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Le attività svolte durante la prima fase dal mese di Luglio ‟08 al mese di Ottobre ‟09, hanno
riguardato oltre alla determinazione delle portate sorgive e dei relativi parametri chimico -
fisici (determinati entrambi con cadenza mensile), anche il prelievo di campioni d‟acqua che
sono stati inviati all‟ARTA (Agenzia Regionale per la Tutela dell‟Ambiente) di Chieti ed ai
laboratori di Chimica Analitica della Facoltà di Farmacia dell‟Università di Chieti; su questi
campioni sono state svolte analisi specifiche volte a definire la natura e la quantità di
idrocarburi presenti al loro interno. Le suddette analisi sono state integrate da analisi
effettuate dagli stessi laboratori su campioni di roccia asfaltica, prelevati nel territorio di
Tocco da Casauria ed appartenenti alla Formazione Bolognano. Inoltre sono state effettuate
due campagne isotopiche nei mesi di Novembre 2008 ed Agosto 2009 per la determinazione
del contenuto in isotopi stabili pesanti dell‟acqua (Deuterio e Ossigeno-18). I campioni
d‟acqua sono stati inviati al laboratorio Geokarst Engineering S.R.L. di Trieste.
Sia per le sorgenti mineralizzate di Tocco da Casauria, che per il pozzo termale di Popoli,
sono state effettuate due campagne, una a fine Giugno „09 e l‟altra a fine Agosto „09, volte
alla determinazione in sito dello ione solfuro (S2-); le determinazioni sono state effettuate
direttamente in campo utilizzando il colorimetro portatile.
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Capitolo 1: Inquadramento Geologico Regionale.
L‟ attuale configurazione dell‟Appennino centro - meridionale è il risultato complessivo della
continua evoluzione paleografica e dei movimenti tettonici che a più riprese, specialmente
nella fase dell‟orogenesi appenninica (Mio - Pleistocene), hanno deformato e disarticolato le
unità tettoniche preesistenti, complicandone la geometria e contribuendo, successivamente,
alla dislocazione dei diversi corpi geologici fino all‟individuazione delle unità morfologiche
attualmente presenti sul territorio.
1.1 Genesi dell‟Appennino centro - meridionale.
La catena appenninica rappresenta il risultato dell‟interazione (collisionale e post -
collisionale) tra il blocco continentale europeo (Corso - Sardo) ed adriatico (Adria), sviluppata
negli ultimi 30 Ma, dopo la chiusura dell‟interposto oceano ligure - piemontese (fase di
subduzione oceanica) iniziata durante il Cretacico (circa 100 Ma).
L‟interazione tra i due blocchi, dovuta alla progressiva apertura dell‟Oceano Atlantico
meridionale e proseguita per tutto il Neogene, è stata molto complessa tanto da risultare,
ancora oggi, non del tutto chiara sia nei suoi rapporti con l‟evoluzione del Mediterraneo, sia
nelle unità strutturali che la compongono.
L‟area mediterranea ricade nella porzione corrispondente al settore di compressione tra le due
zolle: avampaese africano ed avampaese europeo.
La migrazione della zolla africana verso quella eurasiatica è iniziata nel Cretaceo e perdura
tuttora.
Lungo la fascia di collisione si sono formate due importanti catene: quella alpino - dinarica,
formatasi nel Paleogene, e quella Appenninica, formatasi, invece, nel Miocene.
L‟Appennino meridionale è una catena montuosa a falde di ricoprimento, risultante dalla
sovrapposizione, dovuta a fasi di tettonica compressiva, di grandi corpi geologici (unità
paleografiche) che occupavano distinti bacini di sedimentazione.
I movimenti compressivi, avvenuti a partire dal Tortoniano medio - Messiniano, hanno
traslato le unità stratigrafiche scollandole dalle originarie aree di sedimentazione.
Ciò ha creato imponenti fenomeni di sovrascorrimento e fagliamento, con conseguente
accostamento di domini, in origine, molto distanti tra loro (Castellarin et al., 1982).
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Il fronte di compressione, e quindi di accavallamento, si è sviluppato dalle zone occidentali
(margine tirrenico) a quelle orientali (margine adriatico) formando archi tettonici sempre più
recenti (fig. 1.1.1)
Figura 1.1.1 - Catene montuose dell‟area mediterranea connesse all‟orogenesi alpina ed
appenninica (da Panza et alii, 1984).
Secondo Patacca e Scandone (1989) l‟attuale struttura della Catena appenninica si è originata
secondo un modello ad archi, confermato dalla presenza di due strutture ad arco.
L‟arco appenninico settentrionale della catena, che si estende da Monteferrato fino al Lazio, e
l‟arco appenninico meridionale che, invece, si estende più a sud fino in Sicilia (Patacca et alii,
1991). Il limite tra i due archi è marcato dall‟imponente discontinuità Olevano - Antrodoco.
Gli stili strutturali dei due archi sono diversi, in quanto, nell‟arco settentrionale la
deformazione è legata alla formazione di strutture embriciate (spesso a ventaglio), mentre
quello meridionale è stato contraddistinto da notevoli accorciamenti dovuti ad accavallamenti
di falde che hanno generato delle strutture tipo duplex (Accordi, 1966).
La situazione geodinamica attuale è il risultato di un lungo processo evolutivo, iniziato nel
Cretaceo e proseguito per tutto il Paleogene e Neogene, che ha portato ad un progressivo ed
articolato sprofondamento della microzolla adriatica al di sotto della catena dinarica sud -
alpina, ed appenninica. Alle spalle della catena appenninica, in avanzamento verso
l‟avampaese adriatico, è avvenuta una successiva espansione delle zone di retroarco che ha
generato l‟apertura del bacino tirrenico.
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A partire dal Quaternario, in particolare nel Pleistocene inferiore - medio si assiste ad
un‟ampia e generale emersione della Catena.
Questo sollevamento, però, non è avvenuto in maniera uniforme ed ha provocato in alcune
zone l‟affioramento dei terreni del Triassico; in altre zone, precisamente nelle aree più
depresse, si osservano solo le sedimentazioni più recenti del Pliocene.
Inoltre, i movimenti tettonici a prevalente carattere distensivo hanno provocato la formazione
di profonde depressioni ai margini e all‟interno delle dorsali carbonatiche.
L‟attuale assetto tettonico e morfologico della Catena appenninica si è raggiunto solo nel
tardo Quaternario.
In sintesi, dal Tortoniano sup. al Pleistocene medio - sup. la storia della tettogenesi
appenninica è schematizzabile in una specie di ciclo tettonico a cui partecipano:
il margine tirrenico, la catena, l‟avanfossa e l‟avampaese.
Figura 1.1.2 - Evoluzione Tortoniana - Pliocenica dell‟Appennino (da Patacca & Scandone, 1989).
Il Margine tirrenico è stato interessato da grandi movimenti distensivi che hanno ribassato la
catena di circa un migliaio di metri verso il Tirreno centrale. Gli effetti di questa distensione
tettonica sono rappresentati dalla risalita di masse magmatiche, con alimentazione di
un‟intensa attività vulcanica e la formazione di ampie depressioni successivamente ricolmate.
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La Catena sud - appenninica è costituita dalla sovrapposizione di diverse “falde tettoniche”
derivate dalla deformazione di originari bacini di sedimentazione.
Le principali unità tettoniche (falde) che costituiscono la Catena sono: la dorsale montuosa
calcareo - dolomitica, i terreni calcareo - silico - marnosi lagonegresi e molisani, i complessi
terrigeni in facies di flysch, i terreni dei cicli mio - pliocenici ed, infine, i depositi continentali
delle grandi depressioni intramontane.
L‟Avanfossa bradanica, a sviluppo NW - SE, è una profonda depressione che si forma nel
corso dell‟orogenesi tra l‟Avampaese ed il fronte delle falde che sono già emerse e che
avanzano. Essa comprende sia una parte emersa che una parte sommersa. Questa depressione
è inizialmente invasa dal mare e successivamente viene colmata da sedimenti che provengono
dall‟erosione della Catena in sollevamento ed in avanzamento.
L‟Avampaese apulo è l‟elemento tettonico inferiore dell‟edificio sud - appenninico, costituito
da una vasta piattaforma carbonatica di età mesozoica, verso cui (e su cui) nel corso della
collisione scivolano e si assestano le falde. L‟Avampaese si sviluppa in aree emerse (Gargano,
Murge, Salento) e zone sommerse (fascia occidentale del Mare Adriatico); i bordi di tale
struttura sono ribassati a blocchi sia verso l‟Avanfossa bradanica che verso l‟Adriatico.
Figura 1.1.3 - Sezione geologica schematica attraverso l‟Appennino meridionale, l‟Avanfossa
bradanica e l‟Avampaese apulo (Richetti et alii, 1988 – mod.).
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1.2 Evoluzione tottetoco - sedimentaria dell‟Appennino centrale e dell‟area
abruzzese.
Con il presente paragrafo si vogliono evidenziare i principali processi che, a partire dal Trias
superiore (circa 210 milioni di anni fa) fino al Pliocene (circa 5 M.a.), hanno influenzato
l‟evoluzione tettonico - sedimentaria dell‟Appennino centrale ed, in particolare, del settore
abruzzese.
Quest‟inquadramento di carattere generale è necessario per la redazione uno studio
idrogeologico in quanto permette di definire l‟assetto geologico – strutturale dell‟area in
esame.
L‟attuale assetto geologico - strutturale dell‟Appennino deriva sia dalla deformazione, e dal
successivo sollevamento, dei domini paleogeografici mesozoici marini sviluppati lungo il
margine settentrionale africano, che dalla loro successiva evoluzione nel Neogene. In
particolare tra il Miocene medio ed il Pliocene superione si sono esplicati quei processi che
hanno determinato la costruzione del settore centrale della catena appenninica.
L‟area abruzzese, dunque, costituisce il risultato dell‟evoluzione neogenica di un sistema
orogenico catena - avanfossa - avampaese.
All‟interno dell‟area possiamo ricostruire le fasi di migrazione degli sforzi compressivi, dai
settori occidentali (peritirrenici) verso quelli orientali (area adriatica); le suddette fasi
compressive sono state accompagnate (almeno a partire dal Miocene superiore) da una
tettonica distensiva, anch‟essa in migrazione da W verso E, che perdura tuttora.
La strutturazione dell‟area abruzzese ha avuto luogo dapprima in ambiente sottomarino e,
successivamente, subaereo; ciò ha condizionato, e condiziona tuttora, la morfologia dell‟area
caratterizzata da dorsali, quali Velino - Sirente, Marsica, Gran Sasso, Morrone, Maiella e
depressioni quali la Piana del Fucino, la Piana di Sulmona, la Conca Aquilana.
Il progressivo sollevamento della catena in formazione nel Plio - Pleistocene, ha posto le basi
per la successiva fase di smantellamento subaereo, accompagnata dalla deposizione di una
potente coltre di depositi detritici alluvionali e lacustri, che colmano le aree depresse e
ricoprono a mantello gran parte della fascia periadriatica.
Nel settore più orientale nello stesso periodo si sviluppa il bacino periadriatico, colmato da
una potente successione marina.
La storia geologica dell‟Appennino centrale, dunque, risulta influenzata dalla presenza
dell‟ampia unità carbonatica laziale - abruzzese che rappresenta il nucleo centrale della catena.
Lo sviluppo delle unità carbonatiche di acque basse dell‟Italia centrale, iniziato a partire dal
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Trias superiore attraverso la diffusione di facies di piattaforma ristretta evaporitica, è da
correlare all‟evoluzione geodinamica di una piattaforma carbonatica triassica sviluppata su di
un primordiale margine continentale passivo.
Le fasi tettoniche principali, di età Tortoniano - Messiniano, sottolineate dalla comparsa di
abbondanti apporti terrigeni, hanno disarticolato l‟antica piattaforma carbonatica e reso più
complicati i rapporti con i bacini, soprattutto per l‟alterazione dei rapporti spaziali ad opera di
un violento raccorciamento delle strutture, sottolineato da ampie pieghe e sovrascorrimenti
con vergenze generale verso E e NE.
I principali parametri che hanno concorso all‟evoluzione dell‟iniziale quadro sedimentario
durante il Mesozoico ed il Cenozoico sono:
1. subsidenza tettonica differenziale;
2. variazione del potenziale di crescita della piattaforma e dei margini;
3. variazioni eustatiche del livello marino.
I primi due parametri agiscono in maniera selettiva sui diversi settori della piattaforma; il
terzo, con i suoi effetti, può addizionarsi o sottrarsi ai precedenti determinando ulteriori
complicazioni per l‟elaborazione di un modello teorico evolutivo.
Tettonica, variazione del potenziale di crescita delle unità carbonatiche di acque basse e
fluttuazioni del livello marino determinano, nel corso del tempo, cambiamenti sostanziali della
paleogeografia degli ambienti con conseguente sviluppo di sequenze di facies diverse. Dal
punto di vista paleostrutturale, potenti complessi sedimentari, affioranti in aree diverse,
marcano le principali fasi evolutive che hanno interessato l‟antica porzione di crosta triassica
durante il meso - cenozoico.
Questi potenti complessi sedimentari possono essere distinti in: complessi di piattaforma, di
margine, di scarpata, di bacino e di seamount, ognuno dei quali è caratterizzato da
associazione di litotipi che si alternano e si ripetono in modo diverso a seconda
dell‟evoluzione dell‟area che caratterizzano.
- Sequenze di piattaforma. Sono costituite da associazione di litotipi deposti all‟interno di
grosse unità carbonatiche di acque basse sviluppatesi durante il Mesozoico. Le litologie più
ricorrenti testimoniano, generalmente, ambienti ad energia medio - bassa con sviluppo di
facies che varia da subtidale fino al sopratidale, con permanenze più o meno prolungate
nella facies intertidale. Le caratteristiche mineralogiche e tessiturali delle successioni
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litologiche, lo spessore ed il tipo di avvicendamento dei singoli litotipi, appaiono
strettamente correlabili con la serie di eventi geologici che hanno interessato l‟area in
esame.
- Sequenze di margine. Sono costituite da potenti complessi sedimentari biodetritici che
svolgono un ruolo di raccordo tra le aree di piattaforma e quelle di bacino acquisendo, in
alcuni periodi, un‟importanza determinante nell‟evoluzione strutturale di tutta l‟area. In
particolare si tratta di successioni di litotipi granulo - sostenuti derivanti dall‟elaborazione,
trasporto e sedimentazione di resti di comunità bentoniche ad alta produttività (facies ad
Ellipsactine del Giurassico, facies a Rudiste nel Cretacico) che periodicamente hanno
condizionato la paleogeografia dei margini delle piattaforme. I fattori determinanti per la
definizione della geometria di questi cunei sedimentari sono rappresentati da: movimenti
tettonici, variazioni eustatiche del livello marino, velocità di accumulo lungo i margini,
rispetto alle aree interne ed esterne alla piattaforma.
- Sequenze di piede di scarpata. Sono sequenze miste che alternano litotipi fangosi di
ambiente pelagico o emipelagico a litotipi derivanti dall‟accumulo di materiale detritico e
bioclastico proveniente dalle aree di piattaforma. La meccanica deposizionale ed i rapporti
percentuali tra sedimento pelagico e apporto detritico variano nel tempo in funzione della
produttività organogena dei margini, dell‟acclività della scarpata e dei movimenti tettonici.
Ne derivano sequenze stratigrafiche molto diverse dove i fenomeni di risedimentazione dei
materiali possono presentarsi sotto forma di flusso - torbiditi o accumuli localizzati di
megabrecce e di conglomerati canalizzati. Nell‟Appennino centrale le prime testimonianze
di risedimentazione di materiale di piattaforma in ambienti più profondi sono ricollegabili ai
gradienti batimetrici venutisi a creare in seguito alla tettonica liassica.
- Sequenze di bacino. Si sviluppano quando ampi settori di piattaforma carbonatica vengono
completamente annegati; ciò si verifica quando la velocità di risalita del livello marino
eccede l‟accumulo verticale dei carbonati prodotti sulla piattaforma e lungo i margini.
L‟annegamento fa cessare la proliferazione degli organismi fotosintetici che regolano gli
ecosistemi della piattaforma. Si passa, dunque, ad una sedimentazione di tipo pelagico che
dà luogo a sequenze di litotipi variabili nel tempo in funzione delle batimetrie raggiunte e
dei materiali che alimentano il bacino.
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- Sequenze di seamount. Si ottengono quando il potenziale di crescita dei carbonati della
piattaforma è superato dalla velocità di risalita del livello marino; in queste condizioni si ha
lo sviluppo, sopra le facies di piattaforma, di hard - ground associati a sedimenti di acque
più profonde che spesso danno luogo a sequenze condensate. L‟annegamento è dovuto ad
una immersione al di sotto della zona eufotica. Prima che tale processo sia completato,
quando il substrato deposizionale si trova ancora nella zona eufotica, può accadere che il
sistema sedimentario di acque basse possa ripristinarsi; ciò accade quando la velocità di
risalita del livello marino è inferiore a quella di accumulo dei carbonati. Nel caso di
emersioni più o meno prolungate e successive sommersioni, si verifica una fase iniziale in
cui il sistema carbonatico non presenta la piena potenzialità produttiva che può essere
raggiunta solo dopo un certo periodo di tempo (Adey, 1978).
Questo può favorire l‟annegamento causando la riduzione della sedimentazione e la
presenza di intervalli lacunosi.
L‟Appennino centrale fa parte di un settore crostale interessato da una tettonica compressiva
che ha agito, durante l‟orogenesi alpina, sulle varie unità sedimentarie depostesi nel Meso -
Cenozoico nella posizione intermedia lungo il margine africano della Tetide (Biju - Duval et
al., 1977). A questi si sono sommati, in tempi successivi, i movimenti distensivi legati al
riequilibrio delle masse traslate ed, in ultimo, alla formazione del Tirreno. Ne è derivato un
quadro tettonico molto complesso che ha modificato gli originali rapporti spaziali tra le varie
unità sedimentarie, introducendo fattori di raccorciamento variabile (Accordi, 1966) e
possibile accostamento di blocchi per trascorrenza (Castellarin et al., 1982). Questi fattori
rendono molto difficile l‟interpretazione dell‟evoluzione a più stadi delle aree a
sedimentazione carbonatica dell‟Italia centrale (figura 1.2.2 tratta da Shlightly,1993).
Da ricostruzioni paleogeografiche si evince che nel Trias superiore, in particolare tra il
Norico ed il Retico (periodo corrispondente alle prime fasi dell‟apertura della Tetide), i
termini più bassi della sequenza meso - cenozoica affioranti nell‟Appennino centrale
testimoniano l‟esistenza di due ambienti principali di sedimentazione di acque basse: uno
riconducibile a condizioni di piattaforma epeirica (Umbria e Sabina), l‟altro ad una vera e
propria piattaforma carbonatica (Lazio, Abruzzo e Matese). Il passaggio tra questi due
ambienti avviene bruscamente in corrispondenza della “Linea Ancona - Anzio”, anche se
sequenze intermedie di litotipi sono segnalate nei Monti Sabini (Monte Morra). Il coesistere di
ambienti diversi in zone contigue durante questo periodo può essere spiegato, oltre che da
fattori paleogeografici ereditati dal vecchio margine continentale, anche da una differenza di
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subsidenza tra le due aree compensata, in entrambi i casi, dalla sedimentazione. Ambienti di
questo tipo ben si inquadrano in uno stadio precoce dello sviluppo di unità carbonatiche di
acque basse lungo un margine continentale passivo, come quello africano all‟inizio del
Mesozoico.
Durante il Giurassico, e precisamente nel Lias inferiore, il modello di piattaforma
carbonatica bahamiana è applicabile a tutta l‟area, a conferma della tendenza evolutiva verso
condizioni di ambienti epioceanici. Anche in questa fase è possibile notare delle diversità di
comportamento tra il settore umbro, dove si impostano le facies del Calcare Massiccio, ed il
settore laziale - abruzzese - molisano caratterizzato da facies ciclotemiche della Dolomia
Principale; all‟interno di quest‟estesa piattaforma si aprono numerosi bacini di ambiente
pelagico in cui si depositano le dolomie bituminose (Filettino, Gran Sasso, Emma).
Sempre nello stesso periodo, nel settore laziale - abruzzese - molisano, le Dolomie di
Castelmanfrino recano le tracce di prolungati periodi di diagenesi subaerea. Alla fine del
periodo, livelli di selce si intercalano alle dolomie in alcune zone del Lazio e dell‟Abruzzo, a
testimonianza dei primi sintomi di annegamento incipiente.
Successivamente nel Lias medio - superiore, come conseguenza della definitiva apertura
della Tetide, si manifestano le maggiori deformazioni crostali provocate dalla rapida
subsidenza tettonica di vaste aree di piattaforma. In quest‟intervallo di tempo si assiste
all‟annegamento della regione umbra, alla formazione di seamount in Sabina e lungo l‟arco
del Gran Sasso, nonché all‟apertura di un profondo braccio di mare ad E del Fucino.
In questo periodo, dunque, il Dominio tosco - umbro - marchigiano tende ad evolvere in un
ambiente pelagico in quanto è più subsidente del Dominio laziale - abruzzese che, invece,
permane in ambiente neritico.
Tuttavia anche il Dominio laziale - abruzzese viene interessato da un sistema di faglie, a
direttrice appenninica, che creano una serie di grandi blocchi separati tra loro da una serie di
solchi, allungati in direzione appenninica o trasversale (solco marsicano Auct., depressione
Fucino - Sulmona - Valle del Pescara).
Dal Dogger al Malm movimenti tettonici distensivi determinano lo sviluppo di una serie di
fasi distruttive che intaccano le aree di piattaforma creando margini più o meno ripidi
raccordati ai bacini mediante lo sviluppo di complessi sedimentari a cuneo formati dal rapido
accumulo di materiale bioclastico. In questo periodo è possibile individuare una serie di settori
crostali a comportamento differente. Procedendo da W verso E si distingue una zona di bacino
umbro - sabina, una zona interna di piattaforma persistente corrispondente a gran parte del
Lazio e dell‟Abruzzo, una fascia ad annegamento progressivo che forma l‟attuale arco del
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Gran Sasso e scende verso S comprendendo Terratta, Meta, Mainarde e Matese settentrionale
ed infine, una zona esterna molto discontinua in cui sono presenti le unità di piattaforma
persistente del Morrone, Maiella e Matese occidentale.
Per tutto il Giurassico, quindi, la fase estensionale legata al rifting tetideo continua a
svilupparsi per poi esaurirsi con il passaggio al Cretacico. L‟attività delle faglie
sinsedimentarie favorisce una progressiva riduzione dei blocchi carbonatici neritici ed un
allargamento delle fasce marginali e dei solchi di intrapiattaforma. Ai bordi dei blocchi si
formano una serie di gradoni ribassati progressivamente verso le aree bacinali.
Il Giurassico rappresenta, dunque, l‟era in cui la nostra area è interessata da una fase
estenzionale, esaurita la quale si entra in un periodo di relativa quiete tettonica, corrispondente
al Cretacico inferiore.
In questo periodo l‟evoluzione degli ambienti sedimentari del dominio neritico è controllata
dalle variazioni eustatiche, mentre nel dominio pelagico si assiste ad un aumento del contenuto
in argilla.
Nel Cretacico superiore, in conseguenza dello sviluppo di una fase tettonica legata all‟inizio
della chiusura del bacino ligure - piemontese, il comportamento crostale delle singole aree
rimane sostanzialmente invariato anche se fluttuazioni eustatiche del livello marino
interferiscono con le nuove fasi di subsidenza tettonica determinando una graduale
diversificazione degli ambienti sedimentari nelle varie aree di piattaforma.
Fin dall‟inizio del Cretacico superiore, nel Cenomaniano, si assiste ad una brusca ripresa
dell‟attività tettonica con movimenti verticali differenziati, che provoca un‟ulteriore
frammentazione e conseguente riduzione areale dei blocchi di piattaforma; testimonianze di
facies di bordo sono individuabili lungo il margine tirrenico della piattaforma laziale -
abruzzese (Monti Lepini) ed in prossimità della “Linea Ancona - Anzio” (Monti Predestini,
Simbruini, e Carseolani). Nello stesso periodo continuano fenomeni di annegamento lungo la
fascia nord - orientale secondo direttrici tettoniche, attualmente orientate E - W, che formano
gradini con trasgressioni sempre più recenti spostandosi verso S dalla Marsica e Meta verso i
Monti di Venafro e del Matese e verso N, dalla piana di Sulmona verso il Gran Sasso.
Nel Paleogene le differenze tra gli ambienti sedimentari si fanno notevolmente più marcate sia
a causa di una sempre più intensa attività tettonica sinsedimentaria post - rift, che per effetto
delle variazioni eustatiche.
In particolare, nel Paleocene i vari blocchi carbonatici e i solchi di intrapiattaforma risultano
sempre più frammentati da sistemi di faglie distensive, di neoformazione o impostate su
elementi strutturali precedenti.