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La mia tesi, si articola in due parti principali. Nella prima, mi sono concentrato sul
concetto di condizione giovanile. In particolare, ho svolto un’analisi storica del
concetto di giovinezza con l’intento di proporre un quadro chiaro della condizione
giovanile, in modo da poter elaborare una definizione che tenesse conto della
complessità e della variabilità del mio oggetto di studio. Successivamente, ho
svolto uno studio riguardante la condizione giovanile in Italia; per portare a
termine un’analisi di questo tipo, ho preso come riferimento gli anni compresi fra
il 1983 e il 2000. Ho utilizzato, come materiale bibliografico, le cinque indagini
compiute dall’istituto IARD.
Questa prima parte riguardante la condizione giovanile, ha costituito la premessa
per lo studio delle sottoculture giovanili. La seconda parte della tesi, quindi, dà
un’analisi dei concetti di “cultura”, “subcultura” e “controcultura”. Visti i legami e
le differenze esistenti tra i concetti, sono poi passato a definire nello specifico cosa
si intende per sottocultura giovanile e, in ultimo, ho effettuato un’analisi del
concetto di controcultura giovanile.
In seguito, ho svolto un’analisi delle principali sottoculture dagli anni cinquanta
fino ad oggi. In particolare, ho effettuato un confronto fra le subculture così come
si presentano nel luogo di origine, e come invece si trasformano nel momento in
cui si diffondono in altri contesti come l’Italia. Nel tentativo di effettuare un tale
confronto, ho potuto constatare una sostanziale carenza di ricerche empiriche
svolte nel nostro paese. L’unica ricerca approfondita in campo sottoculturale, è
rappresentata dallo studio dell’86 sulle bande giovanili nel contesto milanese
(Caioli et. Al., 1986). Per questo motivo, ho scelto di svolgere un’analisi empirica
di un particolare fenomeno subculturale presente attualmente a Milano: la cultura
rave. L’indagine si è basata su alcune ipotesi teoriche, tra cui quella di
comprendere il fenomeno dei rave nell’ambito delle teorie classiche delle
subculture giovanili (Jefferson e Hall, 1976; Hebdige, 1979).
Il fenomeno dei rave, a mio parere, non può essere compreso senza
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un’approfondita conoscenza delle sottoculture del passato. I rave, infatti, vanno
studiati nell’ambito dell’aggregazione antagonista. La costituzione di luoghi di
aggregazione liberati dalle influenze della cultura dominante è, da sempre, uno
degli obiettivi che le sottoculture cercano di raggiungere. E’ in quest’ottica che è
possibile analizzare i rave illegali; essi non rappresentano un fenomeno nuovo, ma
sono parte di un panorama sottoculturale in continua evoluzione. L’obiettivo della
mia tesi, diventa quindi quello di cercare un senso di contiguità fra i rave e le
sottoculture del passato. Di conseguenza, ho cercato di definire un quadro
completo dell’evoluzione delle sottoculture dagli anni cinquanta ad oggi, partendo
dalla sottocultura dei “Teddy boys” fino ad arrivare al fenomeno dei moderni
“Rave parties”. Ne emerge una prospettiva piuttosto ampia, che permette di
comprendere un fenomeno, come quello dei rave, che spesso viene
superficialmente catalogato come deviante, senza tenere conto dei molteplici
aspetti che esso comprende.
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1. GIOVANI E CONDIZIONE GIOVANILE
1.1 Origini, significato, ed evoluzione storica del concetto
“giovinezza”
Quello di giovinezza è un concetto tanto importante quanto vago e poco definito; il
più delle volte, soprattutto nel linguaggio comune, il termine “giovani” assume
significati differenti; esso si usa per indicare un insieme troppo ampio di persone,
senza tener conto delle reali caratteristiche che un individuo deve avere per
appartenere, di fatto, a tale categoria. Per lo più, con il termine “giovani”, si vuole
indicare individui che sono giovani per età, ma il concetto incorpora non solo
fattori anagrafici ma, come mostrerò in seguito, anche fattori biologici, psicologici
e, soprattutto, sociali.
La grande rilevanza che la condizione giovanile assume per le scienze sociali, è
dovuta al peso particolare che essa ha all’interno di una società: è nei giovani che
gli adulti ripongono le loro speranze per il futuro, e per questo motivo cercano di
educarli secondo modelli ben precisi, in modo da ottenere individui adeguati al
tipo di società desiderata. Tramite il processo di socializzazione, primaria e
secondaria, gli individui acquisiscono competenze di base e competenze specifiche
che saranno necessarie al corretto inserimento nella società. Le società sono però
in continuo mutamento e di conseguenza lo sono anche i modelli comportamentali
che si richiedono. Studiando i giovani, e i processi di socializzazione a cui sono
sottoposti, si possono fare previsioni su come sarà la società immediatamente
prossima, di cui essi saranno gli esponenti. E allo stesso tempo i giovani sono
anche uno “strumento” utile a misurare le condizioni delle società odierne; essi
incarnano, infatti, tutte le contraddizioni di una società che cerca di educarli
secondo modelli comportamentali che, se sono inconciliabili con i bisogni e gli
ideali della fascia giovanile, generano malcontenti che si possono tradurre in veri e
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propri movimenti di contestazione.
Le società presentano una struttura stratificata, in cui gli individui si differenziano
per classe, genere ed età. Tale stratificazione sta a significare che un individuo
appartenente ad una determinata categoria, si distingue da chi appartiene ad altre
differenti sia per la possibilità di ottenere ricompense destinate a determinate
posizioni, sia per il potere di cui dispone.
In tutte le società conosciute esiste, o è esistito se si fa riferimento alle società del
passato, almeno un tipo di stratificazione sociale, possa esso riguardare uno o più
degli aspetti, appena elencati, in base a cui possono differenziarsi i membri di una
società. Classe sociale e genere sono stati i fattori di stratificazione sociale forse
più studiati, perché sono quelli che creano le diversità più evidenti. E’ infatti noto
come il genere sia da sempre alla base di una forte differenziazione di ruoli
attribuiti rispettivamente all’uomo e alla donna. A causa di questa
differenziazione, la donna è rimasta per lungo tempo emarginata da alcuni ruoli
considerati prettamente maschili. Le battaglie per l’emancipazione delle donne
sono state innumerevoli e continuano tuttora.
Discorso analogo si può fare relativamente alle le classi sociali; senza entrare nel
merito delle varie teorie formulate sull’argomento (tra cui quella marxista del
conflitto, quella strutturalista di Durkheim), si può affermare che classi sociali
differenti, e spesso in conflitto fra loro, sono da lungo tempo all’origine di una
forte differenziazione sociale. Da quando sono nate le prime società agricole che
producevano un surplus, e che in altre parole non miravano più alla semplice
sussistenza, ci sono sempre stati individui e gruppi in grado di accumulare una
quantità di risorse maggiori rispetto ad altri; si può quindi in questo senso parlare
di classi sociali differenti classificabili in base alle risorse da esse possedute.
Classi sociali con una quantità maggiore di risorse dispongono conseguentemente
anche di un potere maggiore, che determina il dominio sulle classi inferiori.
Per quanto riguarda l’età, invece, il dibattito è più attuale e si può anche affermare
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che è avvenuto più “in sordina”.
L’età, così come il genere, è una caratteristica ascritta, e da questa derivano
capacità, atteggiamenti, e modi di rapportarsi con individui appartenenti alla stessa
o ad una diversa classe d’età. Quello dell’età è uno status transitorio; man mano
che s’invecchia si entra in fasce d’età differenti e, passando in queste fasce, si va
incontro a cambiamenti di tipo non solo biologico, ma anche psicologico e
comportamentale. A segnalare il cambiamento di status, e quindi il passaggio da
una fascia di età a un’altra, vi sono i “riti di passaggio”, quelle cerimonie cioè che
accompagnano ogni modificazione di posto, di stato, di posizione sociale e d’età e
che fanno da elemento separatore fra due diversi tipi di relazioni sociali (Van
Gennep, Torino 1981).
Chiaramente, il passaggio da una fase all’altra non avviene in maniera brusca, ma
passa attraverso tre momenti che prevedono: l’abbandono delle posizioni e dei
comportamenti tenuti fino al momento considerato come di passaggio, la
transizione tra la fase da cui si sta uscendo e quella in cui si sta per entrare, e
l’ingresso a tutti gli effetti nella nuova fase, caratterizzata da nuovi diritti e doveri.
Ogni società presenta differenti fasce d’età, caratterizzate dall’unione d’individui
con età simili, ed è compito della società definire i diritti, i doveri e in generale i
comportamenti ritenuti adeguati alle varie fasce.
Sono stati vari i dibattiti in merito alla definizione dell’ampiezza e della natura
sociale delle fasce d’età, che possono essere ricondotte a tre principali tipologie:
infanzia, gioventù e vecchiaia.In merito a queste diverse fasce d’età si è discusso a
lungo, e ancora più a lungo si è discusso sulla gioventù, che solleva numerosi
dubbi e questioni ancora aperte. Dubbi e questioni che nelle prossime pagine andrò
ad elencare e cercare di chiarire o, quantomeno, a presentare i punti di incontro fra
diverse teorie e opinioni. In questa parte introduttiva è giusto però almeno
accennare i problemi che intervengono nello studio di questa fascia di età; essa
non solo si mostra difficile da racchiudere in precisi confini temporali, ma lo
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studio del fenomeno è reso ancora più difficile dal mutare delle condizioni sociali
che influenzano e determinano il susseguirsi delle fasi di età.In ultimo, si è presa
in considerazione l’ipotesi che la gioventù sia un’invenzione della società del
ventesimo secolo, e che prima del novecento non esisteva una simile fascia di età.
Inizierò citando una definizione della giovinezza, così da avere un punto di
riferimento durante l’analisi dell’evoluzione del concetto che si svilupperà nelle
prossime pagine. Fra tutte le definizioni che sono state date, in ambito sociologico
appare particolarmente valida quella di August Hollingshead, il quale definisce la
giovinezza come “[…]il periodo della vita di un uomo in cui la società nella quale egli
vive non lo considera più un bambino, senza peraltro riconoscergli pienamente lo status,
i ruoli e le funzioni dell’adulto.Rispetto al comportamento, la giovinezza è definita
attraverso i ruoli che il giovane deve e può svolgere nella società in base al suo status,
quelli che gli s’impone e gli s’impedisce di svolgere.Non è definita da un particolare
momento, ad esempio la pubertà fisica, ma per forma, contenuto, durata e periodo del
ciclo della vita in cui occorre è delimitata in modo diverso dalle varie culture e società”
(Mitterauer, 1991, pp.26-27).
L’obiettivo principale di questo primo paragrafo è quello di giungere ad una
definizione completa del concetto di giovinezza. Tenendo conto della complessità
del concetto, è bene non dare nulla per scontato e cercare di chiarire tutti gli aspetti
dell’oggetto di questo lavoro, per arrivare autonomamente a una definizione che
possa spiegare in maniera chiara un concetto complesso e controverso.
La definizione di Hollingshead riassume in maniera essenziale le caratteristiche
del concetto, e mette d’accordo sulle varie questioni per cui si è a lungo dibattuto e
tuttora si continua a farlo. Il principale obiettivo di questo lavoro è però quello di
giungere a una definizione del concetto procedendo per gradi; il mio scopo è cioè
vedere come si possa arrivare ad una definizione del tipo di quella sopra citata,
andando ad analizzare il modo in cui è cambiata la condizione dei giovani nelle
epoche storiche e nelle differenti società. Solo in questo modo è possibile
osservare l’effettiva evoluzione del fenomeno, così da averne una visione il più
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possibile completa, che aiuti a far luce su un concetto che spesso risulta vago e
poco delineato. Sarà quindi utile vedere anche le diverse posizioni che i vari
studiosi sociali hanno assunto rispetto al concetto di giovinezza, in modo da
conoscere tutti i punti di vista da cui è possibile studiare il fenomeno.
Non mi accontenterò di conoscere il significato di giovinezza comunemente
accettato in ambito sociologico, ma cercherò di arrivare a dare una personale
definizione, che sia il frutto di un’attenta analisi della condizione giovanile.
Come premessa, va chiarito che quella dei giovani non è da considerare come
classe sociale, poiché le classi sociali sono individuabili in base alla divisione
sociale del lavoro, e i giovani non hanno una collocazione fissa nella struttura del
lavoro (come chiarirò in seguito, infatti, il raggiungimento di una posizione
lavorativa stabile fa parte dei requisiti dell’età adulta), ma appartengono ad una
data classe sociale sulla base della posizione occupata dai genitori.
Per andare a far parte di una classe sociale, occorre essere inseriti nella struttura
economica della società, che classifica gli individui in base al reddito, ai rapporti
di produzione e alle relazioni di proprietà; si considerano invece come giovani
individui che per lo più non hanno ancora raggiunto una posizione fissa all’interno
di tale struttura, ma sono ancora in una fase di ricerca; per questo motivo sono
ancora legati alla casa dei genitori, che rappresenta un punto di riferimento. Fino a
che un individuo non va a formare un’entità economica definita nettamente, ed è
cioè in grado di provvedere a se stesso con le proprie risorse, non è possibile che
questo sia inserito in una classe sociale differente da quella dei genitori. La
gioventù, di conseguenza, attraversa tutte le classi sociali, senza però venirne a
costituire una particolare e ben definita (Cavalli, 1980).
Del resto non è assolutamente possibile definire i giovani solamente in base a
fattori come quelli anagrafici che ne individuano l’età o quelli biologici che
determinano il grado di sviluppo fisico. La gioventù è identificabile anche secondo
fattori psicologici e sociali; essa, cioè, non definisce il mero passaggio fisiologico
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dalla condizione del bambino a quella dell’adulto; per tale fenomeno si utilizza il
termine pubertà, che rimane legato perlopiù al campo dei cambiamenti biologici.
Con gioventù s’intende invece il passaggio dallo stato sociale di bambino a quello
d’adulto, che comporta una diversità, rispetto allo status di bambino, nei modi di
pensare, di comportarsi e rapportarsi con gli altri. Qui è utile riportare la
definizione che Friedelm Neidhart da dei giovani, definizione da cui emerge
chiaramente la natura di tipo prettamente sociale della giovinezza: “Rispetto ai
bambini e agli adulti, i giovani si possono definire come coloro che con la pubertà hanno
raggiunto la maturità sessuale dal punto di vista biologico senza essere entrati in
possesso, col matrimonio o l’inserimento professionale, dei diritti e doveri generali che
la partecipazione responsabile ai processi fondamentali della società riconosce o
impone” (Mitterauer, 1991, p. 27).
Quando si entra nella pubertà, si hanno dei cambiamenti riguardanti più aspetti di
una persona; il cambiamento fisico è il più palese, e risulta subito evidente che si è
cresciuti in altezza, la muscolatura si è fatta più robusta, i lineamenti del viso sono
cambiati e la voce si è fatta più profonda. Ma questi cambiamenti sono solo quelli
più facilmente visibili, non sono gli unici. La pubertà è il punto di partenza di
sconvolgimenti psicologici e sociali che riguardano un individuo cosciente di non
essere più un bambino: la psiche cambia in vista del raggiungimento di una
personalità adulta ben definita; se nei primi tempi, quando si entra nella pubertà, si
hanno sentimenti di paura dovuti all’avvertenza del cambiamento in atto, una volta
accettata la propria condizione si sviluppa la fantasia, che porta a formulare
pensieri fantastici su ciò che si può fare col proprio corpo e, in particolare, con il
proprio sesso. Man mano che procede lo sviluppo dell’individuo, la psiche si
evolve, e i pensieri vanno pian piano razionalizzandosi, portando l’individuo a
formulare ipotesi concrete sul proprio futuro di membro adulto della società cui
appartiene. Analogamente, procede il cambiamento sociale che caratterizza questa
fascia d’età; s’inizia con un’assottigliarsi dei rapporti con il mondo adulto, perché
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ci si vergogna e si ha paura della propria identità.Di conseguenza, s’intensificano i
rapporti con i propri coetanei e si comincia a stringere relazioni più forti con i
membri dell’altro sesso. Man mano che il processo di socializzazione procede, il
giovane impara ad assumere i ruoli idonei alla propria età e a comprendere i ruoli
adulti che in seguito dovrà assumere. Il ruolo della socializzazione in questo
periodo è quindi quello di permettere all’individuo di inserirsi, una volta superate
le paure della pubertà, nella società (Andreoli, 1995).
Vi è molta confusione riguardo alla definizione delle fasce d’età, e la questione si
complica ulteriormente parlando di gioventù; già il termine in sé risulta poco
gradito agli psicologi, che preferiscono sostituirlo con “adolescenza”. Se
controversa è la ricerca di un termine per indicare il concetto, ancora di più lo è la
definizione della fase d’età e dei confini temporali. Ad esempio: a che fascia d’età
possono essere ricondotti gli individui che comunemente indichiamo con il
concetto “ giovani”? Non è possibile stabilirlo con certezza, perché non esiste
un’età precisa in cui si comincia ad essere giovane e, meno ancora, ne esiste una in
cui si finisce di esserlo. Le età limite variano nel tempo e nello spazio. Si prenda
l’esempio dei diciotto anni, che in Italia delimitano la maggiore età, generalmente
il punto di cesura fra adolescenza e gioventù. Nel nostro paese abbiamo questo
limite, che sembra preciso e ben delineato, ma in America la situazione è diversa,
la soglia è più frastagliata e l’acquisizione dei diritti “adulti” diluita nel tempo, con
le tre soglie di sedici anni per guidare, diciotto per votare e ventuno per bere
alcolici. Ancora più difficile è indicare il limite superiore della gioventù, poiché
più numerosi sono i punti di cesura che delimitano il passaggio dalla giovinezza
all’età adulta.
Se difficile è delimitare la categoria dei giovani in base a un’età biologica, ancora
di più lo è se si tiene conto dell’età sociale degli individui, che li rende magari
giovani per quanto riguarda certe funzioni sociali, e vecchi in rapporto ad altre; ad
esempio, nel mondo dello sport a 22 anni si può essere già “maturi” o addirittura
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“vecchi”, mentre si è giovani nel mercato del lavoro. Nella politica o in altri
campi, come ad esempio nella narrativa, a 40 anni si è giovani, mentre si è già
maturi in altri svariati ruoli sociali (D’Eramo 2001). La percezione sociale dell’età
determina quindi un ruolo di rilievo nella definizione delle fasce di età, che
variano a seconda di come ad esse ci si rapporta. Sia lo stato sociale di bambino
che quello di adulto vengono definiti differentemente a seconda della società in cui
ci si trova, ma esistono comunque dei punti di riferimento che indicano la fine di
una fascia di età e l’inizio di un’altra. E’ bene tenere come riferimento le soglie
indicate dallo IARD (istituto che si occupa di effettuare ricerche principalmente
sulla condizione giovanile, le politiche sociali e gli interventi didattico-
pedagogici), poiché è in base agli studi compiuti da questo ente che si svilupperà
nei successivi paragrafi, l’analisi di come è cambiata la condizione giovanile in
Italia negli ultimi vent’anni. Le soglie indicate da coloro che hanno condotto le
indagini IARD, comunque, coincidono con quelle indicate da Modell e colleghi
(1976), e sono considerate come significative nell’individuare il passaggio dallo
status di giovane a quello di adulto, in tutte le società. Sono quindi da considerare
come soglie di passaggio:
- la conclusione del percorso formativo;
- la presenza di un’occupazione stabile;
- l’abbandono della casa dei genitori;
- il matrimonio;
-la maternità o paternità.
Il periodo e la sequenza in cui queste soglie vengono oltrepassate variano a
seconda della società di riferimento e dei singoli individui. Le età in cui
avvengono i principali passaggi variano molto a seconda del genere, dell’etnia e
della classe sociale di appartenenza. Inoltre, la sequenza secondo cui le soglie sono
state presentate, corrisponde all’approccio da parte dei membri delle società
occidentali a questi punti di passaggio; non è comunque un ordine vincolante, ed
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esso può essere cambiato non solo al variare delle società in cui ci si trova, ma può
anche cambiare a discrezione dei singoli individui. Possono esservi, inoltre, dei
passaggi all’età adulta “incompleti”, che cioè non comprendono il superamento di
una o più soglie fondamentali (Pisati, 2002).
La giovinezza è una fase del ciclo di vita che comprende processi di cambiamento
somatico, psichico e sociale che aprono la strada all’entrata nell’età adulta. Ma
l’età in cui si superano queste soglie è molto cambiata nello spazio e nel tempo.
E’ quindi utile fare una breve analisi di come si è evoluto il rapporto fra gli
individui e le cesure sopra indicate in modo da delineare un ritratto dei giovani a
seconda delle epoche storiche.
Prendendo come riferimento epoche, paesi e società diverse, si rilevano chiare
differenze relative alla definizione di gioventù. Le cause di tali differenze vanno
ricercate nelle condizioni sociali più che in quelle biologiche. Già nel 1620, si
cominciava a notare che in Germania le figlie dei contadini raggiungevano la
pubertà più tardi delle figlie dei nobili. In Francia, invece, la prima constatazione è
attribuibile a Buffon, che nel 1798 notava le differenze nell’età del menarca fra
abitanti dell’area urbana e delle campagne (Mitterauer, 1991). Fino al
diciannovesimo secolo, insomma, erano riscontrabili notevoli differenze
nell’attribuzione dell’età della pubertà a seconda delle classi sociali e dei ceti
d’appartenenza. Dall’ottocento l’età del menarca ha cominciato ad abbassarsi
e, inoltre, si sono livellate le differenze dell’età in cui si raggiunge questa
condizione. A cosa è dovuto un tale abbassamento dell’età media di inizio della
pubertà? Le cause vanno ricercate in fattori prettamente sociali, in particolare
l’alimentazione e il carico di lavoro. Per quanto riguarda il primo fattore, con il
passare del tempo si è assistito ad un’evolversi del modo d’alimentazione che ha
visto l’introduzione, in misura crescente, di carne, zucchero, frutta e verdura. Un
tipo di alimentazione più completa ha certamente influito nel formarsi in tempi più
brevi di una struttura fisica solida e robusta. Per contro, un carico di lavoro troppo
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pesante può avere un effetto ritardante sul corretto sviluppo di un individuo. Se si
va a vedere in che modo venivano considerati, nei secoli passati, gli individui
appena entrati nella pubertà, si nota come i due fattori sopra accennati non
venissero presi in considerazione, per cui si creavano delle condizioni sfavorevoli
al corretto sviluppo del bambino; si pensi che nell’impero romano la maggiore età
era fissata a dodici anni per le ragazze e a quattordici per i ragazzi. Quest’età
corrisponde, se pure con un margine ampiamente variabile, all’inizio della pubertà.
Ciononostante, gli antichi romani consideravano individui di quest’età come degli
adulti, e li sottoponevano ad un carico di lavoro eccessivo e non adeguato al loro
grado di sviluppo.
E’ proprio in quest’ottica che bisogna vedere l’accelerazione dello sviluppo
riscontrabile a partire dall’ottocento; si tenga conto, ad esempio, della crescente
scolarizzazione, che ha sottratto un buon numero di giovani al mondo del lavoro
minorile. A ciò si deve aggiungere un netto miglioramento delle condizioni
igienico-sanitarie e un’alimentazione più completa, per ottenere un ambiente
adatto ad uno sviluppo dei giovani più adeguato alle loro esigenze, e più in
sintonia con le loro capacità e caratteristiche.
Un discorso analogo lo si può fare anche per lo sviluppo psichico
dell’individuo; se il termine pubertà è legato ai fattori biologici che segnano il
passaggio dall’infanzia all’età adulta, con adolescenza si indica la maturazione
psicologica. Un’analisi approfondita delle condizioni che stanno alla base dello
sviluppo psichico nell’età giovanile è riscontrabile solamente in epoca recente. Si
può parlare di un reale e approfondito interesse per la psiche del giovane
solamente a partire dal ventesimo secolo, soprattutto con lo svilupparsi della
psicologia dell’ età evolutiva, le cui teorie hanno ancora oggi una forte influenza
(cfr Spranger, Wheling et al.). In particolare queste teorie introducono la questione
della grande mobilità dei giovani, che si esprime nella necessità di viaggiare,
uscire dai luoghi familiari in cui si è cresciuti e conoscere nuove località. La
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mobilità dei giovani è però a sua volta collegata a tutta una serie di fattori sociali
quali la posizione lavorativa, la struttura della famiglia di appartenenza e il tipo
d’istruzione ricevuto.
Anche se si possono trovare caratteristiche, quali il desiderio di mobilità, che
sembrano essere elementi base della psiche del giovane, è bene procedere con
cautela nella formulazione di teorie riguardanti una possibile generalizzazione
degli aspetti propri dell’età giovanile: proprio per il suo carattere mutevole, l’età
giovanile non presenta costanti di carattere psicologico o emotivo che possano
servire a tracciare una mappa fedele degli orientamenti valoriali propri della
giovinezza. Quella dei giovani idealisti, sognatori, ribelli e sempre alla ricerca di
giustizia, è un’immagine stereotipata che fa parte dell’immaginario collettivo.In
realtà, tali caratteristiche sono mere astrazioni derivanti dall’analisi di una parte
ristretta della società, che in genere corrisponde a quella urbana borghese. Già nel
passato, questi stereotipi perdevano di valore solamente spostandosi nelle aree
rurali. Quando si parla di giovani è bene quindi relativizzare tutte le ipotesi e le
teorie che si avanzano in merito a presunte caratteristiche di questa fascia di età.
Esemplificativa in questo senso è l’opera di Eduard Spranger Psicologie des
jugendalters, del 1924; lo psicologo tedesco, in quest’opera, ha dato un quadro
generale delle caratteristiche della gioventù. Psicologie des jugendalters, ebbe una
grande influenza non solo su studi compiuti successivamente ma anche sul senso
comune in generale (Mitterauer, 1991); soprattutto in Germania, area di massima
diffusione dell’opera di Spranger, è entrata a far parte del senso comune
l’immagine che lo psicologo proponeva dell’inizio della gioventù come
caratterizzato dal risveglio del sentimento della natura.Il problema principale era
però che lo studio era stato fatto per lo più su studenti liceali dei ceti elevati.
L’errore di Spranger, quindi, fu quello di generalizzare un fenomeno che era
relativo a una specifica classe sociale. Ancora una volta emerge l’origine sociale
della gioventù; i modelli comportamentali che si sviluppano in questa fascia di età
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variano molto spostandosi da una classe sociale ad un’altra e da una società
all’altra. Questo dipende dai diversi modelli di socializzazione che classi sociali e
società differenti impongono ai propri membri; a seconda del modello educativo
imposto, si avranno nei giovani risposte comportamentali diverse. I modelli
comportamentali, inoltre, non variano solamente a seconda della classe sociale di
riferimento ma anche a seconda del contesto storico e sociale in cui ci si trova: ad
esempio negli anni sessanta e settanta del novecento i giovani venivano considerati
come degli idealisti contestatori, che mettevano in discussione il sistema. Questa
raffigurazione è andata svanendo man mano che si avvicinavano gli anni ottanta,
decennio in cui ha prevalso l’immagine dei giovani come più integrati e
conformisti. Poi sono arrivati gli anni novanta, in cui è cresciuta la “generazione
x”, che sembrava aver perso ogni peculiarità. Infine si è giunti ai giorni nostri, in
cui pare ci sia un risveglio delle coscienze dei giovani, che si dimostrano più
attenti al sociale e alla collettività (Diamanti, 1999).
Così come non è possibile stilare un elenco dei tratti psicologici tipici della
gioventù, non è nemmeno possibile parlare di crisi o di cambiamenti a cui gli
individui che attraversano la fase giovanile sono generalmente soggetti;
rifacendosi alle teorie di Wolfgang A. Gestrich che emergono dal suo studio sulla
vita giovanile nel villaggio di Homenhausen tra il 1800 e il 1913 (Gestrich,
1986), si può dire che i cambiamenti e le relative crisi tipiche dell’età
adolescenziale non sono costanti antropologiche, in quanto non si manifestano
nelle medesime forme in tutte le culture ed epoche storiche. In particolar modo il
discorso vale per le crisi adolescenziali, che sembrano emergere più acute e diffuse
nei periodi di cambiamento sociale. Ad esempio, nello studio sopra citato, era
visibile come le crisi fra i giovani erano nate solamente dopo la prima guerra
mondiale, andando così a rappresentare delle strategie tramite cui scaricare le
tensioni sociali e le paure; le crisi giovanili riscontrabili in quell’epoca erano cioè
da considerare come una risposta da parte dei giovani alla tensione provocata dalla