Tesi di Laurea “Idoneità e Univocità degli Atti nel Delitto Tentato” – avv. Silvia Leto
1.3 Inquadramento normativo: l’art. 56 del codice Rocco.
Il concetto di consumazione esprime, tecnicamente, la compiuta
realizzazione di tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie criminosa, si
è in presenza di un reato consumato, quindi, tutte le volte in cui un fatto
concreto corrisponde interamente al modello legale delineato dalla norma
incriminatrice in questione.
Il giudizio relativo all’avvenuta consumazione del reato, ovviamente,
va effettuato di caso in caso, in funzione della diversità degli elementi
strutturali che compongono le varie fattispecie incriminatrici.
Così, nell’ambito dei reati di mera condotta, la consumazione coinciderà
con la compiuta realizzazione della condotta vietata; nei reati di evento,
invece, la consumazione presuppone, oltre al compimento dell’azione,
anche la produzione dell’evento
1
.
Nei casi in cui l’agente non porta a compimento il delitto
programmato, invece, ricorre la figura del delitto tentato, purché gli atti,
parzialmente realizzati siano tali da esteriorizzare l’intenzione criminosa;
diversamente ci troveremmo di fronte ad un mero proposito delittuoso,
irrilevante in base al principio cogitazionis poenam nemo patitur.
Il vigente codice penale italiano, descrive la figura giuridica del delitto
tentato nel primo comma dell’art. 56 con la seguente formula: «chi compie
1
FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, parte generale, Bologna, 2005, p.415.
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atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di
delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica».
La punibilità del tentativo nel diritto positivo trae origine, dunque, da
tale disposizione, che ha efficacia estensiva, consentendo la proibizione di
fatti che sono descritti nelle varie norme incriminatrici, ai casi in cui
l’agente non li realizza al completo, ma compie atti idonei diretti
inequivocabilmente a porli in essere. La norma in questione crea nuovi
obblighi, rendendo punibili azioni che altrimenti non cadrebbero sotto le
sanzioni della legge. Se non esistesse la norma in parola, infatti, colui che
cerca di compiere un delitto e non vi riesce, non sarebbe punibile, ostando
il principio fondamentale del “nullum crimen, nulla poena sine lege”,
corollario cardine del c.d. principio di legalità sancito nell’art. 1 del codice
penale.
Il delitto tentato è, dunque, la risultante della combinazione di due
norme: una principale, la norma incriminatrice speciale; e una secondaria,
la norma estensiva contenuta nell’art. 56, in tal modo, dal combinato
disposto delle due diverse norme, che di volta in volta si abbinano tra di
loro, si è originato il nuovo titolo di reato,
2
che risulta essere: autonomo e
dotato di tipica oggettività giuridica e di specifica struttura, anche se
2
Così per es., la norma incriminatrice speciale prevista dall’art. 624 nel furto, insieme all’art. 56 che è norma estensiva,
da origine a un nuovo titolo di reato, il tentato furto, che costituisce figura delittuosa autonoma per quanto mantiene il
“nomen iuris” del reato a cui si riferisce; ANTOLISEI, op. cit., p.482.
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mantiene il nomen iuris della figura delittuosa consumata a cui si riferisce,
in altri termini “il tentativo non costituisce una circostanza attenuante rispetto al
reato consumato, bensì una figura di reato a sé stante”.
3
Ne consegue che gli effetti giuridici sfavorevoli, previsti con specifico
richiamo a determinate norme incriminatrici, debbono intendersi riferiti
alla sola ipotesi di reato consumato e non anche al tentativo, essendosi in
presenza di norme – quelle sfavorevoli – di stretta interpretazione, le quali,
a meno che non sia espressamente previsto, non trovano applicazione per
la corrispondente figura di delitto tentato.
4
Nel vigente ordinamento penale l’ammissibilità del tentativo punibile
è esclusa con riguardo ai reati cd. a consumazione anticipata, nei quali,
consistendo la condotta tipica nel compiere atti o usare mezzi diretti
all’offesa del bene giuridico, ciò che costituisce il minimum per l’esistenza
del tentativo, dà già luogo a consumazione.
Tipico esempio è il delitto di attentato, per cui la dottrina
maggioritaria
5
ravvisa una struttura della fattispecie analoga al tentativo e,
dunque, tende a negare la possibilità di coniugare i due modelli normativi;
3
Cass., 8 ottobre 1957 (Giust. Pen., 1958, II, 71)
4
Cass. Pen., sez. Isent. n. 169309 del 1985, in Breviaria Iuris al Codice penale, Zuccalà, Cedam, 2006.
5
ANTOLISEI, op. cit., p.511; MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1992, p. 450; RIZ, Lineamenti di diritto penale,
Padova, 2002, p. 330.
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per cui un tentativo di attentato, essendo tentativo di un tentativo,
costituirebbe una contraddizione in termini, divenendo un non tentativo.
6
La figura del tentativo per espressa previsione di legge non è
applicabile, neanche, alle contravvenzioni, infatti, l’art. 56 si riferisce
esplicitamente solo ai delitti; le ragioni di questa scelta del Legislatore sono
di natura politico-criminale, gli illeciti contravvenzionali non provocano
allarme sociale al contrario di quelli delittuosi, ed è questa la ragione per
cui il dolo rimane caratteristica esclusiva dei delitti, e le contravvenzioni
hanno solo natura colposa, e, una volta assunto, che il tentativo non può
che essere supportato dal dolo, è da escludere la configurabilità del
tentativo nelle contravvenzioni.
7
Dall’essenzialità strutturale del dolo per la condotta tipica del
tentativo, deriva anche l’impossibilità di configurare un tentativo di delitto
colposo, sarebbe una contraddizione ammettere il tentativo senza volontà
criminosa, vale a dire senza dolo, non essendo strutturalmente concepibile
tentare la realizzazione di un fatto senza prevedere o volere il risultato
della condotta.
Il tentativo nella sfera della volontà, infatti, non differisce dal reato
(doloso) consumato, perché esige l’intenzione di commettere un delitto, ma
6
Anche in tal caso vi è stato chi ha sostenuto che una pretesa incongruenza logica non sussiste fra tentativo e attentato;
SINISCALCO, voce “Tentativo”, in “ Enciclopedia giuridica Treccani”, p. 6.
7
FIANDACA – MUSCO, op. cit., p.433.
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se è perfetto dal punto di vista soggettivo, nella sfera oggettiva esso è
incompleto, perché l’ipotesi delittuosa descritta dal Legislatore nella norma
è realizzata solo in parte.
8
Tale assunto non deve condurre a pensare, come per lungo tempo la
dottrina ha fatto, che il tentativo sia un delitto imperfetto, perché ciò può
ritenersi esatto solo se si ponga in relazione questa figura giuridica col
delitto consumato ma riguardato in se, il tentativo costituisce un delitto
perfetto,
9
in quanto presenta tutti gli elementi necessari per l’esistenza di un
reato: il fatto tipico, l’antigiuridicità e la colpevolezza; ed è un fatto a cui
l’ordinamento giuridico ricongiunge come conseguenza una pena
criminale.
10
Mentre altra parte della dottrina
11
ritiene che il termine perfezione,
alluderebbe alla verificazione di tutti i requisiti richiesti dalla singola
fattispecie legale, e il concetto di consumazione, invece, esprimerebbe l’idea
che un reato già perfetto ha raggiunto la sua massima gravità concreta; ma
è stato notato che nella pretesa differenziazione dei due predetti concetti si
annida un equivoco: si confonde il profilo dell’integrazione della
fattispecie con quello della valutazione della gravità dell’offesa.
8
ANTOLISEI, op. cit., p.481.
9
MASSARI, Il momento esecutivo del reato,Pisa, 1923, p.134; Così Cass. 17 gennaio 1989, in Cass.Pen., 1990, I, 605.
10
FIANDACA-MUSCO, op. cit., p. 419.
11
MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1992, p.427.
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La dottrina maggioritaria
12
è, dunque, d’accordo nel sostenere che
perfezione e consumazione non siano termini antitetici: il tentativo non
può considerarsi come un reato imperfetto per il semplice fatto che l'iter
delittuoso è rimasto incompleto; in quanto sia la semplice assenza
dell'evento (c.d. tentativo compiuto ovvero delitto mancato) che l'eventuale
incompiutezza della condotta (tentativo incompiuto) secondo la
distinzione fatta dallo stesso legislatore all'art. 56, non assumono rilevanza
al punto da togliere perfezione al reato: reato non consumato non equivale
a reato non perfezionato (ad es., il reato permanente si consuma con la
cessazione della situazione posta in essere, ma si perfeziona nel momento in
cui questa ha inizio).
Per avere un quadro più completo dell’ammissibilità del tentativo
nelle diverse categorie di reato, si può aggiungere che, nei reati «
unisussistenti », cioè quelli che unico actu perficiuntur, il delitto tentato è
giuridicamente configurabile, ma nell’unica forma di tentativo « compiuto
», in cui l’evento non si verifica nonostante l’esaurimento dell’attività
esecutiva; non è, invece, concepibile nel tentativo « incompiuto »
postulando questo l’interruzione dell’attività esecutiva volta alla
realizzazione dell’evento, dunque per ovvie ragioni, non può aver luogo.
13
12
MORSELLI E., Condotta ed evento nella disciplina del tentativo, RIDPP, 1998, 1, 36.
13
Cass. Pen., sez. I sent. n. 209372 del 1997, in “Breviaria Iuris“ al Codice penale, Cedam, 2006.
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CAPITOLO SECONDO
ELEMENTO OGGETTIVO DEL DELITTO TENTATO
2.1 I requisiti dell’idoneità e dell’univocità degli atti: l’inizio dell’attività
punibile.
Tra l'ideazione del fatto e la sua consumazione c'è una “zona grigia”,
all'interno della quale si situa il momento d'inizio della condotta rilevante
di tentativo, che è di difficile determinazione.
Premessa di tale individuazione è la tradizionale e tuttora usuale
divisione della zona grigia in due fasi con opposta efficacia: la fase cd.
preparatoria e la fase cd. esecutiva.
14
Il problema centrale
15
resta proprio stabilire il momento che segna il
passaggio dagli atti preparatori agli atti esecutivi, per individuare l’inizio
dell’attività punibile, infatti, quanto più la soglia della punibilità arretra,
tanto più vi è il rischio di far rientrare comportamenti innocui o meri
propositi delittuosi, nella sfera del penalmente rilevante; mentre,
spostando eccessivamente in avanti il discrimine tra punibile e non
punibile, si va incontro al rischio opposto di frustrare quelle esigenze
preventive che l’istituto del tentativo dovrebbe soddisfare.
14
ANGIONI F., Un modello di tentativo per il codice penale, in RIDPP, 2001, 4, p. 1089.
15
VANNINI, Il problema giuridico del tentativo, Milano, 1952.
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In dottrina non tutti sono concordi nell’indicare il momento preciso in
cui ha inizio l’attività punibile.
Or dunque l’essenza logica del tentare è appunto nell’eseguire o, per
dir meglio, nell’intraprendere l’esecuzione.
Il tentare esprime non solo il collegamento finalistico con un evento da
realizzare, ma anche oggettivamente, l’effettivo muovere delle forze
umane verso quel fine.
Il tentare è per la sua stessa natura un mettere in esecuzione, e la
dottrina ha cercato anzitutto di determinare la nozione di atto di
esecuzione, per poi giungere, per esclusione, a quello di atto preparatorio.
Secondo una costruzione dottrinale, per determinare l’inizio
dell’azione delittuosa occorre guardare al fatto tipico, quale risulta
descritto dalla legge; e questo segnerebbe il momento in cui ravvisare la
distinzione tra atti di preparazione e di esecuzione.
L’attività esecutiva sorge quando inizia la violazione della norma
penale; pertanto dal momento che il codice ha determinato le
caratteristiche essenziali, ovvero i connotati di ogni reato, non dovrebbe
essere difficile distinguerne l’inizio, il corso e la fine.
Così « se il furto è l’impossessarsi della cosa altrui, per trarne profitto
togliendola dal luogo dove si trova, l’apprehensio rei, sarà il primo atto
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esecutivo del furto, mentre nell’omicidio, poiché l’uccisione dell’uomo è il
fatto, l’esecuzione si avrà quando si verificherà un’aggressione alla vita
dell’uomo, adoperando l’arma o il veleno ».
16
A questo punto, secondo tale assunto, soltanto gli atti di esecuzione
sarebbero incriminabili.
Per tale motivo, è stato aggiunto
17
, che anche se fosse dimostrato che
gli atti di preparazione sono diretti a commettere un determinato delitto,
essi non sarebbero comunque punibili, perché non violano né in tutto, né
in parte, il correlativo comando penale. Se, infatti, un soggetto acquista il
veleno per uccidere o dei grimaldelli per rubare, non viola in alcun modo
con questo solo fatto, rispettivamente il comando di non uccidere o di non
rubare; ma avrà iniziato a violarlo soltanto quando avrà cercato di
propinare il veleno alla vittima o di forzare la serratura.
La ragione giuridica della non punibilità dei soli atti preparatori a
titolo di tentativo, starebbe nell’assenza della violazione della norma
penale contemplante il diritto violato.
Tale ricostruzione non può essere accolta per una serie di motivi;
innanzitutto si potrebbe opporre che, se la norma prevede la consumazione
16
NAPODANO, Intorno al criterio di distinzione tra preparazione ed esecuzione in tema di tentativo, 1996.
17
MANZINI, Trattato di dritto penale italiano secondo il codice del 1930, 1948-52.
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del delitto, e il fatto nel tentativo non raggiunge la consumazione, non si
riesce a capire come questa norma possa essere da quel fatto violata.
In secondo luogo, è stato notato che dal punto di vista oggettivo
possono sussistere solo azioni, che tentano di andare contro un interesse
giuridicamente protetto. Vi possono essere in altri termini, soltanto agenti,
che tentano di aggredire un bene. Il tentativo, perciò è una nozione che può
soltanto determinarsi dal punto di vista dell’agente, non dal punto di vista
oggettivo della natura dell’atto.
Non solo, ma a ben guardare tutta la costruzione si rivela tautologica.
Si afferma, infatti, che si ha atto esecutivo quando inizia la violazione della
norma, e si aggiunge quindi che, tale violazione comincia quando inizia
l’attività esecutiva. Il circolo vizioso nell’assunto è evidente.
18
Così facendo, al quesito di stabilire il punto in cui incominci l’attività
esecutiva si sostituisce l’altro di ricercare il punto in cui si inizia l’attività
tipica; ma il problema rimane sempre insoluto.
Non solo, ma tale criterio si rivela insufficiente a determinare il
tentativo nei reati a forma libera
19
. Poiché se è vero che, vi sono reati a
forma vincolata nei quali l’azione deve presentare certe determinate
18
MAGGIORE, Principi di diritto penale, 1937, p. 445.
19
Secondo la dottrina, i reati a forma libera sono quelli che possono essere realizzati con qualsiasi attività che
produca un determinato evento; per esempio rientrerebbe in questa fattispecie il reato di omicidio, che può
essere commesso nei modi più diversi, e sussiste sempre che con un’azione o omissione sia stata cagionata la
morte di un uomo.
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caratteristiche, sicché è facile stabilirne la tipicità e quindi il carattere
esecutivo dell’azione, vi sono anche molti reati, suscettibili di modalità
diverse di realizzazione, nei quali non è possibile determinare a priori il
carattere esecutivo tipico.
Mentre nei reati a forma vincolata l’inizio dell’azione delittuosa è
determinata dalla legge, nei reati a forma libera ha riconosciuto la Suprema
Corte che deve essere determinato dal giudice, tenendo conto dello
specifico bene protetto e dell’attività astrattamente e concretamente idonea
all’aggressione del bene.
Non solo, ma anche nei reati a forma vincolata il coefficiente di
variabilità del mezzo esecutivo è sempre notevole. Soltanto la
considerazione di circostanze concrete entro le quali l’azione criminosa si
esplica, può denunziare quali siano l’atto e il momento del processo
esecutivo, che pongono la causa efficiente dell’effetto.
20
A ciò si aggiunga che anche nelle ipotesi nelle quali il momento
esecutivo viene rappresentato da un solo mezzo, come può essere la morte
cagionata da un’arma da fuoco, rimane sempre da determinare se il
momento dell’esecuzione si inizia con lo spianare il fucile o col mirare o
invece col premere il grilletto. Soltanto la considerazione delle circostanze
di fatto concrete, entro le quali l’azione criminosa si verifica, e non la
20
MASSARI, Il momento esecutivo del reato, 1934, p. 165.
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descrizione del fatto tipico, può denunziare quale sia l’inizio del processo
esecutivo e quale invece si riveli un atto preparatorio.
Parte della dottrina ha fatto ricorso alla teoria della causalità per
spiegare l’inizio dell’attività punibile.
Così è stato affermato che il tentativo è costituito non solo da
quell’attività esecutiva prevista dall’ipotesi normativa, ma anche da quella
precedente ad essa, « che noi siamo tratti a pensare indissolubilmente
necessaria aderente all’evento che avrebbe dovuto per essa verificarsi». «Il
tentativo è perciò l’azione tipica che realizza una parte del fatto descritto
nel precetto penale o magari l’azione precedente all’azione tipica,
logicamente a questa indispensabile, che ha per oggetto immediato la
realizzazione iniziale del fatto ( urtare un individuo per borseggiarlo,
prendere contro un soggetto la mira per sparare il colpo ), l’azione che
aggredisce il bene direttamente o indirettamente ».
21
Altro autore ha affermato che la « nozione di atto esecutivo non può
desumersi che dal contenuto della norma penale ».
22
Dunque, per tentativo va inteso, non soltanto l’azione tipica che
realizza una parte del fatto descritto nel precetto penale, ma anche l’atto
precedente logicamente necessario alla realizzazione iniziale del fatto.
21
VANNINI, La nozione di attività esecutiva, Riv. Pen., 1921.
22
MASSARI, op. cit., p. 165.
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Il codice Zanardelli nell’art. 61, richiedeva “l’inizio di esecuzione”
della condotta tipica ai fini della configurazione del tentativo, operando
così una distinzione tra atti preparatori (non punibili) e atti d’esecuzione
(punibili), che risale al codice napoleonico, secondo una formula tuttora in
vigore in Francia in base alla quale per aversi tentativo occorre un
commencement d’exécution.
L’odierno codice Rocco nell’art. 56, si limita a richiedere “atti idonei
diretti in modo non equivoco”, è stata, dunque, volutamente abbandonata tale
distinzione, ed è questo uno degli aspetti innovativi più importanti e
discussi apportati dal Legislatore del 1930.
Tale scelta si rese necessaria in primo luogo, a causa della difficoltà
sottolineata più volte dalla dottrina e dalla…