agli altri distretti
alcalino-potassici
del Lazio. Il
panorama su cui si
edificano i vari
centri esplosivi del
Distretto è quello di una vasta area pianeggiante largamente occupata dai sedimenti
argilloso-sabbiosi del Plio-Pleistocene (area del Graben Principale), limitati a occidente
dai rilievi sedimentari dei monti della Tolfa e dai domi acidi dei distretti Tolfa-Ceriti-
Manziana la cui attività era da poco terminata. Verso oriente la vasta piana era limitata
dai rilievi sedimentari meso-cenozoici del M.Soratte e più a S dei monti Cornicolani.
Dati di sondaggi profondi dell’Enel-Agip a scopo geotermico indicano che quasi al
cento della piana, poco a SE dell’attuale conca del Lago di Bracciano, in corrispondenza
dell’area di Baccano-Cesano, era presente una piccola dorsale sedimentaria costituente
un alto morfologico del substrato sedimentario meso-cenozoico (alto strutturale di
Baccano-Cesano). Questa dorsale si trova attualmente sepolta circa 200m sotto la
copertura vulcanica.
L’attività vulcanica, di natura esplosiva fin dalle prime fasi di attività, inizia nel
settore orientale, a ridosso dei rilievi del M.Soratte, dove si edifica rapidamente il primo
edificio vulcanico, detto di Morlupo-Castelnuovo di Porto, a cui appartiene la maggior
parte dei depositi orientali dei Sabatini. Durante l’edificazione di questo centro,
l’attività inizia anche più a W dove sorge l’edificio di Sacrofano, poco ad E della
Figura 5 Sketch estremamente semplificato del settore orientale dell’area vulcanica
Sabatina
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dorsale di Baccano-Cesano. Questo edificio è forse tra i più importanti di tutto il
Distretto, sia perchè fu attivo durante un lungo periodo di tempo, compreso tra 600.000
e 370.000 anni fa, sia per il volume del materiale eruttato. Le sue colate piroclastiche
infatti, che hanno dato luogo a depositi molto consistenti perché zeolitizzati, si sono
estese fino a 30-40 km dal centro di emissione interessando gran parte del territorio
attuale a Nord di Roma.
Intorno ai 400.000 anni fa il Centro di Sacrofano ebbe una fase di attività parossistica
con emissione di ingenti volumi di prodotti di ricaduta, sia dall’edificio centrale che da
coni di scorie periferici ed effusioni laviche secondarie. In un tempo molto breve,
stimato tra i 400.000 e i 300.000-250.000 anni, fu emesso circa il 15% di tutti i prodotti
eruttati durante tutta l’attività del Distretto Sabatino. A questa fase parossistica è anche
collegato il collasso vulcano-tettonico della conca dell’attuale Lago di Bracciano e il
collasso di più di 200m dell’alto strutturale di Baccano-Cesano.
Circa 370.000 anni fa, dopo la fase parossistica il Centro di Sacrofano entra nella sua
fase finale di attività con violenti episodi idromagmatici durante i quali fu emessa una
colata piroclastica a chimismo trachitico (II colata Piroclastica di Sacrofano) e alla fine
dei quali avviene il collasso della parte terminale dell’edificio, con formazione di
un’ampia conca (caldera) delimitata da una bassa cinta.
Estinto il Centro di Sacrofano l’attività vulcanica dei Sabatini prosegue
limitatamente nel settore orientale, assumendo un carattere spiccatamente
idromagmatico.
1.1.2 Il Vulcano
Laziale
Il Vulcano
Laziale, è il più
meridionale dei
distretti vulcanici a
struttura centrale
presenti nella
regione Lazio. Esso
occupa una
posizione particolarmente significativa nell’ambito dell’assetto strutturale della nostra
Figura 8 Rapporti strutturali tra unità vulcaniche e sedimentarie nell’area del Vulcano
Laziale(da De Rita et al. ’88, in Carta Geologica del Complesso Vulcanico dei Colli
Albani)
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catena appenninica; sorge infatti a S delle unità mesocenozoiche alloctone dei Monti
della Tolfa, a settentrione della piattaforma carbonatica Mesozoica dei Monti Lepini ed
in prossimità delle successioni meso-cenozoiche dei Monti-Prenestini e Tiburtini. Il
Vulcano si è sviluppato al di sopra di un substrato sedimentario costituito da unità delle
successioni pelagiche mesozoiche con testimonianza di una transizione esterna nelle
parti più meridionali (Funiciello & Parotto, 1978). I complessi neogenici postorogenici
(sequenze arenacee e pelitiche) sono presenti con gli spessori maggiori nelle parti più
depresse del basamento, mentre hanno spessore molto ridotto o assente nelle aree
strutturalmente rialzate del Miocene, come l’area in corrispondenza dell’abitato di
Ciampino, che studi indiretti e perforazioni profonde indicano come area di alto
strutturale mesozoico collassato durante il parossismo vulcanico, in analogia alla
struttura dell’alto di Baccano-Cesano nel Distretto Sabatino.
Il Vulcano Laziale inizia la sua attività con molta probabilità contemporaneamente
agli altri distretti alcalino potassici, ma la prima data radiometrica disponibile indica
un’età di circa 530.000 anni e si riferisce alla prima grande unità esplosiva in colata
piroclastica emessa durante il primo ciclo di attività del primordiale apparato centrale
Tuscolano-Artemisio.
L’attività del vulcano laziale può essere suddivisa fondamentalmente in tre fasi
principali:
Tuscolano-Artemisio
Questa fase dura circa 240.000 anni, da 600.000 a 360.000 anni fa, ed è
suddivisibile in 4 cicli, ognuno dei quali è caratterizzato dalla messa in
posto di colate piroclastiche e di piroclastiti e lave a chiusura dell’attività.
In tutto il volume dei prodotti eruttati in questa fase sono stati stimati in
200km
3
. Durante il secondo ciclo è stata messa in posto l’unità delle
“Pozzolane Rosse” (Auct.), una colata piroclastica che si è espansa fino a
80 km dal centro eruttivo e ha risalito le pendici dei Monti Tiburtini fino a
circa 400m di quota. Nell’ultimo ciclo sono state messe in posto altre due
unità di flusso molto importanti, Il “Tufo Litoide” e il “Tufo di Villa Senni”
(Auct.). Questa ingente eruzione determina la fine dell’attività del
Tuscolano-Artemisio, la cui parte sommitale collassa secondo fratture
controllate dalla tettonica regionale. Il collasso viene accompagnato da un
ingente lancio di scorie e di lapilli con effusioni laviche subordinate e con
l’emissione di scorie saldate dalle fratture di collasso.